mercoledì 18 gennaio 2012

cultura 3


venerdì, 09 dicembre 2011



Apprendimento continuo nasce una rete tra quindici università

BOLZANO. Si chiama Ruiap (Rete universitaria italiana per l’apprendimento permanente), riunisce 15 atenei ed è stata costituita il mese scorso anche grazie al grande impegno della Lub, che a livello nazionale gioca un ruolo da precursore. “L’apprendimento permanente è per la Lub lo strumento per aumentare il numero dei laureati in Alto Adige”, dice la professoressa Gabriella Dodero, docente della Facoltà di Informatica ed impegnata, per delega rettorale, sul fronte dell’apprendimento permanente. “Le statistiche europee e nazionali ci vedono sempre fanalino di coda per la percentuale di laureati sulla popolazione attiva: per ogni quattro laureati europei, in Alto Adige ce n’è uno solo”, spiega Dodero. “L’apprendimento permanente è integrato nella Leitbild della Lub. E’ una possibilità di cambiare la situazione”. L’occasione per la fondazione di Ruiap è stata la 42esima conferenza di Eucen (European Association for University Lifelong Learning), cui fanno riferimento tutte le reti nazionali impegnate sul fronte del lifelong learning.
Alto Adige 9-12-11
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lunedì, 05 dicembre 2011



Il Campo della legalità a Rosarno tra immigrazione e lavoro agricolo

BOLZANO. “Educare alla legalità significa elaborare e diffondere la cultura dei valori civili, consente l’acquisizione di una nozione più profonda dei diritti di cittadinanza, partendo dalla consapevolezza della reciprocità fra soggetti dotati della stessa dignità. Oltre ad essere una premessa culturale indispensabile, si pone come un sostegno operativo quotidiano”. Il progetto di campo 2012 a Rosarno rappresenta un’anticipazione di un progetto organico (Nord + Sud, Insieme per la legalità) che vede coinvolti l’associazionismo della provincia di Bolzano e di Reggio Calabria, in particolare dei comitati territoriali Arci di Reggio e Bolzano ed Arciragazzi di Bolzano. Il progetto è finanziato in parte e promosso dal Dipartimento alla cultura italiana della Provincia. Il primo campo in programma per il 2012 è rivolto a ragazzi delle scuole superiori e dell’università (under 25) della provincia di Bolzano e si svolgerà dal 16 al 22 gennaio, presso l’azienda agricola e fattoria didattica Terre di Vasia in località Serrata (nella foto), poco lontano dal comune di Rosarno. L’Azienda è situata nell’entroterra tirrenico calabrese ai piedi della Catena delle Serre e non molto lontana dal Parco nazionale dell’Aspromonte, in una splendida valle immersa nel verde e circondata da oliveti.
 Il tema del campo di Rosarno sarà il rapporto fra immigrazione, diritti e legalità ed articolato sul lavoro agricolo sui campi al mattino, in particolare la raccolta delle arance, e incontri volti a promuovere la cultura della legalità, nel pomeriggio. Prima della partenza per il campo saranno organizzati alcuni incontri preparatori presso il Centro Pippo di Bolzano in cui verrà approfondita, per Rosarno, la questione dell’immigrazione, dei diritti civili e della legalità.
 Costo campo (comprensivo di trasporti, vitto, alloggio, escursioni e attività varie): 150 euro + 10 euro tessera Arci 2012. Per informazioni e iscrizioni contattare Arci Bolzano al numero telefonico 0471/323648 o mandare una mail ad arci@arci-uisp.it.
Alto Adige 5-12-11
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sabato, 03 dicembre 2011



Al via il Premio letterario «La Giara» per nuovi talenti della narrativa


La Rai, bandisce il Premio “La Giara” per i nuovi giovani talenti della narrativa italiana. Il premio è riservato a giovani scrittori, residenti in Italia di età compresa tra i 18 e i 39 anni. La Rai, come servizio pubblico, attraverso questo premio letterario vuole individuare, valorizzare e far conoscere la creatività di giovani talenti (che a volte rimane sommersa), ampliando la ricerca al di fuori delle sedi e dei circuiti culturali tradizionali, in ogni regione d’Italia, grazie anche alla capillare diffusione dell’iniziativa su tutto il territorio garantita dai centri di produzione e dalle sedi regionali Rai. A livello altoatesino i commissari sono Giovanni Accardo, Marco Bernardi, il direttore dell’Alto Adige Alberto Faustini, Valeria Trevisan e Waltraud Waibl. L’intenzione è di stabilire un positivo circuito tra giovani scrittori, in grado di narrare con linguaggi attuali e creatività, e il potenziale comunicativo della Rai, che permetterà loro di essere conosciuti e valutati da un vasto pubblico nazionale e internazionale. In conclusione si tratta di cercare e trovare il nuovo scrittore dell’anno.
 Si potrà concorrere con un romanzo inedito di almeno 180 mila caratteri. Le opere dovranno essere inviate con raccomandata postale in formato cartaceo (sei copie) ed elettronico entro e non oltre il 31 dicembre 2011 presso la sede regionale Rai del comune di residenza dell’autore. Tutti gli inediti saranno valutati e selezionati dalle commissioni istituite nelle 21 sedi regionali Rai e composte da esperti del mondo della narrativa, del giornalismo e della cultura. Per informazioni: info.premiolagiara@rai.it o sul sito www.rai.it Premio letterario La Giara.
Alto Adige 3-12-11
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domenica, 27 novembre 2011



Museumcard

Finalmente qualcosa di nuovo sotto l’albero. Perché adesso c’è l’opportunità di un regalo di Natale davvero originale, oppure da tenere tutto per sé per un uso piacevole del proprio tempo libero durante le festività: la nuova Museumcard, da poco introdotta, si adatta perfettamente a questo scopo. A un prezzo veramente vantaggioso, la card permette di visitare nell’arco di un anno (anche più volte in momenti diversi) 80 musei e collezioni dell’Alto Adige.
Rendere accessibile a quanti più residenti possibili la varietà e ricchezza del panorama museale altoatesino, proponendo una interessante offerta culturale per il tempo libero. E’ quanto si prefiggono i musei altoatesini con la “Museumcard”, iniziativa comune da essi recentemente varata. In vista delle imminenti festività, questa carta annuale si presta benissimo a fungere da originale regalo natalizio condito da un piacevole tocco culturale.
Personale, e quindi non cedibile, la Museumcard autorizza il possessore ad accedere liberamente, in un arco di 365 giorni dalla prima attivazione, a 80 musei e collezioni in Alto Adige, anche ripetutamente. La carta si può acquistare in numerosi musei sparsi sul territorio della provincia.
Ma vediamo nel dettaglio dell’iniziativa prendendo confidenza con la Museumcard. Visivamente si presenta di colore rosso su ambo i lati, ed è proposta in tre varianti: Museumcard per adulti, al prezzo di 35 euro; la “Light”, carta ridotta per bambini dai 6 anni, scolari, studenti e apprendisti fino ai 27 anni e anziani dai 65 anni in poi, messa in vendita a 25 euro; infine, la carta “Family”, a 70 euro, destinata alle famiglie composte al massimo da due adulti con bambini fino ai 14 anni. La Museumcard non fornisce alcuna prestazione nel campo della mobilità. Ciò differenzia la Museumcard da altri biglietti, ad esempio dalla museumobil Card, che ha però una validità assai più limitata.
Per chi volesse saperne di più: ulteriori informazioni sulla Museumcard, nonché la lista dei musei aderenti e dei punti vendita sono disponibili in internet alla pagina web www.provincia.bz.it/musei.

Alto Adige 27-11-11
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sabato, 26 novembre 2011



Democrazia diretta, sì alla proposta Svp

BOLZANO. Non approderà al dibattito in consiglio provinciale il disegno di legge di iniziativa popolare sulla democrazia diretta. Ieri la prima commissione legislativa del consiglio ha infatti respinto il passaggio alla discussione articolata: hanno votato contro i consiglieri della Svp (il presidente Noggler, Schuler, Stirner e Munter) mentre hanno votato a favore i tre rappresentanti dell’opposizione ossia Mair, Seppi e Urzì. Arriverà in aula invece, come era scontato, il disegno di legge sullo stesso argomento preparato proprio dalla Volkspartei per «disinnecare» quello proposto da Iniziativa per più democrazia e sul quale erano state raccolte oltre 10 mila firme. Il ddl della Stella Alpina è stato approvato con 5 sì e 2 no e sarà discusso in aula il 5 dicembre. Il nodo principale è la possibilità di indire referendum provinciali: Iniziativa proponeva un quorum del 15% e di ridurre da 13 mila a 10 mila le firme necessarie per la presentazione dei quesiti; il ddl della Svp invece annulla il quorum ma prevede 27.500 firme.
Alto Adige 26-11-11
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giovedì, 24 novembre 2011



Fathia Mokhtari, italiana al 100%

FABIO ZAMBONI
BOLZANO. «E’ una follia negare la cittadinanza ai bambini stranieri nati in Italia»: così il Capo dello Stato Giorgio Napolitano martedì di fronte a una delegazione delle chiese evangeliche ricevuta al Quirinale. Una settimana prima, il Presidente aveva ribadito il concetto durante un colloquio con una rappresentanza dei “nuovi cittadini italiani”. Un problema molto sentito anche a Bolzano, dove ieri l’assessore provinciale competente Bizzo, varando la nuova legge provinciale sull’immigrazione ha sottolineato «la bella coincidenza fra l’entrata in vigore della legge e l’appello di Napolitano». Occasione opportuna, l’esternazione di Napolitano e il problema in sé, per sentire che cosa ne pensa Fatiha Mokhtari, che nel 2007 fu la prima bolzanina figlia d’immigrati a ottenere la cittadinanza italiana alla prevista “scadenza” dei 18 anni: «Non che prima mi sentissi straniera, ma fu un momento importante - ci racconta Fatiha, al telefono da Bologna dove ora studia Giurisprudenza -. Mi sono sempre sentita bolzanina al cento per cento, anche se quando ritornavo a casa, in famiglia, entravo in un mondo diverso, e in un’altra lingua e cultura. Ma non mi consideravo metà italiana e metà marocchina. La mia seconda vita era una vita in più che mi arricchiva, non un limite».
 Ha sentito le parole di Napolitano? «Sì, e le condivido in pieno: se uno nasce in Italia dovrebbe essere considerato subito italiano. Quando sarò avvocato, spero di poter aiutare gli immigrati nelle loro battaglie legali».
 Torniamo a Bolzano, dove Artan Mullaymeri, presidente della Consulta comunale per gli stranieri, ieri ha assistito al parto della nuova legge provinciale: «Per la prima volta abbiamo una legge, e questo è positivo. La vera novità è che coordina tutti gli interventi a sostegno dell’immigrazione, prima separati e problematici. E poi alla Consulta comunale se ne aggiunge una provinciale. La legge ora è pronta ma mancano le norme d’attuazione, che le varie commissioni elaboreranno nelle prossime settimane. Il regolamento interno dovrà passare per il Consiglio provinciale. Le norme esistenti fino ad ora si erano occupate solo della prima accoglienza, adesso si cuole un intervento mirato alle nuove generazioni, ai figli degli immigrati. La legge che prevede la maggiore età per la cittadinanza risale al ’92: forse è il momento di aggiornarla...».
 Quanti minori sono interessati in Alto Adige?
 «Dati freschissimi: nel 2007 i minorenni stranieri erano il 5,6 per cento del totale, ora sono il 17,2. Nel 2010 il 24 per cento dei nuovi nati erano figli di stranieri».

Alto Adige 24-11-11
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domenica, 20 novembre 2011



Anni Trenta: il museo civico rischia la spoliazione

Il suo momento più difficile il museo civico di Bolzano lo visse tra gli anni Trenta e Quaranta, quando rischiò di essere depauperato con il trasferimento in Germania dei reperti che potevano testimoniare la tedeschità dell’Alto Adige. La Germania, che s’era ormai affacciata al Brennero, chiese per via diplomatica di poter entrare in possesso di queste testimonianze; l’Italia fascista ben volentieri se ne sbarazzava, e così fu raggiunto un accordo che, per fortuna, non andò in porto.
 Originariamente il museo civico si trovava nell’odierna via dell’Ospedale: uno spazio ridotto cui si volle dare più ampio respiro edificando una nuova sede nella Kaiserin Elisabeth-Strasse, ove si trova ora. Si costituì un comitato promotore del quale fu presidente il barone von Eyrl, e nel 1902 si iniziarono i lavori che terminarono nel 1905. Dell’inaugurazione scrisse la “Bozner Zeitung” il 16 aprile di quell’anno. Autorità ed invitati si riunirono nella sala grande, ove il barone von Eyrl tenne il discorso inaugurale, concluso con un triplice urrah all’imperatore. Poi parlò il sindaco Perathoner, che fece presente come il museo non avrebbe dovuto essere solo un contenitore di reperti, ma anche un centro culturale, un luogo d’incontro per conferenze e concerti. Poi il direttore, e cioè il pittore Tony Grubhofer, che illustrò le presenze più importanti, dai costumi tirolesi, ai minerali, ai quadri, ai reperti d’epoca antica, alle armi ed altro ancora, accompagnando successivamente gli ospiti di sala in sala. Iniziò così l’attività di una struttura che non ebbe mai, per la verità, vita felice, almeno per quanto riguarda il materiale esposto, in buona parte troppo “tedesco” per la mutata situazione politica dei decenni successivi. Accadde così che tra Italia e Germania si venne ad un accordo del quale scrisse una decina d’anni più tardi (19 settembre 1950) il giornale “Alto Adige”. “Quando nel 1939, in una clausola dell’accordo per l’espatrio in Germania degli optanti venne disposto che gli oggetti d’arte appartenenti alla cultura germanica dovessero essere asportati, (.) in una tempestosa seduta che fu notoriamente orchestrata da delegati della commissione culturale nazista, i membri della società del museo deposero ed espulsero il novantenne barone Eyrl, presidente della società stessa sin dalla sua fondazione, il quale aveva avuto il torto di opporsi alle pretese degli estremisti che richiedevano (.) il trasporto oltr’Alpe delle raccolte. In seguito a ciò la società venne messa sotto regime commissariale e fu decisa, da parte dei due governi, la spartizione degli oggetti d’arte secondo il principio già detto (.), di consegnare al governo tedesco gli oggetti d’arte appartenenti alla cultura germanica e di trattenere gli altri”.
 Il commissario germanico era il dott. Rigler, mentre il governo italiano aveva indicato l’allora sovrintendente alle belle arti dott. Rusconi, che preferì delegare la spinosa faccenda al dott. Nicolò Rasmo, allora direttore del museo. Prosegue il giornale:”Questi, d’accordo coi rappresentanti del gruppo dei soci optanti per l’Italia, riconosciuto che la spartizione pretesa dai due governi ledeva le norme statutarie ma che - dato il particolare momento - una opposizione legale non avrebbe portato a nessun esito, decise di mettere in pratica un’azione di continuo sabotaggio della progettata spartizione. In seguito a tale azione, a tre anni dall’inizio delle operazioni (che altrimenti avrebbero richiesto solo qualche mese) queste non erano ancora terminate”. C’è da aggiungere a questo punto che nel frattempo le armate germaniche erano dilagate anche per l’Alto Adige, che - con l’Alpenvorland - era stato in pratica annesso al Reich, e questa circostanza aveva fatto venire in parte meno l’insistenza delle autorità tedesche per il trasferimento delle collezioni oltre Brennero. L’atteggiamento caparbio e non collaborativo del dott. Rasmo, tuttavia, ebbe l’effetto di far inserire il suo nome negli elenchi delle persone da perseguire, e fu così che Rasmo fu arrestato ed internato in un campo di concentramento. Nel 1945, a liberazione avvenuta, il Museo si presentava in uno stato di desolante abbandono: danneggiato dai bombardamenti, dai vandali, svuotato delle raccolte trasportabili che erano state messe al sicuro altrove. Ma Rasmo - tornato dalla prigionia - si mise subito all’opera, e con i contributi della Cassa di Risparmio, della Camera di Commercio e del Comune il museo civico della nostra città riprese a vivere.
Alto Adige 20-11-11
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categoria:cultura
venerdì, 18 novembre 2011



«Lunga notte dei musei»

ALAN CONTI
Giochi e animazione per i bambini, atmosfere e gratuità per i giovani, approfondimenti e visite guidate per gli adulti: l’edizione 2011 della “Lunga notte dei musei” si propone come un evento intergenerazionale. Venerdì 25 novembre saranno sette i musei bolzanini ad aprire i battenti e consentire l’ingresso gratuito a tutti dalle 16 all’una di notte. Dal tramonto alle stelle, dunque, sarà possibile visitare mostre e installazioni della città senza sborsare un quattrino, ma a tutto questo si aggiunge un fitto programma di iniziative che trasformano la nottata in un menù culturale stuzzicante. Non a caso la formula che arriva al decimo anno di vita ha registrato un costante incremento di interesse passando dai 9.000 spettatori della prima edizione del 2002 ai 20.025 dell’anno passato, con la punta di 24.168 nel 2009.
 Venendo al concreto, però, i musei che resteranno aperti sono l’archeologico, il civico, scienze naturali, scuola, Museion, mercantile e Castel Roncolo. Da Ötzi all’arte contemporanea, dunque, l’offerta è temporalmente e qualitativamente ampia. Partendo proprio dalla mummia del Similaun vale la pena ricordare che l’attuale conformazione del museo archeologico rappresenta un unicuum dedicato al ventennale del ritrovamento dell’Iceman. Ogni piano, quindi, è una tappa attraverso le connessioni che collegano l’Uomo venuto dai ghiacci con il mondo contemporaneo oltre, ovviamente, al pezzo forte di Ötzi stesso. Particolare, invece, l’atmosfera del museo civico ancora in cerca di un futuro. In occasione della lunga notte ci si può concedere lo spettacolo della vista che offre la torre con un panorama che abbraccia ad est i tetti della città vecchia e a ovest, oltre il Talvera, la Bolzano di nuova espansione. Nel tragitto si può ammirare la mostra “Doni d’amore” che, tra regali di fidanzamento e piccoli segni d’amore, pare particolarmente azzeccata per gli animi romantici. Anniversario particolare, invece, per il museo della scuola dato che la “Dante Alighieri” che lo ospita celebra quest’anno il proprio centenario e propone alle 22 un appuntamento originale con la possibilità per tutti di portare il proprio libro di scuola preferito e leggerne un passo particolarmente significativo. Una didattica fai da te che può riservare sorprese.
 Le opere mediali, invece, sono le protagoniste del Museion che alle 1 chiuderà la nottata con uno spettacolo sulla facciata firmata da Michael Fliri. Da non perdere alle 24 la visita guidata all’esposizione condotta da Letizia Regaglia che del Museion è direttrice. Per chi ama i francobolli, invece, circoletto rosso attorno all’appuntamento con l’annullo speciale per la mostra sulla posta del passato al museo mercantile: una vera e propria esplorazione attorno ai cambiamenti del comunicare.
 Grande attenzione ai bambini, invece, al museo di scienze naturali dedicato ai dinosauri con memory, pittura e teatro dei piedi tra fossili e interessanti ricostruzioni. Suggestivo, infine, il programma di Castel Roncolo che propone dalle 17 musica antica e rappresentazioni medievali e alle 24 la visita guidata al ciclo di affreschi del Medioevo “Vizi e virtù” commissionato dai Vintler. Bus navetta dedicato con fermata in via Cassa di Risparmio. Tutti i musei, comunque, presenteranno fino alle 20 iniziative pensate per le famiglie e i bambini e l’intero programma è consultabile sul sito www.lunganotte.it.
 Particolarmente soddisfatto alla conferenza stampa di presentazione tenutasi ieri mattina a Palazzo Mercantile è Michl Ebner, presidente della Camera di commercio, che già getta lo sguardo al prossimo anno. «Nel 2012 mi piacerebbe offrire al pubblico la chicca dell’apertura delle cantine del museo mercantile che sono uno spettacolo unico». Si sofferma sul museo civico, invece, l’assessore alla cultura del Comune di Bolzano Patrizia Trincanato: «Dentro quelle sale è depositata la storia della città ed è giusto che questa collezione venga valorizzata».
Alto Adige 18-11-11
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mercoledì, 16 novembre 2011



A Bolzano torna la lunga notte dei musei

 BOLZANO. Venerdì 25 novembre avrà luogo la decima edizione della Lunga notte dei musei di Bolzano. Fino alle prime ore del giorno seguente, sette musei del capoluogo altoatesino terranno aperte gratuitamente le loro porte offrendo un variegato programma per grandi e piccoli. Partecipano Castel Roncolo, Museo Civico di Bolzano, Museo archeologico dell’Alto Adige, Museo della scuola, Museion, Museo mercantile e Museo di Scienze naturali dell’Alto Adige. Durante la Lunga notte, nei musei coinvolti sarà proposto un ampio programma di eventi ad ingresso libero.
Alto Adige 16-11-11
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categoria:cultura
lunedì, 14 novembre 2011



Con il volontariato s’impara la lingua e si trova l’amicizia

BOLZANO. Tra gli obiettivi del “Voluntariat per les llengües - Parliamoci in tedesco-Ich gebe mein Deutsch weiter”, progetto del dipartimento cultura Italiana della Provincia, c’è anche l’avvicinamento alla cultura tedesca locale, non solo la pratica della lingua. Le coppie formate in tutta la provincia per quest’iniziativa sono già 350 per un totale di 700 persone attive. Il progetto di volontariato linguistico abbina un volontario che mette a disposizione 10 ore del suo tempo per parlare in tedesco con un apprendente di madrelingua diversa che desidera migliorare le sue capacità espressive in questa lingua. Un’esperienza che arricchisce entrambi i partecipanti e che ha già visto nascere nuove amicizie.
 Per proseguire nello scambio linguistico in modo informale e per conoscere anche le usanze sudtirolesi nei giorni scorsi una trentina tra Volontari, apprendenti e organizzatori si sono ritrovati su un pullman con destinazione l’altopiano dello Sciliar per un Törggelen. Una breve passeggiata - come da tradizione - tra i colori dell’autunno ha permesso ai partecipanti di conoscersi meglio e di scambiare qualche impressione sul “loro” Voluntariat. Arrivati al Tschötscherhof a S.Osvaldo presso Siusi, maso che conta oltre 500 anni di storia, sono stati saluti dal vicepresidente della Provincia e Assessore alla Cultura Christian Tommasini.
 A tavola, degustando le ricette più tipiche del Törggelen, come lo “Schlachtplatte” o le frittelle ripiene di castagne oppure papavero, la conversazione è fluita piacevolmente in tedesco, a dimostrazione che mangiare, chiacchierare, ridere insieme sono uno dei modi più piacevoli ed efficaci di accostarsi all’altro. E ancor più lo è la musica: i presenti hanno ricevuto un fascicoletto con le canzoni che accompagnano solitamente il Törggelen.

