giovedì 19 gennaio 2012

chiesa san giacomo 1

lunedì, 13 aprile 2009


CHIESA DI SAN GIACOMO

raccolta documentazione



 
San Giacomo ad Oltrisarco / St. Jakob in der Au
da:     Atlante  Tr3cento  Pittori gotici a Bolzano
Città di Bolzano: Assessorato alla cultura e allo spettacolo. Ufficio beni culturali
14.
Tav. XLV
La chiesa, dedicata ai Santi Giacomo maggiore, Barbara e Cristoforo, è ricordata per la prima volta in un documento del 1218 e fin dall'antico fu dipendente dalla parrocchia di Bolzano; l'originaria costruzione romanica ad aula unica con soffitto ligneo fu modificata intorno al 148o con l'aggiunta di un coro gotico a pianta poligonale e, ancora, nel 1542 con l'inserimento della attuale volta a crociera. Ulteriori lavori all'edificio sono documentati nel 1601 e nel 1662 mentre tra il 1904 e il 1912, la navata della chiesa fu ampliata nella parte occidentale con l'aggiunta di una nuova facciata. Tra il 1970 e il 1971 fu ripristinata la situazione originaria. Ulteriori lavori sono stati compiuti tra il 1984 e il 1985.
14.1
Annunciazione
Portale settentrionale
Pittore locale, circa 1300
Scoperto nel 1971, il dipinto, eseguito ad affresco con rifiniture a secco, viene pubblicato per la prima volta da Rasmo (1971) e datato intorno al 1300. KOFLER ENGL (1995, 1999) approfondisce le ragioni stilistiche che ne giustifcano la cronologia.
Il dipinto, ridotto cromaticamente alle prime stesure color ocra e alla sinopia tracciata in rosso, è contornato da fasce di colore; manca il limite inferiore. Maria e l'angelo sono situati sotto un doppio baldacchino su uno sfondo neutro. L'angelo, che si avvicina da sinistra, soleva la mano in segno di saluto. Maria si ritrae indietro, il capo leggermente inclinato, le mani davanti al petto. La colomba dello Spirito Santo è sospesa sopra il capo della Madonna, coperto da un velo che le ricade sulle spalle.
La composizione del tutto lineare è conseguenza del ridotto stato di conservazione e non può essere ritenuta una particolarità stilistica. Il disegno è di qualità elevata, ma non ricorda la chiara e precisa conduzione della linea tipica degli altri dipinti del protogotico a Bolzano. Esso ottiene piuttosto effetto pittorico per l'esecuzione con pennello e fa supporre 1a presenza di una mano artistica completamente diversa oltre a rimarcare uno stretto collegamento con la tradizione tardo-romanica.
RASMO (1979) mette a confronto questo dipinto con la Madonna con angeli della cappella di Castel Reinegg a Sarentino/Sarnthein, datato con certezza nel terzo quarto del XIII secolo. A Oltrisarco/Oberau l'elemento gotico è decisamente più sviluppato rispetto ai dipinti di Castel Reinegg sia per quanto concerne la resa del rapporto intimo tra Maria e l'angelo, sia per la libertà e la morbidezza della linea. Appare pertanto plausibile una datazione di poco precedente o intorno al 1300; l'affresco di Oltrisarco/Oberau si sottrae tuttavia a un raffronto con i dipinti di quel periodo o di poco successivi nell'area di Bolzano e va pertanto considerato quale opera autonoma.
Waltraud Kofler Engl

Bibliografia:
RASMO 1971, p. 121; RASMO 1979, p. 261;
WEINGARTNER 1977, p. 190; RASMO 1986, p. 93;
WEINGARTNER 1991, p. 425; KOFLER ENGL 1995, PP. 71, 218
KOFLER ENGL 1999, pp. 293-294.
14.2
Storie di Santa Barbara e di San Giacomo

Sottotetto: arco trionfale e pareti laterali
Secondo maestro di San Giovanni in Villa, circa 1380
All'interno della chiesa, la decorazione pittorica trecentesca è visibile solo in pochi frammenti portati in luce sulla parete dell'arco santo, mentre una parte consistente si conserva nel sottotetto in seguito alla costruzione delle volte a crociera, compiute intorno al 1542. Le pitture restano in corrispondenza dell'arcone trionfale e delle due pareti laterali, accompagnando la linea dell'originario soffitto ligneo piano con una cornice a esagoni gialli scandita da mensole impostate prospetticamente, così come si vede tanto nelle decorazioni di seguito giottesco della cappella di Santa Caterina (3.14) e del Capitolo nel chiostro dei Domenicani (3.16) quanto nei cicli tardotrecenteschi delle chiese della Maddalena a Rencio/St. Magdalena in Prazöll (4.2) e di San Cipriano a Sarentino/Sarnthein. Sopravvivono una serie di scene narrative che, separate dalla cornice a esagoni, sono tutte mutile nella parte inferiore in maniera più o meno consistente a seconda dello scendere o salire della linea delle volte. Uoriginario impianto decorativo della navata, come nei cicli decorativi locali, da San Giovanni in Villa/St. Johann im Dorf (5.2) a San Martino in Campiglio/St. Martin in Kampill (7.2), doveva plausibilmente prevedere uno zoccolo a finto marmo e due ordini di scene, il più alto dei quali è quello ancora parzialmente superstite dove, giusta individuazione iconografica di RASMO (1942), ono raffigurate Storie di Santa Barbara e di San Giacomo.
La storia del santo, dipinta sul lato sinistro, si conserva oggi in sei riquadri, più o meno frammentari, di cui TENGLER e UNTERER 1986) hanno meritoriamente tentato d'individuare il soggetto, riconoscendo la scena d'avvio sulla parete dell'arco santo. Proprio l'osservazione di quanto resta di questo episodio porta tuttavia a credere che la sequenza narrativa seguisse un andamento inverso dato che vi è raffigurato un personaggio con scettro e, a destra, il dettaglio di due mani alzate a reggere una spada che fanno individuare non tanto l'episodio di Ermogene che manda Fileto da San Giacomo (TENGLER, UNTERER 1986, pp. 41-42) quanto quello della decapitazione del santo alla presenza del sacerdote Abiathar o di Erode. Lungo la parete laterale l'unica scena identificabile con certezza è la seconda da sinistra dove, sotto un'accesa lotta tra angeli e diavoli, San Giacomo è raffigurato mentre fa porre su Fileto un tessuto di lino per liberarlo dai malefici di Ermogene (cfr. TENGLER, UNTERE=. 1986, p. 42). La scena precedente a sinistra, di cui resta un interno con idolo e due teste rivolte verso destra, potrebbe aver rappresentato la disputa tra San Giacomo e Fileto o Ermogene che manda Fileto; la scena successiva a quella del miracolo del lino è molto frammentaria, ma restano dei guerrieri con insegna demoniaca che si dirigono verso un edificio: si tratta probabilmente della turba di diavoli incaricati da Ermogene di portargli Giacomo e Fileto; il riquadro seguente si conserva per metà, presentando San Giacomo, Fileto e un terzo personaggio contro uno sfondo di colline e castelli, mentre nella parte mancante poteva esservi o Ermogene incatenato portato dai diavoli dinnanzi a San Giacomo o la sua conversione.
Nell'ultimo riquadro della parete è raffigurato lo stesso personaggio della contigua, probabile scena di decapitazione; potrebbe trattarsi del momento in cui San Giacomo viene condotto dinnanzi al sacerdote Abiathar o a Erode, mala presenza di un filatterio suggerisce la possibilità che vi fosse rappresentata la conversione dello scriba Iosia, decapitato poi insieme a San Giacomo.
La storia di Santa Barbara, sul lato destro del sottotetto, è anch'essa molto frammentaria, ma la sequenza narrativa, per quanto si può ricostruire, segue un andamento inverso rispetto a quella di San Giacomo, secondo una soluzione già presente in San Giovanni in Villa/St. Johann im Dorf (5.2), mostrando di privilegiare i fatti della vita della santa precedenti ai crudeli e noti martiri imposti dal padre, così come in parte si vede anche nel pannello centrale del tardo-quattrocentesco altare di Santa Barbara a Novacella/Neustift (MADERSBACHER in Michael Pacher 1998, pp. 252-254). L'individuazione della storia di Santa Barbara, basata probabilmente sulla versione di Johann von Wackerzeele che amplia il racconto del Dieta Origenis de beata Barbara, si fonda, da un lato, sulla raffigurazione della fanciulla chiusa nella torre nel primo riquadro della parete destra, dall'altro, sull'affacciarsi di Cristo e della colomba dello Spirito Santo dalle finestre più alte dello stesso edificio nelle ultime due scene parzialmente superstiti, con riferimento al noto episodio della santa che fa aprire una terza finestra in omaggio alla Trinità. Rispetto alle Storie di San Giacomo, la frammentarietà del ciclo rende più difficile individuare in modo univoco il soggetto dei cinque riquadri superstiti o ipotizzarlo in modo plausibile. La prima scena, sulla parete dell'arcone trionfale, raffigura l'elemosina di Barbara ai poveri e agli storpi (TENGLER, UNTERER 1986, p. 43) che resta visibile in chiesa con 1e figure dei beneficiati e parte di quella della santa; questo episodio potrebbe essere compatibile con quanto resta nel sottotetto in corrispondenza dell'angolo destro, dove si conserva l'architettura di un palazzo con una bella fontana e un uomo, da identificare con il padre di Barbara, che sembra rientrare in casa, ma potrebbe anche essere nell'atto di chiudere la porta a chiave. Lo stesso palazzo, sotto un cielo stellato con la raffigurazione del sole e della luna, si ripete nelle scene successive che dovevano raffigurare episodi legati alla reclusione di Barbara per volontà del padre: nella prima, la santa compare da una finestra della torre e il padre nella sala che la precede; nella seconda resta solo la parte superiore dell'architettura e un angelo nell'atto di benedire; nella terza entrano nel palazzo un vescovo e due diaconi, mentre si vede Cristo con la croce comparire da una finestra della torre; nella quarta resta solo la parte alta della torre dalle cui due finestre superstiti si affacciano, come si è detto, due componenti della Trinità. La scena del vescovo, con buona probabilità, doveva raffigurare il battesimo di Barbara per mano del prete Valentino che, secondo la tradizione, l'aveva incontrata in precedenza travestito da medico. È perciò probabile che il secondo riquadro della parete rappresentasse proprio questo episodio, mentre il precedente come hanno indicato TENGLER e UNTERER (1986, p. 44), poteva mostrare l'apertura della terza finestra nella torre, dato che risultano essere tre e la santa appare dalla più bassa di esse. Visto lo spazio che 1a narrazione dà agli episodi della prigionia, si può credere che la storia della santa proseguisse nel registro inferiore con il racconto dettagliato del suo crudele martirio. La probabile scena della decollazione di San Giacomo in corrispondenza dell'arco santo porta invece a ipotizzare che nel registro sottostante vi potesse essere dipinta la storia San Cristoforo, cui pure la chiesa era dedicata, oppure le vicende dell'apostolo Giacomo dopo la sua morte, come nelle pitture di Jacopo Avanzi e di Altichiero nella cappella di San Giacomo al Santo di Padova, con le quali quelle in esame non sembrano però avere alcun rapporto.
ATZ (1885) e WEINGARTNER (1929) accenarono alle pitture in questione, ancora in parte occultate dal materiale che riempiva i pennacchi: il primo le collegò agli affreschi di San Cipriano a Sarentino/Sarnthein che Schmölzer allora riferiva a Stotzinger o a uno dei suoi migliori allievi; il secondo li assegnò al pittore della chiesa di San Vigilio al V irgolo/St.Vigil unter Weineck (6.2), cui in seguito collegò (WENGARTNER 1948) i cicli di San Giovanni in Villa/St. Johann im Dorf (5.2) e di San Cipriano a Sarentino/Sarnthein. RASMO (1942), in un breve intervento monografico, oltre a identificare il tema iconografico, riferì il ciclo frammentario al pittore delle Storie della Vergine in San Vigilio (1942, p. 47). Successivamente (RASMO 1948, 1971, 1986) ascrisse invece le pitture all'autore delle Storie di S. Vigilio, ormai emancipatosi dal maestro, e gli assegnò un nutrito gruppo d'opere, comprendente, oltre agli affreschi in esame, il registro inferiore di San Giovanni in Villa/St. Johann im Dorf (5.2), il ciclo di San Cipriano a Sarentino/Sarnthein, quello frammentario di San Nicolò (Bolzano, Museo civico: catalogo nr. 29), la Madonna con Bambino del chiostro dei Domenicani (3.18), le Incoronazioni della Vergine della Parrocchiale di Termeno/Tramin e di Santa Maria del Conforto a Maia Bassa/Untermais. I legami con i cicli di San Vigilio al Virgolo/St. Vigil unter Weineck (6.2) e di San Cipriano a Sarentino/Sarnthein sono sottolineati anche da TENGLEReUNTERER (1986) che vi individuano l'influenza di Tomaso da Modena,proponendo per le pitture in esame una cronologia intorno al 1400. Weingartner e Rasmo sostennero invece un riferimento all'ultimo quarto del Trecento.
Il rapporto delle pitture di San Giacomo con quelle di San Vigilio al Virgolo/St. Vigil unter Weineck (6.2), individuato da Veingartner, può invero estendersi all'intera produzione della bottega del Secondo maestro di San Giovanni in Villa; nel frammentario ciclo in esame tornano infatti in modo puntuale scelte operative, d'impaginazione e di sequenza narrativa, oltre che un lessico figurativo ben connotato e riconoscibile. Come al solito la stesura d'intonaco relativa a ciascuna scena comprende in modo sistematico il lato destro del1a cornice, mentre si conferma l'interesse per architetture complesse e per una peculiare resa del paesaggio, fatto di erti speroni rocciosi coronati da castelli e tagliati da forre ricche di vegetazione. L'arco in tralice da cui compare il personaggio che ordina il martirio di San Giacomo si ripete nella scena raffigurante Augusto e la Sibilla in San Vigilio, mentre l'edificio merlato che ambienta le vicende di Santa Barbara riecheggia quello dell'Incontro alla porta aurea nella stessa chiesa del Virgolo (6.2). I riscontri sono molti, a vari livelli, ma vale la pena di rilevare che gli affreschi di San Giacomo, mutili, ma ben conservati nel tessuto pittorico superstite, costituiscono una importante testimonianza per documentare la maturazione del secondo maestro e della sua bottega, rendendo meno marcato e violento il divario quasi ventennale tra la decorazione di San Giovanni in Villa/St. Johann im Dorf (5.2) e quella di San Vigilio al Virgolo/St. Vigil unter Weineck (6.2). Sulle pareti di San Giacomo non pare individuabile in modo distinto la presenza, solitamente inconfondibile, del Maestro delle Storie di San Vigilio, anche se 1a soluzione della cornice, già presente nella chiesa della Maddalena (4.2), ricorre soprattutto in opere a lui riconducibili come il ciclo di Sarentino/ Sarnthein e quello oggi in frammenti, di San Nicolò (cfr. saggio Spada Pintarelli; Catalogo, nr. 29). Nelle figure e nei volti, in particolare, si coglie invece in modo chiaro il precedente delle pitture di San Giovanni in Villa/St. Johann im Dorf (5.2), anche se, pur confermandosi la tipica pittura veloce e disegnata, si osservano stesure più liquide e dolci e una maggiore sensibilità volumetrica: aspetti che mostrano un'assimilazione più consapevole del retaggio guarientesco e un preludio stretto all'esecuzione più sciolta delle pitture di San Vigilio e, in particolare, alle Storie della Vergine. Questo rapporto consente di proporre per il ciclo di San Giacomo una cronologia indicativa intorno al 1380 e di assegnarlo al Secondo maestro di San Giovanni in Villa, coadiuvato come sempre dalla sua efficiente bottega. Per una trattazione più dettagliata sul Secondo maestro di San Giovanni in Villa si vedano le schede relative al ciclo eponimo (5.2) e a quelli di San Cristoforo ai Domenicani (3.13.2) e di San Vigilio al Virgolo (6.2).
14.2 Storie di San Giacomo (part)
Tiziana Franco