Alto Adige 14-11-11
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domenica, 13 novembre 2011



Educazione alla legalità, arriva Anna Sarfatti

la scrittrice mercoledì incontrerà 300 bambini


«Verso Resistenze 2012» è un percorso di iniziative organizzate dal Dipartimento Cultura italiana della Provincia Autonoma di Bolzano per preparare già durante le ultime settimane del 2011 la seconda edizione del Festival delle Resistenze contemporanee, in programma dal 25 aprile al primo maggio del prossimo anno.
Il percorso prende il via con l’incontro di 300 bambini e ragazzi delle scuole elementari e medie altoatesine e la scrittrice esperta di educazione alla legalità Anna Sarfatti con la quale affronteranno il tema «L’educazione ai diritti e alla legalità» (la Sarfatti è autrice dei volumi «La Costituzione raccontata ai bambini» e «La Resistenza raccontata ai bambini», uscito nei mesi scorsi, ma anche di «Sei Stato tu? La Costituzione attraverso le domande dei bambini», scritto insieme al giudice Gherardo Colombo così come di «Educare alla legalità. Suggerimenti pratici e non per genitori e insegnanti»). L’incontro si svolgerà mercoledì 16 novembre 2011, con inizio alle ore 9.30, presso l’Aula Magna del Liceo scientifico «E.Torricelli» a Bolzano. L’incontro sarà introdotto dal vicepresidente della Provincia Christian Tommasini che sottolinea come «Con questa iniziativa vogliamo avviare il lavoro per la nuova edizione portando i temi che caratterizzano il Festival anche tra i bambini. I valori della Costituzione, il rispetto dei diritti e dei doveri, l’educazione alla legalità sono, infatti, il volano attorno al quale costruire il nostro futuro, proprio a partire dai più piccoli». I libri della Sarfatti sono un’introduzione originale ai più importanti articoli della Costituzione, che si rivolgono ai bambini con la vivacità e la freschezza delle rime e delle illustrazioni. L’idea di fondo è che non è mai troppo presto per conoscere e amare i concetti di diritto, dovere, libertà, uguaglianza, pace, giustizia e dignità. Un caso concreto, tratto dal libro della scrittrice, vale più do ogni altra spiegazione. L’approccio, per esempio, ad uno degli articoli chiave della Carta Costituzionale, il quarto, quello in cui si
riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro, avviene attraverso la semplificazione-esemplificazione dei suoi contenuti. Scrive l’autrice: «Ogni persona, ogni uomo, ogni donna, quando lavora si sente colonna, di questa grande casa-stivale, tetto sui monti, porte sul mare.
Ogni lavoro è ugualmente importante, serve il postino, il fabbro, il cantante. Serve chi assiste nonni e piccini, servono medici e contadini.
Servono braccia, menti, passione, serve l’impegno di tante persone. Siano immigrati, siano italiani
siano buddisti, laici o cristiani. Eppure c’è chi lavoro non trova, c’è chi lo perde, chi è solo in prova, chi non resiste perchè troppo spremuto, e in questi casi ha diritto a un aiuto».

Alto Adige 13-11-11
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giovedì, 10 novembre 2011



L’orrore della guerra raccontato agli scolari

LAIVES. Vent’anni e avere già vissuto esperienze terribili, di guerra, dolore e morte. Questo il destino toccato ad Alidad Shiri, ragazzo afgano, ospite recentemente della Scuola media tedesca “J.K.Franzelin”, dove ha raccontato la sua esperienza, dall’infanzia fino alla fuga dalla guerra che gli aveva portato via per sempre i genitori, la nonna e la sorella più piccola. Il padre di Alidad è morto dilaniato da una mina e lui, ancora piccolo, è stato affidato a una zia che lo ha curato per diversi anni fino a quando, nella drammatica realtà afgana, non gli ha consigliato di scappare da quell’orrore e cercare rifugio in Europa, meglio se in Inghilterra. Per Alidad questo viaggio è durato a lungo, con esperienze dure come quattro giorni nascosto sotto un camion, dalla Grecia a Venezia; quindi con un altro camion fino a Bolzano, dove finalmente si è potuto fermare e dove ora frequenta l’Istituto tecnico.
 Dalle sue parole, i ragazzi delle medie locali hanno potuto anche capire quanto fortunati siano a vivere qui e quali drammi scatenino le guerre. Con l’aiuto di Gina Abbate, il giovane Alidad ha anche scritto un libro autobiografico, intitolato “Via dalla pazza guerra”. (b.c.)
Alto Adige 10-11-11
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giovedì, 03 novembre 2011



«Cari indignados, siate concreti»

LUCA STICCOTTI
Il pubblico delle grandi occasioni ha accolto ieri sera nell’aula magna della Libera Università la filosofa ungherese Agnes Heller, ospite del Centro Pace del Comune di Bolzano e dell’ateneo bolzanino per un incontro pubblico che ha spaziato dalle tematiche care alla filosofa ai più recenti eventi della vita politica, sociale ed economica europea. L’avvio della serata è stato dedicato all’ultimo libro della Heller, che teorizza la “persona buona” come minimo comune denominatore da identificare come riferimento, tanto oggi quanto nel recente passato caratterizzato dai regimi totalitari. La filosofa è partita subito dal nocciolo della questione, spiegando che non vi è contraddizione tra l’esperienza da lei vissuta a contatto con nazismo e comunismo e la scelta di non occuparsi del carattere del “male”.
 Gettando uno sguardo ad un folto gruppo di indignados altoatesini presenti in sala ha quindi affermato che da giovane si sentiva indignata per il fatto di essere perseguitata, ma poi ha deciso di guardare le cose con uno sguardo diverso ed ha trovato proprio nell’individuazione delle “persone buone” nella società la via per uscire dal suo vicolo cieco.
 “Nelle memorie dei deportati è evidente il fatto che la loro vita è rimasta appesa ad un filo tenuto proprio da queste persone, spesso anonime, che li hanno aiutati non solo a mantenere viva la speranza ma proprio a restare in vita” ha ricordato, dicendo che anche alle “ignote persone buone” andrebbero dedicati dei monumenti com’è d’uso per i militi ignoti”.
 Per rafforzare il suo pensiero la filosofa ha quindi detto che preferisce incontrare persone buone che aderire alla “radicalità”, ritagliandosi in questo modo un ruolo eccentrico nel novero della ricerca filosofica contemporanea. Nel successivo dialogo con Cornelia Dell’Eva della Libera Università e Francesco Comina del Centro Pace Agnes Heller ha quindi identificato nelle ideologie dei totalitarismi le peggiori derive dell’umanità, forti di un meccanismo perverso che porta a confondere il bene e il male, provocando veri e propri deliri dell’irrazionalità.
 Ad una domanda sui fondamentalismi religiosi la Heller ha poi risposto seccamente, ricordando la loro origine europea, mentre ad un’altra sul fatto che vi siano o meno dei limiti nella distruttività dell’uomo ha invece risposto in maniera provocatoria riconoscendo nella limitatezza intrinseca della vita un vero e proprio salvagente per l’umanità. Il dialogo ha quindi virato sul tema dei bisogni delle persone, un altro classico della ricerca filosofica della Heller. Dopo aver rivendicato per ognuno il diritto di decidere sui propri bisogni la filosofa ungherese ha preso ad occuparsi del tema dell’economia impazzita, parlando in maniera tagliente e categorica. “I bisogni sono in continua evoluzione e quindi la società è perennemente insoddisfatta” ha detto, aggiungendo però che “la situazione attuale è molto grave”, individuando nel divario tra i ricchi e i poveri il problema di fondo e nel meccanismo attuale del mercato una situazione molto simile ad un vero e proprio cancro del sistema economico.
 “Oggi il mercato finanziario si autoriproduce, creando una ricchezza che non produce nulla e soprattutto nessun posto di lavoro. Si tratta di una ricchezza che la politica ha l’obbligo di ricondurre, riconsiderare e ridistribuire” ha ricordato.
 Agnes Heller ha concluso il suo incontro pubblico parlando proprio di politica e sviluppando un intenso dialogo con gli “indignados” presenti. “La gente - ha detto - deve sempre porsi l’obiettivo di trasformare la politica. La cosa naturalmente è importante anche se molto difficile nelle dittature, ma anche gli stati democratici si devono trasformare per essere ringiovaniti”. “Per fare ciò” ha ricordato, “ci sono degli strumenti come la democrazia diretta e non bisogna mai mollare. E’ come in un matrimonio: ci si può sempre lavorare sopra e bisogna ricordarsi che senza la democrazia non vi può essere libertà”.
 Le ultime parole la filosofa le ha quindi dedicate proprio agli indignados, invitandoli a non limitarsi all’indignazione e ad individuare azioni concrete soprattutto per alleviare le sofferenze ed aiutare le principali vittime dell’attuale crisi politico economica.
Alto Adige 3-11-11
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mercoledì, 02 novembre 2011



Oggi la filosofa Agnes Heller terrà un incontro pubblico alla Libera università

La celebre filosofa ungherese Agnes Heller, in regione in questi giorni su invito del Centro per la Pace, sarà ricevuta oggi, alle 11.30, dal sindaco di Bolzano Luigi Spagnolli. Alle ore 18 la Heller terrà un incontro pubblico nell’aula magna della Lub.
 Alla Libera Università di Bolzano sarà presente il rettore Walter Lorenz, mentre la filosofa sarà intervistata dal coordinatore del Centro per la Pace, Francesco Comina. La conferenza di Agnes Heller avrà la traduzione simultanea dall’inglese sia in italiano che in tedesco. “E’ la prima volta che vengo in Alto Adige - ha affermato la Heller appena arrivata a Bolzano - ma sono molto curiosa di conoscere la storia e l’attualità di questa terra dove vivono tre gruppi linguistici. Mi sento a casa dato che parlo con dimestichezza il tedesco. Mio padre (ucciso ad Auschwitz, ndr) era austriaco e ho sempre parlato in tedesco con lui. Voi vivete in un posto stupendo, i diritti fondamentali sono tutelati. Noi in Ungheria stiamo vivendo un momento difficilissimo. Le libertà, come la libertà di stampa, sono compresse da una politica di governo bonapartista che vuole controllare tutto. Nel mio paese è in atto una guerra all’intellighenzia e spero che l’Europa ci dia una mano”.
 Nata a Budapest nel 1929, sfuggita adolescente alle deportazioni naziste, diviene allieva e amica del filosofo György Lukács a 18 anni e ne condivide i tormentati rapporti con il partito comunista successivo alla rivolta del 1956. Durante il regime di Kádár, la Heller viene progressivamente privata della possibilità di insegnare, di viaggiare all’estero e di pubblicare i suoi libri.
 Ultimamente la Heller è tornata alla ribalta delle cronache per aver criticato duramente il governo ungherese per via della campagna di diffamazione orchestrata contro di lei e contro i suoi colleghi. «Assistiamo a un Kulturkampf - denuncia la Heller - a un’offensiva del potere contro gli intellettuali. La maggior parte delle personalità di rilievo dell’élite culturale è stata “eliminata”. È il caso, ad esempio, del direttore artistico e direttore d’orchestra dell’Opera di Budapest Adam Fischer, famoso a livello mondiale, o ancora del direttore del Balletto e di un gran numero di direttori di teatro, di redattori televisivi, di presentatori, di opinionisti, di giornalisti. Ed è in questo contesto che si inserisce l’attacco contro i filosofi».
Alto Adige 2-11-11
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mercoledì, 02 novembre 2011



Riapre il museo, ma dimezzato

BOLZANO. Conto alla rovescia per il Museo Civico, che riaprirà il 23 novembre in forma ridotta. E’ stato allestito il primo piano e la torre. Il Civico era chiuso dal 2003, se si escludono le sporadiche mostre allestite al piano terra. Il Comune ha voluto riaprire le porte e togliere dalla polvere almeno 200 opere delle collezioni, ma sul futuro di tutto il museo non c’è alcuna garanzia. «Con la Provincia la trattativa è ancora ferma», sottolinea l’assessore Patrizia Trincanato.
 E’ iniziato al Museo Civico il conto alla rovescia per l’inaugurazione del 23 novembre. I lavori di preparazione sono ancora in corso. Riaprirà il primo piano con sei sale e in più verrà allestita la torre con accesso alla pedana per una visione panoramica sulla città. 200 oggetti in esposizione scelti tra le diverse collezioni. Tra le novità, le vedute di Bolzano concesse in prestito dall’avvocato Arnaldo Loner, collezionista di opere dal Settecento al Novecento.
 E’ da 11 anni che Bolzano ha perso i contatti con il museo. Problemi legati alle norme di sicurezza ne decretarono la chiusura nel 2003. «Museo in corso» promette da anni lo striscione rosso sulla facciata, diventato a sua volta pezzo da collezione: è la storia dello smog cittadino.
 Nei mesi scorsi sono stati effettuati i lavori indispensabili di statica e messa a norma degli impianti per consentire la riapertura parziale. «L’alternativa era aspettare il grande cantiere di ristrutturazione e riaprire con il nuovo museo civico», racconta l’assessore alla Cultura Patrizia Trincanato, «ma passeranno anni e il ricordo del museo diventerebbe ancora più sfumato. Già oggi abbiamo una generazione di scolari che non lo hanno mai visitato». Questa settimana ci sarà un incontro tra Trincanato e Sovrintendenza scolastica per discutere proprio della ripresa delle visite al museo: «Presenterò una proposta di percorsi didattici sulla storia della città che comprendono il civico e i luoghi della memoria, a partire dal lager».
 Patrizia Trincanato parla al futuro e non al condizionale dei lavori di ampliamento e ristrutturazione dell’intero museo civico. Ma a tutt’oggi non è stata sbloccata la trattativa con la Provincia sul co-finanziamento. All’inizio di settembre erano riprese le schermaglie con Palazzo Widmann ma da allora, conferma Patrizia Trincanato, non si è mosso nulla: «Vorrei capire entro l’anno quale sarà il percorso. Il nostro approccio non è cambiato: puntare alla collaborazione, perché ciò andrebbe a vantaggio della città». Per collaborazione la Provincia intendeva lo scambio di palazzi tra museo civico e museo archeologico, dove Ötzi sta stretto. Di fronte al rifiuto comunale, i rapporti si sono irrigiditi e la Provincia non ha voluto discutere la proposta che il museo archeologico potesse condividere alcuni spazi del Civico ampliato per shop, biglietteria e aule didattiche. Durnwalder ha replicato mettendo in chiaro che di finanziamenti si parlerà dopo avere concordato una gestione mista tra Provincia e Comune del museo civico.
 Intanto il Comune ha ridimensionato il progetto. Gli architetti Christian Schwienbacher e Stefan Hitthaler, vincitori del concorso sull’ampliamento, hanno ultimato il progetto preliminare, riducendolo rispetto all’ipotesi iniziale. I costi preventivati sono passati da 20 a 14 milioni. La scelta di riapertura parziale ha provocato qualche critica. Silvia Spada, direttrice dell’ufficio Servizi museali, che sta lavorando al nuovo allestimento con il direttore del museo Stefan Demetz, sottolinea: «E’ una riapertura parziale e provvisoria per ricordare a tutti, politici, cittadini, visitatori, studenti, turisti, che il Museo civico ha una grande storia e bellissime collezioni». Più a lungo resta chiuso, più sarà difficile riaverlo.
Alto Adige 2-11-11
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martedì, 01 novembre 2011



L’Iniziativa per più Democrazia

BOLZANO. «Vogliamo vedere realizzate anche in Alto Adige quelle stesse efficaci regole di partecipazione diretta dei cittadini che la Svp vorrebbe vedere introdotte a livello nazionale»: l’Iniziativa per più Democrazia si dichiara «stupita del fatto che due senatori Svp, Oskar Peterlini e Manfred Pinzger, promuovano a Roma un disegno di legge costituzionale riguardante la riforma degli istituti di democrazia diretta che Iniziativa per più Democrazia potrebbe firmare senza indugi, mentre la Svp stessa sostiene un disegno di legge, ora al vaglio del consiglio provinciale, che in vari punti risulta impraticabile e viene respinto da “Iniziativa”».
 Il disegno di legge Peterlini prevede ad esempio l’introduzione del referendum confermativo applicabile su tutte le leggi varate dal Parlamento, realizzando con ciò l’elemento cardine della democrazia diretta, sottolinea l’Iniziativa. «Persino le soglie previste nel disegno di legge Peterlini, nonostante quest’ultimo abolisca il quorum di partecipazione, sono del tutto accettabili, contrariamente a quelle previste dal disegno di legge Schuler/Pichler Rolle che rendono il diritto di partecipazione praticamente inapplicabile».
Alto Adige 1-11-11
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venerdì, 28 ottobre 2011



Stangata al plurilinguismo

ALAN CONTI


BOLZANO. Ingabbiato dallo schema scolastico, frenato dalla presenza del dialetto, necessario, lodevole e anemico di contatto e scambio umano. Così il plurilinguismo visto con gli occhi degli studenti delle scuole superiori di entrambi i gruppi linguistici raccontati dai docenti universitari Siegfried Baur e Dietmar Larcher nel libro “Fit für Europa” (Edizioni Alpha Beta, 197 pagine, 18 euro). La presentazione del volume, tenutasi ieri alla Lub alla presenza tra gli altri del vicepresidente della Provincia Christian Tommasini, della dirigente dell’Istituto Comprensivo Bolzano VI Mirca Passarella e dell’ispettore per il tedesco Franz Lemayr, è stata l’occasione per tratteggiare la visione che i giovani hanno dell’altra lingua. Da Bolzano a Merano passando per Malles: il primo dato è che le peculiarità del territorio cambiano da zona a zona senza una particolare omogeneità territoriale. L’analisi, chiaramente, ha mosso i primi passi all’interno delle scuole: «Abbiamo selezionato studenti eccellenti e altri con difficoltà e sottoposto loro alcune domande per realizzare un profilo linguistico. Nel libro, però, le varie esperienze di monolinguismo o bilinguismo vengono proposte come un racconto libero». Si scopre, così, che una ragazza di 15 anni di Silandro ammette candidamente come “la scuola non mi abbia particolarmente aiutato per l’italiano. La vera molla motivazionale è legata alla frequentazione di amici esterni”. Non se la passano meglio le superiori italiane con un’alunna che non esita ad elencarne le difficoltà: «Abbiamo cambiato insegnante praticamente ogni anno, in prima tagliavamo le figurine... quindi ho imparato sicuramente di più in sei mesi di viaggio studio in Germania. Eppure siamo consci dell’importanza del tedesco». Tra le parole dei ragazzi spuntano anche limiti legati all’insegnamento o alla struttura del sistema scolastico: «Credo sia necessario espatriare per imparare davvero la lingua perché con i metodi adottati fino adesso non si ottengono risultati».
 Lo stesso patentino viene guardato con un certo sospetto: «Necessario per trovare un lavoro». Uguale destino per il dialetto tedesco definito «incomprensibile e lontano dalla lingua che viene insegnata a scuola». Ci sono pure giovani tedeschi che ammettono senza battere ciglio di «parlare Hochdeutsch solo a scuola durante lezione per un tempo effettivo di massimo 10 minuti al giorno». La flessione locale, però, contribuisce a scavare un solco tra centro urbano e rurale pure all’interno del mondo tedesco. «Una mia compagna meranese - dice uno studente della Val d’Ultimo - non mi capisce quando parlo dialetto». I giovani chiedono un forte contesto d’uso. Uno dei paradossi messi a nudo è la maggior dimestichezza con l’inglese.
Alto Adige 28-10-11
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giovedì, 27 ottobre 2011



Borse di studio per master e dottorati

BOLZANO. La Provincia sostiene gli studenti che a conclusione di un corso di studio universitario della durata di almeno tre anni intraprendono una formazione post-universitaria in forma di un master di I o II livello in Italia o un master post-laurea all’estero, di corso di specializzazione oppure un dottorato di ricerca o svolgono un tirocinio formativo o professionale. Le relative domande devono essere presentate entro il 31 gennaio e il 1º ottobre 2012. Possono inoltrare domanda gli studenti che nel periodo compreso tra il primo ottobre 2011 e il 30 settembre dell’anno prossimo iniziano o proseguono il loro percorso formativo post-laurea. La borsa di studio ammonta a un massimo di 9 mila euro. I dottorati di ricerca vengono finanziati per un periodo massimo di 4 anni accademici. Presupposti d’accesso principali: che gli studenti e le studentesse non superino il reddito massimo depurato stabilito dal vigente bando di concorso; non beneficiano di altri sussidi per la formazione; deve essere la loro prima formazione post-universitaria. Devono avere intrapreso la formazione post-universitaria entro sei anni dalla conclusione del corso di studio universitario. Per richiedere la borsa di studio ci si può rivolgere all’ufficio per il Diritto allo studio, a Bolzano in via Andreas Hofer 18. Informazioni anche su www.provinz.bz.it/bildungsfoerderung.
Alto Adige 27-10-11
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martedì, 25 ottobre 2011



Settimana corta, scuole scavalcate

 BOLZANO. L’inizio e la fine dell’anno scolastico e i giorni di scuola durante la settimana (se 5 o 6) saranno decisi dalla giunta provinciale, che cercherà di uniformare i calendari, e non più dalle singole scuole. Insomma l’esecutivo toglie un pezzo di autonomia degli istituti. Ieri la giunta ha approvato un articolo proposto dall’assessora alla scuola tedesca, Sabina Kasslatter Mur, nella legge finanziaria.
 Si tratta di un passo decisivo verso l’armonizzazione del calendario scolastico, anche se resta aperta la partita principale: ossia come cambiarlo, quel calendario. Che qualcosa sarà fatto è ormai fuori dubbio. Lo spiega la stessa Kasslatter Mur: «Nel settembre 2010 il consiglio provinciale ha approvato all’unanimità una mozione che chiedeva alla giunta di uniformare i calendari scolastici, che oggi sono lasciati interamente agli istituti. Noi vogliamo prendere sul serio l’indicazione del consiglio, ma per farlo dobbiamo togliere alle scuole la competenza sui calendari e ridarla alla giunta, altrimenti non è possibile modificare alcunché. La finanziaria andrà in aula a dicembre e, se il consiglio sarà coerente, questo articolo dovrà essere approvato. Nel frattempo proseguiremo il dibattito per capire come modificare il calendario e così a gennaio potremo approvare in giunta il nuovo regolamento». Regolamento che poi dovrà passare per la Consulta scolastica e il Consorzio dei Comuni, i cui pareri però non saranno vincolanti.
 Il dibattito, quindi. Al momento sul tavolo ci sono quattro ipotesi «e la mia idea - dice Kasslatter Mur - è che dobbiamo scegliere uno di questi modelli e poi semmai modificarlo se ci sono eccezioni particolari, che però non saranno etniche perché questa vicenda riguarda tutti gli 80 mila studenti dell’Alto Adige, dagli asili alle superiori». Le quattro ipotesi hanno una cosa in comune, la precondizione di tutta questa vicenda: il calendario dovrà valere per tutte le scuole di tutti i gruppi, tranne appunto poche e mirate eccezioni. Il primo modello prevede lezioni da lunedì a sabato compreso. Il secondo prevede di saltare un sabato ogni due. Il terzo di avere tutti i sabati liberi ma di non modificare l’inizio e la fine della scuola (rispettivamente a metà settembre e metà giugno), quindi prevedendo più rientri pomeridiani (fino a 4 nella formazione professionale). Il quarto prevede la settimana corta per tutti, non più di due rientri pomeridiani a settimana, ma il recupero delle ore anticipando di una settimana l’inizio della scuola e posticipando di una settimana la fine («e così verremmo anche incontro alla richiesta di avere l’estate più breve»). In tutti i casi il monte ore complessivo resterebbe quello attuale.
 La questione è molto discussa nel mondo della scuola - dove esistono forti differenze tra il gruppo italiano e quello tedesco, ma anche all’interno dei gruppi - e all’esterno. Per esempio i Comuni spingono per tenere chiuse le scuole il sabato per risparmiare sul riscaldamento, e anche per risparmiare sui trasporti: ogni giorno costano in tutto 100 mila euro. Anche le segreterie spingono per la settimana corta. D’altra parte alle superiori si teme che i sabati liberi renderebbero eccessivo il carico di studio durante la settimana. «In ogni caso qualcuno resterà deluso», chiosa Kasslatter Mur.
 In giunta ha votato l’articolo anche l’assessore alla scuola italiana, Christian Tommasini: «È vero che si toglie un po’ di autonomia alle scuole - dice - ma era concordato, se vogliamo una certa uniformità dei calendari non si può fare altro che dare la competenza alla giunta. Bisogna trovare un punto di equilibrio tra coordinamento generale e autonomia scolastica. Ma il problema non è l’uniformità dei calendari: la partita si gioca su quale modello si vuole adottare. Deve esserci la garanzia di una scelta condivisa (anche se le posizioni sono diversificate anche all’interno del gruppo italiano) e non di una decisione a maggioranza». (m.r.)
Alto Adige 25-10-11
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categoria:cultura
giovedì, 20 ottobre 2011