Bibliografia:
ATZ 1885a (2 ed. 1909), p.358
WEINGARTNER 1929, III, p. 374; RASMO in Alto Adige 1942, II, pp.47, 56-60,61; WEINGARTNER 1948, p.23; DALLA BONA 1954, p.11; RASMO 1971, pp.148, 244; WEINGARTNER 1973, pp. 62-63; RASMO 1986, p.103; TENGLER – UNTER 1986, pp. 38-46; WEINGARTNER 1991, p. 425; SPADA – PINTARELLI 1999, p. 305-306
Da:
Atlante Tr3cento
Pittori gotici a Bolzano
TEMI Editrice
il cui Sommario dell'intera opera consiste in:
11 Premessa
14 1. Duomo
41 2. Chiesa e convento dei Francescani
64 3. Chiesa e convento dei Domenicani
158 4. Santa Maddalena a Rencio/St. Magdalena in Prazóll
186 5. San Giovanni in Villa/St. Johann im Dorf
216 6. San Vigilio al Virgolo/St. Vigil unter Weineck
244 7. San Martino a Campiglio/St. Martin in Kampill
268 8. Sant'Andrea
270 9. San Giorgio in Weggenstein
271 10. Abbazia di Muri a Gries
274 11. Gries, antica parrocchiale
276 12. San Maurizio
278 13. San Giacomo alla Rena/St. Jakob am Sand
280 14. San Giacomo ad Oltrisarco/St. Jakob in der Au
284 Bolzano: dipinti perduti
292 Figure di pittori trecenteschi nei documenti d'archivio di area atesina
299 Culture tecniche
361 Bibliografia

La chiesa di San Giacomo “ in der Au” (in palude)
Da Laives dal paese alla città
Comune di Laives
pag 323,
Il presente capitolo - per quanto riguarda l'antica chiesa e la sua storia - si attiene per lo più all'opuscolo «St. jakob in der Au»', compilato dall'autore con la collaborazione di Josef Unterer. Qui vi si aggiungono ulteriori notizie concernenti la storia delle opere murarie, quali la costruzione della volta gotica nel 1542.
La prima menzione certa è fatta in un documento del 1237. Il 20 ottobre di quell'anno fu sancito un contratto alla presenza del notaio Jakob Haas, riguardante una curia (maso) que jacet in Canapoledro juxta ecclesiam sanati Jacobi de Cinte, un maso cioè nella zona di Campoledro accanto alla chiesa di san Giacomo in Cinte.
A quel tempo e anche successivamente fino al secolo 17°, la zona di San Giacomo fu detta Cinte o anche Schinte, un termine derivante dalla voce latina cinctum, e che allude all'esistenza in quel sito di un muro di cinta della chiesa o di un anteriore fortilizio.
La chiesa però potrebbe essere stata eretta ancora nel precedente secolo 12°, poiché risulta da un documento del 1242 che i Firmian - signori dell'omonimo castello più tardi denominato Sigmundskron - esercitavano sulla chiesa il diritto di patronato ottenuto probabilmente dai signori di Weineck.
La chiesa di San Giacomo in Schinte viene menzionata ripetutamente nei documenti del 13' e 14° secolo, riguardanti brevi di indulgenze e legati pii. (In un testamento del 2 marzo 1275, un certo Eberhart di Bolzano lega alla chiesa di San Giacomo in Schinte il censo annuo di una galeda di olio. Nel 1364 vengono lasciate in eredità alla suddetta chiesa 15 pazede di vino.)
La chiesa è dedicata all'apostolo san Giacomo maggiore, patrono dei pellegrini e dei viandanti, detto anche san Giacomo di Compostela, la città della Spagna dove fin dall'inizio del 7.mo secolo si trovano le spoglie e dove nel medioevo accorrevano più folle di pellegrini che non a Roma. La sua dedicazione all'apostolo san Giacomo attesta non solo l'antichità della chiesa, ma è anche l'implicita conferma che si tratta di un luogo di culto sorto su una frequentatissima via romea, e infatti una delle principali strade battute dai pellegrini di Compostela, era quella che dal Brennero, per la Val d'Adige, portava verso l'Italia.
Oltre che a san Giacomo la chiesa era dedicata anche a santa Barbara e a san Cristoforo. La prima viene annoverata fra i 14 santi ausiliatori ed è patrona degli edili e dei minatori ed è invocato al letto dei moribondi.
Nel 1339 il vescovo di Trento Nicolò di Bruna confermò alla cappella dei santi Giacomo, Barbara e Cristoforo l'indulgenza conferitale il 5 luglio 1335 da sei vescovi nella Curia di Avignone.
Originariamente la chiesa si presentava come un'aula in stile romanico, dotata di abside semicircolare, soffitto piatto in legno e piccole finestre con arco a tutto sesto; il campanile culminava con una bassa cuspide piramidale in muratura.
Il tetto a due spioventi era inizialmente meno inclinato. Infatti al di sopra dell'attuale volta è possibile vedere che i frontoni erano stati intonacati di bianco, mentre le loro sopraelevazioni restarono allo stato grezzo.
Verso la fine del 14° secolo le pareti dell'aula e quella corrispondente all'arco trionfale vennero coperte di affreschi, in gran parte distrutti poi durante le successive opere di ristrutturazione.
Intorno al 1480 venne per prima modificata la parte attorno all'altare per adattarla - come avvenne in molte altre chiese - alle nuove forme architettoniche dello stile gotico allora imperante. Al suo posto si eresse un presbiterio concluso da un'abside poligonale, con due finestre contrapposte ad arco acuto. Il vano risultò ampliato rispetto il precedente; infatti le sue pareti sono la prosecuzione dei muri stessi della navata, mentre l'antica abside semicircolare non abbracciava interamente la larghezza dell'aula.E' da presumere che in quell'occasione si aggiungesse il secondo altare menzionato nel documento di consacrazione dell'anno 1483, in cui si legge:
Il 20 aprile 1483 Giorgio, vicario generale del vescovo Giovanni di Trento, consacra la cappella dei santi Giacomo, Filippo, Giacomo maggiore e Barbara, con i due altari, dotandola di indulgenza.
Di quest'epoca si conserva un altare a portelle e stando a quanto afferma il Weingartner anche i tre dipinti, ora restaurati, sulla parete del coro (data sull'arco trionfale: 1484).
Nell'anno 1495 il detentore di maso Temperer in der Au (oggi Mondscheinhof presso l'Adige), Sigmund Temperer, fece dipingere sulla facciata principale della chiesa una grande figura di san Cristoforo.
Il dipinto fu staccato intorno al 1905, allorché si prolungò la navata, tuttavia se ne può fare una descrizione sulla base di una vecchia fotografia: il gigante barbuto, dai morbidi tratti del volto, porta in spalla un Bambin Gesù dall'aspetto di adulto; egli sta guadando un fiume nelle cui acque si scorge un animale rossiccio e villoso assieme ad una sirena. Sotto la figura, una scritta in tedesco informa: Questo san Cristoforo lo fece dipingere a proprie spese Sigmund Temperer nell'anno in cui si conta mille quattrocento e LXXXXV dalla nascita di Cristo.
San Cristoforo è un altro dei 14 santi ausiliatori, invocato per essere preservati da morte repentina senza contrizione, ma era anche patrono dei pellegrini e dei viandanti, dei carrettieri e degli zatterieri. Le gigantesche raffigurazioni sulle facciate delle chiese si riferivano alla presumibile statura del santo, ma ne permettaevano la visione da lontano, essendoci a quel tempo la convinzione che la vista di un san Cristoforo avesse la virtù di preservare dalle disgrazie fino alla sera.
La navata della chiesa non subì dapprima alcuna modifica. Solo nel 1542 si eresse la volta a costoloni si aprirono due finestre contrapposte a senso acuto nelle pareti laterali. In seguito a ciò vennero in parte distrutti e in parte nascosti gli affreschi di tali pareti assieme a quelli dell'arco trionfale. Il muro verso sud venne rinforzato mediante tre possenti contrafforti atti a sostenere la spinta della volta. Alla sommità dell'arco trionfale è visibile la data della ristrutturazione: 1542.

Secondo il tenore di un contratto risalente all'anno 1537, l'opera era stata commissionata al capomastro appianese Sigmund Schweizer dietro compenso di 140 fiorini. Egli tuttavia non riuscì a portare a termine il lavoro essendo deceduto nel 153. A1 posto suo la volta fu innalzata dal lapicida Jörg Kofler di Völs/Fié. Il contratto prevedeva che le spese di trasporto dei blocchi dalla cava fino all'officina fossero a carico del capomastro, mentre quelle dall'officina alla chiesa andassero addebitate alla chiesa (Vtb B -Libri Archiviali Bolzano 1539, fol. 437). A Fié dello Sciliar c'erano allora diversi capomastri e lapicidi. Jörg Kofler era nativo di maso Reimprecht nella frazione di San Nicolò di Fié. Per l'erezione della volta lo scalpellino ottenne il compenso di 146 fiorini (Vtb B Libri C. Bolzano 1542, fol. 245).
Fin da tempo antico la chiesa di San Giacomo in der Au appartenne sempre alla parrocchia di S.Maria Assunta di Bolzano, che aveva il compito di provvedere ai servizi divini. Il parroco di Bolzano riceveva per l'incombenza 15 marche veronesi all'anno. I servizi liturgici un tempo si celebravano solo in occasione delle principali solennità oltre che nelle ricorrenze dei santi apostoli Giacomo e Filippo il primo di maggio, del patrono principale san Giacomo maggiore il 25 luglio, di santa Barbara il 4 dicembre.
La chiesa disponeva anche di redditi propri: era di sua pertinenza infatti l'adiacente proprietà con le sue 10 opere e mezzo di suolo. Richard Staffler la identifica con la curia menzionata già nel 1237, di cui si è detto più sopra. L'edificio del maso - oggi casa d'abitazione e falegnameria (p. e. 32) - era contiguo alla chiesa e, oltre il sagrestano, fin dai tempi dell'istruzione obbligatoria, ospitava anche un'aula scolastica, mentre dal 1882 fungeva pure da canonica per il sacerdote esposito.
Oltre alle rendite del proprio maso la chiesa riscuoteva censi da una schiera di altri masi; vantava la signoria fondiaria su Lewald, Mané, Putz, e Hilber in der Au. Di altri censi fondiari inoltre essa venne in possesso per acquisto. A tutto questo si aggiungeva una serie di legati perpetui che tributavano annualmente vino, olio o denaro. Economicamente insomma essa si trovava in condizioni di gran lunga migliori di quanto non versasse la chiesa di Laives.
Tale patrimonio veniva amministrato a turno da un «Kirchpropst»» (prevosto laico, amministratore) messo a disposizione, secondo un ordine di successione prestabilito, dai 14 masi più considerevoli di San Giacomo; di tale incombenza erano gravati: Schaller, Kilian, Simerle, Wiser, Dürnhof, Rodler, Wenimayr, Hörtmayr, Seitz, Lewald, Hilber, Hitthof, Mané e Temperer.
Nel 1601 la chiesa venne sottoposta ad opere di risanamento da parte del capomastro Santino Delai (Sändin del Ayo nei resoconti della chiesa). Furono rimesse a nuovo le coperture, tinteggiati gli interni, rifatte le finestre. Sul lato nord, accanto al campanile, venne aggiunta l'ala di tetto che ricopre la porta laterale, l'accesso al campanile e il piccolo vestibolo. Ma già prima di allora, davanti alla porta divenuta poi l'accesso alla sagrestia, doveva esserci stato un avancorpo coperto; forse un tempo vi esisteva un portale della chiesa. Oltre a. questi lavori di rifacimento vennero eseguiti all'interno due nuovi dipinti murali sulla parete settentrionale. Il pittore Andre Solpach - si annotò - aveva rinnovato i quadri nella cbiesa che erano tutti anneriti e aveva migliorato 1'altar maggiore. Andre Solpach, a quel tempo attivo a Bolzano, era figlio del bressanonese David Solpach, pittore di stemmi.
Nel 1638 si costruì un fienile per il maso; dal relativo documento si ricava che sul lato sud la chiesa aveva un camposanto. Probabilmente essa vantava un antico diritto di sepoltura, essendo la strada fra i discosti masi di San Giacomo e il cimitero di Bolzano, molto disagevole a causa dei continui straripamenti dell'Isarco.
Nel 1662 il capomastro Jakob Delai rifece il tetto della chiesa. Costui apparteneva ad una (famiglia di costruttori che per oltre un secolo e mezzo fu attiva nel Suedtirolo e particolarmente
nella zona di Bolzano. La pietra tombale di Jakob Delai si trova nell'ex cimitero della chiesa dei Francescani a Bolzano.
Nel 1670 si fece erigere l'odierno altare maggiore, mentre quello vecchio, in stile gotico, nel 1687 fu collocato sulla mensa in muratura dell'altare in cornu epistole (lato sud), dopo il restauro eseguito dal mastro falegname Martin Kirscher e dal pittore Johann Starkl.
Nel 1687 il capomastro Peter Delai praticò nella facciata due aperture quadrate ai lati del portale e una rotonda in alto, per meglio illuminarenare l'interno. Gli stipiti di pietra vennero eseguiti da Jakob Grap, scalpellino di Tisens/Tesimo.
L'altare subì qualche modifica nel 1763. Lo scultore Christoph Rüeff vi sovrappose un baldacchino con Dio-Padre e Bambin Gesù. Egli inoltre scolpì un'Annunciazione per i battenti del portale eseguiti dal falegname Anton Mayr, e qualche statua ancora di formato ridotto.
L'anno successivo il pittore bolzanino Anton Kuseth dipinse, su tavolette di legno, le 14 stazioni della Via crucis.
Da vecchie carte di spesa, si ricava che il campanile era dotato di una campana grande e di una piccola. Nel 1538 una campana venne fornita da Alex Loeffler, fonditore e armaiolo di Innsbruck. Nel 1866 Bartolomeo Chiappani di Trento fuse una campana nuova. Durante la prima guerra mondiale le campane vennero requisite; nel 1931 Giovanni Colbacchini di Trento ne eseguì una nuova. Questa venne benedetta il 20 aprile 1931.
Nel 1968, trovandosi una delle campane esistenti danneggiata da una crepa, Paolo Capanni le rifuse tutte e tre onde evitare dissonanza tra vecchie e nuova. E così le campane di San Giacomo continuano ancor oggi a spandere i loro squilli dall'alto dell'antico campanile.
Se fino allora si celebravano nella chiesa di San Giacomo 25 messe domenicali e festive oltre ai servizi divini del primo maggio, 25 luglio e 4 dicembre, nel 1780 l'allora prevosto del duomo di Bolzano, Josef David conte di Sarentino, dispose che un sacerdote vi si recasse ogni domenica per dirvi la messa e tenervi la dottrina cristiana. In compenso la chiesa doveva versare 50 fiorini annuali. Sennonché sotto Giuseppe II, nel 1786, anche San Giacomo venne chiusa al culto e i fedeli dovevano recarsi a Laives o a Bolzano. Venne però ben presto riaperta dopo le vigorose proteste della popolazione. Alcuni anni più tardi la chiesa venne aggregata, come filiale esposita, alla curaziale di Laives; quest'ultima tuttavia si oppose con fermezza adducendo il considerevole aggravio che comportava la cura di San Giacomo per una chiesa piuttosto povera di entrate come quella di Laives. Alla richiesta avanzata da quest'ultima di avere in cessione almeno il patrimonio di San Giacomo per poter mantenere quivi un sacerdote, il prevosto di Bolzano, nel 1793, oppose un netto rifiuto.
E solo 1'11 novembre 1882, all'indomani della disastrosa inondazione, la chiesa di San Giacomo fu eretta ad espositura; essa cioè ottenne un sacerdote stabile, sottoposto alla parrocchia del duomo.
Ciò che contribuì all'erezione dell'espositura fu il cospicuo legato di 10.000 fiorini, lasciato da una pia dama bolzanina; il comune provvide all'allestimento di una canonica idonea nella casa del sagrestano.
Dall'11 novembre 1882 funse da primo prete esposito il reverendo Daniel Ludwig di Altrei/Anterivo; a lui seguirono il 29 agosto 1889 Peter Senoner di Ortisei e, il primo dicembre 1900, Anton Rinner di Latsch/Laces. Dal 1910 al 1935 fu in cura d'anime Anton Thaler. La sua lunga e benemerita attività pastorale si concluse il 29 gennaio 1936; nel nuovo cimitero di San Giacomo lo ricorda una bella lapide ed a lui è stata intitolata la strada che porta alla vecchia chiesa.
Il corteo funebre scende dalla chiesa di San Giacomo sulla strada veccbia, per accompagnare alla sepoltura Anton Thaler, curato della frazione dal 1910.fino alla morte nel 1936. In primo piano i canonici della prepositura di Bolzano; sulla sinistra il canonico Michael Gamper. Il curato Thaler era molto benvoluto dalla popolazione la via fotografata ha preso il suo nome e nel cimitero è ricordato da una bella tomba.

Gli succedette per breve tempo Franz Rizzoli in qualità di cooperatore delegato; dal 1936 ad 1957 vi fu prima curato e, dal primo gennaio 1954, parroco, don Alexander Gius. Suo successore è l'attuale parroco Josef Quinz.
Le ultime rilevanti modifiche strutturali, la chiesa le subì dal 1904 al 1912 nelle forme storicizzanti progettate dal Munggenast e dal capomastro Hans Treffer. Si prolungò la navata verso ovest con un'aggiunta piuttosto considerevole. Ai lati della nuova facciata furono erette due torricelle rotonde con scala a chiocciola; gli stipiti lapidei del vecchio portale gotico furono reinseriti nella nuova facciata, mentre la figura di san Cristoforo venne staccata e fissata sull'edificio che ospita il museo bolzanino.
Nel 1911, su progetto di J. Senoner, si costruì una cantoria neogotica con bassorilievi lignei.
L'anno successivo fu la volta del pulpito neogotico con i rilievi degli evangelisti, e della balaustra.
Nel 1954 l'espositura soggetta alla parrocchia di S. Maria Assunta di Bolzano, fu elevata a parrocchia, essendo nel frattempo registrato un forte aumento di popolazione. Già l'anno precedente era stata costruita sul fondovalle, vicino ai nuovi insediamenti, la nuova parrocchiale; e così l'antica chiesa cadde presto in disuso.
Purtroppo negli anni successivi essa non solo venne completamente trascurata, ma se ne asportarono anche diversi oggetti di arredo; vennero così a mancare l'acquasantiera ottagonale di marmo bianco del 16° secolo, il lavabo della sacristia risalente all'anno 1698, i quadri della Via crucis eseguiti dal pittore Anton Kuseth nel 1765, i1 grande crocifisso appeso alla parete destra della navata, il lampadario a sei bracci acquistato nel 1686, ed altre cose ancora.
Nel 1970/71 la Sovrintendenza alle Belle Arti dispose la rimozione delle aggiunte recenti e il ripristino della facciata originale: solo l'affresco del san Cristoforo rimane a tutt'oggi sulla facciata occidentale del museo civico di Bolzano, mostrando ormai tinte fortemente sbiadite.
Dopo tante e tali ristrutturazione, si resero indispensabili ultimamente altri interventi di manutenzione. Rifatto a nuovo il tetto del campanile in scandole, installato il parafulmine, restaurato il quadrante dell'orologio, finalmente, nel 1984-1985, su istanza del circolo amici della chiesetta, si pose mano ad ampie opere di risanamento. Tra i lavori di maggior rilievo si ricorda la riparazione delle coperture e dei finestroni della chiesa, il risanamento del muro di cinta e del sagrato, il rinnovo dell'impianto di illuminazione e la tinteggiatura delle pareti interne. Lungo i muri perimetrali poi furono eseguiti lavori di drenaggio.
La Sovrintendenza ai monumenti curò i restauri dell'altare, degli affreschi, dei costoloni lapidei della volta.

Il campanile
Il campanile risale al periodo romanico ed è dotato di un concerto di tre campane; sotto la cella campanaria vi è custodito il grande congegno di un antico orologio sulla cui cassa è segnato l'anno 1555; una scrittura informa che esso venne commissionato da Lucri Lebald dell'omonimo maso in qualità di capomastro della chiesa di San Giacomo e delegato dell'intera vicìnia, a mastro Benedict Laner di Stubach (Stubai) per l'importo di 58 fiorini. L'ora veniva battuta sulla campana grande. L'orologio fu fonte continua di problemi per la comunità poiché quasi ad ogni resa dei conti degli amministratori comparivano spese contratte per la sua riparazione. Per tale ragione già nel 1580 si pensò bene di far dipingere una meridiana sulla facciata verso sud.
Sul lato est una porticina sopraelevata e raggiungibile con una scala, permette l'accesso al campanile. Sotto la porticina sono conservati frammenti di una raffigurazione di santa Barbara con corona e palma del martirio (principio del secolo 16°, riportata alla luce nel 1971).

Pareti esterne della chiesa
L'elemento più pregevole della facciata principale è rappresentato dal portale in arenaria a sesto acuto, risalente probabilmente all'epoca della seconda ristrutturazione avvenuta nel 1542. La cornice è percorsa da tre cordoni che a metà degli stipiti laterali attorniano foglie di quercia e, al vertice dell'ogiva, foglie di vigna.
Nel 1971, sopra il portale nord fu portata alla luce un'Annunciazione di cui però si è salvato soltanto il dipinto di fondo. Si tratta, secondo Rasmo, dell'opera di un maestro tedesco collocabile intorno al 1300.

L'interno della chiesa
A causa della volta gotica a costoloni l'interno risulta alquanto appesantito. Sul lato nord una porta rettangolare con intelaiature di pietra a smussatura pronunciata, introduce nel campanile. Qui venne ricavato, al piano terra, un vano con soffitto a volta botte. Sopra il portale sinistro vi fu dipinto, all'epoca dei risanamenti del 1601, un crocifisso tra due stemmi: a sinistra quello dei Rottenpuecher (Christoph Rottenpuecher, detentore di maso Hilber, era a quell'epoca prevosto amministratore della chiesa), a destra quello della famiglia Huter-Wangen (Hans Ulrich HuterWangen rivestiva la carica di giudice nella giurisdizione di Bolzano-Gries; lo stemma gli era stato concesso nel 1515 dall'imperatore Massimiliano in riconoscimento dei suoi meriti nella guerra contro Venezia).
Al di sopra del pulpito hanno fatto dipingere la loro arma anche i patroni della chiesa in quel tempo: incorniciato da una ghirlanda di foglie appare lo stemma dei Khuen-Belasi/Niederthor (1601).

Sinistra: Dettaglio dal ciclo di affreschi, risalenti al 1400 circa, sulla vita di san Giacomo maggiore nella vecchia chiesa di San Giacomo: Fileto fra Giacomo a destra ed il suo discepolo a sinistra.
Destra: altro parlicolare: il servo di san Giacomo libera Fileto dal malficio.
Il pulpito neogotico con i rilievi degli evangelisti, e la balaustra furono eseguiti nel 1912 da J.Senoner.
Sul frontone dell'arco trionfale sono conservati frammenti di affreschi appartenenti a un ciclo di pitture del 1390 circa, e ora nascoste dalla volta.
Sulla parete del coro, dietro l'altare, ai lati della finestra sono raffigurati due apostoli: a sinistra, san Giacomo maggiore con cappa da pellegrino, bordone e conchiglia; a destra, san Giacomo minore con arco da gualchieraio e libro. Quest'ultimo pare subisse il martirio a causa della sua fede, venendo ucciso a colpi di sbarra da gualchieraio.
Dall'imbotte destro dell'arco trionfale guarda verso il basso un sant'Antonio abate con libro e campanello da mendico. Ai suoi piedi una scritta recita: Kuenz dieszeit Mesner 1484 (Kuenz attuale sacrestano 1484). È possibile che i modesti dipinti siano stati eseguiti in quella data, ma vennero certamente rimaneggiati in epoca successiva.

L'altare barocco
Questo altare è considerato un capolavoro dello scultore Oswald Krad (1670). 1 due grandi angeli che il Krad vi collocò ai lati sono andati perduti. L'icona mostra un san Sebastiano nelle sembianze di un giovanotto trafitto di frecce, un san Giacomo maggiore in veste da pellegrino e libro in mano, una santa Barbara - la seconda patrona della chiesa - con calice e palma del martirio, e, più defilato sullo sfondo, un san Cristoforo che si regge ad un robusto bastone portando in spalla il Bambino con uno sventolante mantello rosso. Il dipinto ad olio è opera del pittore barocco Johann Franz von Teutenhofen.

L'altare a portelle
L'altare a portelle risale al 1500 circa; attorno al 1670 venne rimosso dalla sua originaria collocazione, ossia dall'abside, e sistemato sul lato destro della chiesa sopra uno zoccolo in muratura. In quell'occasione fu evidentemente privato della sua predella e della cimasa gotica.
Descrizione: nello scrigno, una Madonna affiancata da un san Giacomo e da una santa Barbara. La portella sinistra presenta il rilievo di un santo Stefano. Quella destra mostra un sant'Acacio nelle vesti di un cavaliere dell'epoca, con elmo tardogotico e armatura artisticamente elaborata. I pannelli esterni delle portelle propongono il tema della passione di Cristo: a sinistra, il Getsèmani e l'incoronazione di spine; a destra, la flagellazione e il viaggio al Calvario.

L'altare gotico a trittico di San Giacomo, del 1500 circa.
Nello scrigno vediamo Maria affiancata da san Giacomo maggiore e santa Barbara; sulle ante san Sebastiano a siinistra e sant'Acazio a destra

Gli affreschi soprastanti la volta


Come già si è detto nella parte relativa alla storia dell'edificio, la costruzione della volta tardogotica danneggiò gravemente gli affreschi. Soltanto le porzioni soprastanti la volta stessa si salvarono, serbando intatta la luminosità delle tinte originali.
Parete nord: partendo dall'arco trionfale, sono distribuite in sei quadri (larghezza 1,25 m x 1,40 di altezza) scene della leggenda di san Giacomo. Il racconto iniziava dall'arco trionfale (analogamente a quanto si può osservare sia a San Vigilio sul Virgolo che a San Martino a Campill).
Parete sud: anche qui, cominciando dall'arco trionfale, sono conservati frammenti di sei quadri. Questi sono più larghi dei precedenti misurando circa 1,80 x 1,40. Raffigurano scene della vita di santa Barbara. I due studiosi di storia dell'arte, Weingartner e Rasmo, sono concordi nell'affermare che si tratta di dipinti attribuibili alla cosiddetta Scuola di Bolzano, e li collocano negli ultimi decenni del secolo 14°.

Fonti
1 Fonti: Archivio parrocchiale S. Maria Assunta di Bolzano: Archivio della città di Bolzano presso Museo Civico: Rendiconti di spesa della chiesa di San Giacomo <Kirchenrechnungen
der Filialkirche St. Jakob in der Au der Pfarre Maria Himmelfahrt in Bozen, n. 858-939).
Un elenco esauriente di fonti è contenuto nell'opuscolo suddetto, edito nel 1986. A questo si aggiunga: Bibl. Tir. Ferdinandei vol. 295 Erste Vereinsgabe den Mitgliedern des christlichen Kunstvereins zu Bozen, gewidmet von der Vorstehung, Innsbruck 1862, pagina 28.


Chiesa di San Giacomo
da I LUOGHI DELL'ARTE
Gioia Conta
Volume Terzo
Oltradige Bassa Atesina
clab editrice
Provincia Autonoma di Bolzano – Alto Adige

Dell'originaria chiesa romanica, (antica parrocchiale, attestata per la prima volta nel 1237, si conservano i muri perimetrali della navata e il campanile, con le finestre trifore a tutto sesto e la cuspide piramidale (la guglia in legno è del 1803). Numerosi sono stati gli interventi, strutturali e decorativi, che si sono succeduti nel corso del tempo. Dell'affrescatura degli ultimi anni del XIV secolo si conservano le scene della Storia di S. Giacomo e di S. Barbara. In esse si riconosce la mano di un pittore di scuola bolzanina assai vicino al maestro di origine tedesca delle Storie di S. Vigilio nella chiesa di S. Vigilio al Virgolo (Bolzano) (vedi vol. I, pp. 116-117), che seppe coniugare la lezione padovana allo stile gotico, affiancando la composizione di tradizione italiana al disegno e ad un'espressività di carattere nordico, a cui, o al cui gruppo appartengono, fra gli altri, gli affreschi della chiesa di S. Giovanni in Villa a Bolzano, quelli della parrocchiale e della chiesa di S. Valentino a Termeno (vedi p.354;364). A1 1480 circa risale la costruzione dell'abside poligonale, con volta a nido d'ape e costoloni su mensole, mentre nel 1542 una volta sempre a nido d'ape venne a coprire la navata, sorretta da pilastri poligonali. Due bei portali gotici furono aperti sui lati ovest e sud. La chiesa fu quindi ampliata da Santino Delai nel 1600, fu aggiunta la sagrestia ed infine tra il 1904 e il 1909 la navata fu allungata sul lato ovest. Nello stile storicistico proprio dell'epoca. su progetto di Ferdinand Mungenast, fu costruita anche una nuova facciata con due torrette ai lati, che è stata rimossa negli anni 1970-71. A quegli anni risale anche la scoperta degli affreschi di S. Nicolò sulla parete est del campanile, degli inizi del XVI secolo, e il disegno preparatorio di un'Annunciazione sopra il portale laterale nord, attribuito ad un pittore tedesco del 1300 circa.
La chiesa è stata restaurata negli anni 1984-85.
L'altare barocco a colonne e frontone triangolare del 1670 contiene la pala con la Madonna e i SS. Sebastiano, Giacomo, Barbara e Cristoforo, di Johann Franz von Teutenhofen.
L'altare tardogotico a portene del maestro Narciso da Bolzano della fine del XV secolo, autore anche dell'altare della vicina chiesa di S. Pietro (vedi v.p.194), situato nel coro sino al 1687, quando fu rimaneggiato e parzialmente ridipinto, fungeva da altare laterale sino a quando è stato trasportato nella nuova parrocchiale. Esso ha nello scrigno decorato riccamente a traforo le sculture di Maria con il Bambino, del XVII secolo, dei SS. Giacomo e Barbara, i rilievi dei SS. Sebastiano e Acacio nelle portelle interne, scene della Passione dipinte sui lati esterni.
Correva nei pressi della chiesa l'antica strada percorsa fin a tutto il Medioevo, che evitava il percorso paludoso in valle, e che provenendo dalla conca di Bolzano si dirigeva verso Laives.

CHIESA PARROCCHIALE

La nuova parrocchiale è stata costruita nel 1953 su progetto degli architetti Pelizzari e Rovighi. Assai semplice, ha l'abside semicircolare e la navata coperta da un soffitto a travi, le quali sono state divise da una parete nel corso dei lavori del 1970. Dell'altare del maestro Narciso da Bolzano, qui trasportato dalla vecchia parrocchiale di S. Giacomo, si è trattato in quest'ultima.