Migranti e non, un ponte tra le culture

RICCARDO VALLETTI

Teatri, musei e tutto il mondo dell’associazionismo si mobilitano per favorire la contaminazione culturale da parte dei nuovi altoatesini, migranti e figli di migranti.
 Questo è il progetto culturale per l’integrazione patrocinato dalla ripartizione Cultura della Provincia. Sotto lo slogan «Con nuove culture», annunciato ieri dal vicepresidente Tommasini a palazzo Widmann, si articola la nuova offerta del panorama culturale altoatesino. «Non più offerte dedicate agli stranieri - spiega Tommasini - ma una nuova sinergia tra le associazioni culturali altoatesine e straniere per un unico progetto».
Il progetto, presentato come un laboratorio aperto ai contributi di tutte le associazioni culturali presenti nel territorio, si articolerà per fasi: prima l’analisi dell’utenza, poi un percorso di formazione per gli operatori culturali, quindi la presentazione di istanze dalle associazioni di stranieri e infine una progettazione comune di eventi e manifestazioni.
 Il progetto ha già un comitato scientifico, formato Giovanna Guerzoni, antropologa docente all’università di Bologna, Gabriella Presta, della tutela di rifugiati e immigrati per la cooperazione e sviluppo e Maurizio Ambrosini, sociologo delle migrazioni e docente a Trieste. «Queste attività - spiega il vicepresidente della giunta - serviranno a fare leva anche su quella parte di politici che si mostrano ancora scettici al tema dell’integrazione».
Nel ventunesimo secolo, l’analisi dell’antropologa, «siamo costretti a muoverci in un mondo complesso e necessariamente plurale, in cui le trasformazioni sociali sono profonde e rapidissime». Un mondo fatto di reti sociali fluide, prosegue Guerzoni, «che ci fanno sentire strattonati tra omologazione e una necessaria dimora stabile». Per queste ragioni, critica Tommasini «è impensabile chiuderci nel sogno di una patria etnica, la globalizzazione non si fermerebbe davanti ai confini di uno stato sudtirolese».
 Ma trasmettere questo messaggio in giunta è complicato, confessa il politico, «ci sono ancora posizioni molto dure su questo tema, nonostante nelle nostre scuole la percentuale di stranieri sia al 25%».
Per battere la paura del diverso quindi, e consentire il reciproco arricchimento di conoscenza, la scommessa è sulla cultura. «È in gioco la nostra crescita - afferma Tommasini - potremo superare questa fase di stallo solo se riusciremo ad inserirci nel flusso migratorio, un ruolo che storicamente ci appartiene».
 La risposta dalle associazioni è stata immediata, e già per il programma culturale 2011/2012 il cartellone è pieno di eventi sperimentali.

Un cartellone pensato anche al femminile

Il progetto «Con nuove culture» ha coinvolto tutte le principali istituzioni culturali altoatesine, in collaborazione con le associazioni di migranti. Il primo appuntamento è già questa domenica, con la visita guidata della città organizzata dal Fondo Ambiente Italiano e la Società Dante Alighieri in collaborazione con l’associazione albanese Arberia: appuntamento alle 17 in piazza del Grano per scoprire la Bolzano Medievale. Per tutto l’autunno il Teatro Cristallo, in collaborazione con la cooperativa Teatro Blu, Dante Alighieri e Istituto Scolastico Bolzano 1, ospiterà una rassegna dedicata alle famiglie sotto lo slogan «dalla scuola al teatro passando per l’accoglienza dei bambini migranti»; prossimo appuntamento domenica 29, ore 16,30 per «Bianca e Neve», rivisitazione della famosa fiaba per bambini. Per un pubblico tutto al femminile invece hanno collaborato Museion, Donne Nissà, Museo di Scienze, Eurac, biblioteca Claudia Augusta e l’associazione «Il gioco degli specchi». (ri.va.)
Alto Adige 20-10-11
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giovedì, 20 ottobre 2011


Addio a Zanzotto, un grande poeta del Novecento

Aveva festeggiato i 90 anni appena pochi giorni fa: Andrea Zanzotto, uno degli ultimi grandi poeti del secondo Novecento, è morto ieri mattina. I funerali saranno celebrati dopodomani 21 ottobre nel duomo di Pieve di Soligo (Treviso).
 Zanzotto è deceduto all’ospedale di Conegliano, nel suo Veneto che non ha mai abbandonato e per il quale non voleva la secessione. Il poeta era nato a Pieve di Soligo, in provincia di Treviso, il 10 ottobre del 1921. Da sempre impegnato in difesa dell’ambiente, ha trovato nei boschi, nei cieli, nel paesaggio della campagna veneta la sua ispirazione fin dall’infanzia, quando bambino andava con il padre pittore, antifascista, a contemplare il paesaggio che poi ritrovava a casa, nei suoi quadri. E proprio i versi dedicati al padre ha voluto leggere il giorno del suo compleanno in cui è rimasto “toccato” dalle parole dell’“amico” Napolitano che ha ricordato i “comuni trascorsi studenteschi a Padova negli anni della guerra”.
 “Dal paesaggio - aveva più volte detto Zanzotto - ricevevo una forza di bellezza e tranquillità. Ecco perchè la distruzione del paesaggio è stata per me un lutto terribile”. Così come è stata una grande sofferenza veder crescere l’anima leghista. Recentemente il poeta non aveva risparmiato parole dure al Carroccio dicendo di provare “repulsione” ogni volta che sentiva la Lega parlare dell’Unità d’Italia. A Padova, la città in cui si era laureato in Lettere nel 1942 con fra gli insegnanti Diego Valeri, e di cui aveva la cittadinanza onoraria, Zanzotto era molto legato. Ma, il poeta del paesaggio e delle angosce e ossessioni del nostro tempo, aveva più volte spiegato di scrivere versi “per attraversare quest’epoca rotta e maledetta”. E a novant’anni aveva comunque parole di speranza per i giovani: “c’è sempre una possibilità positiva. Come la scoperta scientifica dei neutrini”. Autore prolifico di raccolte in versi ma anche di testi in prosa come “Sull’Altopiano”, Zanzotto ha usato il dialetto in un quarto della sua opera. Nel 1951 uscì la sua prima raccolta “Dietro il paesaggio” con cui vinse il Premio San Babila per gli inediti che aveva in giuria Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, Salvatore Quasimodo, Leonardo Sinisgalli e Vittorio Sereni. Poeta di ispirazione neoclassica, lontano da “I Novissimi” Nanni Balestrini, Elio Pagliarani, Edoardo Sanguineti, Alfredo Giuliani e Antonio Porta, Zanzotto ha raccontato il silenzio della natura e la violenza della storia in tutti i suoi versi raccolti da Mondadori per i suoi novant’anni.
Alto Adige 19-10-11
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giovedì, 06 ottobre 2011



Treno della memoria, atto secondo

ALAN CONTI
BOLZANO. Un biglietto per un viaggio nella storia. Il treno della memoria passerà anche quest’anno attraverso i binari altoatesini e offrirà a 150 ragazzi tra i 16 e i 24 anni un’opportunità per conoscere da vicino drammi e meccanismi del nazifascismo. Presentata ieri l’edizione 2012, la seconda in Alto Adige, dell’iniziativa “Treno della memoria” organizzata a livello nazionale dall’associazione “Terra del Fuoco”. Dal 26 gennaio al 1 febbraio, infatti, un treno partirà dall’Italia in direzione Cracovia per visitare il campo di sterminio di Auschwitz. Alla stazione, però, si presenteranno solo giovani, perché è a loro che si rivolge la riflessione e l’esperienza di un percorso da cui certamente si torna cambiati. Da quest’anno, inoltre, l’esperienza si arricchisce di un forte programma parallelo di preparazione tessuto dalle associazioni giovanili locali “Arciragazzi” e “Agjd-Arbeitgemeinschaft der Jugenddienste”. Accessibile il prezzo di partecipazione fissato a 65 euro per partecipante. Per chi avesse varcato da poco la soglia d’età massima, invece, esiste una finestra per ributtarsi con entusiasmo all’interno del progetto ed è rappresentata dalla figura dei “peer leader”. Le due associazioni, infatti, cercano giovani che possano trasmettere il sapere storico e porsi come ideale «trait d’union» con ragazzi non troppo distanti d’età.
 Una buona mano all’organizzazione del “Treno della Memoria”, comunque, arriva dall’ente pubblico e in particolare dai due assessorati alle politiche giovanili. «E’ un progetto molto importante - sottolinea l’assessore Christian Tommasini che l’anno scorso condivise alcuni momenti del viaggio con i ragazzi - perché tocca le corde dell’emozione e, al contempo, promuove la società democratica del futuro e il rispetto delle diversità». Stessa lunghezza d’onda per l’omologa tedesca Sabina Kasslatter Mur: «Questo treno costringe i giovani a confrontarsi con il passato e a porsi delle domande esistenziali. Si sviluppano uno spirito critico e una coscienza storica, per loro una crescita».
 Tra gli appuntamenti che accompagneranno l’avvicinamento alla partenza del treno va segnalata la proiezione, oggi alle 20, al Filmclub Capitol del film “Wider das Vergessen”. «Seguirà un dibattito - precisa la collaboratrice dell’Agjd Verena Hafner - con gli assessori perché è importante affrontare il viaggio con un percorso di preparazione approfondito». Chiude la conferenza stampa la testimonianza di Giacomo Gatti, partecipante l’anno passato e attento a mettere l’accento su un’esperienza condivisa con il mondo tedesco: «Non è un fatto banale, anzi si tratta di un viaggio difficile che ti mette di fronte a testimonianza di un certo impatto emotivo. Da questo, però, riusciamo a comprendere come le divisioni etniche siano un danno sociale, economico e civile o come il bilinguismo e la condivisione siano armi veramente vincenti». Info.: 3346474427.
Alto Adige 6-10-11
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domenica, 02 ottobre 2011



Gatterer: «I monumenti restino al loro posto e spieghino la storia»

Tanti argomenti. Passioni, pulsioni, idee. Pubblico e privato. Ma nei «Diari 1974-1984» di Claus Gatterer, appena usciti da Raetia a cura di Thomas Hanifle, trovi spesso e volentieri l’attualità, anche se sono pagine scritte nel tempo passato. Come quando il giornalista altoatesino scomparso 27 anni fa a Vienna si sofferma sui monumenti d’epoca fascista in Alto Adige, in particolare su quello all’Alpino di Brunico. Li avrebbe lasciati dove stanno, monito alle future generazioni. «Spieghino il nazionalismo che avvelena la convivenza e la storia che ci sta dietro», così Gatterer nel 1981.
 Eppure non era stato sempre così. Lo ricorda lo stesso Gatterer. Nel suo discorso sulla «difficoltà di essere sudtirolese oggi”, quando ricevette il premio della stampa dell’Alto Adige nel 1981, il giornalista disse riferendosi al monumento alla Vittoria: “Faschistische Rhetorik und protzige Lüge in Marmor und Stein. Einmal war ich dafür, dass man es schleifen sollte. Heute denk ich anders: auch Lüge, Größenwahn, Chauvinismus sollen ihre Denkmäler haben - als historische Warnzeichen”. Ecco Gatterer avrebbe lasciato i monumenti dove stanno: «Il Kapuzinerwastl (monumento all’alpino di Brunico, ndr) è già diventato parte dell’identità locale, lo dice il nome». L’autore di «Bel paese, brutta gente» e di «Italiani maledetti, maledetti austriaci» voleva che il nazionalismo e la storia a monte dei monumenti fossero spiegati. Senza senso l’eliminazione di statue e bassorilievi vari, evitando così di disperdere tracce di «menzogna e retorica fascista». Restino il marmo e il granito. «Per Claus Gatterer era importante fare avvicinare quella che lui chiamava la piccola gente e in generale i gruppi linguistici in Alto Adige», spiega Thomas Hanifle che ha curato la stesura dei diari. Per il giornalista e storico tutti gli abitanti dell’Alto Adige erano vittime di un nazionalismo che avvelenava la convivenza. «Gatterer si è sempre impegnato per il dialogo tra altoatesini e sudtirolesi, spiegando loro la storia - quella dell’altro - e anche le vicende storiche dietro i monumenti», ancora Hanifle. Ecco che nel dicembre 1981 il monumento all’Alpino, viene definito «il più grande invalido della provincia». Oppure, sempre nello stesso periodo: «I monumenti come minimo devono saper parlare, per giustificare la loro presenza». E nel settembre del 1982: «Se spostiamo il “Kapuzinerwastl” da dove si trova, si potrà ancora chiamare con quel nome?»
 Fin qui la questione dei monumenti. Nei diari Gatterer analizza poi in modo puntiglioso la scena politica internazionale e le ostentazioni dei suoi conterranei altoatesini. Ricco di spunti pungenti, gli scritti del giornalista scomparso nel 1984 affrontano tematiche intriganti relative all’ambito dell’Orf, la televisione pubblica austriaca e la lotta per la soppravvivenza del suo programma televisivo «teleobjektiv». Dopo la morte improvvisa della moglie le annotazioni contenute nei diari si trasformano in un quotidiano più intimo. Qui è da rimarcare, inoltre, l’ottimo lavoro di Thomas Hanifle che ha curato i diari, parte integrante di un’opera in tre volumi frutto del lascito del giornalista. Già vincitore del premio Gatterer nel 2006, Hanifle è l’autore anche del libro «Claus Gatterer: Im Zweifel auf Seiten der Schwachen».
 Claus Gatterer. Ein Einzelgänger, ein Dachs vielleicht, Tagebücher 1974-1984, edizioni Raetia, 18 euro.
Alto Adige 2-10-11
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sabato, 01 ottobre 2011



La dichiarazione etnica sarà anonima

BOLZANO. Nei prossimi giorni arriveranno nelle case degli altoatesini due lettere con le istruzioni per compilare il censimento. Meglio però precisare che c’è un documento, la dichiarazione di appartenenza al gruppo etnico, che non si potrà compilare via internet e che verrà quindi ritirato da uno degli 800 rilevatori. Ancora più importante sottolineare che questa volta i moduli relativi al censimento etnico non saranno due come dieci anni or sono, ma uno soltanto: quello, assolutamente anonimo, in cui ci si dovrà dichiarare italiani, tedeschi o ladini. Ancora più importante sottolineare che questa dichiarazione a fini statistici non ha nulla a che fare con quella nominativa e giuridica depositata in Tribunale e che determina l’appartenenza etnica ai fini dei concorsi pubblici. Questa seconda, che si compila solo alla maggiore età o quando serve ai fini appunto burocratici, può essere resa in qualsiasi momento, indipendentemente dall’imminente censimento, tenendo presente che si può mutare gruppo solo 18 mesi dopo la prima dichiarazione. Dunque nessun legame fra la dichiarazione anonima di questo censimento e quella nominativa depositata in Tribunale. Proprio per questo, chi nel 2001 si è dichiarato - magari per opprotunismo - di un gruppo che non era il suo, può tranquillamente dichiarare il vero senza incorrere in alcuna contraddizione: la dichiarazione etnica questa volta è a soli fini statistici e l’obiettivo è quindi quello di fornire una fotografia assolutamente veritiera, non “ritoccata”, della realtà altoatesina nel giorno preciso del 9 ottobre. Meglio ricordare, comunque, che la composizione dei gruppi etnici che risulterà dal censimento anonimo determinerà la proporzionale per l’assegnazione di case e contributi vari.
 I dati del censimento andranno riferiti a quella data anche se potranno essere compilati nei successivi due mesi. Per quanto riguarda la compilazione via internet, è una possibilità, non un obbligo. Una possibilità che se usata in grandi numeri snellirebbe di molto le operazioni di sintesi dei dati e la pubbicazione dei risultati. (f.za.)
Alto Adige 1-10-11
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sabato, 01 ottobre 2011



Censimento, l’ombra del quarto gruppo

FABIO ZAMBONI
BOLZANO. Ci accorgiamo che esistono i ladini solo quando fanno le cose meglio di noi: l’artigianato, l’ospitalità turistica, la compattezza culturale e politica. O quando, come oggi, si accorgono loro, prima degli altri, di certe opportunità, come il censimento che fra una settimana arriverà a fotografarci. A una settimana, appunto, da una scadenza così importante, mentre gli enti pubblici e i rappresentanti di italiani e tedeschi latitano sul fronte dell’informazione al cittadino, ecco che i ladini approfittano della scadenza legata alla Giornata della cultura ladina (ieri), per dedicarla tutta all’informazione sul censimento e ovviamente anche alla ricaduta che l’evento avrà sul loro gruppo etnico. Per tutti, occasione per ricordare la scadenza e i suoi dettagli, partendo dalle novità e dalle problematiche legate al censimento.
 Sotto l’avveniristica volta trasparente del cortile interno di Palazzo Widmann, ieri mattina il convegno “Censimento e proporzionale. Riflessioni e sviluppi” ha illustrato al meglio la cornice in cui s’inserisce il censimento e ma anche il quadro vero e proprio. Al tavolo dei relatori i rappresentanti del mondo ladino - l’assessore Mussner e Werner Stuflesser (presidente dell’Accademia Europea di Bolzano -, il giurista Francesco Palermo come direttore dell’Istituto per lo studio del federalismo e del regionalismo, esponenti del mondo ladino protagonisti a fine mattinata di un dibattito più specifico, e last but not least il presidente Durnwalder che dopo il messaggio introduttivo è salito ai piani superiori per altri impegni, ma che ha promesso nei prossimi giorni da parte della Provincia un appuntamento informativo ufficiale sul censimento ormai imminente. Che, lo ricordiamo, proporrà due grandi novità: la compilazione via internet per chi lo vorrà fare, e la dichiarazione anonima di appartenenza etnica a soli fini statistici ma con effetto diretto sulla proporzionale.
 Kasslatter ha offerto cifre interessanti sull’evoluzione del panorama demografico locale, con variazioni pur minime - al censimento del 1991 i tedeschi erano il 68 per cento e gli italiani il 27,6, a quello del 2001 il rapporto era 69% contro 26,5 - con i ladini costanti al 4,3. Ha poi sottolineato il vantaggio della compattezza territoriale dei ladini. Francesco Palermo ha messo il dito sul problema più delicato, quello dei mistilingui, che ancora una volta verranno ignorati dal censimento. «Ci si chiede che senso avrebbe rilevarli se lo Statuto stesso li ignora. Ebbene, visto che si tratta di un censimento a fini statistici, incominciamo col rilevarli per poi andare a lavorare su nuove politiche sociali che potrebbero delinearsi, per mettere mano allo Statuto stesso e incominciare a considerare pressoché esaurito il compito della proporzionale e la sua stessa esistenza». Del resto, parliamo di una popolazione mistilingue che ormai raggiunge, secondo stime diverse, fra i 25 mila i 35 mila soggetti. Percentuali importanti. Palermo ha poi descritto il prossimo censimento come una soluzione imperfetta ma comunque bilanciata, dinamica, anche se la sua funzione “servente” la proporzionale la rende meno affidabile rispetto ad altre forme di censimento.
Alto Adige 1-10-11
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categoria:cultura
venerdì, 23 settembre 2011



Maratona letteraria per Alex Langer

 BOLZANO. Maratona letteraria dedicata ad Alexander Langer in occasione del TrentoFilmFestival. L’appuntamento è per mercoledì 28 settembre all’interno degli spazi di MontagnaLibri in piazza Walther a Bolzano quando, a partire dalle 18, si svolgerà la lettura integrale e collettiva degli scritti del giornalista, scrittore e politico, fondatore dei Verdi in Italia.
 In quell’occasione verrà presentato «Fare ancora - Weiter machen», un libro dedicato alla figura intensa, ricchissima e sicuramente controversa di Alexander Langer. L’opera, edita da alphabeta e curato da Gaia Carroli e Davide Dellai, raccoglie interventi su Langer da parte di personaggi del mondo della politica, del giornalismo, dell’associazionismo e della Chiesa e fa parte del progetto “Sulle orme di Ulisse”, un percorso ideato dal comitato culturale dell’associazione Cristallo, che vuole portare l’attenzione della comunità su persone che hanno percorso nel passato e indicano ancora oggi vie di convivenza possibile.
 Il libro, in distribuzione presso le librerie a partire da mercoledì 28 settembre a 15 euro, vuole ricordare Langer sotto diversi punti di vista: come politico, cattolico, rivoluzionario, insegnante, ma soprattutto come personaggio “ponte” tra culture. A sedici anni dalla sua scomparsa, in molti hanno aderito alla proposta di fermarsi a riflettere sui temi langeriani, senza alcuna pretesa di giudizio o “dietrologie”, ma piuttosto come fonte di stimolo e fermento alla discussione. Erri De Luca lo definisce “militante rivoluzionario”. Goffredo Fofi invece lo ricorda come un “utopista concreto”, mentre Arnold Tribus libera l’eredità di Langer da bandiere di parte.
 Tra gli altri interventi, nel libro un capitolo a parte è dedicato alla trascrizione del convegno del 1989 presso l’Accademia Cusano di Bressanone, al quale presero parte sia Langer, che espose una “tesi sull’attuabilità politica di una conversione ecologica”, sia Karl Golser, futuro vescovo, che propose invece delle “Thesen zur Umweltethik”. Interessante è notare il filo rosso - come ricorda Luca Sticcotti nella sua introduzione a questo capitolo - che accomuna gli interventi del politico e del teologo. Nel volume si capisce che tutti gli spunti e gli argomenti per i quali Langer si è battuto non sono restati “lettera morta”: sono diventati dei mattoni sui quali si sono poste le basi per una convivenza piena e reale.
 Apre il libro un’attenta e attualissima analisi storica scritta da due studiosi, Leopold Steurer e Carlo Romeo, che si concentra sull’impegno di Langer per un “altro Sudtirolo” e per la sua battaglia contro il censimento del 1981. Si prosegue poi sul filo dei ricordi e delle testimonianze, con interventi - ciascuno volutamente lasciato nella propria madrelingua - di Edi Rabini, Gina Abbate, Giovanni Accardo, Guido De Nicolò, Umberto Gandini, Mao Valpiana, Peter Kammerer, Aldo Mazza, Tritan Miftyu, Francesco Palermo, Uwe Staffler, Monica Trettel, Franz Tutzer, Francesco Comina, Enzo Nicolodi, Sandro Ottoni, Günther Pallaver, Hans Karl Peterlini, Paolo Bill Valente e molti altri.
Alto Adige 23-9-11
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lunedì, 29 agosto 2011