La chiesetta di San Giacomo di Laives



La Chiesetta di San Giacomo di Laives
Georg Tengler - Josef Unterer
Opuscolo edito dal Comitato per la ristrutturazione della chiesetta di San Giacomo.
Titolo (originale): St. Jakob in der Au bei Leifers
Traduzione: Giorgio De Felip
Elisabeth Eisendle-De Felip
Stampato da: Athesiadruck S.p.a. - Bolzano

 Navata e coro

La chiesa di San Giacomo di Laives
Cronistoria
Chi, attraversando il ponte Loreto sul fiume Isarco, lascia Bolzano in direzione sud, raggiunge dapprima Oltrisarco («Oberau»*) e poi, oltrepassato il nuovo cimitero cittadino, arriva a San Giacomo. Subito dopo il camposanto di questa località, nei pressi dell'albergo Putz, ha inizio il territorio del Comune di Laives, al quale appartiene la suddetta frazione. Qui la strada statale si snoda ai piedi di imponenti pareti porfiriche, che fra il rione bolzanino di Aslago e San Giacomo vanno a cadere su una prominenza a forma di terrazzo. All'estremo sud di detto rialzo si erge la chiesa di San Giacomo. In passato tale località era chiamata «Unterau»*, col quale termine si alludeva chiaramente alla sua primitiva condizione di terreno palustre.

* Il termine Au (e), intraducibile letteralmente in italiano, designa in lingua tedesca, di norma, una vasta distesa di terreno per lo più acquitrinoso in prossimità di fiumi, laghi ecc. (cfr ad esempio: Schórgau, Kaiserau, Lindau, Mainau, Reichenau...) (n. d. tr.)
L'abitato di San Giacomo, sviluppatosi fortemente nel corso degli ultimi decenni, era formato all'inizio di questo secolo da sole 19 case e tale consistenza si era mantenuta pressoché invariata per ben 400 anni. Il numero dei suoi abitanti, 135 in base ad un censimento del 1824, rimase, fino alla fine del secolo scorso, inferiore a quello costituente la sovrastante frazione montana di Scit (La Costa). Le case erano situate quasi esclusivamente sul fondovalle e non formavano un agglomerato compatto. Come si può perciò spiegare il sorgere, in tempi così remoti, di una chiesa relativamente tanto grande in un simile posto? La posizione del gradone sul quale si trova la chiesa, in virtù della sua natura di sporgenza della falda sinistra del monte sulla allora paludosa estensione prativa, ha di sicuro favorito il formarsi di un insediamento umano già in tempi molto lontani. Aggiungasi che uno dei percorsi delle antiche vie di comunicazione provenendo da Ora attraverso Bronzolo, Laives e Pineta, costeggiava il fianco del monte all'altezza del nostro dosso, per proseguire poi in direzione di Aslago e del fiume Isarco. Un po' più a sud di esso, appena al di sopra della vecchia sede stradale ancor oggi distinguibile, si eleva una vetusta torre, detta torre sulla Tinzlleiten, che fungeva da fortificazione e da posto di vedetta.

Solo durante il tardo medioevo la summenzionata strada ha assunto l'attuale tracciato lungo il medio fondovalle, dopo essersi discostata dalla base del monte in località Pineta.

Non lontano dal dosso in parola, nelle vicinanze del maso Staller, furono rinvenute tracce e prove di un castelliere risalente all'età del bronzo recente (1200 a. C. circa). Anche sul colle di San Giacomo lo studioso Georg Innerebner vi ravvisa indizi di una stazione preistorica; mancano tuttavia, finora, reperti idonei a convalidare tale tesi.

All'epoca delle invasioni barbariche questo territorio era soggetto alla sovranità degli Ostrogoti; successivamente, dall'anno 568 in poi, a quella dei Longobardi ed in particolare del loro Ducato di Trento.

Questi ultimi costumavano assegnare ai loro soldati, detti Arimanni, delle terre da colonizzare nelle regioni da essi conquistate. Si ritiene che nel territorio che ci riguarda sia sorto così un tale insediamento, di cui facevano parte gli abitati di Seit (La Costa) e del Colle, le pendici nord-occidentali dell'altopiano di Nova Ponente e, per l'appunto, la frazione di San Giacomo.
Il maso «Mane in derAu», attualmente albergo Wùrstl, adagiato ai piedi del nostro dosso presso l'odierna carrozzabile, attesta ancor oggi l'appartenenza di San Giacomo al all'insediamento arimanno.
Poiché i coloni insediati dai Longobardi, fra gli altri compiti, avevano anche quello di sorvegliare le vie di transito e i confini, è facile dedurre che la zona in argomento aveva assunto col tempo una certa importanza, a motivo della sua posizione di frontiera fra il Ducato di Trento e i possedimenti dei Franchi rispettivamente dei Baiuvari nonché della sua rilevanza ai fini della sicurezza dei traffici, che qui dovevano passare per il dosso fra le alte pareti di roccia e la sottostante pianura paludosa.
Fra Laives e Pineta, dove ancor oggi accanto alla strada sgorga la sorgente «Nesselbrunn», ebbe luogo un combattimento fra Longobardi e Franchi, come sostengono alcuni vecchi autori.
Sul terreno su cui ora sorge la chiesa fu forse eretta una costruzione fortificata e molto probabilmente anche una modesta postazione di guardia sul tipo di quella ancor oggi esistente più a sud.
In occasione dei lavori di restauro effettuati nel 1984, venne eseguito un drenaggio dei muri periferici della chiesa. Mentre in corrispondenza della parete sud e del coro i muri s'interrano in linea retta direttamente nelle fondamenta, la facciata principale poggia su una poderosa e regolare opera muraria, che sporge per circa 20 cm ed è visibile alla base dello zoccolo del campanile.
In tal modo veniamo a sapere che le prime tracce di insediamenti umani in questa regione risalgono indubbiamente a tempi di molto anteriori alla costruzione dell'odierna chiesa. Al riguardo però non esistono notizie scritte relative ai primi secoli del medioevo.
Quale prima e sicura citazione scritta si può considerare quella risalente al 1237. (Il riferimento a 2 vigne ad sanctum Jacobum, contenuto nell'elenco del 1218 dei vigneti e dei masi del convento premonstratense di Novacella presso Freising in Gries, riguarda invece certamente San Giacomo in Sand sopra Gries.) Il 20 ottobre 1237 fu redatto dal notaio bolzanino Jakob Haas un contratto, concernente un maso « que jacet in Campoledro iuxta ecclesiam sancti Jacobi de Cinte», cioè il maso in località Campoledro situato presso la chiesa di San Giacomo in Cinte. (In un atto di vendita del 1223 troviamo la denominazione di Campo Poledro, con la quale è possibile identificare un prato presso San Giacomo sul quale fin dai tempi antichi pascolavano i cavalli.)
A quel tempo, e fin verso il XVII° secolo, quella zona veniva pertanto chiamata Cinte o Schinte, il che, tradotto dal latino cinctum, sta a significare che quivi esisteva una chiesa o, ancor prima, una fortificazione circondata da un muro.
La chiesa doveva peraltro risalire al secolo precedente, dal momento che in base ad un documento del 1242 i signori von Firmian, residenti nel castello che porta il loro nome, esercitavano su di essa il diritto di patronato, che verosimilmente avevano ricevuto dai signori von Weineck.
La chiesa di San Giacomo in Schinte viene ripetutamente menzionata in vari documenti, in brevi d'indulto e in lettere di fondazione dei secoli XIII e XIV. (Con testamento del 2 marzo 1275 certo Eberhart di Bolzano dispone a suo favore un lascito corrispondente ad un barile di olio all'anno. Nel 1364 le viene assegnato un legato annuo di 15 tinozze di vino.)
La chiesa è dedicata all'apostolo Giacomo maggiore patrono dei pellegrini e dei viandanti, detto anche San Giacomo in Compostela, dalla omonima località spagnola, presso la quale dal secolo VII sono conservate le sue spoglie mortali e dove, durante il medioevo, vi si recava periodicamente un numero di pellegrini maggiore di quello degli stessi romei.
La consacrazione del tempio al nome dell'apostolo San Giacomo testimonia la vetustà della costruzione e al tempo stesso ci dice che trattasi di un luogo di culto situato lungo una frequentatissima via di transito, dal momento che uno dei principali itinerari seguiti dai pellegrini provenienti da Oltralpe e diretti a Compostela scavalcava il Brennero e attraverso la val d'Adige raggiungeva l'Italia.
Oltre che a San Giacomo era dedicato anche a Santa Barbara e a San Cristoforo. Santa Barbara appartiene al novero dei 14 santi protettori, essendo la patrona dei minatori, dei costruttori e viene invocata per impetrare un sereno trapasso ai moribondi.

(Lettera d'indulto del 1337)

Nell'anno 1339 il vescovo Nicola di Trento conferma l'indulgenza impartita alla chiesa dei santi Giacomo, Barbara e Cristoforo da 6 vescovi in Avignone il 5 maggio 1337.
Originariamente la chiesa consisteva in una costruzione allungata in stile romanico, con un'abside semicircolare, il soffitto piatto e piccole finestre ad arco tondo; il campanile presentava una bassa cuspide muraria di forma quadrata.
L'opinione sostenuta da Karl Atz, secondo la quale il tempio avrebbe avuto in origine le dimensioni di metri 7 x 7 e che intorno all'anno 1450 la navata sia stata allungata della larghezza del campanile, non è suffragata da alcun elemento della struttura muraria; al contrario, possiamo osservare che i sostegni del primitivo soffitto romanico a travi si estendono per tutta l'attuale lunghezza delle pareti laterali e che gli affreschi al di sopra della volta coprono una traversa longitudinale corrente su tutto il fianco, il che porta ad escludere un possibile posteriore allungamento della navata. Molto più probabilmente la ragione del fatto chele pitture della parte terminale della navata in corrispondenza del campanile si interrompono improvvisamente è da ricercare in altre cause.
Il tetto a spioventi era in origine meno inclinato dell'attuale. Sopra la volta si può notare che le originarie pareti di testa erano intonacate di bianco, mentre la parte sopraelevata delle medesime è rimasta grezza.



Verso la fine del XIV" secolo le pareti laterali e quella sopra l'arco trionfale furono decorate con affreschi; essi però sono stati in gran parte rovinati nel corso dei lavori di ristrutturazione eseguiti più tardi. Intorno al 1480, analogamente a quanto accadde anche in altre chiese, il presbiterio fu adattato per primo ai canoni del nuovo e imperante stile gotico. Esso venne trasformato in un coro di forma semiesagonale e contemporaneamente ampliato; detto coro si protende ora leggermente oltre le pareti laterali, mentre l'abside a suo tempo non raggiungeva l'ampiezza totale della navata. Possiamo dedurne che a quel tempo è stato aggiunto anche un secondo altare, come del resto è documentato dall'atto di consacrazione del 1483.
Il 20 aprile 1483 Georgius ord. carmelitorum episcopus Esien(sis), vicario generale del vescovo Giovanni di Trento, consacra la cappella ad honorem ss. Jacobi et Philippi ac s. Jacobi majoris eciam apostoli et s. Barbare virginis et martyris constructa in loco ubi dicitur in Schint... cum duobus altaribus, e le conferisce l'indulgenza; qui appaiono in qualità di patroni della chiesa anche gli apostoli Giacomo minore e Filippo. Di quel tempo si conserva ancora un altare a pale in stile gotico. A quel periodo, secondo Josef Weingartner, risalgono pure i tre dipinti murali conservati nel coro. (Sull'arco trionfale è riportato l'anno 1484.) Nel 1495 Sigmund Temperer, proprietario del maso omonimo (oggi maso Mondschein all'Adige) fece dipingere un grande ritratto di San Cristoforo sulla facciata principale. Tale dipinto fu tolto durante i lavori di allungamento della chiesa intrapresi nel 1905; ciononostante possiamo descriverlo sulla scorta di una vecchia fotografia: un barbuto colosso dai lineamenti gentili sorregge un Gesù bambino dall'espressione adulta; egli guazza nell'acqua in cui si scorgono anche un rosso animale tutto arruffato e una sirena. Sotto il ritratto compare la seguente scritta: «Den Christoffel hat lassen mallen und bezalt Sigmund Temperer um das iar Als man zalt nach christi gepurt tausend vierhundert und LXXXXV.»" * San Cristoforo è uno dei 14 santi protettori e patrono delle morti improvvise- che non danno cioè il tempo di pentirsi -, dei pellegrini e dei viandanti, dei carrai e dei traghettatori.
Secondo Otto Wimmer la grandezza insolita della raffigurazione di San Cristoforo non si spiega solo con la supposta imponente mole del santo, bensì soprattutto col proposito di renderlo visibile il più lontano possibile, perché si amava credere che la contemplazione mattutina della sua immagine avesse il potere miracoloso di far evitare le disgrazie per l'intera giornata. La navata della chiesa in un primo tempo non subì cambiamenti. Solo nel 1542 essa venne arricchita da una volta a costoloni in stile tardo-gotico; nel corso di tale ristrutturazione, come abbiamo già detto, gli affreschi delle pareti laterali e dell'arco trionfale andarono in parte distrutti e in parte furono ricoperti. La parete sud venne rafforzata da tre contrafforti per poter reggere la spinta della volta. Sul vertice dell'arco trionfale è evidenziata la data, 1542, di questa ristrutturazione.
Fin dai tempi antichi la chiesa di San Giacomo appartenne alla parrocchia di S. Maria Assunta di Bolzano, dalla quale era accudita. Il parroco di Bolzano riceveva per tale incombenza un compenso annuo di 15 marchi Perner (veronesi). In quell'epoca vi si celebrava messa solo nelle festività solenni e nella ricorrenza del giorno dei santi apostoli Giacomo e Filippo (1 maggio), del patrono principale San Giacomo maggiore (25 luglio) e, infine, di Santa Barbara (4 dicembre).
Nella vita religiosa di allora assunsero un ruolo importante i cortei propiziatori e le processioni. Nelle giornate del 1 maggio e di S. Barbara una processione partiva da Bolzano diretta a San Giacomo. Sempre in maggio e con la stessa meta da Bolzano muoveva inoltre un corteo recante con sè il pastorale di S. Magnus, per implorare la benedizione divina sui campi affinché prosperassero. Anche da Laives e dall'Oltradige venivano organizzati cortei con destinazione San Giacomo.
*Questa iscrizione in tedesco arcaico significa in altre parole: «Cristoforo commissionato e pagato da Sigmund Temperer nell'anno 1495 d. C.» (n. d. tr.)

Il venerdì di Pentecoste si formava un pellegrinaggio diretto a Civezzano presso Trento. Il 6 giugno ci si recava a San Paolo, il 26 giugno e il 25 luglio a S. Ottilia in Longostagno il 15 luglio a Fiè, e, inoltre, a S. Margherita in Lana, nella chiesa di S. Cosma sopra Settequerce, a Terlano, a S. Antonio di Caldaro, a Soprabolzano e a S. Martino di Campiglio. La nostra chiesa disponeva di rendite proprie; era proprietaria dell'annesso maso con 10 Tagmahd e mezzo- di terreno. Stando a quanto sostiene Richard Staffler si tratta dello stesso maso menzionato nella citazione scritta risalente al 1237. Esso era situato a fianco della chiesa (oggi casa d'abitazione e falegnameria) e ospitava oltre al sagrestano anche un'aula scolastica, a far tempo dall'introduzione dell'insegnamento obbligatorio, e dal 1882 la canonica.
Oltre a ciò le competevano i canoni d'affitto di tutta una serie di masi ed era poi anche titolare dei terreni facenti capo ai masi «Mane» e «Hilber».
Infine, poteva contare su diverse donazioni sotto forma di vino, olio e numerario. Tutto sommato, quindi, la nostra chiesa era meglio dotata della consorella cofinante di Laives.
Il patrimonio di sua pertinenza era gestito da un amministratore incaricato pro tempore, messo a disposizione di volta in volta secondo un preciso ordine di successione, da uno dei seguenti 14 masi: Schaller Kilian Simerle, Wiser Dùrnhof Rodler, Weinmayr, Hòrtmayr, Seitz Lewald, Hilber, Hitthof, Mane e Temperer, per i quali perciò tale compito veniva a gravare come una vera e propria servitù reale.
Gli ultimi decenni del secolo XVI non sembrano siano stati caratterizzati da un'amministrazione dei beni ecclesiali particolarmente felice. Nel 1599 il barone e Capitano regionale Hans Jacob Khuen von Belasi-Lichtenberg, in nome di sua moglie donna Margarethe von Niederthor **, «impartì l'ordine in forza del quale venne disposto: la resa dei conti delle annate mancanti, la convocazione dei precedenti amministratori responsabili, un sopralluogo alla chiesa, l'elencazione dei censi dovuti dai singoli masi e di tutte le altre entrate, il ripristino in buono stato dei paramenti, degli arredi e del tempio stesso, l'incarico al proprietario del maso Simerle di provvedere all'esazione dei balzelli e delle rendite non incassati. Nuovo amministratore venne nominato il nobile e tenace Cristoph Rottenpuecher, titolare del maso Hilber. »
I suddetti resoconti contabili, per la verità, non erano stati omessi non di meno i rispettivi tributi dovti alla chiesa non erano stati riscossi totalmente ne registrati, per cui ciascuno dei precedenti amministratori incaricati aveva lasciato in arretrato cospicui ratei da incassare.
* Antica misura di superficie agraria indicante quel tanto di terreno che si riesce a lavorare nell'arco di una giornata. (n. d. tr.)
** I von Niederthor erano a quell'epoca i curatori della chiesa di San Giacomo. Poiché con la baronessa Margarethe, andata sposa nel 1590 ad Hans Jacob Khuen von Belasi, si estinse la casata omonima, di conseguenza la curatela (patronato) sulla chiesa passò nelle mani dei Khuen von Belasi.

La nostra chiesa nel 1601 fu sottoposta a lavori di manutenzione da parte dell'architetto-costruttore Santino Delai (sui conti appare scritto: Sàndin del Ayo). Il tetto fu rifatto, l'interno imbiancato, le finestre restaurate. Nella parete a nord, accanto al campanile, fu eretta una struttura supplementare che venne a coprire il portale laterale, l'ingresso al campanile e un piccolo atrio. L'ingresso della futura sagrestia, dove una volta forse c'era un portale, presentava già un avancorpo coperto o protiro.
In occasione di questi lavori di rinnovo vennero eseguite due pitture murali sulla parete nord. Il pittore Andre Solpach rinfrescò anche i quadri nel frattempo diventati scuri e ridiede splendore all'altar maggiore. Andre Solpach, attivo a Bolzano, era figlio del pittore di stemmi bressanonese David Solpach.
Nell'anno 1638 fu costruito un nuovo fienile per l'annesso maso. Dal relativo documento dell'archivio parrocchiale apprendiamo che sul terreno adiacente alla parete sud della chiesa esisteva un cimitero. II tempio era perciò in possesso di un vecchio diritto di sepoltura la via che dai vari masi sparsi conduceva al camposanto di Bolzano, infatti, era assai disagevole a causa soprattutto delle ricorrenti innondazioni del fiume Isarco.
Il capomastro Jakob de Lay nel 1662 rinnovò la copertura del tetto. La famiglia dei costruttori Delai svolse la propria attività per oltre un secolo e mezzo in Alto Adige ed in particolare a Bolzano. La pietra tombale di Jakob Delai si trova nell'ex cimitero della chiesa dei padri francescani di Bolzano.
Nel 1670 fu commissionato l'attuale altare maggiore; il precedente vecchio altare gotico, dopo esser stato restaurato dal maestro-falegname Martin Kerscher e dal pittore Johann Starkl, fu collocato nel 1687, dalla parte dell'epistola, al di sopra di una mensa d'altare in muratura.
(Non è noto se in corrispondenza di detta mensa, già consacrata nel 1483, esistesse prima del 1687 una qualche struttura sovrastante.)
Sempre nel 1670 il tetto del maso attiguo, fino a quel momento coperto di canne, fu rivestito con tegole. Nell'anno 1687 Peter Delay aprì tre luci sulla facciata. Due finestre rettangolari ai lati del portale ed una tonda al di sopra del medesimo lasciavano in tal modo entrare più luce all'interno. 1 relativi telai in pietra furono eseguiti dallo scalpellino Jacob Grap di Tesimo.
Nel 1711/12 si provvide a chiudere la struttura addossata al fianco della parete nord; il capomastro Johann Gostner di Gries ristrutturò la sagrestia e ricavò un atrio davanti al portale laterale.
L'altare venne modificato nel 1763. Lo scultore Christoph Rùeff vi aggiunse un baldacchino e lo arricchì con le statue di Dio padre e di Gesù bambino. Contemporaneamente intagliò una «Annunciazione» nei nuovi battenti del portale, realizzati dal falegname Anton Mayr, e poi ancora altre piccole statue (putti). Christoph Rief, da Tannheim in Tirolo (1729-1775), è a noi noto come scultore del periodo rococò per aver scolpito le cornici dei ritratti degli Asburgo che si trovano nel palazzo Mercantile di Bolzano. L'anno successivo il pittore bolzanino Anton Kuseth dipinse le 14 tavolette lignee costituenti le altrettante stazioni di una Via Crucis. Conosciamo Anton Kuseth (1756-1789) come pittore dell'altare nella cappella del palazzo Compill di Bolzano.
Nel 1800 fu deliberato di sostituire con un tetto di scandole l'originaria cuspide in muratura del campanile, sotto la quale la relativa armatura in legno era ormai marcia e minacciava di cadere a pezzi. Il carpentiere Johann Fischer provvide a rifare la suddetta armatura e a munire la sommità di una copertura a scandole. L'esecuzione di questi lavori provocò rilevanti danni al tetto e al muro della chiesa attiguo al campanile, che dovettero di conseguenza venir riparati da Johann Staudacher.
Stando a certe vecchie fatture la torre campanaria ospitava due campane, una piccola e l'altra più grande. Nel 1866 ne fu approntata una a cura di Bartolomeo Chiappani di Trento. Durante la prima guerra mondiale esse furono fuse e nel 1931 ne fu aggiunta una nuova di produzione di Giovanni Colbachini di Trento. Poiché una di esse in seguito risultò danneggiata da una crepa, nel 1968 furono di nuovo fuse tutte e tre da Paolo Capanni, per evitare che dessero luogo a dissonanze fra di loro. Le campane della chiesa di San Giacomo continuano così ancor oggi a far sentire i loro rintocchi dall'alto del vecchio campanile.
Poiché fino ad allora nella nostra chiesa veniva officiata la santa messa solo in 25 giorni domenicali o festivi, più il 1° maggio e il 4 dicembre, il preposto alla chiesa parrocchiale di Bolzano, Josef David conte di Sarentino, dispose nel 1780 che da quel momento in poi ogni domenica un sacerdote si recasse a San Giacomo e quivi tenesse dopo la celebrazione della messa, anche lezioni di catechismo. La chiesa di San Giacomo dovette in compenso versare la somma annua di 50 fiorini. Sotto il regno dell'imperatore Giuseppe II essa fu temporaneamente chiusa (1786); i fedeli erano perciò costretti a recarsi a Laives o a Bolzano. In seguito alle accese proteste della popolazione venne però ben presto riaperta al culto.
Alcuni anni appresso essa venne aggregata alla chiesa curaziale di Laives; quest'ultima tuttavia vi si oppose, e con successo, perché riteneva tale compito troppo dispendioso per i modesti mezzi finanziari di cui poteva disporre. Nel 1793 la sua richiesta di incorporare il patrimonio dell'affiliata chiesa di San Giacomo, per poter provvedere al mantenimento di un apposito sacerdote, fu respinta dal parroco di Bolzano.
Solamente però 1' 11 novembre 1882, all'indomani di catastrofiche innondazioni, la nostra chiesa venne costituita in apposita «Expositur», il che significa che da quella data ottenne di avere a sua completa disposizione un proprio sacerdote, anche se ancor sempre sottoposto a Bolzano.
La cospicua donazione di 10.000 fiorini fatta da una pia dama di Bolzano contribuì in maniera decisiva alla creazione dell'«Expositur»; il Comune per parte sua provvide a far allestire una idonea canonica presso la casa del sagrestano.
Il primo «Expositus» fu, dall' 11 novembre 1882, il reverendo Daniel Ludwig di Anterivo; il 29 agosto 1889 gli successe Peter Senoner di Ortisei; a questi subentrò il 1° dicembre 1900 Anton Rinner di Laces e dal 1910 al 1935 Anton Thaler. Questi coronò la sua lunga e provvida attività pastorale il 29 gennaio 1936; nel nuovo camposanto di San Giacomo una lapide lo ricorda ai fedeli e a lui fu dedicata la via che conduce alla vecchia chiesa.
Suo successore, in qualità di Cooperator delegatus, fu, per breve tempo, Franz Rizzoli. Dal 1936 al 1957 prese il suo posto Alessandro Gius, dapprima come curato e dal 1954 come parroco. A questi è succeduto l'attuale parroco in carica Josef Quinz.
Le ultime rilevanti modifiche alla struttura della costruzione furono apportate in forma di imitazione dei preesistenti stili nel 1904-12, sulla base dei progetti di Munggenast e del capomastro Hans Treffer. La chiesa fu ampliata nella parte occidentale mediante una vasta costruzione aggiunta. La nuova facciata fu completata da due torricelle rotonde con scale a chiocciola; la cornice in pietra del vecchio portale gotico venne immurata in detta facciata e l'affresco raffigurante il Cristoforo fu rimosso e portato al museo civico di Bolzano.
Nel 1911, su progetto di J. Senoner, venne allestita una cantoria in stile neogotico impreziosita da intarsi; nel 1912 furono costruiti il pulpito, anch'esso neogotico, con rilievi degli Evangelisti, e la balaustra per i comunicandi.
Nel 1954, per effetto del forte aumento della popolazione verificatosi nel frattempo, la nostra chiesa da affiliata alla parrocchia di S. Maria Assunta di Bolzano, fu trasformata in parrocchia autonoma e indipendente. Nel 1953 fu costruita giù nel fondovalle, per essere più vicina alle case d'abitazione dei fedeli, una nuova chiesa parrocchiale, per cui il vecchio tempio non venne più utilizzato.
Nel corso degli anni seguenti quest'ultimo venne purtroppo non solo eccessivamente trascurato, ma da esso furono altresì asportati numerosi arredi sacri. Mancano fra l'altro: un'acquasantiera ottagonale di marmo bianco del XVI secolo, il lavabo della sagrestia del 1698, le stazioni della Via Crucis del pittore bolzanino Anton Kuseth del 1765, il grande crocifisso della parete laterale destra, un candelabro a sei bracci acquistato nel 1686 ed altri oggetti ancora.
Nel 1970/71 l'Ufficio antichità e belle arti provvide a far rimuovere le strutture di più recente realizzazione e a ripristinare la facciata nel suo primigenio aspetto; solo l'affresco del Cristoforo, i cui colori però si sono nel frattempo parecchio sbiaditi, resta tuttora esposto sulla parete di ponente del museo civico bolzanino.
Oltre tali consistenti ristrutturazioni architettoniche, negli ultimi anni si sono resi sempre più necessari considerevoli lavori di risanamento e di manutenzione. Dopo la copertura ex novo del campanile con scandole, l'installazione di un parafulmine e il rifacimento del quadrante dell'orologio, su iniziativa di un gruppo di amici della chiesa, nel 1984-85 furono eseguiti radicali lavori di miglioria. Fra questi ultimi i più importanti sono stati: il consolidamento del tetto, delle finestre, del muro di cinta e del cortile stesso, l'impianto di illuminazione delle pareti interne e il drenaggio dei muri esterni.
All'interno l'Ufficio antichità e belle arti della Provincia di Bolzano ha curato il restauro dell'altare, dei quadri e dei costoloni in pietra della volta.
Descrizione della costruzione
Dopo l'esecuzione dei lavori di restauro la chiesa, quale monumento storico, può venir descritta come segue.
1) Il campanile
Risale al periodo romanico ed è costruito «con pietre squadrate di varia grandezza disposte su ordinate file orizzontali, divise fra loro da abbondanti e ben lisciati strati di calce. La parte subcuspidale è intonacata e imbiancata. Al di sotto del cornicione si aprono le bifore della cella campanaria, le cui colonnine sono arrotondate solo verso l'esterno e gli archi hanno gli spigoli smussati. Sopra il cornicione si scorgono, su due lati, delle trifore con colonnine rotonde e pulvini» (J. Weingartner). La cuspide a forma di piramide quadrangolare, in origine in muratura, è stata ricoperta con scandole nel 1803.
Nella cella campanaria pendono le tre campane realizzate nel 1968 da Paolo Capanni.
Al di sotto dell'abitacolo delle campane è sistemato un vecchio e grande orologio, sulla cui cassa è inciso l'anno 1555. Questo orologio fin dall'inizio non deve essere stato un capolavoro di tecnica, perché quasi in ogni nota-spesa della chiesa è compreso un importo per la sua riparazione.
Probabilmente per tale ragione nel 1580 un pittore provvide a dipingere una meridiana sulla facciata sud della chiesa. Sul lato orientale una scala a pioli consente di accedere all'entrata del campanile, situata in posizione sopraelevata. Sotto la porta di detta entrata è ancora conservata una raffigurazione frammentaria di Santa Barbara, con corona e ramo di palma, risalente all'inizio del XVI secolo (riportata alla luce nel 1971).
2) Facciata principale
La semplice e gotica facciata è alleggerita solamente dal vecchio portale e da una finestra tonda, realizzata nel 1904 nel corso dei lavori di ristrutturazione. Sulla parte destra al di sopra della finestra sono rimasti alcuni residui della cornice dell'affresco di San Cristoforo.

Finestre della cella campanaria (lato sud)

 Portale principale
L'elemento più prezioso di tutta la facciata è costituito dalle decorazioni tardogotiche in pietra arenaria del portale a sesto acuto, eseguite al tempo del 2° rifacimento avvenuto nel 1542. Tre cordoni avviluppano alcune foglie di quercia poste nel mezzo degli stipiti laterali e altre di vite al sommo dell'arco.

3) La facciata sud
Due grandi finestroni ad arco ogivale lasciano entrare la luce del giorno all'interno della chiesa.
La parete è rafforzata da tre contrafforti rampanti. Una finestrella strombata ad arco tondo, che all'interno è celata dalla volta gotica, attesta l'originario carattere romanico della costruzione. Una seconda identica finestra venne murata e seminascosta dal terzo contrafforte.
A fianco del primo contrafforte sono ancora visibili alcune tracce della meridiana.

4) La facciata est
Questa facciata a quattro spigoli racchiude il coro; l'intonaco bianco mette in evidenza il modello a quadrettoni della muratura.