Volontariato, un nuovo progetto interregionale

BOLZANO. Promozione e sostegno nell’accoglienza di nuovi volontari: la Federazione per il Sociale e la Sanità assieme ai Csv (Centri di servizio per il Volontariato) di Trento, Belluno, Vicenza, Valle D’Aosta e Biella promuovono un progetto di sviluppo del volontariato. Con la costituzione di un gruppo di lavoro interregionale hanno preso il via i lavori per una indagine che dal 2012 coinvolgerà in varie regioni molte associazioni in workshop e focus group, visite di esplorazione e di confronto. Ciò significa aprire occasioni di incontro per raccogliere buone prassi e realizzare in modo partecipato nuove formule di sostegno al volontariato, specie nel delicato momento dell’accoglienza. Quale migliore occasione che quella di partire proprio nel 2011 Anno europeo del volontariato? “Il nostro impegno è di fare in modo che la gente si incontri, promuova il sostegno reciproco, sappia confrontarsi nel gruppo e attivarsi a favore della comunità” dice Stefan Hofer, presidente della Federazione. “Il volontariato viene inteso come carburante per metter in moto comunità, guardando a un futuro dove si riscoprono risorse del territorio basate su relazioni e valorizzazione della persona.”
Alto Adige 29-8-11
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lunedì, 29 agosto 2011



Stalking, colpisce la ex al volto e poi fugge

BOLZANO. Da mesi la perseguitava con messaggini, chiamate e lettere. Non solo: per settimane l’ha aspettata all’uscita dal lavoro, davanti all’ingresso della sua abitazione e nei bar frequentati da lei. Alla fine l’ex fidanzata, una bolzanina di trenta anni, si è rivolta alle forze dell’ordine. Il suo ex compagno era arrivato a colpirla al volto perché si rifiutava di tornare con lui. E’ scattata la denuncia. Ma l’uomo, un cittadino dell’Est, è fuggito.
 Dopo anni di convivenza una bolzanina ha deciso di lasciare il proprio compagno, uno straniero dell’Est di trenta anni. Ed è lì che è iniziato l’inferno della donna, che per mesi è stata perseguitata dall’ex giorno dopo giorno. Per questo motivo, alla fine, ha deciso di denunciare l’uomo per stalking alle forze dell’ordine.
 Immediatamente è stata aperta un’inchiesta e dalla Procura è arrivato il primo avvertimento. Non è servito a nulla: gli inquirenti hanno deciso dunque di emettere un mandato di arresto nei confronti dello straniero. Quest’ultimo, però, ha capito che sarebbe finito in carcere e ha lasciato l’Italia in fretta e furia. Ora è ricercato.
 Il dramma della bolzanina è iniziato un anno fa, dopo avere deciso di mettere la parola fine ad una relazione che non funzionava più. Il suo compagno, infatti, era troppo possessivo e la controllava in tutto. Ma non è servito a nulla dire all’uomo che era finita. Lo straniero ha iniziato a chiamarla giorno e notte. La donna riceveva fino a cinquanta chiamate al giorno. Per non parlare degli sms che le venivano inviati: l’ex compagno l’insultava e poi le chiedeva scusa, giurando che sarebbe cambiato. Ma ai no della donna l’uomo riprendeva con gli insulti.
 Alla fine la bolzanina ha denunciato il suo «incubo» alle forze dell’ordine. In Procura è stata aperta un’indagine seguita dal sostituto procuratore Giancarlo Bramante. Lo straniero è stato «invitato» a non avvicinarsi più alla donna. In tal caso avrebbe rischiato di finire in carcere. Per qualche giorno le cose sembravano migliorate. Poi, all’improvviso, il trentenne ha ripreso con gli appostamenti. La bolzanina lo trovava all’uscita dal lavoro e sotto casa. Oramai si faceva accompagnare dalle amiche quando doveva fare la spesa, per paura di essere aggredita dall’ex compagno. Ed infatti è quello che è successo l’ultima volta che l’ha visto. L’uomo l’ha colpita al volto. Poi è fuggito, lasciando precipitosamente l’Italia.
Alto Adige 27-8-11
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categoria:cultura
lunedì, 22 agosto 2011



Una mostra sulla storia postale

GIANCARLO ANSALONI
Attraversando la piana di Campo di Trens verso nord, lungo l’autostrada del Brennero, poco a sud di Vipiteno non può sfuggire allo sguardo del viaggiatore l’imponente profilo di un castello, che dall’ alto di uno sperone roccioso con la sua torre centrale, pare un gigante a guardia di una piana, un tempo palude pressoché impraticabile. E’ uno dei più belli e meglio conservati dell’Alto Adige, noto ai tedeschi con un nome piuttosto comune: Reifenstein. Il nome italiano è Castel Tasso, che a prima vista potrebbe suonare del tutto erroneamente come un’arbitraria traduzione dal tedesco della famiglia, ultima proprietaria del castello rilevato nel 1813 dall’Ordine teutonico, dal nome altisonante: Thurn und Taxis, notissimo nonché ricchissimo casato nobiliare di area -austro-tedesca. Si tratta infatti dalla dinastia fondatrice, verso il 1500, delle comunicazioni postali così come ancora oggi sono concepite, estese in tutta l’ Europa.
 Ma che c’entrano appunto i Thurn und Taxis con il “Tasso”? C’entrano eccome, anche se la loro storia è pressoché sconosciuta ai più. Se si torna indietro nei secoli si scopre che “Thurn und Taxis altro non è che la traduzione in tedesco di un casato lombardo.
 Il nome originario sarebbe quello della famiglia Della Torre o Torriani, già signori di Milano, forse cacciati dai Visconti e rifugiatisi nel Bergamasco, più precisamente a Camerata di Cornello in Val Brembana. Qui la famiglia avrebbe aggiunto al cognome, per vezzo, un “Taxis”, tasformatosi poi negli anni in Tasso, Tassi o Tassis, riferita (secondo una versione) all’animale più diffuso nella zona.
 Sta di fatto che l’odierno paese Cornello del Tasso, ritenuto uno dei borghi più belli d’Italia, è sede dell’ interessantissimo “Museo della storia postale”. Ed eccoci finalmente al punto, cioè proprio la storia postale, che coinvolgerà in pieno Bolzano, grazie a una mostra la cui inaugurazione è prevista per il 14 novembre prossimo nelle sale di Palazzo Mercantile, che resterà aperta per un anno intero. All’organizzazione sta lavorando da tempo un comitato di esperti di Bolzano, Innsbruck e Bergamo, con il coordinamento della responsabile del Museo Mercantile, la dottoressa Lucia Nardelli.
 Un lavoro certosino e difficile quello degli organizzatori, come spiega la dottoressa Nardelli, che ritiene opportuno non sbilanciarsi prematuramente circa i “pezzi” che andranno a formare la rassegna, in quanto si tratta per lo più di pezzi d’antiquariato scovati qua e là e disponibili solo grazie al...buon cuore dei proprietari.
 Per ora si può anticipare che uno dei pezzi “forti” dovrebbe essere una carrozza postale originale, proveniente dal museo di Teodone di Brunico, che dominerà pressoché solitaria, la sala al I piano del Palazzo di Via Argentieri. La Sala di Rappresentanza al II piano non sarà coinvolta, data la delicatezza dell’arredamento: al II piano invece una prima sezione dovrebbe essere dedicata a vari “accessori” originali, preziosi pezzi d’antiquariato: si parla ad esempio, di insegne postali marcate sia Thurn und Taxis, sia Asburgo con l’aquila bicipite, inoltre una cosiddetta “bolgetta”, cioè la borsa dei messaggeri a cavallo, antesignani delle carrozze, cassette portavalori solitamente poggiate sul retro delle diligenze, cartine geografiche con l’indicazione dei vari itinerari, tabelle orarie dettagliatissime in fatto di arrivi e partenze da rispettare rigorosamente, oltre, si spera, a un corno, classico strumento “musicale” divenuto simbolo tuttora vivo e vegeto, delle Poste di tutti i Paesi, grazie al quale il postiglione annunciava, con un “linguaggio” composto da otto motivi diversi, il suo arrivo e le sue esigenze immediate per il cambio cavalli, già all’ingresso del centro abitato.
 Il cambio dei cavalli avveniva, per lo più ogni venti chilometri, in apposite stalle, annesse di solito a locande, divenute poi col progresso i classici “Hotel Posta”, presenti in quasi tutti i paesi e le città collegate al servizio.
 Il che si può verificare quasi in ogni paese dell’Alto Adige, dove ci si imbatte in un immancabile Hotel Post, recante un’insegna con l’inconfondibile corno. D’altro canto l’Alto Adige era uno dei transiti più battuti dalle carrozze del servizio postale, grazie al valico del Brennero, il più accessibile delle Alpi, ma anche uno dei più aspri, teatro di perigliosi viaggi, specialmente quando i cavalli erano costretti a combattere con neve, bufere e ghiaccio e anche con le valanghe.
 La terza sezione della mostra ricostruirà la storia della posta raccontata, oltre che da esemplari di corrispondenza (per lo più pieghevoli senza busta per ridurre il peso, chiusi con cera lacca) soprattutto attraverso i francobolli che sostituirono tasse varie, compresi i “pedaggi” al varco dei numerosi confini dell’epoca, quando l’Europa, e l’ Italia in particolare, era divisa in ducati, principati, contee e così via. La storia tuttavia partirà soltanto dal 1840, anno di nascita del francobollo, apparso per la prima volta in Inghilterra, che valse ad agevolare il servizio, grazie all’introduzione del pagamento anticipato del recapito.

I Tasso, una famiglia diventata ricca

Non è raro imbattersi al giorno d’oggi, sfogliando libri, ristampe o visitando musei della regione, in acqueforti e disegni, soprattutto d’impronta “romantica” ottocentesca, raffiguranti drammatiche scene di diligenze con il marchio delle Poste, semisommerse nella neve, legate a cavalli impennati, in lotta con bufere sul ciglio di forre sovrastate da rocce che scaricano valanghe. Si tratta molto spesso di immagini riferite proprio al tragitto lungo l’asse del Brennero attraverso il valico che era notoriamente un passaggio obbligato fra Nord e Sud inserito nella rete europea, anche per le carrozze dei Thurn und Taxis,. soprattutto dopo che il ben noto imperatore Massimiliano I e il nipote Carlo V decisero, ai primi del ‘500, di affidare ai Tasso, non ancora “germanizzati” un servizio postale in grado di garantire collegamenti rapidi e sicuri tra le sedi imperiali e le città europee.
L’accordo segnò il lancio definitivo di una famiglia di imprenditori partiti da zero sull’onda di una corrente migratoria dal Bergamasco verso Venezia. Tra questi “migranti” già nel 1200 c’era un Omodeo Tasso del Cornello, che si era fatto le ossa con servizi locali, avviando poi i collegamenti fra Bergamo con Venezia fino a inserirsi nella Compagnia dei Corrieri della Serenissima, titolare fra l’altro delle comunicazioni col Vaticano. Così nacquero le premesse per il successivo balzo a livello europeo con l’ingaggio da parte degli Asburgo che vollero la creazione di una fitta rete di collegamenti, coordinati tutti da una vastissima ramificazione genealogica della Casata. Fu così fondata una sede centrale a Ratisbona (Regensburg) da parte di Francesco Tasso, che fu anche uno dei primi ad essere insignito di titoli nobiliari assumendo il nome di Thurn und Taxis. Nella rete di collegamenti rientravano a pieno titolo anche Bolzano e Trento, i cui uffici furono affidati, attorno al 1520, a Elisabetta Tasso col marito Bono Bordogna, mentre a Innsbruck si insediò il cugino Gabriele. L’immensa struttura dei Thurn und Taxis andò avanti fino alla fine del ‘700, quando il servizio fu nazionalizzato sotto il regime napoleonico. I Tasso proseguirono comunque, in appalto, nell’area austro-tedesca, con 450 uffici e l’introduzione di propri francobolli fino al 1867,allorché la Germania unificata sotto la Prussia nazionalizzò le Poste.
I Tasso - Thurn und Taxis, complice anche l’avvento e l’estensione delle ferrovie (compresa quella del Brennero) cessarono il servizio. Ormai ricchissimi, si “ritirarono” nella loro residenza ufficiale tuttora esistente, a Regensburg, investendo altresì in residenze decentrate, tra cui appunto il Castel Tasso di Vipiteno. (gi. an.)
Alto Adige 22-8-11
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venerdì, 19 agosto 2011



Avanzano i nuovi altoatesini non più solo italiani o tedeschi E cercano rappresentanza

Una nuova fase per l’Alto Adige è matura. Ci sono i segnali da entrambi i gruppi etnici di una maturazione di una convivenza allargata. Prendo ad esempio i giovani della Svp che danno una loro interpretazione al futuro di alcuni monumenti fascisti a Bolzano sostenendo l’idea di trasformarli in musei. Nella stessa maniera sempre i giovani Svp ragionano a voce alta su grossi investimenti relativi alla cittadella dello sport. Dalla parte della comunità italiana c’è una forte richiesta di bilinguismo per rassicurare il futuro delle nuove generazioni.
Ma, cosa significativa, c’è la necessità di affermare la propria comunità quale elemento del territorio non più italiani ma altotesini autonomisti. Pertanto anche le forze che rappresentavano la comunità non riescono a dare sicurezza e fiducia. Ci stiamo incamminando verso una nuova era dove l’Alto Adige si compone di diverse minoranze è quella italiana autonomista vuole finalmente essere protagonista. Probabilmente anche nella scelta dei sui rappresentanti ci saranno dei cambiamenti anzi temo ci sarà un rivoluzione pacifica. Stare tare uniti paga sopratutto se gli obbiettivi da raggiungere sono importanti per consolidare questa voglia di identità. Anche la crisi di alcuni partiti lacerati dalla beghe interne renderà più celere il processo ma c’è l’urgenza di affrontare anche la crisi economica che sta spaventando sopratutto le famiglie. Per arrivare ad una nuova stabilità dello scenario locali si dovrà affrontare e risolvere il tema dell’etica dei Politici riportando al valore del bene comune. Personalmente credo ci sia bisogno di stabilire delle regole che fissino la durata dell’incarico dei politici a due mandati escludendo al termine del mandato a possibilità di entrare in altri incarichi pubblici o di aziende partecipate.
Alto Adige 19-8-11
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mercoledì, 02 novembre 2011



Riapre il museo, ma dimezzato

BOLZANO. Conto alla rovescia per il Museo Civico, che riaprirà il 23 novembre in forma ridotta. E’ stato allestito il primo piano e la torre. Il Civico era chiuso dal 2003, se si escludono le sporadiche mostre allestite al piano terra. Il Comune ha voluto riaprire le porte e togliere dalla polvere almeno 200 opere delle collezioni, ma sul futuro di tutto il museo non c’è alcuna garanzia. «Con la Provincia la trattativa è ancora ferma», sottolinea l’assessore Patrizia Trincanato.
 E’ iniziato al Museo Civico il conto alla rovescia per l’inaugurazione del 23 novembre. I lavori di preparazione sono ancora in corso. Riaprirà il primo piano con sei sale e in più verrà allestita la torre con accesso alla pedana per una visione panoramica sulla città. 200 oggetti in esposizione scelti tra le diverse collezioni. Tra le novità, le vedute di Bolzano concesse in prestito dall’avvocato Arnaldo Loner, collezionista di opere dal Settecento al Novecento.
 E’ da 11 anni che Bolzano ha perso i contatti con il museo. Problemi legati alle norme di sicurezza ne decretarono la chiusura nel 2003. «Museo in corso» promette da anni lo striscione rosso sulla facciata, diventato a sua volta pezzo da collezione: è la storia dello smog cittadino.
 Nei mesi scorsi sono stati effettuati i lavori indispensabili di statica e messa a norma degli impianti per consentire la riapertura parziale. «L’alternativa era aspettare il grande cantiere di ristrutturazione e riaprire con il nuovo museo civico», racconta l’assessore alla Cultura Patrizia Trincanato, «ma passeranno anni e il ricordo del museo diventerebbe ancora più sfumato. Già oggi abbiamo una generazione di scolari che non lo hanno mai visitato». Questa settimana ci sarà un incontro tra Trincanato e Sovrintendenza scolastica per discutere proprio della ripresa delle visite al museo: «Presenterò una proposta di percorsi didattici sulla storia della città che comprendono il civico e i luoghi della memoria, a partire dal lager».
 Patrizia Trincanato parla al futuro e non al condizionale dei lavori di ampliamento e ristrutturazione dell’intero museo civico. Ma a tutt’oggi non è stata sbloccata la trattativa con la Provincia sul co-finanziamento. All’inizio di settembre erano riprese le schermaglie con Palazzo Widmann ma da allora, conferma Patrizia Trincanato, non si è mosso nulla: «Vorrei capire entro l’anno quale sarà il percorso. Il nostro approccio non è cambiato: puntare alla collaborazione, perché ciò andrebbe a vantaggio della città». Per collaborazione la Provincia intendeva lo scambio di palazzi tra museo civico e museo archeologico, dove Ötzi sta stretto. Di fronte al rifiuto comunale, i rapporti si sono irrigiditi e la Provincia non ha voluto discutere la proposta che il museo archeologico potesse condividere alcuni spazi del Civico ampliato per shop, biglietteria e aule didattiche. Durnwalder ha replicato mettendo in chiaro che di finanziamenti si parlerà dopo avere concordato una gestione mista tra Provincia e Comune del museo civico.
 Intanto il Comune ha ridimensionato il progetto. Gli architetti Christian Schwienbacher e Stefan Hitthaler, vincitori del concorso sull’ampliamento, hanno ultimato il progetto preliminare, riducendolo rispetto all’ipotesi iniziale. I costi preventivati sono passati da 20 a 14 milioni. La scelta di riapertura parziale ha provocato qualche critica. Silvia Spada, direttrice dell’ufficio Servizi museali, che sta lavorando al nuovo allestimento con il direttore del museo Stefan Demetz, sottolinea: «E’ una riapertura parziale e provvisoria per ricordare a tutti, politici, cittadini, visitatori, studenti, turisti, che il Museo civico ha una grande storia e bellissime collezioni». Più a lungo resta chiuso, più sarà difficile riaverlo.
Alto Adige 2-11-11
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martedì, 01 novembre 2011



L’Iniziativa per più Democrazia

BOLZANO. «Vogliamo vedere realizzate anche in Alto Adige quelle stesse efficaci regole di partecipazione diretta dei cittadini che la Svp vorrebbe vedere introdotte a livello nazionale»: l’Iniziativa per più Democrazia si dichiara «stupita del fatto che due senatori Svp, Oskar Peterlini e Manfred Pinzger, promuovano a Roma un disegno di legge costituzionale riguardante la riforma degli istituti di democrazia diretta che Iniziativa per più Democrazia potrebbe firmare senza indugi, mentre la Svp stessa sostiene un disegno di legge, ora al vaglio del consiglio provinciale, che in vari punti risulta impraticabile e viene respinto da “Iniziativa”».
 Il disegno di legge Peterlini prevede ad esempio l’introduzione del referendum confermativo applicabile su tutte le leggi varate dal Parlamento, realizzando con ciò l’elemento cardine della democrazia diretta, sottolinea l’Iniziativa. «Persino le soglie previste nel disegno di legge Peterlini, nonostante quest’ultimo abolisca il quorum di partecipazione, sono del tutto accettabili, contrariamente a quelle previste dal disegno di legge Schuler/Pichler Rolle che rendono il diritto di partecipazione praticamente inapplicabile».
Alto Adige 1-11-11
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venerdì, 28 ottobre 2011



Stangata al plurilinguismo

ALAN CONTI


BOLZANO. Ingabbiato dallo schema scolastico, frenato dalla presenza del dialetto, necessario, lodevole e anemico di contatto e scambio umano. Così il plurilinguismo visto con gli occhi degli studenti delle scuole superiori di entrambi i gruppi linguistici raccontati dai docenti universitari Siegfried Baur e Dietmar Larcher nel libro “Fit für Europa” (Edizioni Alpha Beta, 197 pagine, 18 euro). La presentazione del volume, tenutasi ieri alla Lub alla presenza tra gli altri del vicepresidente della Provincia Christian Tommasini, della dirigente dell’Istituto Comprensivo Bolzano VI Mirca Passarella e dell’ispettore per il tedesco Franz Lemayr, è stata l’occasione per tratteggiare la visione che i giovani hanno dell’altra lingua. Da Bolzano a Merano passando per Malles: il primo dato è che le peculiarità del territorio cambiano da zona a zona senza una particolare omogeneità territoriale. L’analisi, chiaramente, ha mosso i primi passi all’interno delle scuole: «Abbiamo selezionato studenti eccellenti e altri con difficoltà e sottoposto loro alcune domande per realizzare un profilo linguistico. Nel libro, però, le varie esperienze di monolinguismo o bilinguismo vengono proposte come un racconto libero». Si scopre, così, che una ragazza di 15 anni di Silandro ammette candidamente come “la scuola non mi abbia particolarmente aiutato per l’italiano. La vera molla motivazionale è legata alla frequentazione di amici esterni”. Non se la passano meglio le superiori italiane con un’alunna che non esita ad elencarne le difficoltà: «Abbiamo cambiato insegnante praticamente ogni anno, in prima tagliavamo le figurine... quindi ho imparato sicuramente di più in sei mesi di viaggio studio in Germania. Eppure siamo consci dell’importanza del tedesco». Tra le parole dei ragazzi spuntano anche limiti legati all’insegnamento o alla struttura del sistema scolastico: «Credo sia necessario espatriare per imparare davvero la lingua perché con i metodi adottati fino adesso non si ottengono risultati».
 Lo stesso patentino viene guardato con un certo sospetto: «Necessario per trovare un lavoro». Uguale destino per il dialetto tedesco definito «incomprensibile e lontano dalla lingua che viene insegnata a scuola». Ci sono pure giovani tedeschi che ammettono senza battere ciglio di «parlare Hochdeutsch solo a scuola durante lezione per un tempo effettivo di massimo 10 minuti al giorno». La flessione locale, però, contribuisce a scavare un solco tra centro urbano e rurale pure all’interno del mondo tedesco. «Una mia compagna meranese - dice uno studente della Val d’Ultimo - non mi capisce quando parlo dialetto». I giovani chiedono un forte contesto d’uso. Uno dei paradossi messi a nudo è la maggior dimestichezza con l’inglese.
Alto Adige 28-10-11
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giovedì, 27 ottobre 2011