5) La facciata nord
Questa parete è in parte coperta dall'annesso campanile e dall'avancorpo sovrastante il portale laterale. La cornice in pietra arenaria del portale a sesto acuto tardogotico presenta fra le due scanalature degli stipiti un cordone che in corrispondenza delle attaccature dell'archivolto si biforca in due rami di cui quelli interni così formati vanno ad incrociarsi al vertice.
Sopra il portale, alcuni anni fa (1971), venne scoperto il dipinto di una «Annunciazione», di cui è però rimasto solo il disegno. Secondo Rasmo, trattasi di opera di un maestro tedesco del 1300 circa.
Prima dell'ingresso al coro una pesante porticina di ferro chiude una piccola nicchia nel muro. In questo sito una volta si trovava la sagrestia.


 facciata sud

portale laterale

6) Interno della chiesa
L'originaria costruzione romanica fu ristrutturata in due fondamentali fasi successive. Dapprima, intorno al 1480, al posto di una più piccola abside semicircolare fu costruito un coro semiesagonale dalla volta gotica; più tardi, nel 1542, la navata fu coperta da un soffitto a volta e l'arco trionfale ampliato.
La volta dell'aula «è sostenuta da costoloni dal rilievo non molto pronunciato e dipartentisi da pilastri addossati alle pareti. 1 pilastri sono di forma ottagonale, con basamento, capitello e scanalature e, inoltre, con cordoni che vanno ad intrecciarsi sulla sommità» (J. Weingartner). Per via di questa volta l'interno ha peraltro assunto un aspetto greve. Nella parete nord una porta quadrata dalla larga cornice di pietra conduce al campanile. Qui, al pianterreno fu ricavato un locale chiuso da un soffitto a volta. Sopra il portale laterale, in occasione dei lavori di rinnovo del 1601, fu dipinto un quadro raffigurante, un crocifisso fra due stemmi: a sinistra quello dei Rottenpuecher (Christoph Rottenpuecher, quale proprietario del maso Hilber, fu a suo tempo sovraintcndente alla chiesa); a destra quello degli Huter-Wangen (Hans Ulrich Huter-Wangen da Bolzano-Gries era stato un magistrato civico e distrettuale. Lo stemma fu concesso ad Hans Huter nel 1515 dall'imperatore Massimiliano in riconoscimento dei suoi meriti nella guerra contro Venezia; nel corso del restauro dell'affresco detto stemma venne danneggiato sia nel disegno che nei colori).

Ghirlanda con stemma della casata Khuen-Belasi Niederthor

San Giacomo il vecchio (affresco del coro)

San Giacomo il giovane (affresco del coro)

Corocifisso e stemmi casate Rottenpuecher (sinistra) e Huter-Wangen (destra)

Al di sopra del pergamo gli allora curatori della chiesa hanno fatto riprodurre il loro stemma; nella ghirlanda possiamo ammirare lo stemma di alleanza dei Khuen Belasi-Niederthor (1601). II pulpito in stile neogotico con i rilievi dei quattro Evangelisti e la balaustra dei comunicandi sono opera di J. Senoner del 1912. «Il coro è diviso dalla navata mediante un arco trionfale poco incurvato, greve e con gli spigoli smussati» (J. Weingartner). Sulla parete frontale dell'arco sono conservati alcuni frammenti di affresco, appartenenti al ciclo di pitture risalenti al 1390, attualmente nascosti dalla volta.
All'apice dell'arco trionfale il maestro lapicida, che ha realizzato i lavori di scalpello nella volta della navata, ha impresso la sua sigla assieme alle cifre dell'anno 1542.
Nel coro i costoloni della volta sono più marcati di quelli della navata e poggiano su mensole, formate da tre sezioni via via assottigliantesi. Sulla rotonda pietra di volta si può vedere uno stemma a foggia di scudo diviso in due campi.
Sulla parete del coro dietro l'altare, a lato della finestra, sono visibili due apostoli: a sinistra San Giacomo il vecchio in veste di pellegrino, con bastone e conchiglia.
Sempre a sinistra in alto, appollaiati su una stanga, ci sono due polli. Essi stanno a simboleggiare un attributo ricorrente nella leggenda dei due pellegrini di Compostela.
A destra della finestra vediamo l'apostolo San Giacomo il giovane col bastone del follone nella mano destra e un libro in quella sinistra. Giacomo il giovane, a causa della sua fede, sembra sia stato appunto ucciso con un bastone da gualchieraio.
Nella parte destra del muro sorretto dall'arco trionfale è raffigurato Sant'Antonio abate con un libro e una campanella da questuante. Al di sotto corre la seguente scritta: «Kuenz diezeit Mesner 1484». Possiamo dedurne che questi tre modesti affreschi sono stati realizzati intorno al 1484 e rifatti in seguito.

Monogramma e data (1542) impressi dal maestro lapicida al sommo dell'arco trionfale

«La rozza e pesante disposizione delle pieghe delle vesti, l'aureola incavata» (Weingartner) e la parte bassa degli affreschi, nonché la scritta ci consentono questa datazione. Nel 1601 essi furono «restaurati» dal maestro pittor Andre Solpach, il che si nota soprattutto nella tonalità dei colori e nei tratti del viso.
Un'impressione alquanto anacronistica suscita lo sfondo suddiviso in tre zone orizzontali, solitamente riscontrabile solo negli affreschi romanici. Si ha quasi l'impressione che l'artista si sia ispirato al modello di pittura romanica dell'antica abside, sulla quale erano forse ritratti, secondo l'usanza del tempo, i dodici apostoli.
Nel coro, su entrambi i lati dell'altare c'erano due aste processionali, costruite nel 1642 da Michael Zimmermann da Bolzano. Ora sono in deposito altrove, ma risultano assai danneggiate e prive della maggior parte delle statuette.

7) L'altare barocco
L'altare barocco della nostra chiesa viene considerato, insieme a quello della chiesa di Santa Maddalena presso Bolzano, il capolavoro dello scultore Oswald Krad (1670). Mancano purtroppo due grandi angeli che Krad scolpì per i fianchi dell'altare. Il lavoro da falegname è stato eseguito dal maestro Martin Kerscher; l'altare è stato dipinto e dorato da Giovanni Pietro Fagaroli.
L'ultimo restauro è opera di Herbert Peskoller di Brunico (1985). Descrizione: Su due colonne poggia una trave orizzontale con timpano spezzato, che racchiude il Padreterno e angeli (probabilmente opera di Christof Rief 1763).
Il quadro a olio è stato dipinto nel 1670 dal pittore barocco Johann Franz von Teutenhofen (si scrive anche Teitenhofen), il quale un anno prima aveva realizzato il quadro dell'altare della chiesa di Cornedo. Nella parte alta del quadro vediamo la Madonna con Gesù bambino sopra le nubi, circondata da angeli, sotto figurano, disposto secondo i canoni della «sacra conversazione» del tardo Rinascimento italiano (da sinistra a destra): San Sebastiano trafitto dalle frecce, Jacobus major in costume da pellegrino e con un libro in mano, accanto a lui il secondo patrono della chiesa Santa Barbara, con calice e palma; dietro, San Cristoforo che si appoggia ad un grosso ramo d'albero e con Gesù sulla spalla coperto da un manto rosso. Da notare i contrasti nei colori, il cosiddetto chiaro-scuro, le persone p. es. hanno incarnato chiaro e capelli molto scuri. I santi sono scalzi.

S. Antonio abate (affresco alla base dell'arco trionfale)

Dipinto dell'altare maggiore


8) Il trittico di San Giacomo
Come già esaurientemente detto nella parte riservata alla descrizione della costruzione, l'altare di San Giacomo fu rimosso nel 1670 dal suo originario posto al centro dell'abside e collocato su una «mensa» murata nella parete laterale destra. Durante tale operazione furono evidentemente tolti la predella, il paliotto e il fastigio. Fu per contro aggiunta una statua della Madonna nello scomparto di mezzo e un frontone cuspidale.
Descrizione: Sotto le tre ghimberghe dall'austero traforo davanti alla dossale sta Maria su di un piedistallo ed è affiancata dai santi Giacomo (sinistra) e Barbara (destra). Il patrono della chiesa Giacomo il Maggiore è raffigurato nel costume di pellegrino dell'epoca, con bastone, cappello, conchiglia e mantello, il cui cappuccio è gettato sopra il copricapo. Santa Barbara ha l' aspetto della giovinetta distinta con i capelli sciolti, trattenuti solo da una coroncina; indossa un ampio vestito a tunica e un mantello. Con la mano sinistra afferra l'ampio bordo della veste e con la destra regge il proprio attributo: il calice con l' ostia.
La pala sinistra dell'altare presenta un bassorilievo di San Stefano, senza attributo e con la mano sinistra mutila; come Giacomo ha lunghi capelli riccioluti, un cappello alla moda con la tesa rialzata, una veste con delle mele granate per disegno e sopra la veste un ampio mantello. 1 piedi calzano scarpe a punta allungata.
La pala destra è invece dedicata a San Acacio. Egli è raffigurato come un cavalliere dell'epoca, munito di elmo con visiera in stile tardogotico e di una armatura artisticamente lavorata. Nella mano sinistra regge il proprio attributo, consistente in un ramo e nella destra un scudo e una lancia.
Nella chiesa parrocchiale di Bolzano c'era pure un altare dedicato a San Acacio e legato ad una prebenda. In base al documento della consacrazione del 20 aprile 1483 l'altare di San Giacomo conteneva fra l'altro anche le reliquie dei diecimila martiri, il cui condottiero - secondo la leggenda - era Acacio. Può meravigliare che sullo stipo dell'altare accanto a Santa Barbara non compaia il patrono San Cristoforo. Questi però era stato nel frattempo dipinto sulla facciata della chiesa, per cui si è evitato di raffigurarlo una seconda volta. Le due mezze figure di dimensioni più piccole, Laurenzio e Floriano, attualmente sistemate nel frontone cuspidale, probabilmente in origine erano collocate in due nicchie laterali del paliotto.
I pannelli esterni degli sportelli hanno per soggetto la Passione di Gesù Cristo: a sinistra il monte degli ulivi e l'imposizione della corona di spine, a destra la flagellazione e la traslazione della croce.
Datazione e attribuzione: La storiografia delle arti figurative è concorde nel far risalire al 1500 circa l'altare di San Giacomo e di attribuirne la paternità alla bottega del maestro Narciso di Bolzano (o di qualche suo accolito). Narciso, la cui attività nell'area bolzanina dal 1475 al 1517 è comprovata da documenti, ci ha lasciato come opere principali l'altare gotico di Fiè allo Sciliar e

quello di Fiera di Primiero. Il suo stile è definito morbido e fluido (E. Egg); Rasmo lo considera «una personalità minore» la cui arte si esprime in composizioni affollate di un manierismo drammatico. Il drappeggio è fortemente spiegazzato e i tratti del viso delineati con secchezza. Queste peculiarità stilistiche si riscontrano appunto anche nelle figure del nostro altare. Vogliamo
sottolineare poi un'altra particolarità. Le vesti di entrambi i santi, Giacomo e Barbara, sono ornate con numerosi bottoni tondi.
Questa sembra essere stata una specifica caratteristica della bottega del maestro Narciso perché riscontrabile sia nell'altare di Fiè che in quello di Santa Giustina di Vigo di Fassa, realizzato dal suo seguace Jòrg Arzt. Anche le figure dell'altare di San Daniele a Ora (attribuito a Silvester Miller, 1513) presenta un uguale motivo ornamentale. I bassorilievi delle pale laterali, al contrario, non mostrano il medesimo elemento decorativo. Essi appaiono soprattutto piatti e vuoti. Le calzature a punta lunga, che nel 1500 vennero sostituite da quelle a foggia arrotondata (cosiddette a muso di vacca: «Kuhmàuler»), stanno a dimostrare che i loro artefici appartenevano ad una generazione successiva. Le pitture dei pannelli esterni (visibili solo se gli sportelli risultano richiusi) aventi per soggetto la Passione non sembrano appartenere alla concezione stilistica e alla tradizione artistica del maestro Narciso. Essi si richiamano piuttosto alla scuola facente capo a Bressanone e alla Val Pusteria (cfr. San Sebastiano di San Lorenzo in Sebato).


Corpo centrale del trittico gotico con le pale aperte

Pannello esterno di una pala: Gesù sul monte degli olivi

Pannello esterno di una pala: flagellezione

Pannello esterno di una pala: Gesù costretto a portare la croce

Il discepolo di Giacomo libera Fileto dal suo incantesimo

Vescovo con due chierichetti

Lo stregone Ermogene

Gli affreschi sopra la volta
I. Introduzione
Intorno al 1300 la pittura murale nell'area bolzanina era dominata dal cosiddetto stile lineare gotico o «Konturenstil». Secondo i canoni di questa scuola, le figure hanno un aspetto esile e allungato, i soggetti sono trattati con estrema raffinatezza ed eleganza, il colore assolve il compito di non far assumere rilievo ai contorni ma di renderli semplicemente decorativi. Questo stile richiama alla mente le vetrate policrome e gli arazzi. A Bolzano possono essere citate ad esempio le cappelle di San Erardo nel convento dei Francescani e di Santa Maddalena. Centro di questa imperante corrente artistica religiosa era naturalmente la corte vescovile di Bressanone.
In detta ultra raffinata ma esangue espressione artistica irrompe verso il 1330, proveniente dal meridione, il moderno e vitale linguaggio delle forme del grande pittore Giotto. Questi aveva realizzato, ad Assisi (1290), a Rimini (1300) e nella cappella Arena di Padova (1304-1306), dei cicli pittorici altamente realistici, dalla tendenza naturalistica, dal vigore espressivo e dal forte colorismo, accolti subito con entusiasmo dagli artisti e dai loro mecenati.
Di grande vantaggio per la diffusione, in quel di Bolzano, di questa nuova maniera di dipingere fu la circostanza che qui si erano stabiliti fin dalla fine del XIII secolo i «Botschen» (Bocci), famiglia di grandi mercanti fiorentini, i quali intorno al 1330 fecero affrescare in questo modernissimo stile da allievi di Giotto la loro cappella sepolcrale nella chiesa dei padri Domenicani. Il «trionfo di questa nuova corrente» (Rasmo) pittorica giottesca a Bolzano propiziò nel corso del secolo l'esecuzione di numerose pitture murali in chiese e cappelle (non di rado dando luogo alla ridipintura di preesistenti opere gotiche in stile lineare).
Secondo Rasmo, che è il più autorevole esperto della materia, intorno alla metà del secolo XIV si sviluppò, soprattutto grazie all'influsso del padovano Guariento e del suo allievo Semitecolo, uno stile narrativo e spigliato, che soppianta la plastica espressività e la grave serietà di Giotto. Leggiadri scenari architettonici e paesaggistici arricchiscono lo sfondo. Artisti padovani vengono chiamati di nuovo a Bolzano (secondo Rasmo) e dipingono, sempre per incarico dei Botschen, così amanti dell'arte, la nuova cappella di San Nicolò (andata completamente distrutta durante l'ultimo conflitto mondiale).

Fileto fra Giacomo (destra) e il suo discepolo (sinistra)

Lotta fra gli spiriti del Bene e del Male


Attraverso i padri Domenicani sembra, peraltro, che Rimini abbia continuato indirettamente ad esercitare la sua influenza; gli affreschi della chiesa di Santa Caterina, databili intorno al 1350, lasciano infatti intravedere taluni effetti della scuola riminese (esempio: Francesco da Rimini). Caratteristici sono al riguardo: la calda tonalità dei colori, una certa morbida e «gotica» interpretazione del linguaggio giottesco, che fa pensare ad un riflesso postumo della antica scuola bizantina.
Dopo la meta del secolo la tradizione pittorica si fa più autonoma; evidenti diventano gli influssi veneti e soprattutto quelli provenienti dall'area tedesca; secondo Weingartner mancano qui in ogni caso «il tratto drammatico e la forma pregnante dei gesti»; l'architettura di contorno diventa più ricca e più ariosa. L'uso sempre più frequente e appariscente del costume d'epoca, in particolare i copricapi, annunciano la nuova tendenza dell'arte, che viene chiamata stile «internazionale» o «morbido».
Durante l'ultimo quarto del secolo, cioè fra il 1375 e il 1400, vengono realizzati tre cicli di affreschi di rimarchevole qualità; essi si trovano a San Cipriano di Sarentino (1380-1390), a San Vigilio al Virgolo (1380 circa) e, per l'appunto, a San Giacomo (intorno al 1400).

2. Descrizione e interpretazione degli affreschi
Come è già stato detto diffusamente nella parte riservata alla descrizione della costruzione della chiesa, il complesso di affreschi di cui essa era dotata ebbe a soffrire moltissimo durante i lavori di esecuzione della volta tardogotica. Solamente le porzioni soprastanti la volta si sono in parte conservate con i colori originali e ancor oggi vivi.

Parete nord
Alla sinistra dell'arco trionfale, sulla parete nord sono raffigurate, in sei quadri dalle dimensioni di m 1,25 x 1,40 circa, alcune scene tratte dalla leggenda di San Giacomo. La narrazione incomincia, peraltro, già sull'arco trionfale (similmente a quanto avviene a San Vigilio al Virgolo e a San Martino a Campill).

1° quadro - Figura d'uomo in piedi, vestito con un abito alla moda di color rossastro, intento a guardare a destra e nell'atto di tenere un manico con la mano sinistra. Egli calza un cappello a punta dalla larga tesa; le maniche della giacca terminano con una guarnizione di frange. A1 di sopra si libra un angelo dal gesto ammonitore e poco discosto ve n'è un secondo. Sullo sfondo un ricco scenario architettonico comprendente fra l'altro pennacoli, sporti, finestre a quattro luci e volte gotiche a cassettoni bianco-rossi

Interpretazione - Ermogene, stregone di Giudea, manda il suo discepolo Fileto a traviare Giacomo il cristiano, affinché questi predichi il falso. L'angelo allude alla brutta fine.
2° quadro - La stessa figura del primo quadro, seduta e con lo sguardo rivolto a destra, regge un bastone. A fianco pende verticalmente un nastro recante un motto.
Interpretazione - Lo stregone Ermogene è seduto nel suo palazzo e regge una bacchetta magica. L'allievo Fileto gli riferisce i miracoli compiuti da Giacomo e lo consiglia di farsi suo discepolo (nastro),
3° quadro - In primo piano tre giovani vestiti alla moda con aureole incise. Il primo a sinistra guarda a destra, indossa una tunica e tiene in mano un libro; dietro di lui, il secondo giovane ha il capo coperto da un cappuccio e lo sguardo rivolto all'osservatore; alla sua destra il terzo giovane guarda a destra e indossa una veste da pellegrino: cappello floscio a larga tesa, mantello, borsa piatta appesa alle spalle, conchiglia, distintivo e bastone da pellegrino. Sullo sfondo un paesaggio con alberi e due rossi castelli.
Interpretazione - Fileto in veste bianca è diventato amico di Giacomo il pellegrino e del suo servitore col libro.
4° quadro - (ne è conservato solo un piccolo frammento). Tre lance formate da punte metalliche infisse su aste di legno; da una di esse pende un guidone raffigurante un essere fiabesco (quadrupede con artigli e lunga coda).
Interpretazione - Ermogene invia uno sgherro per catturare Fileto (mediante le sue arti magiche lo renderà paralitico).
5° quadro - Nella metà superiore: lotta di angeli, splendenti di luce e armati di arco, frecce, croce e bandiera, contro spiriti maligni dall'aspetto rosso cupo, cornuti, dotati di ali di pipistrello e nastro con scritta. Nella metà inferiore: gli stessi tre uomini del terzo quadro, di cui uno tiene alto un panno (sull'orlo appare la medesima rosetta della guarnizione).
Interpretazione - Giacomo fa avere, per tramite del proprio servitore, il suo sudario, toccando il quale Fileto viene liberato dai malefici di Ermogene e può nuovamente muoversi. Sopra di essi gli spiriti benefici di Giacomo lottano contro quelli del Male di Ermogene; questi, librandosi in aria, urlano e dicono: «Giacomo, abbi pietà di noi, guarda, come già bruciamo» (dalla leggenda aurea).

6° quadro - Una sala aperta con soffitto a cassettoni, una statua tinta di rosso, sulla destra due uomini con lo sguardo rivolto a destra.
Interpretazione -Ermogene, nel suo palazzo, mentre regge un idolo viene afferrato dai suoi stessi spiriti e portato da Giacomo.



Gli affreschi della parete di sinistra si interrompono qui; il muro è, per la verità, ricoperto ancora per un breve tratto da un grezzo strato di intonaco, tuttavia, l'opera si arresta chiaramente a questo punto, esattamente come è avvenuto per la leggenda di Santa Barbara sulla parete dirimpetto.

Parete sud


Barbara affaciata ad una finestra della torre

Anche sulla parete di destra della navata, a partire dall'arco trionfale, si sono conservati sei frammenti di quadri. Essi sono più larghi dei precedenti e misurano m 1,80x1,40 circa.
1° quadro - Quadro dell'arco trionfale (visibile solo in parte). Una mano in atto di benedire; abbigliamento femminile alla moda; un muro merlato e sotto di esso storpi e mendicanti.
Interpretazione - Barbara, figlia del ricco e nobile Dioscuro, distribuisce doni ai bisognosi.

2° quadro - Davanti ad una sala aperta con annessa torre sta seduta una figura maschile, vestita con signorili abiti di color rosso, guarniti di pelliccia e con cappello, guarda verso la torre; nel cielo oscuro appaiono il sole e la luna.
Interpretazione - Dioscuro, padre di Barbara, tiene prigioniera la figlia nella torre, perché la sua bellezza desta in lui apprensioni. Il sole e la luna simboleggiano il trascorrere del tempo.
3° quadro - Lo stesso scenario del quadro precedente. Ad una finestra della torre si affaccia una fanciulla bionda con un diadema a foggia di corona; più in basso, davanti ad una porta, una testa maschile (come sopra).
Interpretazione - Barbara si sporge dalla terza finestra della torre per guardare; ella l'ha fatta aprire in omaggio al mistero della trinità. Barbara ne spiega la ragione al padre.
4° quadro - È visibile solo la parte superiore. Stesso scenario di prima; un angelo in atto di benedire.
5° quadro - Stesso scenario. Nella sala un vescovo in paramenti liturgici si avvia con due chierichetti verso la torre. Barbara sta a guardare dalla finestra.
6° quadro - Molto danneggiato. Sulla finestra della torre si è posata una colomba.
Interpretazione - Barbara riceve la santa comunione tramite della colomba.
La narrazione si arresta a questo punto, esattamente come per la leggenda di Giacomo, nel bel mezzo dell'affresco. Su un frammento di intonaco grezzo si può notare un tratto del disegno di base della cornice, tracciato con ocra rossa.

3 Datazione degli affreschi
Gli esperti d'arte Weingartner e Rasmo sono d'accordo nel ritenere che le pitture di San Giacomo, insieme a quelle di S. Cipriano di Sarentino e di S. Vigilio al Virgolo, appartengano alla cosiddetta scuola bolzanina (Rasmo parla di «maestro delle storie della Vergine in San Vigilio») e risalgano all'ultimo quarto del secolo XIV. Si si raffrontano ora i tre cicli fra di loro, si può in primo luogo stabilire con sicurezza che i dipinti di San Giacomo ne rappresentano il punto più alto e al tempo stesso il punto d'arrivo, sia sotto il profilo stilistico che sotto quello artistico. Questa affermazione è poi confermata dall'abbigliamento alla moda e dai suoi accessori. Lo stregone Ermogene,per esempio, ci permette di riconoscere agevolmente la caratteristica moda in auge nel 1400 circa. Egli indossa una aderente giubba imbottita (die Schecke), «in guisa da destare l'impressione che l'uomo possa avere il seno come una donna e curando perciò anche di sottolineare detti seni finti e le pance con cinture», come ebbe a riferire un cronista boemo nel 1370. Le maniche del vestito sono dotate di larghe guarnizioni a frange (die Zaddeln), che a partire dal 1400 divennero sempre più lunghe e larghe. Un terzo appariscente particolare della moda dell'epoca è costituito dai bottoni, di cui si faceva un abbondante uso. Anche i mantelli e i cappelli sono di fogge varie. L'uomo comune portava un ampio mantello a campana (die Heuke), chiuso sulle spalle o sul davanti da bottoni; molto diffuso era la cocolla (di Gugel), formata dalla combinazione di mantello e cappuccio. I cittadini più ragguardevoli possedevano enormi cappelli di feltro a larghe tese, segmentate e in parte rialzate. Negli affreschi di San Cipriano e di San Giacomo colpiscono particolarmente l'osservatore i cappelli a punta, con i quali gli Ebrei erano costretti a coprirsi il capo dall'indomani del Concilio del Laterano del 1215.
Le fanciulle nubili e benestanti (come ad esempio Barbara) usavano portare i capelli sciolti o trattenerli al più con un cerchietto d'oro o un diadema. La veste era molto attillata in alto e abbondantemente scollata; dai fianchi in giù essa era però svasata e cadeva a terra in numerose pieghe.
La foggia della manica è particolarmente vistosa tra il 1380 e il 1390; «la parte terminale si svasa sempre di più e ricopre il dorso della mano con polsini a forma di campana» (Rasmo). La maggior parte di questi dettagli alla moda ricorre in tutti e tre gli affreschi; le guarnizioni a frange (die Zaddeln) compaiono però solo a San Giacomo; la moda dell'epoca, sia concesso ricordarlo ancora una volta, è illustrata con cura e raffinatezza insolite proprio nel ciclo della leggenda di San Giacomo.

Classificazione artistica degli affreschi
Le caratteristiche stilistiche in generale degli affreschi e i costumi d'epoca raffigurati dal pittore nella leggenda di San Giacomo dicono chiaramente che ci troviamo di fronte ad un artista molto dotato e versatile, che eccelle fra i suoi contemporanei.
Sia ora consentito esaminare alcuni altri singoli particolari: Le bordure - Gli affreschi di San Giacomo sono tutti bordati da guarnizioni particolari: una rosetta esagonale in un campo di uguale forma e sull'orlo superiore è dipinta in prospettiva una serie di mensole (simili a quelle che reggono le travature dei soffitti). Le stesse guarnizioni, oltre che a San Giacomo, si trovano anche nella cappella di Santa Caterina dei padri Domenicani di Bolzano (1350 circa) nel Duomo di Bolzano, a San Cipriano e a San Valentino di Sarentino. Interessante al riguardo notare che la rosetta esagonale compare come elemento di guarnizione anche negli affreschi trevigiani di Tommaso da Modena (leggenda di Santa Orsola, 1360 circa, Museo civico).
Una attenta osservazione comparativa ci mostra che la maniera di Tommaso di tratteggiare le persone, specialmente per quel che concerne l'espressione del viso e il come sono raggruppate, è molto simile a quella praticata a San Cipriano e a San Giacomo. Tommaso predilige i visi tondi, i nasi pronunciati, i menti larghi, i capelli biondi e la carnagione rosea. La speciale posizione di Tommaso da Modena nella storia dell'arte consiste nel fatto che egli ritrae gli uomini nel loro ambiente naturale, ne coglie gli aspetti psicologici e li rappresenta come cittadini comuni. Tommaso, inoltre, ha lavorato anche per conto dei padri Domenicani. Nel nostro caso potrebbe perciò valere la seguente ipotesi. Un allievo fra i più promettenti di Tommaso (su commissione dei Domenicani) viene a Bolzano, affresca la cappella di Santa Caterina; lavora quindi con un aiutante locale a San Cipriano (particolarmente significativi qui i raggruppamenti delle persone a tre a tre come nei quadri «Cipriano vescovo» e «Il martirio»); l'aiutante locale esegue da solo gli affreschi di S. Vigilio al Virgolo (leggenda della Vergine, di cui ci parla Rasmo); infine nuovamente insieme, dipingono un po' più tardi la chiesa di San Giacomo. L'allievo di Tommaso s'incarica di dipingere la leggenda di San Giacomo, patrono della chiesa, e l'aiutante esegue quella di Santa Barbara. Il lavoro viene ciononostante interrotto improvvisamente da entrambi.
I committenti degli affreschi dovrebbero essere stati dei cittadini amanti delle belle arti, i quali effettuavano in tal modo laute donazioni al nome di San Giacomo in segno di ringraziamento o di espiazione.
Fotografie:

Dott. Georg Tengler, pag.1, 2, 4, 8,17,18, 20, 21, 22, 23, 26, 27, 29, 38; Sovrintendenza ai beni culturali, pag. 32, 33, 34, 35;

Geom. Marco Quintavalla, pag. 24, 25, 36, 37, 40, 41, 44;

Dott. Josef Unterer, pag. 30.

Fonti:

Archivio parrocchiale di Maria Assunta in Bolzano.

Archivio della città di Bolzano nel museo civico di Bolzano: registri contabili riguardanti la chiesa di San Giacomo n. 858-939.

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Gli autori ringraziano: il chiarissimo prof. Franz Heinz Hye, direttore

dell'Archivio civico di Innsbruck, per l'identificazione dello stemma delle

casate Huter-Wangen; inoltre, il prof. Nicolò Rasmo, il dott. Helmuth

Stampfer e il dott. Reimo Lunz per la preziosa consulenza.

I rilievi e i disegni della chiesa, anteriori alla rimozione della parte aggiunta

sul lato di ponente, sono stati eseguiti nel 1951 dalfarch. Gigi Dalla Bona.

Quelli, invece, reltivi allo stato attuale della costruzione sono opera del

geom. Karl Andreas Bernard.



Vecchia fotografia della chiesa scattata dal lato orientale; a destra il maso già appartenuto alla chiesa, a sinistra stalla con fienile



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  • Foto della Bassa Atesina nell`Atlas Tyrolensis" di Peter Anich e Blasius Hilber. Nel 1766 l9nich morì a causa delle febbri malariche che lo avevano colpito a sud di Bolzano. Il lavoro di rilevazione fu quindi proseguito da Blasius Hiiber. LAtlante fu pubblicato nel 1774

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da I LUOGHI DELL'ARTE
Gioia Conta
OLTRISARCO/OBERAU
ASLAGO/HASLACH
vol I
Strada leggermente in quota
Attraverso la conca di Aslago correva la strada che in età romana e medievale dalla val d'Adige proseguiva per il Brennero: essa da San Giacomo portava al Virgolo e quindi a Cardano, evitando il percorso di fondovalle. La località, dove presumibilmente trovò rifugio parte della popolazione dopo le prime invasioni, è significativamente chiamata nei documenti medievali "Cividat" (civitas). Oltrisarco e Aslago facevano parte sin dalla prima metà del XIV secolo del gruppo di insediamenti noti con il nome di malgrie che furono riuniti in un unico comune due secoli dopo sotto il nome di Dodiciville/Zwólfmagrein, inglobato nel 19 10 nel Comune di Bolzano. Nella parte più settentrionale di Oltrisarco e sul lato meridionale del Virgolo, è sorto, a partire dagli anni ' 60, il quartiere CEP di Aslago

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Storia e gesta dell'apostolo Giacomo, il Maggiore
San Giacomo, Rembrandt, 1661
LIBRO IV
da