Borse di studio per master e dottorati

BOLZANO. La Provincia sostiene gli studenti che a conclusione di un corso di studio universitario della durata di almeno tre anni intraprendono una formazione post-universitaria in forma di un master di I o II livello in Italia o un master post-laurea all’estero, di corso di specializzazione oppure un dottorato di ricerca o svolgono un tirocinio formativo o professionale. Le relative domande devono essere presentate entro il 31 gennaio e il 1º ottobre 2012. Possono inoltrare domanda gli studenti che nel periodo compreso tra il primo ottobre 2011 e il 30 settembre dell’anno prossimo iniziano o proseguono il loro percorso formativo post-laurea. La borsa di studio ammonta a un massimo di 9 mila euro. I dottorati di ricerca vengono finanziati per un periodo massimo di 4 anni accademici. Presupposti d’accesso principali: che gli studenti e le studentesse non superino il reddito massimo depurato stabilito dal vigente bando di concorso; non beneficiano di altri sussidi per la formazione; deve essere la loro prima formazione post-universitaria. Devono avere intrapreso la formazione post-universitaria entro sei anni dalla conclusione del corso di studio universitario. Per richiedere la borsa di studio ci si può rivolgere all’ufficio per il Diritto allo studio, a Bolzano in via Andreas Hofer 18. Informazioni anche su www.provinz.bz.it/bildungsfoerderung.
Alto Adige 27-10-11
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categoria:cultura, giovani
martedì, 25 ottobre 2011



Settimana corta, scuole scavalcate

 BOLZANO. L’inizio e la fine dell’anno scolastico e i giorni di scuola durante la settimana (se 5 o 6) saranno decisi dalla giunta provinciale, che cercherà di uniformare i calendari, e non più dalle singole scuole. Insomma l’esecutivo toglie un pezzo di autonomia degli istituti. Ieri la giunta ha approvato un articolo proposto dall’assessora alla scuola tedesca, Sabina Kasslatter Mur, nella legge finanziaria.
 Si tratta di un passo decisivo verso l’armonizzazione del calendario scolastico, anche se resta aperta la partita principale: ossia come cambiarlo, quel calendario. Che qualcosa sarà fatto è ormai fuori dubbio. Lo spiega la stessa Kasslatter Mur: «Nel settembre 2010 il consiglio provinciale ha approvato all’unanimità una mozione che chiedeva alla giunta di uniformare i calendari scolastici, che oggi sono lasciati interamente agli istituti. Noi vogliamo prendere sul serio l’indicazione del consiglio, ma per farlo dobbiamo togliere alle scuole la competenza sui calendari e ridarla alla giunta, altrimenti non è possibile modificare alcunché. La finanziaria andrà in aula a dicembre e, se il consiglio sarà coerente, questo articolo dovrà essere approvato. Nel frattempo proseguiremo il dibattito per capire come modificare il calendario e così a gennaio potremo approvare in giunta il nuovo regolamento». Regolamento che poi dovrà passare per la Consulta scolastica e il Consorzio dei Comuni, i cui pareri però non saranno vincolanti.
 Il dibattito, quindi. Al momento sul tavolo ci sono quattro ipotesi «e la mia idea - dice Kasslatter Mur - è che dobbiamo scegliere uno di questi modelli e poi semmai modificarlo se ci sono eccezioni particolari, che però non saranno etniche perché questa vicenda riguarda tutti gli 80 mila studenti dell’Alto Adige, dagli asili alle superiori». Le quattro ipotesi hanno una cosa in comune, la precondizione di tutta questa vicenda: il calendario dovrà valere per tutte le scuole di tutti i gruppi, tranne appunto poche e mirate eccezioni. Il primo modello prevede lezioni da lunedì a sabato compreso. Il secondo prevede di saltare un sabato ogni due. Il terzo di avere tutti i sabati liberi ma di non modificare l’inizio e la fine della scuola (rispettivamente a metà settembre e metà giugno), quindi prevedendo più rientri pomeridiani (fino a 4 nella formazione professionale). Il quarto prevede la settimana corta per tutti, non più di due rientri pomeridiani a settimana, ma il recupero delle ore anticipando di una settimana l’inizio della scuola e posticipando di una settimana la fine («e così verremmo anche incontro alla richiesta di avere l’estate più breve»). In tutti i casi il monte ore complessivo resterebbe quello attuale.
 La questione è molto discussa nel mondo della scuola - dove esistono forti differenze tra il gruppo italiano e quello tedesco, ma anche all’interno dei gruppi - e all’esterno. Per esempio i Comuni spingono per tenere chiuse le scuole il sabato per risparmiare sul riscaldamento, e anche per risparmiare sui trasporti: ogni giorno costano in tutto 100 mila euro. Anche le segreterie spingono per la settimana corta. D’altra parte alle superiori si teme che i sabati liberi renderebbero eccessivo il carico di studio durante la settimana. «In ogni caso qualcuno resterà deluso», chiosa Kasslatter Mur.
 In giunta ha votato l’articolo anche l’assessore alla scuola italiana, Christian Tommasini: «È vero che si toglie un po’ di autonomia alle scuole - dice - ma era concordato, se vogliamo una certa uniformità dei calendari non si può fare altro che dare la competenza alla giunta. Bisogna trovare un punto di equilibrio tra coordinamento generale e autonomia scolastica. Ma il problema non è l’uniformità dei calendari: la partita si gioca su quale modello si vuole adottare. Deve esserci la garanzia di una scelta condivisa (anche se le posizioni sono diversificate anche all’interno del gruppo italiano) e non di una decisione a maggioranza». (m.r.)
Alto Adige 25-10-11
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categoria:cultura
giovedì, 20 ottobre 2011


Migranti e non, un ponte tra le culture

RICCARDO VALLETTI

Teatri, musei e tutto il mondo dell’associazionismo si mobilitano per favorire la contaminazione culturale da parte dei nuovi altoatesini, migranti e figli di migranti.
 Questo è il progetto culturale per l’integrazione patrocinato dalla ripartizione Cultura della Provincia. Sotto lo slogan «Con nuove culture», annunciato ieri dal vicepresidente Tommasini a palazzo Widmann, si articola la nuova offerta del panorama culturale altoatesino. «Non più offerte dedicate agli stranieri - spiega Tommasini - ma una nuova sinergia tra le associazioni culturali altoatesine e straniere per un unico progetto».
Il progetto, presentato come un laboratorio aperto ai contributi di tutte le associazioni culturali presenti nel territorio, si articolerà per fasi: prima l’analisi dell’utenza, poi un percorso di formazione per gli operatori culturali, quindi la presentazione di istanze dalle associazioni di stranieri e infine una progettazione comune di eventi e manifestazioni.
 Il progetto ha già un comitato scientifico, formato Giovanna Guerzoni, antropologa docente all’università di Bologna, Gabriella Presta, della tutela di rifugiati e immigrati per la cooperazione e sviluppo e Maurizio Ambrosini, sociologo delle migrazioni e docente a Trieste. «Queste attività - spiega il vicepresidente della giunta - serviranno a fare leva anche su quella parte di politici che si mostrano ancora scettici al tema dell’integrazione».
Nel ventunesimo secolo, l’analisi dell’antropologa, «siamo costretti a muoverci in un mondo complesso e necessariamente plurale, in cui le trasformazioni sociali sono profonde e rapidissime». Un mondo fatto di reti sociali fluide, prosegue Guerzoni, «che ci fanno sentire strattonati tra omologazione e una necessaria dimora stabile». Per queste ragioni, critica Tommasini «è impensabile chiuderci nel sogno di una patria etnica, la globalizzazione non si fermerebbe davanti ai confini di uno stato sudtirolese».
 Ma trasmettere questo messaggio in giunta è complicato, confessa il politico, «ci sono ancora posizioni molto dure su questo tema, nonostante nelle nostre scuole la percentuale di stranieri sia al 25%».
Per battere la paura del diverso quindi, e consentire il reciproco arricchimento di conoscenza, la scommessa è sulla cultura. «È in gioco la nostra crescita - afferma Tommasini - potremo superare questa fase di stallo solo se riusciremo ad inserirci nel flusso migratorio, un ruolo che storicamente ci appartiene».
 La risposta dalle associazioni è stata immediata, e già per il programma culturale 2011/2012 il cartellone è pieno di eventi sperimentali.

Un cartellone pensato anche al femminile

Il progetto «Con nuove culture» ha coinvolto tutte le principali istituzioni culturali altoatesine, in collaborazione con le associazioni di migranti. Il primo appuntamento è già questa domenica, con la visita guidata della città organizzata dal Fondo Ambiente Italiano e la Società Dante Alighieri in collaborazione con l’associazione albanese Arberia: appuntamento alle 17 in piazza del Grano per scoprire la Bolzano Medievale. Per tutto l’autunno il Teatro Cristallo, in collaborazione con la cooperativa Teatro Blu, Dante Alighieri e Istituto Scolastico Bolzano 1, ospiterà una rassegna dedicata alle famiglie sotto lo slogan «dalla scuola al teatro passando per l’accoglienza dei bambini migranti»; prossimo appuntamento domenica 29, ore 16,30 per «Bianca e Neve», rivisitazione della famosa fiaba per bambini. Per un pubblico tutto al femminile invece hanno collaborato Museion, Donne Nissà, Museo di Scienze, Eurac, biblioteca Claudia Augusta e l’associazione «Il gioco degli specchi». (ri.va.)
Alto Adige 20-10-11
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categoria:cultura, donne
giovedì, 20 ottobre 2011


Addio a Zanzotto, un grande poeta del Novecento

Aveva festeggiato i 90 anni appena pochi giorni fa: Andrea Zanzotto, uno degli ultimi grandi poeti del secondo Novecento, è morto ieri mattina. I funerali saranno celebrati dopodomani 21 ottobre nel duomo di Pieve di Soligo (Treviso).
 Zanzotto è deceduto all’ospedale di Conegliano, nel suo Veneto che non ha mai abbandonato e per il quale non voleva la secessione. Il poeta era nato a Pieve di Soligo, in provincia di Treviso, il 10 ottobre del 1921. Da sempre impegnato in difesa dell’ambiente, ha trovato nei boschi, nei cieli, nel paesaggio della campagna veneta la sua ispirazione fin dall’infanzia, quando bambino andava con il padre pittore, antifascista, a contemplare il paesaggio che poi ritrovava a casa, nei suoi quadri. E proprio i versi dedicati al padre ha voluto leggere il giorno del suo compleanno in cui è rimasto “toccato” dalle parole dell’“amico” Napolitano che ha ricordato i “comuni trascorsi studenteschi a Padova negli anni della guerra”.
 “Dal paesaggio - aveva più volte detto Zanzotto - ricevevo una forza di bellezza e tranquillità. Ecco perchè la distruzione del paesaggio è stata per me un lutto terribile”. Così come è stata una grande sofferenza veder crescere l’anima leghista. Recentemente il poeta non aveva risparmiato parole dure al Carroccio dicendo di provare “repulsione” ogni volta che sentiva la Lega parlare dell’Unità d’Italia. A Padova, la città in cui si era laureato in Lettere nel 1942 con fra gli insegnanti Diego Valeri, e di cui aveva la cittadinanza onoraria, Zanzotto era molto legato. Ma, il poeta del paesaggio e delle angosce e ossessioni del nostro tempo, aveva più volte spiegato di scrivere versi “per attraversare quest’epoca rotta e maledetta”. E a novant’anni aveva comunque parole di speranza per i giovani: “c’è sempre una possibilità positiva. Come la scoperta scientifica dei neutrini”. Autore prolifico di raccolte in versi ma anche di testi in prosa come “Sull’Altopiano”, Zanzotto ha usato il dialetto in un quarto della sua opera. Nel 1951 uscì la sua prima raccolta “Dietro il paesaggio” con cui vinse il Premio San Babila per gli inediti che aveva in giuria Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, Salvatore Quasimodo, Leonardo Sinisgalli e Vittorio Sereni. Poeta di ispirazione neoclassica, lontano da “I Novissimi” Nanni Balestrini, Elio Pagliarani, Edoardo Sanguineti, Alfredo Giuliani e Antonio Porta, Zanzotto ha raccontato il silenzio della natura e la violenza della storia in tutti i suoi versi raccolti da Mondadori per i suoi novant’anni.
Alto Adige 19-10-11
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categoria:cultura
giovedì, 06 ottobre 2011



Treno della memoria, atto secondo

ALAN CONTI
BOLZANO. Un biglietto per un viaggio nella storia. Il treno della memoria passerà anche quest’anno attraverso i binari altoatesini e offrirà a 150 ragazzi tra i 16 e i 24 anni un’opportunità per conoscere da vicino drammi e meccanismi del nazifascismo. Presentata ieri l’edizione 2012, la seconda in Alto Adige, dell’iniziativa “Treno della memoria” organizzata a livello nazionale dall’associazione “Terra del Fuoco”. Dal 26 gennaio al 1 febbraio, infatti, un treno partirà dall’Italia in direzione Cracovia per visitare il campo di sterminio di Auschwitz. Alla stazione, però, si presenteranno solo giovani, perché è a loro che si rivolge la riflessione e l’esperienza di un percorso da cui certamente si torna cambiati. Da quest’anno, inoltre, l’esperienza si arricchisce di un forte programma parallelo di preparazione tessuto dalle associazioni giovanili locali “Arciragazzi” e “Agjd-Arbeitgemeinschaft der Jugenddienste”. Accessibile il prezzo di partecipazione fissato a 65 euro per partecipante. Per chi avesse varcato da poco la soglia d’età massima, invece, esiste una finestra per ributtarsi con entusiasmo all’interno del progetto ed è rappresentata dalla figura dei “peer leader”. Le due associazioni, infatti, cercano giovani che possano trasmettere il sapere storico e porsi come ideale «trait d’union» con ragazzi non troppo distanti d’età.
 Una buona mano all’organizzazione del “Treno della Memoria”, comunque, arriva dall’ente pubblico e in particolare dai due assessorati alle politiche giovanili. «E’ un progetto molto importante - sottolinea l’assessore Christian Tommasini che l’anno scorso condivise alcuni momenti del viaggio con i ragazzi - perché tocca le corde dell’emozione e, al contempo, promuove la società democratica del futuro e il rispetto delle diversità». Stessa lunghezza d’onda per l’omologa tedesca Sabina Kasslatter Mur: «Questo treno costringe i giovani a confrontarsi con il passato e a porsi delle domande esistenziali. Si sviluppano uno spirito critico e una coscienza storica, per loro una crescita».
 Tra gli appuntamenti che accompagneranno l’avvicinamento alla partenza del treno va segnalata la proiezione, oggi alle 20, al Filmclub Capitol del film “Wider das Vergessen”. «Seguirà un dibattito - precisa la collaboratrice dell’Agjd Verena Hafner - con gli assessori perché è importante affrontare il viaggio con un percorso di preparazione approfondito». Chiude la conferenza stampa la testimonianza di Giacomo Gatti, partecipante l’anno passato e attento a mettere l’accento su un’esperienza condivisa con il mondo tedesco: «Non è un fatto banale, anzi si tratta di un viaggio difficile che ti mette di fronte a testimonianza di un certo impatto emotivo. Da questo, però, riusciamo a comprendere come le divisioni etniche siano un danno sociale, economico e civile o come il bilinguismo e la condivisione siano armi veramente vincenti». Info.: 3346474427.
Alto Adige 6-10-11
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categoria:cultura
domenica, 02 ottobre 2011



Gatterer: «I monumenti restino al loro posto e spieghino la storia»

Tanti argomenti. Passioni, pulsioni, idee. Pubblico e privato. Ma nei «Diari 1974-1984» di Claus Gatterer, appena usciti da Raetia a cura di Thomas Hanifle, trovi spesso e volentieri l’attualità, anche se sono pagine scritte nel tempo passato. Come quando il giornalista altoatesino scomparso 27 anni fa a Vienna si sofferma sui monumenti d’epoca fascista in Alto Adige, in particolare su quello all’Alpino di Brunico. Li avrebbe lasciati dove stanno, monito alle future generazioni. «Spieghino il nazionalismo che avvelena la convivenza e la storia che ci sta dietro», così Gatterer nel 1981.
 Eppure non era stato sempre così. Lo ricorda lo stesso Gatterer. Nel suo discorso sulla «difficoltà di essere sudtirolese oggi”, quando ricevette il premio della stampa dell’Alto Adige nel 1981, il giornalista disse riferendosi al monumento alla Vittoria: “Faschistische Rhetorik und protzige Lüge in Marmor und Stein. Einmal war ich dafür, dass man es schleifen sollte. Heute denk ich anders: auch Lüge, Größenwahn, Chauvinismus sollen ihre Denkmäler haben - als historische Warnzeichen”. Ecco Gatterer avrebbe lasciato i monumenti dove stanno: «Il Kapuzinerwastl (monumento all’alpino di Brunico, ndr) è già diventato parte dell’identità locale, lo dice il nome». L’autore di «Bel paese, brutta gente» e di «Italiani maledetti, maledetti austriaci» voleva che il nazionalismo e la storia a monte dei monumenti fossero spiegati. Senza senso l’eliminazione di statue e bassorilievi vari, evitando così di disperdere tracce di «menzogna e retorica fascista». Restino il marmo e il granito. «Per Claus Gatterer era importante fare avvicinare quella che lui chiamava la piccola gente e in generale i gruppi linguistici in Alto Adige», spiega Thomas Hanifle che ha curato la stesura dei diari. Per il giornalista e storico tutti gli abitanti dell’Alto Adige erano vittime di un nazionalismo che avvelenava la convivenza. «Gatterer si è sempre impegnato per il dialogo tra altoatesini e sudtirolesi, spiegando loro la storia - quella dell’altro - e anche le vicende storiche dietro i monumenti», ancora Hanifle. Ecco che nel dicembre 1981 il monumento all’Alpino, viene definito «il più grande invalido della provincia». Oppure, sempre nello stesso periodo: «I monumenti come minimo devono saper parlare, per giustificare la loro presenza». E nel settembre del 1982: «Se spostiamo il “Kapuzinerwastl” da dove si trova, si potrà ancora chiamare con quel nome?»
 Fin qui la questione dei monumenti. Nei diari Gatterer analizza poi in modo puntiglioso la scena politica internazionale e le ostentazioni dei suoi conterranei altoatesini. Ricco di spunti pungenti, gli scritti del giornalista scomparso nel 1984 affrontano tematiche intriganti relative all’ambito dell’Orf, la televisione pubblica austriaca e la lotta per la soppravvivenza del suo programma televisivo «teleobjektiv». Dopo la morte improvvisa della moglie le annotazioni contenute nei diari si trasformano in un quotidiano più intimo. Qui è da rimarcare, inoltre, l’ottimo lavoro di Thomas Hanifle che ha curato i diari, parte integrante di un’opera in tre volumi frutto del lascito del giornalista. Già vincitore del premio Gatterer nel 2006, Hanifle è l’autore anche del libro «Claus Gatterer: Im Zweifel auf Seiten der Schwachen».
 Claus Gatterer. Ein Einzelgänger, ein Dachs vielleicht, Tagebücher 1974-1984, edizioni Raetia, 18 euro.
Alto Adige 2-10-11
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sabato, 01 ottobre 2011



La dichiarazione etnica sarà anonima

BOLZANO. Nei prossimi giorni arriveranno nelle case degli altoatesini due lettere con le istruzioni per compilare il censimento. Meglio però precisare che c’è un documento, la dichiarazione di appartenenza al gruppo etnico, che non si potrà compilare via internet e che verrà quindi ritirato da uno degli 800 rilevatori. Ancora più importante sottolineare che questa volta i moduli relativi al censimento etnico non saranno due come dieci anni or sono, ma uno soltanto: quello, assolutamente anonimo, in cui ci si dovrà dichiarare italiani, tedeschi o ladini. Ancora più importante sottolineare che questa dichiarazione a fini statistici non ha nulla a che fare con quella nominativa e giuridica depositata in Tribunale e che determina l’appartenenza etnica ai fini dei concorsi pubblici. Questa seconda, che si compila solo alla maggiore età o quando serve ai fini appunto burocratici, può essere resa in qualsiasi momento, indipendentemente dall’imminente censimento, tenendo presente che si può mutare gruppo solo 18 mesi dopo la prima dichiarazione. Dunque nessun legame fra la dichiarazione anonima di questo censimento e quella nominativa depositata in Tribunale. Proprio per questo, chi nel 2001 si è dichiarato - magari per opprotunismo - di un gruppo che non era il suo, può tranquillamente dichiarare il vero senza incorrere in alcuna contraddizione: la dichiarazione etnica questa volta è a soli fini statistici e l’obiettivo è quindi quello di fornire una fotografia assolutamente veritiera, non “ritoccata”, della realtà altoatesina nel giorno preciso del 9 ottobre. Meglio ricordare, comunque, che la composizione dei gruppi etnici che risulterà dal censimento anonimo determinerà la proporzionale per l’assegnazione di case e contributi vari.
 I dati del censimento andranno riferiti a quella data anche se potranno essere compilati nei successivi due mesi. Per quanto riguarda la compilazione via internet, è una possibilità, non un obbligo. Una possibilità che se usata in grandi numeri snellirebbe di molto le operazioni di sintesi dei dati e la pubbicazione dei risultati. (f.za.)
Alto Adige 1-10-11
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sabato, 01 ottobre 2011



Censimento, l’ombra del quarto gruppo

FABIO ZAMBONI
BOLZANO. Ci accorgiamo che esistono i ladini solo quando fanno le cose meglio di noi: l’artigianato, l’ospitalità turistica, la compattezza culturale e politica. O quando, come oggi, si accorgono loro, prima degli altri, di certe opportunità, come il censimento che fra una settimana arriverà a fotografarci. A una settimana, appunto, da una scadenza così importante, mentre gli enti pubblici e i rappresentanti di italiani e tedeschi latitano sul fronte dell’informazione al cittadino, ecco che i ladini approfittano della scadenza legata alla Giornata della cultura ladina (ieri), per dedicarla tutta all’informazione sul censimento e ovviamente anche alla ricaduta che l’evento avrà sul loro gruppo etnico. Per tutti, occasione per ricordare la scadenza e i suoi dettagli, partendo dalle novità e dalle problematiche legate al censimento.
 Sotto l’avveniristica volta trasparente del cortile interno di Palazzo Widmann, ieri mattina il convegno “Censimento e proporzionale. Riflessioni e sviluppi” ha illustrato al meglio la cornice in cui s’inserisce il censimento e ma anche il quadro vero e proprio. Al tavolo dei relatori i rappresentanti del mondo ladino - l’assessore Mussner e Werner Stuflesser (presidente dell’Accademia Europea di Bolzano -, il giurista Francesco Palermo come direttore dell’Istituto per lo studio del federalismo e del regionalismo, esponenti del mondo ladino protagonisti a fine mattinata di un dibattito più specifico, e last but not least il presidente Durnwalder che dopo il messaggio introduttivo è salito ai piani superiori per altri impegni, ma che ha promesso nei prossimi giorni da parte della Provincia un appuntamento informativo ufficiale sul censimento ormai imminente. Che, lo ricordiamo, proporrà due grandi novità: la compilazione via internet per chi lo vorrà fare, e la dichiarazione anonima di appartenenza etnica a soli fini statistici ma con effetto diretto sulla proporzionale.
 Kasslatter ha offerto cifre interessanti sull’evoluzione del panorama demografico locale, con variazioni pur minime - al censimento del 1991 i tedeschi erano il 68 per cento e gli italiani il 27,6, a quello del 2001 il rapporto era 69% contro 26,5 - con i ladini costanti al 4,3. Ha poi sottolineato il vantaggio della compattezza territoriale dei ladini. Francesco Palermo ha messo il dito sul problema più delicato, quello dei mistilingui, che ancora una volta verranno ignorati dal censimento. «Ci si chiede che senso avrebbe rilevarli se lo Statuto stesso li ignora. Ebbene, visto che si tratta di un censimento a fini statistici, incominciamo col rilevarli per poi andare a lavorare su nuove politiche sociali che potrebbero delinearsi, per mettere mano allo Statuto stesso e incominciare a considerare pressoché esaurito il compito della proporzionale e la sua stessa esistenza». Del resto, parliamo di una popolazione mistilingue che ormai raggiunge, secondo stime diverse, fra i 25 mila i 35 mila soggetti. Percentuali importanti. Palermo ha poi descritto il prossimo censimento come una soluzione imperfetta ma comunque bilanciata, dinamica, anche se la sua funzione “servente” la proporzionale la rende meno affidabile rispetto ad altre forme di censimento.
Alto Adige 1-10-11
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categoria:cultura
venerdì, 23 settembre 2011



Maratona letteraria per Alex Langer

 BOLZANO. Maratona letteraria dedicata ad Alexander Langer in occasione del TrentoFilmFestival. L’appuntamento è per mercoledì 28 settembre all’interno degli spazi di MontagnaLibri in piazza Walther a Bolzano quando, a partire dalle 18, si svolgerà la lettura integrale e collettiva degli scritti del giornalista, scrittore e politico, fondatore dei Verdi in Italia.
 In quell’occasione verrà presentato «Fare ancora - Weiter machen», un libro dedicato alla figura intensa, ricchissima e sicuramente controversa di Alexander Langer. L’opera, edita da alphabeta e curato da Gaia Carroli e Davide Dellai, raccoglie interventi su Langer da parte di personaggi del mondo della politica, del giornalismo, dell’associazionismo e della Chiesa e fa parte del progetto “Sulle orme di Ulisse”, un percorso ideato dal comitato culturale dell’associazione Cristallo, che vuole portare l’attenzione della comunità su persone che hanno percorso nel passato e indicano ancora oggi vie di convivenza possibile.
 Il libro, in distribuzione presso le librerie a partire da mercoledì 28 settembre a 15 euro, vuole ricordare Langer sotto diversi punti di vista: come politico, cattolico, rivoluzionario, insegnante, ma soprattutto come personaggio “ponte” tra culture. A sedici anni dalla sua scomparsa, in molti hanno aderito alla proposta di fermarsi a riflettere sui temi langeriani, senza alcuna pretesa di giudizio o “dietrologie”, ma piuttosto come fonte di stimolo e fermento alla discussione. Erri De Luca lo definisce “militante rivoluzionario”. Goffredo Fofi invece lo ricorda come un “utopista concreto”, mentre Arnold Tribus libera l’eredità di Langer da bandiere di parte.
 Tra gli altri interventi, nel libro un capitolo a parte è dedicato alla trascrizione del convegno del 1989 presso l’Accademia Cusano di Bressanone, al quale presero parte sia Langer, che espose una “tesi sull’attuabilità politica di una conversione ecologica”, sia Karl Golser, futuro vescovo, che propose invece delle “Thesen zur Umweltethik”. Interessante è notare il filo rosso - come ricorda Luca Sticcotti nella sua introduzione a questo capitolo - che accomuna gli interventi del politico e del teologo. Nel volume si capisce che tutti gli spunti e gli argomenti per i quali Langer si è battuto non sono restati “lettera morta”: sono diventati dei mattoni sui quali si sono poste le basi per una convivenza piena e reale.
 Apre il libro un’attenta e attualissima analisi storica scritta da due studiosi, Leopold Steurer e Carlo Romeo, che si concentra sull’impegno di Langer per un “altro Sudtirolo” e per la sua battaglia contro il censimento del 1981. Si prosegue poi sul filo dei ricordi e delle testimonianze, con interventi - ciascuno volutamente lasciato nella propria madrelingua - di Edi Rabini, Gina Abbate, Giovanni Accardo, Guido De Nicolò, Umberto Gandini, Mao Valpiana, Peter Kammerer, Aldo Mazza, Tritan Miftyu, Francesco Palermo, Uwe Staffler, Monica Trettel, Franz Tutzer, Francesco Comina, Enzo Nicolodi, Sandro Ottoni, Günther Pallaver, Hans Karl Peterlini, Paolo Bill Valente e molti altri.
Alto Adige 23-9-11
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categoria:cultura, comunicati
lunedì, 29 agosto 2011



Volontariato, un nuovo progetto interregionale

BOLZANO. Promozione e sostegno nell’accoglienza di nuovi volontari: la Federazione per il Sociale e la Sanità assieme ai Csv (Centri di servizio per il Volontariato) di Trento, Belluno, Vicenza, Valle D’Aosta e Biella promuovono un progetto di sviluppo del volontariato. Con la costituzione di un gruppo di lavoro interregionale hanno preso il via i lavori per una indagine che dal 2012 coinvolgerà in varie regioni molte associazioni in workshop e focus group, visite di esplorazione e di confronto. Ciò significa aprire occasioni di incontro per raccogliere buone prassi e realizzare in modo partecipato nuove formule di sostegno al volontariato, specie nel delicato momento dell’accoglienza. Quale migliore occasione che quella di partire proprio nel 2011 Anno europeo del volontariato? “Il nostro impegno è di fare in modo che la gente si incontri, promuova il sostegno reciproco, sappia confrontarsi nel gruppo e attivarsi a favore della comunità” dice Stefan Hofer, presidente della Federazione. “Il volontariato viene inteso come carburante per metter in moto comunità, guardando a un futuro dove si riscoprono risorse del territorio basate su relazioni e valorizzazione della persona.”
Alto Adige 29-8-11
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categoria:cultura
lunedì, 29 agosto 2011



Stalking, colpisce la ex al volto e poi fugge

BOLZANO. Da mesi la perseguitava con messaggini, chiamate e lettere. Non solo: per settimane l’ha aspettata all’uscita dal lavoro, davanti all’ingresso della sua abitazione e nei bar frequentati da lei. Alla fine l’ex fidanzata, una bolzanina di trenta anni, si è rivolta alle forze dell’ordine. Il suo ex compagno era arrivato a colpirla al volto perché si rifiutava di tornare con lui. E’ scattata la denuncia. Ma l’uomo, un cittadino dell’Est, è fuggito.
 Dopo anni di convivenza una bolzanina ha deciso di lasciare il proprio compagno, uno straniero dell’Est di trenta anni. Ed è lì che è iniziato l’inferno della donna, che per mesi è stata perseguitata dall’ex giorno dopo giorno. Per questo motivo, alla fine, ha deciso di denunciare l’uomo per stalking alle forze dell’ordine.
 Immediatamente è stata aperta un’inchiesta e dalla Procura è arrivato il primo avvertimento. Non è servito a nulla: gli inquirenti hanno deciso dunque di emettere un mandato di arresto nei confronti dello straniero. Quest’ultimo, però, ha capito che sarebbe finito in carcere e ha lasciato l’Italia in fretta e furia. Ora è ricercato.
 Il dramma della bolzanina è iniziato un anno fa, dopo avere deciso di mettere la parola fine ad una relazione che non funzionava più. Il suo compagno, infatti, era troppo possessivo e la controllava in tutto. Ma non è servito a nulla dire all’uomo che era finita. Lo straniero ha iniziato a chiamarla giorno e notte. La donna riceveva fino a cinquanta chiamate al giorno. Per non parlare degli sms che le venivano inviati: l’ex compagno l’insultava e poi le chiedeva scusa, giurando che sarebbe cambiato. Ma ai no della donna l’uomo riprendeva con gli insulti.
 Alla fine la bolzanina ha denunciato il suo «incubo» alle forze dell’ordine. In Procura è stata aperta un’indagine seguita dal sostituto procuratore Giancarlo Bramante. Lo straniero è stato «invitato» a non avvicinarsi più alla donna. In tal caso avrebbe rischiato di finire in carcere. Per qualche giorno le cose sembravano migliorate. Poi, all’improvviso, il trentenne ha ripreso con gli appostamenti. La bolzanina lo trovava all’uscita dal lavoro e sotto casa. Oramai si faceva accompagnare dalle amiche quando doveva fare la spesa, per paura di essere aggredita dall’ex compagno. Ed infatti è quello che è successo l’ultima volta che l’ha visto. L’uomo l’ha colpita al volto. Poi è fuggito, lasciando precipitosamente l’Italia.
Alto Adige 27-8-11
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categoria:cultura
lunedì, 22 agosto 2011



Una mostra sulla storia postale

GIANCARLO ANSALONI
Attraversando la piana di Campo di Trens verso nord, lungo l’autostrada del Brennero, poco a sud di Vipiteno non può sfuggire allo sguardo del viaggiatore l’imponente profilo di un castello, che dall’ alto di uno sperone roccioso con la sua torre centrale, pare un gigante a guardia di una piana, un tempo palude pressoché impraticabile. E’ uno dei più belli e meglio conservati dell’Alto Adige, noto ai tedeschi con un nome piuttosto comune: Reifenstein. Il nome italiano è Castel Tasso, che a prima vista potrebbe suonare del tutto erroneamente come un’arbitraria traduzione dal tedesco della famiglia, ultima proprietaria del castello rilevato nel 1813 dall’Ordine teutonico, dal nome altisonante: Thurn und Taxis, notissimo nonché ricchissimo casato nobiliare di area -austro-tedesca. Si tratta infatti dalla dinastia fondatrice, verso il 1500, delle comunicazioni postali così come ancora oggi sono concepite, estese in tutta l’ Europa.
 Ma che c’entrano appunto i Thurn und Taxis con il “Tasso”? C’entrano eccome, anche se la loro storia è pressoché sconosciuta ai più. Se si torna indietro nei secoli si scopre che “Thurn und Taxis altro non è che la traduzione in tedesco di un casato lombardo.
 Il nome originario sarebbe quello della famiglia Della Torre o Torriani, già signori di Milano, forse cacciati dai Visconti e rifugiatisi nel Bergamasco, più precisamente a Camerata di Cornello in Val Brembana. Qui la famiglia avrebbe aggiunto al cognome, per vezzo, un “Taxis”, tasformatosi poi negli anni in Tasso, Tassi o Tassis, riferita (secondo una versione) all’animale più diffuso nella zona.
 Sta di fatto che l’odierno paese Cornello del Tasso, ritenuto uno dei borghi più belli d’Italia, è sede dell’ interessantissimo “Museo della storia postale”. Ed eccoci finalmente al punto, cioè proprio la storia postale, che coinvolgerà in pieno Bolzano, grazie a una mostra la cui inaugurazione è prevista per il 14 novembre prossimo nelle sale di Palazzo Mercantile, che resterà aperta per un anno intero. All’organizzazione sta lavorando da tempo un comitato di esperti di Bolzano, Innsbruck e Bergamo, con il coordinamento della responsabile del Museo Mercantile, la dottoressa Lucia Nardelli.
 Un lavoro certosino e difficile quello degli organizzatori, come spiega la dottoressa Nardelli, che ritiene opportuno non sbilanciarsi prematuramente circa i “pezzi” che andranno a formare la rassegna, in quanto si tratta per lo più di pezzi d’antiquariato scovati qua e là e disponibili solo grazie al...buon cuore dei proprietari.
 Per ora si può anticipare che uno dei pezzi “forti” dovrebbe essere una carrozza postale originale, proveniente dal museo di Teodone di Brunico, che dominerà pressoché solitaria, la sala al I piano del Palazzo di Via Argentieri. La Sala di Rappresentanza al II piano non sarà coinvolta, data la delicatezza dell’arredamento: al II piano invece una prima sezione dovrebbe essere dedicata a vari “accessori” originali, preziosi pezzi d’antiquariato: si parla ad esempio, di insegne postali marcate sia Thurn und Taxis, sia Asburgo con l’aquila bicipite, inoltre una cosiddetta “bolgetta”, cioè la borsa dei messaggeri a cavallo, antesignani delle carrozze, cassette portavalori solitamente poggiate sul retro delle diligenze, cartine geografiche con l’indicazione dei vari itinerari, tabelle orarie dettagliatissime in fatto di arrivi e partenze da rispettare rigorosamente, oltre, si spera, a un corno, classico strumento “musicale” divenuto simbolo tuttora vivo e vegeto, delle Poste di tutti i Paesi, grazie al quale il postiglione annunciava, con un “linguaggio” composto da otto motivi diversi, il suo arrivo e le sue esigenze immediate per il cambio cavalli, già all’ingresso del centro abitato.
 Il cambio dei cavalli avveniva, per lo più ogni venti chilometri, in apposite stalle, annesse di solito a locande, divenute poi col progresso i classici “Hotel Posta”, presenti in quasi tutti i paesi e le città collegate al servizio.
 Il che si può verificare quasi in ogni paese dell’Alto Adige, dove ci si imbatte in un immancabile Hotel Post, recante un’insegna con l’inconfondibile corno. D’altro canto l’Alto Adige era uno dei transiti più battuti dalle carrozze del servizio postale, grazie al valico del Brennero, il più accessibile delle Alpi, ma anche uno dei più aspri, teatro di perigliosi viaggi, specialmente quando i cavalli erano costretti a combattere con neve, bufere e ghiaccio e anche con le valanghe.
 La terza sezione della mostra ricostruirà la storia della posta raccontata, oltre che da esemplari di corrispondenza (per lo più pieghevoli senza busta per ridurre il peso, chiusi con cera lacca) soprattutto attraverso i francobolli che sostituirono tasse varie, compresi i “pedaggi” al varco dei numerosi confini dell’epoca, quando l’Europa, e l’ Italia in particolare, era divisa in ducati, principati, contee e così via. La storia tuttavia partirà soltanto dal 1840, anno di nascita del francobollo, apparso per la prima volta in Inghilterra, che valse ad agevolare il servizio, grazie all’introduzione del pagamento anticipato del recapito.

I Tasso, una famiglia diventata ricca

Non è raro imbattersi al giorno d’oggi, sfogliando libri, ristampe o visitando musei della regione, in acqueforti e disegni, soprattutto d’impronta “romantica” ottocentesca, raffiguranti drammatiche scene di diligenze con il marchio delle Poste, semisommerse nella neve, legate a cavalli impennati, in lotta con bufere sul ciglio di forre sovrastate da rocce che scaricano valanghe. Si tratta molto spesso di immagini riferite proprio al tragitto lungo l’asse del Brennero attraverso il valico che era notoriamente un passaggio obbligato fra Nord e Sud inserito nella rete europea, anche per le carrozze dei Thurn und Taxis,. soprattutto dopo che il ben noto imperatore Massimiliano I e il nipote Carlo V decisero, ai primi del ‘500, di affidare ai Tasso, non ancora “germanizzati” un servizio postale in grado di garantire collegamenti rapidi e sicuri tra le sedi imperiali e le città europee.
L’accordo segnò il lancio definitivo di una famiglia di imprenditori partiti da zero sull’onda di una corrente migratoria dal Bergamasco verso Venezia. Tra questi “migranti” già nel 1200 c’era un Omodeo Tasso del Cornello, che si era fatto le ossa con servizi locali, avviando poi i collegamenti fra Bergamo con Venezia fino a inserirsi nella Compagnia dei Corrieri della Serenissima, titolare fra l’altro delle comunicazioni col Vaticano. Così nacquero le premesse per il successivo balzo a livello europeo con l’ingaggio da parte degli Asburgo che vollero la creazione di una fitta rete di collegamenti, coordinati tutti da una vastissima ramificazione genealogica della Casata. Fu così fondata una sede centrale a Ratisbona (Regensburg) da parte di Francesco Tasso, che fu anche uno dei primi ad essere insignito di titoli nobiliari assumendo il nome di Thurn und Taxis. Nella rete di collegamenti rientravano a pieno titolo anche Bolzano e Trento, i cui uffici furono affidati, attorno al 1520, a Elisabetta Tasso col marito Bono Bordogna, mentre a Innsbruck si insediò il cugino Gabriele. L’immensa struttura dei Thurn und Taxis andò avanti fino alla fine del ‘700, quando il servizio fu nazionalizzato sotto il regime napoleonico. I Tasso proseguirono comunque, in appalto, nell’area austro-tedesca, con 450 uffici e l’introduzione di propri francobolli fino al 1867,allorché la Germania unificata sotto la Prussia nazionalizzò le Poste.
I Tasso - Thurn und Taxis, complice anche l’avvento e l’estensione delle ferrovie (compresa quella del Brennero) cessarono il servizio. Ormai ricchissimi, si “ritirarono” nella loro residenza ufficiale tuttora esistente, a Regensburg, investendo altresì in residenze decentrate, tra cui appunto il Castel Tasso di Vipiteno. (gi. an.)
Alto Adige 22-8-11
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venerdì, 19 agosto 2011



Avanzano i nuovi altoatesini non più solo italiani o tedeschi E cercano rappresentanza

Una nuova fase per l’Alto Adige è matura. Ci sono i segnali da entrambi i gruppi etnici di una maturazione di una convivenza allargata. Prendo ad esempio i giovani della Svp che danno una loro interpretazione al futuro di alcuni monumenti fascisti a Bolzano sostenendo l’idea di trasformarli in musei. Nella stessa maniera sempre i giovani Svp ragionano a voce alta su grossi investimenti relativi alla cittadella dello sport. Dalla parte della comunità italiana c’è una forte richiesta di bilinguismo per rassicurare il futuro delle nuove generazioni.
Ma, cosa significativa, c’è la necessità di affermare la propria comunità quale elemento del territorio non più italiani ma altotesini autonomisti. Pertanto anche le forze che rappresentavano la comunità non riescono a dare sicurezza e fiducia. Ci stiamo incamminando verso una nuova era dove l’Alto Adige si compone di diverse minoranze è quella italiana autonomista vuole finalmente essere protagonista. Probabilmente anche nella scelta dei sui rappresentanti ci saranno dei cambiamenti anzi temo ci sarà un rivoluzione pacifica. Stare tare uniti paga sopratutto se gli obbiettivi da raggiungere sono importanti per consolidare questa voglia di identità. Anche la crisi di alcuni partiti lacerati dalla beghe interne renderà più celere il processo ma c’è l’urgenza di affrontare anche la crisi economica che sta spaventando sopratutto le famiglie. Per arrivare ad una nuova stabilità dello scenario locali si dovrà affrontare e risolvere il tema dell’etica dei Politici riportando al valore del bene comune. Personalmente credo ci sia bisogno di stabilire delle regole che fissino la durata dell’incarico dei politici a due mandati escludendo al termine del mandato a possibilità di entrare in altri incarichi pubblici o di aziende partecipate.
Alto Adige 19-8-11
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mercoledì, 10 agosto 2011



Spetta ai genitori evitare che Internet diventi un’ossessione per i ragazzi

Questo nostro è un evo molto propizio per la tecnica ma sfavorevole per l’educazione dei giovani, ed è per un malinteso senso della modernità che alcuni valori perdono un po’ di smalto e non solo dal punto di vista strettamente formale.
Ma questi i fatti: poche sere fa in pizzeria con alcuni amici abbiamo avuto il piacere di essere circondati da più tavolate di giovani genitori con figli piccoli e adolescenti. La nostra quiete però è durata pochi minuti perché i pargoletti hanno iniziato un gioco «anch’io» con richieste, ad alta voce, di scambi di messaggini. Tutti erano in possesso di iPad, Black Berry e telefonini vari. La sarabanda telematica si è protratta per l’intera serata, con un «contorno» da far invidia ai dervisci. Solo un tavolo era rimasto silenzioso ma c’era un motivo: vi erano seduti un giovanetto sui dodici anni totalmente assorto con cuffia alle orecchie e iPad in mano, mentre i genitori inebetiti e silenziosi assistevano alla «performance» del figlio. Ora, radunarsi attorno a un tavolo, nelle varie occasioni, non è forse una splendida occasione per raccontarsi aneddoti e fatti legati alla vita vissuta negli anni? E perché non rendere edotti i nostri giovani del fatto che l’amicizia negli spazi virtuali è completamente diversa dall’amicizia del mondo reale? I vari strumenti multimediali hanno creato straordinari mezzi di comunicazione impensabili anche alla più ricca e potente fantasia degli uomini del passato, ma sono strumenti privi di contenuto o hanno contenuti estranei alla vera cultura. I giovani, fatalmente, usano tali invenzioni come congegni di gioco e non di apprendimento, aiutati in ciò dagli adulti sempre più rimbambiti e sempre più spaesati, ai quali manca sempre più il senso della loro identità. Oggidì crescere in una famiglia con genitori «piuttosto giovanili» significa, nel novanta per cento dei casi, avere a che fare con due incapaci. Le responsabilità quindi non sono dei giovani ma bensì degli adulti che hanno abbassato enormemente le pretese nei loro confronti. I genitori, inoltre, troppo spesso non si rendono conto di aver trascurato di trasmettere ai propri figli le necessarie spinte positive. Freud e dopo di lui la psicologia evolutiva avvertono e spiegano che l’influenza dei genitori sui figli in ordine all’educazione e alla costruzione del carattere termina all’età di sei anni, dopo questa età non si modifica quasi più niente. Ma quanto tempi i genitori passano con i loro figli? Ora si usa spesso affermare: «riservo per mio figlio un tempo-qualità». No, invece i bambini hanno bisogno di un tempo «quantità», serve infatti loro una quantità di applicazione, un esercizio della presenza genitoriale. Nel suo bellissimo libro «Questioni di Fede» l’arcivescovo Gianfranco Ravasi ci dice: il bambino è implacabile con i suoi «perché». In lui pulsa allo stato puro, non è ancora sterilizzato - come invece accade all’adulto superficiale o disincantato o deluso - il desiderio di sapere, l’ansia di capire, la curiosità della scoperta. Tutte le domande serie partecipano di questa esigenza radicale e in qualche modo esprimono l’interrogazione di fondo sul senso ultimo dell’esistenza, sulle scelte decisive, sui valori da ricercare. Senza il fiore delle domande, che sbocciano come tanti petali, non si ha poi il frutto delle risposte, che indicano una strada o una meta nell’itinerario della vita. Mi chiedo infine: i giovani sono dunque «verloren in der Wirtuellen Welt»? Penso di no, i giovani di oggi sono più fragili però restano i giovani generosi di sempre.
Alto Adige 10-8-11
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mercoledì, 10 agosto 2011



Muser: «Vanno abbattuti gli ultimi muri»