[1] Giacomo era figlio di Zebedeo e fratello del Giovanni che scrisse il Vangelo. Cristo nostro salvatore al vederlo sulla barca con il padre e il fratello gli aveva detto di seguirlo. Toccato dal divino amore obbedì e da allora aderì al Signore nostro, non solo come discepolo tra i molti (che il Signore ebbe), ma chiamato dal medesimo sul monte al vertice dell'apostolato.
Dopo la passione del Signore ebbe in sorte la Giudea e la Samaria, allorché gli apostoli si divisero il lavoro. Percorse queste province, entrando nelle sinagoghe e con le Scritture alla mano dimostrava che tutto quanto era stato predetto dai profeti intorno al Signore Gesù Cristo si era avverato in lui.
[2] In quel tempo si opponevano al santo apostolo Ermogene e Fileto, i quali affermavano che Gesù Cristo Nazareno, di cui egli si diceva apostolo, non era Figlio di Dio. Giacomo, parlando con fiducia nello Spirito santo, rese vana ogni loro affermazione, mostrando dalle Sacre Scritture che questi era il vero Figlio di Dio promesso al genere umano.
Fileto rimase scosso e ammirato per la sapienza di Giacomo; e ritornato da Ermogene disse: "Sappi che non si potrà superare Giacomo, il quale afferma di essere servo di Gesù Cristo Nazareno e suo apostolo. Infatti in suo nome l'ho visto scacciare i demoni dai corpi degli ossessi, dar la vista ai ciechi, mondare i lebbrosi. E i miei più intimi amici mi assicurano di averlo veduto risuscitare i morti. Ma perché ci fermiamo su molte cose? Sa a memoria tutta la Sacra Scrittura, con la quale mostra non esservi altro Figlio di Dio, se non quello crocifisso dai Giudei. Onde se vuoi ascoltarmi, andiamo da lui per chiedergli perdono. Se tu non vuoi far ciò, io ti lascerò per andare da lui, ed essere degno di divenire suo discepolo".
All'udire questo Ermogene si accese d'ira; con forze magiche irrigidì Fileto e disse: "Vedremo se il tuo Giacomo ti libererà". Fileto inviò subito un servo da Giacomo perché gli annunciasse l'accaduto. Il beato apostolo mandò il suo sudario a Fileto, dicendo: "Il Signore Gesù Cristo sostiene i prigionieri e libera i carcerati". Appena il servo lo toccò con il sudario, Fileto, libero dai legami magici, corse da Giacomo e cominciò a deridere i malefici del maestro.
[3] Ma il mago Ermogene, addolorato di essere stato deriso, con pratiche magiche eccitò i demoni, e li inviò a Giacomo con queste parole: "Andate e portatemi qua Giacomo e il mio discepolo Fileto, affinché possa vendicarmi di loro: così gli altri discepoli non si prenderanno più burla di me". Arrivati dunque i demoni al luogo dove Giacomo pregava, incominciarono ad emettere per l'aria un forte ululato, dicendo: "Giacomo, apostolo di Dio, abbi pietà di noi, poiché ancor prima che venga il tempo del gran fuoco, noi siamo tormentati". Ai quali Giacomo rispose: "Perché siete venuti da me?". "Ci ha mandati Ermogene - risposero i demoni - per condurre te e Fileto da lui. Appena siamo entrati qui, un santo angelo di Dio ci ha legati con catene infuocate e ora miseramente siamo nei tormenti". Rispose Giacomo: "Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo, l'angelo di Dio vi ridoni la libertà, affinché, una volta ritornati da Ermogene, me lo conduciate legato, senza fargli del male".
Partiti di là, legarono con funi, le mani di Ermogene dietro la schiena e così legato lo portarono dall'apostolo dicendo: "Ecco, riportiamo colui al quale ci avevi inviato, mentre bruciavamo". E l'apostolo di Dio a lui: "Stoltissimo uomo, mentre il nemico del genere umano aveva a che fare con te, perché non hai pensato chi inviavi a farmi del male? Tuttavia non permetto che ti facciano sentire il loro furore". Essi allora gridarono: "Mettilo nelle nostre mani, perché possiamo vendicare le tue ingiurie e il nostro bruciore". Ma l'apostolo a loro: "Ecco qui davanti a voi Fileto, perché non l'assalite?". Gli dicono: "Non possiamo toccare neppure una formica della tua casa". Allora il beato Giacomo rivolto a Fileto disse: "Affinché tu sappia che questo è l'insegnamento del Signore nostro Gesù Cristo, e affinché gli uomini sappiano contraccambiare il male con il bene, libera colui che ti ha soggiogato e ha tentato di condurti a sè, mentre eri legato dai demoni; permetti che se ne vada, una volta sciolto dai legami demoniaci".
Appena Fileto lo sciolse, Ermogene se ne stette abbattuto e confuso. Rivolto a lui, l'apostolo del Signore disse: "Vai libero dovunque vuoi. Non vogliamo che uno si converta contro sua voglia". Gli rispose Ermogene: "Ora conosco la rabbia dei demoni; se non mi dai qualcosa da portare con me, essi mi assaliranno e con diversi tormenti mi uccideranno". E il beato apostolo a lui: "Prenditi il mio bastone da viaggio e con esso vai dovunque ti piacerà". Egli, preso il bastone dell'apostolo, se ne tornò a casa sua.
[4] Senza indugiare raccolse i libri magici, sopra la sua testa e quella dei suoi discepoli pose dei vasi pieni, li portò all'apostolo e cominciò a bruciarli davanti a lui. Ma Giacomo glielo impedì: "Affinché l'odor di questo fuoco, disse, non faccia agitare gli incauti, appendi ai vasi dei sassi e del piombo, e buttali in mare".
Dopo aver fatto questo, Ermogene ritornò e abbracciando i piedi dell'apostolo lo pregava dicendo: "Liberatore di anime, ricevi finalmente penitente colui che finora hai sopportato nemico e riluttante". Giacomo rispose: "Se offrirai a Dio una degna penitenza, conseguirai veramente la sua misericordia" Disse Ermogene: "Ho dato segno di una sincera penitenza; infatti ho rinunciato a tutti i miei libri nei quali avevo riposto una presunzione illecita, come pure ho disprezzato tutte le arti del nemico". Il santo apostolo a lui: "Vai per le case di quanti hai ingannato per portare al Signore ciò che gli hai sottratto. Insegna essere vero quanto prima dicevi essere falso, e falso ciò che poco fa dichiaravi vero. Spezza l'idolo che adoravi e respingi le divinazioni che ti sembrava ricevere da lui. Spendi in opere buone il denaro acquistato malamente, affinché come fosti figlio del diavolo, imitando il demonio, così possa divenire figlio di Dio, seguendo Dio, che ogni giorno dà i suoi benefici agli ingrati e dona l'alimento a coloro che lo bestemmiano Se dunque, pur essendo tu cattivo verso Dio, il Signore usò verso di te una certa bontà, quanto maggiormente sarà benigno, se cesserai di essere un mago e comincerai a compiacerlo con buone opere?".
A tutte queste e altre cose simili che Giacomo proferiva, Ermogene si mostrò ossequiente e così iniziò una vita di perfetto timor di Dio, tanto che per mezzo suo Dio compiva anche dei prodigi.
[5] I Giudei dunque, vedendo come l'apostolo aveva convertito un tale mago, considerato invincibile, come tutti i suoi discepoli e amici che solevano frequentare la sinagoga avevano creduto in Gesù Cristo tramite Giacomo, offrirono del denaro a due centurioni, Lisia e Teocrito, che erano di servizio a Gerusalemme, affinché catturassero Giacomo.
Nata tra il popolo una sommossa, mentre egli era condotto in prigione, i farisei gridavano contro di lui: "Perché predichi la fede in Gesù, che tutti sappiamo essere stato crocifisso tra i ladroni?". Al che Giacomo, ripieno di Spirito santo: "Ascoltate, fratelli e voi che desiderate essere figli di Abramo. Dio promise al nostro padre Abramo che la sua discendenza avrebbe ereditato tutte le genti. La sua discendenza non designava Ismaele, ma Israele: quegli, assieme alla madre, fu allontanato ed escluso dalla porzione della discendenza di Abramo. Dio disse ad Abramo che in Isacco avrebbe avuto una discendenza. Ma il nostro padre Abramo fu chiamato amico di Dio prima di ricevere la circoncisione, prima di aver osservato i sabati e prima di conoscere una qualche legge di origine divina. Divenne amico di Dio non certo circoncidendosi, ma credendo in Dio; e così nella sua discendenza ereditò tutte le genti. Se dunque Abramo divenne amico di Dio con la fede, è chiaro che chi non crede in Dio è nemico di Dio".
Dopo che l'apostolo ebbe detto questo, i Giudei domandarono: "Chi è colui che non crede in Dio?".
[6] Giacomo rispose: "Questi è colui che non crede che la discendenza di Abramo erediterà tutte le genti; chi non crede a Mosè che afferma: "Il Signore vi darà un grande profeta, lo ascolterete come se parlassi io, in tutto quanto vi domanderà". Isaia predisse di qual genere sarebbe stato il profeta promesso, quando scrisse: "Ecco una vergine concepirà nel seno e darà alla luce un figlio che sarà chiamato Emmanuele, cioè Dio con noi". E Geremia aggiunse: "Ecco, Gerusalemme, che sta per venire il tuo redentore e questo ne sarà il preannunzio: aprirà gli occhi ai ciechi, restituirà l'udito ai sordi e con la sua parola risusciterà i morti". Ezechiele parlò di lui allorché disse: "Verrà il tuo re, Sion, verrà e ti rinnoverà". E Daniele: "Verrà qual figlio dell'uomo e avrà in sorte i principati e le potestà". Lo annunziò pure David: "Il Signore mi disse: Figlio mio tu sei. E la voce del Padre così si espresse a riguardo del Figlio: Egli mi invocherà: Padre mio tu sei, ed io lo costituirò mio grande primogenito presso i re della terra. E di nuovo: metterò sopra il mio trono il frutto del tuo seno".
Anche la sua passione fu predetta dai profeti. Isaia infatti disse: "Fu condotto a morte come una pecora". E David in prima persona disse: "Hanno forato le mie mani e i miei piedi, hanno numerato tutte le mie ossa; mi hanno guardato e mi hanno esaminato; si sono divisi le mie vesti, tirandole a sorte". E altrove: "Mi diedero a trangugiare fiele e a bere aceto. E vaticinando la sua morte: la mia carne riposerà nella speranza, perché non lascerai all'inferno la mia vita nè permetterai che il tuo santo veda la corruzione". La voce poi del Figlio si rivolse al Padre così: "Risorgerò e subito sono con te". E di nuovo: "Per la povertà dei deboli e il pianto dei poveri risorgerò", dice il Signore.
E circa la sua ascensione così si espresse il profeta: "Ascese in alto, si portò dietro l'umanità già schiava". E di nuovo: "Dio ascese nel giubilo; ascese volando sopra i cherubini". Così Anna, madre del santo Samuele: "Il Signore ascese in cielo e tuona". E molte altre testimonianze si trovano nella Legge circa la sua ascensione. Infatti che sieda alla destra del Padre è David che lo afferma: "Il Signore disse al mio Signore, siedi alla mia destra". E che torni a giudicare il mondo con il fuoco, lo dice il profeta: "E di nuovo al suo cospetto e intorno a lui ci sarà forte tempesta".
[7] Tutto questo che fu predetto in parte si è già avverato nel Signore nostro Gesù Cristo e ciò che non si è ancora avverato, accadrà in seguito come i profeti vi hanno predetto. Disse infatti Isaia: "I morti, coloro che sono nei sepolcri, risorgeranno". Se mi interroghi: "Che cosa accadrà allorché si risorgerà?". Risponde David dicendo di aver sentito il Signore parlare così: "Una volta parlò Dio e ho udito queste due cose: il potere è di Dio, e per te è misericordia, Signore, che dài a ciascuno secondo le sue opere".
Perciò, fratelli, ciascuno di voi faccia penitenza per non ricevere secondo le opere sue, sapendo di appartenere al gruppo di coloro che crocifissero colui che ha liberato il mondo intero dai tormenti. Inoltre con la sua saliva aprì gli occhi al cieco nato; e per provare che era stato lui a plasmare Adamo con il fango, fece una poltiglia con la sua saliva, la mise sugli occhi e li sanò. E quando noi discepoli lo interrogammo chi avesse peccato, se questi o i suoi genitori per essere nato cieco, il Maestro rispose: "N‚ questi nè i suoi genitori, ma ciò avvenne perché in lui fossero palesi le opere di Dio", ossia affinché fosse manifesto l'artefice che l'aveva creato, avendo egli fatto ciò che era di meno.
Che egli avrebbe ricevuto male per bene, fu predetto da David, quando in prima persona dice: "Mi davano male per bene e odio per amore". Infine dopo tanti benefici resi ai Giudei, tanti paralitici curati, lebbrosi mondati, demoni scacciati e morti risuscitati, tutti gridarono ad una sola voce: è reo di morte.
Che poi sarebbe stato tradito da un suo discepolo, fu predetto da David: "Colui che mangiava con me il pane, mi soppiantò".
Fratelli tutto questo lo predissero i figli di Abramo, parlando in essi lo Spirito santo. Forse che potremo evitare il supplizio del fuoco eterno e non saremo giustamente puniti, se non crederemo a tutto questo? Quando anche i pagani credono alle parole dei profeti, noi, una volta popolo eletto, non presteremo alcuna fede ai nostri patriarchi e profeti? Penso che tali delitti, vergognosi e punibili per tanti fatti scellerati, devono essere da noi pianti con grida e lacrime, affinché colui che benignamente perdona, accolga la nostra penitenza e non ci capiti quello che si ebbero gli infedeli nostri antenati: la terra si aprì, inghiottì Datan e coprì la sinagoga di Abiron. Il fuoco si accese nella loro adunanza e la fiamma consumò i peccatori".
[8] Finito di dire questo, davanti alla turba, non senza meraviglia e con una singolare grazia di Dio, tutti in coro dissero: "Abbiamo peccato, commettendo ingiustizia; dacci il rimedio, che cosa dobbiamo fare?". E Giacomo: "Fratelli non disperatevi. Soltanto dovete credere, e ricevere il Battesimo, affinché siano cancellati tutti i vostri peccati".
E poiché dopo questo discorso del beato apostolo molti Giudei furono battezzati, Abiatar, pontefice di quell'anno, vedendo che ogni giorno molti credevano in Gesù, con denaro causò una grandissima sommossa, tanto che uno degli scribi farisei lanciò una fune al collo dell'apostolo e lo portò nel pretorio dal re Erode. Quell'Erode era figlio di Archelao; appena ebbe in mano la causa comandò che Giacomo fosse decollato.
Mentre veniva portato al luogo del supplizio vide un paralitico disteso che gridava: "Uomo santo, liberami dai dolori, che mi prendono tutte le membra". Rivoltosi a lui l'apostolo disse: "In nome del crocifisso mio Signore Gesù Cristo, per la cui fede vengo condotto a morte, sii sanato e benedici il tuo salvatore". E subito si alzò e con gioia cominciò a correre e benedire il nome del Signore Gesù.
[9] Allora quello scriba dei farisei, di nome Giosia, che, come si è detto, aveva messo la fune al collo dell'apostolo, cadendo ai suoi piedi, disse: "Ti prego di perdonarmi e farmi degno del nome santo". Rivoltosi a lui l'apostolo rispose: "Credi nel Signore Gesù Cristo, che i Giudei hanno crocifisso, credi che sia il vero Figlio del Dio vivo?". E Giosia: "Io lo credo e questa è la mia fede da questo momento: egli è il Figlio del Dio vivo".
Vedendo ciò il pontefice Abiatar comandò che lo scriba fosse acciuffato e gli disse: "Se non ti allontanerai da Giacomo e maledirai il nome di Gesù, sarai decollato con lui". Giosia di risposta: "Maledetto sii tu e tutti i tuoi giorni. Il nome del Signore Gesù Cristo che Giacomo predica è benedetto nei secoli". Allora Abiatar, pieno di ira, ordinò che lo scriba venisse percosso con pugni e, mandato un messaggio ad Erode, chiese che fosse decollato assieme a Giacomo.
Giacomo intanto venne condotto con Giosia al luogo del supplizio: prima di essere decollato, chiese al boia di aver un po' d'acqua; gli fu portata una brocca piena d'acqua. Appena l'ebbe l'apostolo disse: "Credi nel nome di Gesù Cristo, Figlio di Dio?". E quegli: "Credo". Giacomo gli versò l'acqua e dopo disse: "Dammi il bacio di pace". Appena l'ebbe baciato, gli pose la mano sul capo, e lo benedisse facendogli il segno della croce di Cristo nella fronte. Poco dopo presentò la testa al boia.
Anche Giosia, già perfetto nella fede, con gioia ricevette la palma del martirio per colui che l'eterno Dio aveva inviato nel mondo a salvarci: a lui sia onore e gloria nei secoli.


postato da: apritisangia alle ore 06:59 | Permalink | commenti (1)
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