BOLZANO. Fra due mesi, domenica 9 ottobre, verrà consacrato vescovo della diocesi di Bolzano-Bressanone, intanto nel silenzio del Seminario maggiore di Bressanone, di cui è stato direttore per 14 anni, monsignor Ivo Muser, 49 anni, si prepara a subentrare a monsignor Karl Golser, costretto a lasciare per ragioni di salute. Era in vacanza a Villa Adriana (Monterosso) con il fratello Bruno e il decano di Meltina Josef Haas quando il Nunzio apostolico, monsignor Bertello, gli ha comunicato che Papa Ratzinger, ospite del Seminario di Bressanone sia prima che dopo la nomina a Papa, lo aveva scelto come nuova guida della chiesa altoatesina.
«Devo ammettere - dice monsignor Muser - che per diverse notti non sono riuscito a chiudere occhio. Adesso sto cercando di calarmi nel nuovo ruolo e sto dormendo nuovamente bene. Spero di farcela. Avrò bisogno di tutti, ma so di poter contare sull’appoggio di tanti fedeli».
Tra i suoi principali obiettivi?
«Far scoprire il fascino della Chiesa: per me Gesù resta senza concorrenti».
Perché ha scelto come suo motto episcopale «Tu sei il Cristo»?
«Perché tutta la fede è basata sulla figura di Cristo che, per chi crede, è segno di speranza. Ci dà la certezza che la vita non finisce con la morte».
Lei diventa vescovo in un momento particolarmente difficile: le chiese sono sempre più vuote così come i seminari.
«Purtroppo è così. Ma il fenomeno è iniziato 40 anni fa. Se nel 1965 nel Seminario di Bressanone c’erano 84 seminaristi, nel 1978 erano 17. Oggi sono 6 e in autunno ordinerò due diaconi che saranno sacerdoti nel 2012. Quest’anno non abbiamo avuto nessun’ordinazione sacerdotale. L’età media dei nostri sacerdoti è di 69 anni, delle suore 74».
Un problema grosso per la chiesa.
«Un problema grosso non solo per la chiesa bensì per l’intera società».
Ma visto che le chiese sono sempre più vuote, sembra che la società non sia particolarmente interessata.
«Si sbaglia. È vero che c’è un generale disinteresse, ma ci sono poi momenti nella vita della stragrande maggioranza delle persone in cui si cerca il sacerdote. Perché si ha bisogno di parole di conforto. Di qualcuno che ci dica che dopo la morte la vita continua. Per questo è importante che tutta la diocesi si faccia carico del problema delle vocazioni».
Il vescovo Golser ha fatto della trasparenza il suo cavallo di battaglia, affrontando la delicata questione degli abusi sessuali all’interno della Chiesa.
«E io continuerò su questa strada. Non ce ne sono altre: la via della verità è l’unica possibile. Sarebbe sbagliatissimo nascondere. L’invito a tutti è a non chiudere gli occhi. Ma serve anche equilibrio nel guardare le cose».
Quello che non c’è stato nei confronti di don Martin Steiner, parroco di Vilpiano, messo in croce dalle denunce di alcuni genitori e poi scagionato da qualsiasi sospetto di abuso. Anche da parte della diocesi avrebbe dovuto esserci un po’ più di cautela prima di decidere e comunicare alla stampa la sospensione.
«Con il senno di poi è sempre facile dire che cosa si sarebbe dovuto fare. Anche chi governa la chiesa locale si può trovare tra l’incudine e il martello: se fa sbaglia, se non fa sbaglia comunque».
Sempre più spesso si parla di nuove povertà anche in una terra ricca come l’Alto Adige.
«Purtroppo è così. Anche in Alto Adige non è tutto oro quello che luccica. Fortunatamente, anche a livello parrocchiale, abbiamo organizzazioni come la Caritas, la San Vincenzo e altri gruppi fatti di persone che senza grande clamore si danno da fare per aiutare chi ha bisogno. E sempre più spesso ad aver bisogno sono persone che non ti aspetteresti».
Lei come vescovo quanto guadagnerà?
«1.300 euro netti al mese».
Cosa pensa dei 6.300 euro di indennità degli assessori provinciali e 12.500 del presidente della giunta?
«Mi limito a dire che la giustizia deve essere un valore e anche la giustizia economica lo è».
Il giorno dell’annuncio della nomina lei ha detto che non esistono extracomunitari ma uomini.
«È così. Per la Chiesa non esistono queste distinzioni. Al principio di tutto c’è l’uomo. Tutto il resto viene dopo».
Periodicamente si riaccende la discussione sul fatto se i musulmani debbano o meno avere un luogo di culto.
«È giusto che lo abbiano. Io ritengo che qualsiasi religione sia buona e ciascuno ha diritto ad avere una propria religione. Ha diritto di pregare secondo la sua tradizione e quindi deve trovare spazi adeguati. Tutto questo ovviamente nel rispetto reciproco. Oltre che delle leggi. Questa è la sfida dei nostri giorni. Sono convinto che la presenza in Alto Adige di persone che arrivano da Paesi diversi sia una ricchezza. Oltre che far bene alla convivenza».
In che senso?
«Nel senso che evita di ridurre tutto ad una questione etnica tra italiani e tedeschi».
Il vescovo Golser si è impegnato molto sul tema della convivenza e aveva partecipato anche al tavolo aperto dal ministro Maroni.
«Anch’io mi impegnerò su questo fronte anche se sono convinto che il livello di convivenza tra i due gruppi sia buono. Riusciremo ad abbattere anche le ultime incomprensioni nel momento in cui italiani e tedeschi avranno una miglior conoscenza della lingua dell’altro».
Si sta lavorando a livello di scuola.
«Di buono oggi c’è che le famiglie sono convinte dell’importanza di conoscere la lingua dell’altro. L’ideale sarebbe parlare ciascuno nella propria lingua e capirsi».
Cosa pensa del testamento biologico?
«Penso che la vita è sacra e non ci appartiene. Per questo ci vuole massimo rispetto. Ciò significa che non possiamo fare tutto ciò che potremmo».
 Alto Adige 9-8-11

Muser: «Vanno abbattuti gli ultimi muri»Muser: «Vanno abbattuti gli ultimi muri»

ANTONELLA MATTIOLI
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domenica, 07 agosto 2011



Pacifisti tedeschi fanno tappa anche a Laives

 LAIVES. Nel lungo viaggio in bicicletta che sta portando un gruppo di pacifisti da Monaco di Baviera fino ad Aviano, ieri c’è stato un simpatico incontro con la giunta comunale di Laives in municipio. Promotore dell’approccio è stato Francesco Comina e il sindaco Liliana Di Fede ha accettato con piacere l’incontro, sospendendo momentaneamente i lavori di giunta per salutare i pacifisti. «È molto bello vedere persone così - ha detto il primo cittadino Liliana Di Fede - impegnate concretamente per la pace».
 Comina ha spiegato che ogni anno, in Germania, viene organizzato un tour ciclistico per ricordare le vittime delle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki. Quest’anno i pacifici tedeschi hanno aderito all’invito dei “Beati costruttori di pace” di Padova, per riunirsi tutti assieme e manifestare davanti alla base americana “Dal Molin”, ad Aviano, ed hanno così deciso di “sconfinare” in terra italiana. Partito da Monaco di Baviera in bicicletta, il gruppo dei pacifisti tedeschi punta a raggiungere la base aerea militare di Aviano pedalando ogni giorno per 80 - 100 chilometri, cosa che dovrebbe avvenire entro qualche giorno. (b.c.)

Alto Adige 5-8-11
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lunedì, 25 luglio 2011



«Il bilinguismo rilancerà gli italiani»

BOLZANO. Apprendimento bilingue, una vera e propria accelerazione nell’ultimo anno scolastico. I progetti di potenziamento linguistico sono lievitati da 22 a 33, mentre scambi e gemellaggi sono letteralmente esplosi: dalle 29 classi coinvolte nel 2009/2010 si è passati alle 68 classi di quest’anno. E da settembre si accelererà ancora di più: potenziamento e certificazioni linguistiche internazionali estese a tutti. Lo annuncia il vicepresidente della giunta Tommasini.
 I due dati sopra citati sono emersi per la prima volta ieri e permettono finalmente di fotografare la realtà attuale dei progressi raggiunti dai potenziamenti linguistici e dalle collaborazioni fra scuole italiane e tedesche.
 I progetti linguistici di Clil (Content and language integrated learning) sono cresciuti del 50% in un solo anno passando da 22 a 33 classi. Gli istituti coinvolti in scambi e gemellaggi sono rimasti 21, ma le classi interessate sono salite esponenzialmente, da 29 a 68. Tradotto, circa duemila studenti in tutto.
 E non è finita, perché gli studenti di quarta superiore che hanno scelto di frequentare un anno in L2 nella scuola dell’altro gruppo linguistico in otto anni sono passati da 1 a 58. E i ragazzi italiani che il prossimo anno frequenteranno un trimestre in un’istituto tedesco all’estero hanno superato quota 40.
 «Percepisco che il gruppo linguistico italiano sta facendo un salto di qualità, riconoscendosi nell’autonomia e sentendosi a casa propria. Da qui arriva anche la spinta delle famiglie verso il plurilinguismo». Parte da questa convinzione l’assessore Christian Tommasini per delineare le sue piste di lavoro future nel settore della conoscenza linguistica: «certificazioni linguistiche per tutti, un patto formativo con le famiglie, aumento delle ore di insegnamento di L2 e L3».
 «Il mio compito è aiutare la comunità italiana a riconoscersi e diventare protagonista, con pari opportunità», ha detto ieri, «e una delle strade prioritarie dovrà essere il plurilinguismo». I risultati positivi non mancano: in due anni si sono registrati grandi progressi nella seconda e nella terza lingua: «Nelle scuole siamo passati dalla sperimentazione a progetti curricolari». L’iniziativa del volontariato linguistico ha fatto registrare più di mille iscritti, disponibili a conversare con un partner nell’altra lingua, e già 300 coppie si sono formate e lavorano, con incontri settimanali. «Non solo un progetto di trasmissione della lingua tedesca ma anche uno strumento per conoscere l’altra cultura», ha ricordato l’assessore.
 In tal senso Tommasini ha citato altri tre progetti in corso con forte valenza simbolica: «Il secondo volume dell’iniziativa congiunta sulla storia locale, che sarà pronto nei prossimi mesi; la nuova biblioteca provinciale plurilingue a Bolzano; la volontà di far diventare il concorso Upload una piattaforma musicale per l’intera Euroregione, con il coinvolgimento anche di Trentino e Tirolo».
 Uno dei passi cruciali è previsto in autunno, quando Tommasini intende lanciare una sorta di patto formativo con le famiglie: «L’obiettivo è quello di sensibilizzare i genitori a dedicare un po’ di tempo a casa alla cura dell’altra lingua assieme ai figli».
 L’impegno per il plurilinguismo nella scuola seguirà invece varie direttrici: l’approccio ludico nella scuola per l’infanzia, il potenziamento da 9 a 10 ore per tutti nell’insegnamento Clil (l’attenzione contemporanea all’insegnamento linguistico e all’insegnamento disciplinare), l’estensione delle certificazioni linguistiche (si è già passati dalle 260 del 2010 alle 575 del 2011), gli scambi e i gemellaggi (come detto 29 classi nel 2010, 68 classi nel 2011). «Sono convinto che nel giro di una generazione questo cammino verso il plurilinguismo sarà completato”, ha concluso Tommasini.
Alto Adige 23-7-11
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giovedì, 21 luglio 2011



Capitale cultura: c’è Cipolletta

Innocenzo Cipolletta, presidente dell’Università di Trento, è stato nominato coordinatore del comitato scientifico per la candidatura di Venezia e del Nordest a Capitale europea della cultura 2019. Ieri la presentazione ufficiale. «È un progetto che non ha uguali», ha detto. Con la nomina di ieri si completa l’iter burocratico «per la composizione - ha detto il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni - della macchina, che deve essere “da guerra”, per la candidatura». Ieri è stato presentato anche il logo della candidatura: è composto dal simbolo stilizzato del Leone di Venezia, della Laguna e delle Alpi; le scritte sono in italiano e inglese ma anche in tedesco e ladino. Il motto della candidatura è «Insieme».
 Cipolletta, che ha annunciato per il primo settembre la prima riunione per avviare i lavori («Abbiamo deciso di partire rapidamente per restare nei tempi consentiti, che ci sono, ma la vastità del progetto presuppone una lavorazione maggiore rispetto ad altre città in cui la candidatura è di un unico luogo»), si è presentato dichiarando che il suo sarà «un compito importante e difficile», aggiungendo di sperare che «porti definitivamente al risultato. Questo - ha proseguito - è un progetto che, come aspetto significativo, unifica un territorio. Venezia si porta infatti appresso un territorio più vasto, per il passato ma soprattutto per il futuro, e, per un Paese come l’Italia, che ha sofferto di problematiche per la sua unione, questo è un messaggio significativo, soprattutto in un anno come questo».
 Per l’Alto Adige era presente ieri a Venezia l’assessore provinciale alla cultura italiana Christian Tommasini, insieme a Katia Tenti, presidente del Comitato direttivo: «Con Innocenzo Cipolletta alla guida del Comitato scientifico - dice Tommasini - si completa la macchina organizzativa, ora possiamo entrare con idee, entusiasmo e convinzione nella fase operativa». Per Tommasini «questo passaggio cruciale ci permette di completare la squadra per la candidatura e di avviare la fase operativa di un lavoro impegnativo: ottenere la candidatura e nel contempo esaltare le specificità culturali che fanno particolare il Nordest».
Alto Adige 21-7-11
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giovedì, 21 luglio 2011



Facoltà di medicina alla Claudiana

DAVIDE PASQUALI
BOLZANO. Il capoluogo altoatesino aprirà la sua facoltà trilingue di medicina, ma non prima di due anni. Per la precisione aprirà una medical school sul modello di Salisburgo, a sua volta ispirato a una omologa struttura in Minnesota. A regime si potranno iscrivere ottanta matricole l’anno, in grado di coprire il fabbisogno annuo di medici a livello provinciale. Il curriculum di studi medici presso la Lub durerà cinque anni e le lezioni si terranno alla sede della Claudiana, già opportunamente attrezzata con laboratori e quant’altro. La facoltà sarà istituita con la collaborazione del Land Tirolo e della facoltà di medicina dell’università di Innsbruck, col sostegno di una università italiana, che probabilmente sarà la Cattolica di Roma (Policlinico Gemelli). Il ministero della Sanità sostiene l’apertura della nuova facoltà. In questi mesi la Provincia sta trattando con il Miur, per derogare al decreto Gelmini che attualmente impedisce di aprire nuove facoltà di medicina, per motivi legati alla scarsità di risorse. «Siamo fiduciosi di ottenere l’autorizzazione all’apertura», ha dichiarato ieri l’assessore provinciale alla Sanità Richard Theiner, «perché a finanziarla non sarebbe chiamato lo Stato, ma la Provincia, quindi perché opporsi?».
 Spiega in dettaglio lo status quo il capodipartimento sanità della Provincia Florian Zerzer. «Intendiamo ispirarci alla medical school di Salisburgo, che riprende un modello nato in Minnesota. Si tratta di un curriculum di studi innovativo, diverso da quello della classica facoltà di medicina. Per dire, non si trattano gli organi uno per uno, ci si focalizza molto di più sulle cellule, il futuro della medicina. Soprattutto nella medical school c’è un rapporto studenti-docenti molto simile a quello che si vive a scuola: molto più diretto. Gli studenti sono seguiti da vicino. Nella formazione di un medico chirurgo questo è molto importante, perché deve essere accompagnato, seguito nella pratica, non solo istruito in teoria». Secondo Zerzer si tratta del modello vincente. Intanto, «come dimostra l’esperienza di Salisburgo, il 95% degli studenti si laurea in corso, in cinque anni, contro una media italiana significativamente più elevata». Il trend internazionale vede una forte carenza di medici, «non soltanto in Alto Adige». Nella nostra provincia il dipartimento sanità ha stimato un fabbisogno annuo di ottanta medici. «A regime il corso di laurea - al di là che duri sei anni come attualmente in Italia o cinque come sarà probabilmente in futuro e come noi auspichiamo considerando gli standard internazionali - avrà proprio 80 matricole l’anno. Inizialmente partiremo con numeri più bassi». Al momento, spiega Zerzer, «non è possibile presentare domanda per l’istituzione della facoltà. Il ministero competente per materia, la Salute, è assolutamente favorevole. Il Miur, attualmente, forte di un decreto che vieta l’istituzione di nuove costose facoltà di medicina, non ci ha ancora concesso il nulla osta. La Gelmini però ci ha fatto intravedere una certa possibilità di deroga e su questo stiamo lavorando. Ma ci vorranno almeno due anni».
Alto Adige 21-7-11
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domenica, 17 luglio 2011



«Importante divulgare»

ELISA TESSARO
Un approccio alla ricerca scientifica partecipativo, orientato della comunità e agli scambi con il mondo della scuola, interdisciplinare. Dal 1995 all’Eurac è stato creato l’Istituto per l’ambiente alpino: «Ricerca rivolta ai problemi derivanti dai conflitti tra ecologia ed economia», recita il motto dell’istituto. Un settore di grande attualità che, come spiega Roberta Bottarin, coordinatrice del centro, non finisce mai di rivelare implicazioni nella vita di tutti i giorni.
La parola «biodiversità», come «globalizzazione» o «sostenibilità», è entrata ormai nel linguaggio comune: ma cosa significa veramente?
La biodiversità è la ricchezza degli organismi viventi di un ambiente. Spesso se ne parla in relazione al numero di specie, senza considerare anche la varietà genetica, non visibile ad occhio nudo. C’è poi la diversità legata agli ecosistemi, alla varietà del paesaggio. In Alto Adige abbiamo una grande fortuna, spesso non abbastanza valorizzata. La montagna, dal punto di vista naturale, ha un’altissima biodiversità: in uno spazio ridotto, che passa dai cento ai tremila metri di altitudine, diverse specie hanno la possibilità di insediarsi nell’ambiente a loro più congeniale. Per noi ricercatori è un vero e proprio laboratorio a cielo aperto, basti pensare che conosciamo solo una minima parte delle specie che lo abitano.
Che implicazioni ha lo studio della biodiversità?
Per fare alcuni esempi: negli ultimi anni c’è stato un notevole miglioramento, parlando nello specifico del mio campo di indagine, della qualità dell’acqua... Anche l’atteggiamento generale nei confronti di questi temi è migliorato, basti pensare ai contadini: se prima erano costretti a sfruttare in modo massiccio i campi adesso c’è una maggiore attenzione. Per avvicinarli al tema della biodiversità abbiamo anche promosso un concorso per premiare il prato più bello...
Che risultati ha dato?
Abbiamo avuto più di 170 partecipanti. È stato interessante rendersi conto di quante diverse declinazioni abbia per loro il concetto di «bello». Sono proprio le persone che vivono a stretto contatto con questi ambienti che devono essere informate e messe nella condizione di capire. I vincitori - premiati per il loro «prato ricco e vario di specie, coltivato in modo moderato» - sono «scesi» per la prima volta a Bolzano per ritirare il premio. È stato commovente. Le pubblicazioni scientifiche sono importantissime, ma conta anche la ricaduta sul territorio delle nostre azioni. Per questo trovo sia utile impegnarsi in progetti di divulgazione scientifica nelle scuole e in attività didattiche a tutti i livelli di istruzione.
Come si concilia la tutela della biodiversità con le esigenze dell’economia e del turismo?
È importante partire dal concetto di sostenibilità che si basa su tre pilastri: quello ambientale, economico e sociale. In un mondo ideale lo sviluppo sostenibile è il risultato della loro sintesi armonica. Nella realtà le esigenze pressanti dell’economia e della società vanno in un’altra direzione; è necessario trovare quindi un compromesso e il nostro intervento si concretizza in proposte che cercano di attenuare i danni e di fare incontrare le diverse esigenze. Ci sono però dei casi limite. Penso ai mondiali a Santa Caterina di Valfurva che si sono svolti nel Parco nazionale dello Stelvio. Gli interventi hanno coinvolto zone ricche di specie rare, sacrificando ampie aree boschive e zone fra l’altro - incredibile controsenso - già protette. Le alternative proposte, la mobilitazione di numerosi gruppi ambientalisti, i ricorsi non hanno avuto la meglio sulle esigenze economiche...
Ci sono delle aree in Alto Adige con maggiore biodiversità?
Le valli laterali alpine hanno un modesto impatto antropico e questo si riflette in una biodiversità altissima. Ma anche nel fondovalle dove dominano le coltivazioni di meleti basta imbattersi in uno stagno o nei cespugli che dividono un terreno dall’altro: queste «isole» all’interno delle monocolture sono riconosciute a livello scientifico e inserite come consigli di buona pratica agricola. Sono «isole ecologiche» anche le valli perché non permettono scambi frequenti fra gli organismi. Il fenomeno si sta ovviamente attenuando, ma questa «separazione naturale» ha fatto sì che anche geneticamente le popolazioni mantenessero dei caratteri particolari.
Che buone pratiche è possibile attuare per tutelare la biodiversità?
La cosa più importante è l’apertura mentale che permette di percepire le novità e di accogliere i nuovi suggerimenti per migliorare la qualità del nostro ambiente. Viviamo in un territorio ricco di risorse, dove non manca la sensibilità ecologica. Questa condizione privilegiata deve farci però riflettere. Dalle Alpi nascono i 4 maggiori fiumi europei e più del 20% della superficie europea preleva acqua proveniente dalle Alpi: quindi le conseguenze delle nostre azioni si possono ripercuotere a migliaia di chilometri di distanza.
È vero che la dimensione provinciale è ormai troppo piccola per tutelare la biodiversità e che ormai bisogna ragionare in termini di tutela della biodiversità alpina?
Non c’è un’unica dimensione. La biodiversità va considerata a livello alpino perché i parametri ambientali non rispettano i confini amministrativi - le Alpi vengono appunto considerate un’unica eco-regione. Se pensiamo però che a livello locale esistono dei piccoli microambienti che fanno parte di questa struttura più generale, dobbiamo ritenerci responsabili in prima persona di ognuno di questi piccoli «pezzi»...
Alto Adige 17-7-11
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sabato, 16 luglio 2011



«Elementari, bilingui tutte le scuole»

BOLZANO. Classi bilingui in tutte le scuole italiane dell’Alto Adige e certificazione linguistica pari al patentino B per tutti gli studenti che conseguono il diploma. L’assessore provinciale alla scuola italiana Christian Tommasini fissa, a margine della conferenza stampa di presentazione dei dati statistici di fine anno scolastico, l’asticella della misure concrete che la politica intende adottare nell’ambito dell’istruzione plurilingue.
La riflessione sui mesi passati, quindi, ben presto si trasforma in uno sguardo verso un futuro fissato entro il termine della legislatura nel 2013, quindi tra appena due anni. «Al momento - le parole dell’assessore - siamo in una fase di ampliamento del potenziamento linguistico, per cui a breve intendiamo attivare le classi bilingui nelle primarie di tutto il territorio per rispetto del concetto di pari opportunità. Le punte d’eccellenza hanno portato avanti la sperimentazione e continueranno a esserci, ma ora vogliamo innalzare il livello generale dell’offerta allargandola il più possibile». Non è un mistero, però, che tra i docenti serpeggi preoccupazione: in campo si gioca una partita che mette in palio una buona fetta di occupazione. «Conosciamo la situazione e siamo consci della necessità di trovare un punto d’equilibrio. Credo che una formula basata su 9-10 ore di insegnamento veicolare settimanale possa essere azzeccata. Non dimentichiamoci, comunque, che i numeri delle iscrizioni alla scuola primaria segnalano una costante crescita, quindi il bacino occupazionale resta solido». Non di solo elementari, però, può vivere la scuola altoatesina. «Vero - conferma Tommasini - e non a caso la sperimentazione comincerà a entrare anche alle medie dal prossimo anno. E’ nostra intenzione, comunque, stabilire degli obiettivi concreti da raggiungere sulla base delle certificazioni linguistiche. Sarà nostro preciso impegno, per esempio, condurre gli studenti a incamerare un attestato di conoscenza linguistica certificata pari al patentino B a conclusione delle scuole superiori: a breve presenteremo un documento ufficiale che stabilisca con precisione tutti gli step in relazione ai diversi gradi scolastici. In questo modo potremmo anestetizzare l’ansia da patentino e rendere i curriculum dei nostri ragazzi più solidi su scala europea». Le superiori, intanto, il prossimo anno testeranno con mano la riforma. «Credo sia stato fatto un buon lavoro con il biennio unitario e la divisione nelle tre colonne di licei, istituti tecnici e professionali I primi dati sulle iscrizioni, intanto, indicano un’inversione di tendenza con un rallentamento del processo di liceizzazione. Dal punto di vista linguistico, invece, cercheremo di aumentare gli scambi con varie formule sia tra docenti sia tra i ragazzi. Qui, però, avremmo bisogno della collaborazione dell’Intendenza tedesca». Passiamo, infine, alla scuola dell’infanzia «dove proporrò un patto con le famiglie che le impegni, per esempio, a dedicare a casa 10-15 minuti a giochi nella seconda lingua. La società ci sta molto aiutando in questo cambiamento, ma abbiamo bisogno di una fattiva collaborazione con l’extrascuola per essere realmente efficaci. Gli accordi con il tessuto famigliare potranno poi essere uno strumento di coinvolgimento ampliabile».
Ieri, però, è stata anche giornata di numeri con le statistiche presentate a bilancio dell’annata appena conclusa al termine degli esami di Maturità. Proprio quest’ultimi hanno catalizzato l’attenzione con il 98,4% degli studenti che ha superato la prova e una provenienza del 54% dai licei, del 28,7% dagli istituti tecnici e del 17,1% dalle professionali. In totale si tratta di 884 ragazzi su 898 che hanno concluso positivamente il ciclo. Per quanto riguarda le votazioni finali, si registra un aumento dei punteggi alti con un 23,4% che si attesta tra l’81 e il 99, mentre sono 35 i ragazzi usciti con 100 e solo tre capaci di centrare pure la lode. Decresce del 2,46%, invece, il totale delle valutazioni tra il 61 e il 70. Fa riflettere, inoltre, il dato che vede la prima classe delle superiori come la più difficile con il 19,3% di studenti non ammessi e il 28,3% con sospensione di giudizio. «Dobbiamo migliorare - commenta la sovrintendente scolastica Nicoletta Minnei - i processi di orientamento per abbassare questa soglia di errore. La riforma, in questo senso, può aiutarci». Analogo problema è stato registrato nella scuola tedesca «dove una politica di potenziamento dell’orientamento - spiega l’assessore Sabina Kasslatter Mur - sta cominciando a dare risultati migliori». Altro dato espressivo è il 15,84% di studenti sospesi in tedesco nella classe quarta delle superiori: spia evidente che a un soffio dalla conclusione del ciclo diversi ragazzi non raggiungono livelli sufficienti nell’apprendimento della seconda lingua. Uno sguardo, infine, agli esami di terza media superati dal 94% degli scolari, di cui il 5,3% addirittura con il massimo del punteggio.
Il voto più quotato è stato il 6 ottenuto dal 29,9% degli scrutinati, anche se la tendenza rispetto all’anno scorso vede un livellamento verso i gradi medio-alti della scala valutativa e un contestuale abbassamento di eccellenze e situazioni particolarmente critiche. (a.c.)
Alto Adige 16-7-11
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lunedì, 11 luglio 2011



In autunno partirà Ingegneria meccanica

BOLZANO. Alla Lub all’anno accademico 2010-2011 ci sono 3.368 iscritti (945 matricole‹9, distribuiti su cinque facoltà: Economia, Scienze e tecnologie, Scienze e tecnologie informatiche, Design e Scienze della formazione. L’85,7% dei laureati alla Lub lavora e il 75,3% si laurea in corso. In autunno partirà il nuovo corso di Ingegneria meccanica fortemente voluto dal mondo dell’imprenditoria locale che ha grosse difficoltà a trovare in loco ingegneri e più in generale tecnici di alto livello. Il presidente della giunta provinciale Luis Durnwalder sta inoltre lavorando alla creazione di una Medical School per dare una risposta alla carenza di medici e specialisti che l’Alto Adige avrà già nei prossimi anni. Per quanto riguarda Scienze della formazione di Bressanone si sta pensando all’istituzione di un corso di giornalismo.
Il costo di ogni studente della Libera università di Bolzano si aggira in media intorno agli 11 mila euro l’anno. Uno studente di Scienze della formazione costa intorno agli 8 mila euro, quello di Scienze e tecnologie 22 mila e 600.
Alto Adige 10-7-11
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giovedì, 07 luglio 2011



Eros, viaggi, battaglie Così Wolkenstein unì poesia e avventura

Oggi Oswald von Wolkenstein mantiene intatta la sua celebrità: a lui sono dedicate vie, piazze e osterie. Il suo nome compare nelle etichette di formaggi e vini. C’è anche una «Cavalcata di Oswald von Wolkenstein» con tornei cavallereschi a Castelrotto, Siusi, Fiè e Castel Presule. È quanto nota Peter Waentig nell’introduzione alla traduzione delle «Poesie e canzoni» di Oswald von Wolkenstein da poco pubblicata da Carocci (p. 119, euro 14).
 In poche e illuminanti pagine lo studioso ripercorre la vita di questo misterioso personaggio, probabilmente nato nel Castello di Schöneck in val Pusteria tra il 1376 e il 1378, che raccontò molto di sé, in modo ora fantastico ora reale, con un linguaggio poetico moderno e assai efficace, come dimostra la selezioni di materiali poetici curata e tradotta da Waentig. Scrisse Oswald nella celebre poesia «Es fuegt sich»: «E’ accaduto che all’età di dieci anni / Volevo vedere com’era fatto il mondo. / In miseria, vissi in terre calde, in terre fredde, / con cattolici, ortodossi, maomettani».
 Esaurita la formazione scolastica nell’abbazia di Novacella o forse presso il Duomo di Bressanone, l’inquieto personaggio è assunto da principi e vescovi, successivamente entra al servizio di re Roberto del Palatinato e dell’imperatore Sigismondo di Lussemburgo, che accompagnò al Concilio di Costanza (1414-1418) per poi ottenere importanti incarichi diplomatici in Gran Bretagna e Portogallo. Spesso in contrasto con i fratelli e i feudatari locali per il possesso di terre e masi sull’Alpe di Siusi, il litigioso e violento Oswald fu protagonista di furti e rapine, culminati in processi, prigionie e torture, che terminarono nel 1427 quando ottenne l’intero castello di Hauenstein, vicino alla Sciliar, dove visse con la moglie, la nobile sveva Margarethe von Schwangrau.
 Tuttavia la quiete montana non calmò Oswald: se rimpiangeva le avventure giovanili - dai pellegrinaggi in Terrasanta alle spedizioni militati nelle zone balcaniche e in Asia Minore - ben volentieri partecipò alle continue faide interne alla nobiltà sudtirolese. Morì il 2 agosto 1945 a Merano e fu sepolto Novacella: oggi si può osservare la lapide a lui dedicata nel cimitero del Duomo brissinese.
 Oltre che nobile riottoso e avventuriero, Oswald von Wolkenstein fu soprattutto un poeta assai raffinato, «uno dei poeti più produttivi di lingua tedesca tra Medioevo e l’epoca moderna», come sottolinea Waentig. Compose esclusivamente per diletto e sperimentò i generi letterari in voga all’epoca, dalla poesia popolare, sicuramente recitata con accompagnamento musicale nelle osterie al cospetto di una platea sorseggiante birra e vino, alla poesia cortese, concepita per un auditorio raffinato e aristocratico. Ricche di elementi autobiografici, in cui situazioni reali e fatti fantastici si intrecciano con maestria creativa, esse rivelano l’anima di un cantore moderno, manifestano «verve più vicina al poeta cantimbanco e al vaudeville che non al trovatore della lirica d’amore cavalleresca». La valutazione critica di Waentig diventa la chiave di lettura per assaporare le dodici poesie pubblicate in antologia (la prima in italiano) e scelte tra le centoventiquattro complessivamente composte. Battaglie, viaggi, avventure, situazioni amorose ed erotiche, denaro, risse, tristezza, gioie, paesaggi naturali costituiscono il mondo poetico di questo cavaliere vagante e raffinato scrittore-cantore, che attende la sua definitiva consacrazione letteraria, magari prossima se troverà il giusto tributo scientifico e divulgativo nell’ambito della mostra a lui dedicata e prossima all’apertura negli ambienti di Castel Tirolo.
Alto Adige 5-7-11
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domenica, 03 luglio 2011



I mistilingui ora chiedono la scuola bilingue

BOLZANO. Apprendimento plurilingue in provincia: gli esiti dei lavori della commissione speciale del consiglio provinciale, assai positivi e allo stesso tempo assolutamente inattesi negli esiti di unanime apertura verso scambi, gemellaggi, insegnamento clil e potenziamenti linguistici, continuano a stimolare il dibattito. A intervenire è l’associazione dei genitori mistilingui Mix Ling.
 «Finalmente - sostiene la presidente Michela Gaspari - si ammette ufficialmente che l’insegnamento veicolare della seconda lingua attraverso il Content and language integrated learning, adottato dalla scuola italiana, e gli scambi di classi di gruppi linguistici diversi sono strumenti validi per l’apprendimento della seconda lingua». E questo è tanto più apprezzabile «se si considera che la relazione della commissione è stata approvata all’unanimità, e quindi condivisa anche dalla Svp, rappresentata dalla presidente dell’organo consiliare Martha Stocker».
 La relazione, a detta di Mix-Ling, «permette quindi di fare un passo avanti nel riconoscimento, anche da parte del partito di maggioranza, non solo di queste realtà scolastiche, ora non più sperimentali ma ufficiali, come sottolinea l’assessorato provinciale, ma anche dell’importanza dei contatti fra gruppi linguistici, che favoriscono la motivazione per l’apprendimento della lingua».
 Fondamentale, si prosegue, «è anche il riferimento alla necessità di promuovere la formazione specifica degli insegnanti di seconda lingua, che Mix-ling ha sempre sottolineato». Ancora più importante è, però, «formare insegnanti con una doppia competenza, nei contenuti e nella loro trasmissione in una lingua diversa da quella degli alunni: la loro presenza è indispensabile per portare avanti i progetti di insegnamento veicolare anche nelle scuole medie e superiori».
 L’associazione, della quale fanno parte genitori di bambini monolingui e mistilingui, ma comunque interessati alla diffusione di una cultura plurilingue nella società, ha dato il suo contributo ai lavori della commissione partecipando all’audizione da questa convocata il 25 giugno scorso. «L’invito a questo appuntamento ha rappresentato il primo riconoscimento ufficiale della nostra presenza e della legittimità della nostra richiesta di promozione di una società plurilingue». Purtroppo, si rammarica Mix-Ling, «il nostro richiamo a garantire il diritto dei bambini di famiglie mistilingui di sentirsi a casa propria in provincia, offrendo loro una scuola che non li costringa a scegliere tra la cultura paterna e quella materna, non è stato preso in considerazione: nella relazione manca qualsiasi riferimento a questa realtà».
 Esprimendo apprezzamento per un documento per il resto «molto aperto alle sfide della società di oggi», Mix-Ling si augura quindi che «questo apra la strada anche a un riconoscimento dell’esistenza di queste famiglie e dei loro figli». (da.pa)
Alto Adige 3-7-11
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domenica, 03 luglio 2011



Seconda lingua, «premiati gli sforzi»

DAVIDE PASQUALI
BOLZANO. Ce n’è voluto, di tempo, per sdoganare potenziamento linguistico, scambi e certificazioni internazionali. Ma alla fine pure il consiglio provinciale si è reso conto. In un clima positivo, ora si apre una nuova stagione. Lo spiega l’assessore alla scuola italiana Tommasini.
 La commissione speciale del consiglio provinciale per fare il punto sull’apprendimento linguistico in provincia ha concluso i propri lavori, redigendo un documento in 14 punti che apre una nuova era. «Dal punto di vista squisitamente tecnico - commenta l’assessore provinciale Christian Tommasini - non c’è molto di nuovo, la novità vera è il clima che si è instaurato in commissione». Secondo il vicepresidente della giunta provinciale, «il documento finale è un grande riconoscimento al lavoro della scuola italiana, ora considerata innovativa, e alla stessa comunità italiana, che si sta impegnando per mettere in campo un modello efficace per raggiungere un obiettivo preciso: formare cittadini consapevoli e bilingui».
 Detto in altri termini: anche il consiglio provinciale - destre tedesce escluse, ma per il resto all’unanimità, Svp compresa - si è reso conto delle richieste della società civile e dei passi avanti fatti. «Con la metodologia Clil, che non è l’immersione linguistica, ma molto di più, ed è riconosciuta come tale a livello comunitario. Con le sperimentazioni del potenziamento, che non sono più tali ma oramai sono state elevate a sistema e dunque non se ne deve più testare la validità. Con le certificazioni, che hanno contribuito a mutare il clima, abbattendo il timore nei confronti del patentino di bilinguismo. Con gli scambi e i gemellaggi, da approfondire sempre di più, da sostenere, e questo sarà il compito della politica per il futuro».
 Insomma, la commissione provinciale, affrontando per la prima volta pubblicamente le varie questioni legate all’apprendimento linguistico, con il supporto di decine di audizioni pubbliche con esperti del mondo della scuola, «ha fatto sì che i risultati raggiunti dalla scuola italiana, con il sostegno dall’intendenza scolastica tedesca per quanto riguarda scambi e gemellaggi, diventassero patrimonio comune del consiglio provinciale, e dunque della società civile». E per fortuna, e questo Tommasini non lo dice ma sicuramente lo pensa, che le destre tedesche si sono defilate, così le destre italiane non si sono sentite sotto attacco. E invece di politica, per una volta, si è parlato solo di questioni concrete.
Alto Adige 2-7-11
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venerdì, 01 luglio 2011



L’immersione non è più un tabù

DAVIDE PASQUALI
BOLZANO. Grazie anche all’assenza delle destre tedesche, seppure invitate a far parte dell’apposita commissione speciale in consiglio, il bilinguismo esce dalla catacombe e il potenziamento viene finalmente sdoganato. Lo dice, nero su bianco, il documento finale dei commissari.
 La commissione speciale del consiglio provinciale per l’approfondimento del tema dell’apprendimento della seconda lingua in provincia, presieduta da Martha Stocker, ha concluso i suoi lavori, approvando - si noti: all’unanimità e con soddisfazione di tutti - una relazione finale contenente quattordici punti emersi nel corso dei lavori, anche dalla recente audizione pubblica tenutasi nello scorso fine settimana e che ha coinvolto l’intero mondo della scuola e della cultura. Si tratta di indicazioni relative a motivazione, insegnanti di seconda lingua, certificazioni, attività extrascolastiche, uso del dialetto, numero di ore di insegnamento della seconda lingua, autonomia delle scuole, coinvolgimento delle famiglie, progetti di scambio, esame di bilinguismo, uso del cosiddetto metodo Clil, sfida dell’immigrazione, attività nella scuola dell’infanzia, esempi di altre realtà extraprovinciali.
 La commissione conclude la relazione sostenendo che «i lavori si sono svolti molto speditamente e con risultati soddisfacenti; si è giunti a conclusioni che i componenti giudicano fruttuose».
 Pare poco, ma invece è moltissimo. E chi non ha partecipato, ossia Südtiroler Freiheit e Freiheitlichen, si è dato la zappa sui piedi. Perché per la prima volta si è detto, anzi scritto nero su bianco, all’interno di un documento ufficiale del consiglio provinciale, ciò che il mondo della scuola ripete da anni, se non da decenni. E tant’è: adesso non si potrà più far finta di non sapere come stiano davvero le cose.
 Qualche esempio può risultare efficace. Nella relazione si possono leggere dichiarazioni in passato inimmaginabili: «La motivazione dipende dall’ambiente circostante e aumenta attraverso il contatto con l’altro gruppo. Essa dipende anche da un atteggiamento positivo rispetto alla lingua e ai parlanti e si esprime attraverso l’interesse e la curiosità». Si ammette che «un problema degli insegnanti di seconda lingua è la formazione» e che «manca soprattutto una didattica specifica per l’insegnamento della seconda lingua». Pertanto, «è assolutamente necessario ampliare l’offerta formativa in questo senso». E ancora: «La certificazione del livello linguistico è stata considerata in linea di principio molto positiva anche intesa come una certificazione capillare su tutto il territorio secondo i criteri del quadro di riferimento europeo. Questa certificazione può da una parte essere motivante, e contemporaneamente ridurre la paura dell’esame di bilinguismo». E poi si dice nero su bianco un’altra banale ovvietà, finora ufficialmente taciuta e misconosciuta da tanti: «Nelle scuole italiane le delibere provinciali consentono l’insegnamento della seconda lingua con metodi che ne favoriscono il potenziamento». Gli scambi fra scuole italiane e tedesche «sono stati considerati da tutti uno strumento valido ai fini delle motivazioni e dell’apprendimento». E ancora: «Il Clil è uno strumento valido». E infine «bisogna chiedersi se la verifica delle conoscenze linguistiche possa avvenire secondo i criteri Ue con metodi di verifica oggettivi in sostituzione dell’esame di bilinguismo».
Alto Adige 1-7-11
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venerdì, 01 luglio 2011


Riemerge un’altra capanna retica

BRUNO CANALI
LAIVES. Un’altra capanna retica è venuta alla luce in un cantiere privato a monte della città, nel cuneo tra via Pietralba e via Peter Mayr, proprietà della famiglia Hofer. Ad individuarla è stato l’archeologo Alberto Alberti, che segue i lavori di scavo. È in zona Raif, dove in passato sono state trovate altre testimonanze dell’epoca pre-romana: lì probabilmente sorgeva un villaggio.
 Solo un occhio “allenato” come il suo ha permesso ad Alberti, tecnico dell’Ufficio beni archeologici della Provincia diretto da Cartin Marzoli, di individuare in mezzo alla terra la forma di quella che a tutti gli effetti dovrebbe essere una capanna retica, del tutto simile alle altre ritrovate negli anni passati qua e là in città a Laives.
 «Rispetto a quelle però - specifica Alberto Alberti - dovrebbe trattarsi di una capanna risalente al secondo secolo avanti Cristo, un po’ più recente quindi delle altre trovate in zona Galizia, che sono databili attorno al quarto secolo avanti Cristo. Per questa che è venuta alla luce in cima a via Pietralba, nel terreno Hofer, siamo grosso modo al periodo immediatamente precedente l’arrivo dei Romani».
 Lo scavo da parte dell’archeologo è appena iniziato, nei prossimi giorni si conta di arrivare fino alle fondamenta della capanna. Intanto però è già venuta alla luce una punta di lancia in ferro ben conservata, oggetto che, conferma Alberti, non si trova usualmente in questo genere di costruzioni. Poco distante dall’area della capanna retica si possono vedere anche i sassi della vecchia strada che saliva in Vallarsa, di qualche secolo fa.
 «Con questa capanna, siamo sempre in zona Raif - continua l’archeologo, un’area a monte della vallata, dove con ogni probabilità doveva esserci un piccolo villaggio retico, prova ne sia il fatto che poco distante da qui in passato sono state trovate altre costruzioni del genere e alcuni oggetti dell’epoca».
 La capanna (pochi resti di pietre rozzamente squadrate) è simile a quella montata nel parco in zona Galizia. Uno dei misteri che ancora si celano nel sottosuolo della città è quello della necropoli. «In effetti - spiega Alberti - essendo oramai appurato che qui c’era un villaggio, da qualche parte dovevano anche avere seppellito i defunti. Finora non siamo però ancora riusciti localizzare la necropoli e non è nemmeno detto che la si troverà in futuro. Potrebbe anche essere successo che durante qualche scavo moderno inavvertitamente il sito sia stato distrutto e oggi, al suo posto, si trovi un condominio. In questo senso ringrazio la famiglia Hofer, che ha dimostrato la massima disponibilità al completamento di scavo e rilievi».
Alto Adige 1-7-11
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domenica, 19 giugno 2011



La classe dell’arte, luogo di incontri

La classe dell’arte è un luogo di incontri, promosso e pensato dal Dipartimento all’edilizia abitativa, cultura, scuola e formazione professionale in lingua italiana della Provincia di Bolzano, che si svolgono al Centro Culturale Trevi, a partire da martedì 21 giugno 2011, per riprendere nei mesi di ottobre (mercoledì 5 e 26) e novembre (mercoledì 16 e 30) e concludersi nel giugno 2012.
L’obiettivo principale del ciclo, inserito in quelle che sono le linee guida dello stesso Dipartimento, è quello di affrontare tematiche di stretta attualità nel sistema dell’arte e di approfondirne elementi significativi ed esperienze, al fine di sviluppare confronti e idee utili. Gli appuntamenti mirano a promuovere una riflessione sui funzionamenti e i meccanismi attuali del sistema culturale per fare dell’arte una passione alla portata di tutti e un motore di sviluppo economico e di coesione sociale. Per questo gli incontri, gratuiti, sono rivolti a tutti: giovani, lavoratori, casalinghe, studiosi, storici dell’arte, critici e curatori, artisti, appassionati di tecnologie, umanisti, scienziati, studenti, adulti e pensionati.
Ciascuno dei sei appuntamenti tratterà un tema specifico affrontato da personalità afferenti a diversi ambiti del sistema dell’arte (storico e artistico, economico e culturale, istituzionale e privato, sociologico e tecnologico...). Per ogni appuntamento è prevista inoltre la testimonianza di un relatore legato al territorio altoatesino.
Allo scopo di raggiungere questi obiettivi, gli appuntamenti si sviluppano in una dinamica di dialogo, che consente il racconto in prima persona di esperienze e professionalità diverse per storia e significato, voci magari divergenti fra loro, disposte in mezzo al pubblico per parlare dell’arte nel suo compiersi in una dimensione di realizzazione, professione, passione. Questo dialogo si realizza negli incontri anche grazie alla presenza di opere d’arte antica, moderna, contemporanea ed esempi di nuove applicazioni tecnologiche per l’arte inserite in allestimenti appositamente concepiti per ciascun appuntamento e messi a disposizione dei partecipanti.
L’arte e le nuove tecnologie tessono una relazione che si sviluppa su due livelli principali: la tecnologia che supporta l’arte nella sua trasmissione didattico-pedagogica (dall’archiviazione digitale di opere alla loro messa in rete sotto forma di gallerie virtuali, fino agli allestimenti interattivi delle mostre) e la tecnologia che diventa uno strumento espressivo dell’arte (dal video alle installazioni multimediali). Le nuove tecnologie sollevano quindi quesiti teorici e pratici notevoli, poiché di fatto accentuano nodi fondamentali come quelli della creazione, della fruizione del rapporto fra l’arte e che comunicano e gestiscono il patrimonio.
L’intero ciclo di appuntamenti sarà pertanto video-registrato, i video elaborati e immessi nel web attraverso siti specializzati a livello territoriale e nazionale, diffondendo in rete le tematiche affrontate.
Le relazioni di La classe dell’arte andranno infine a comporre un volume a cura di Paola Tognon, che verrà presentato nel giugno 2012 e che, attraverso studi e riflessioni, permetterà un approfondimento dei temi trattati con il supporto di testi e immagini, in una dimensione di valorizzazione e condivisione dei contenuti esperiti a Bolzano.
Il Centro Trevi, dunque, ospita La classe dell’arte anche nel suo format di spazio fisico, che rimanda visivamente all’atmosfera scolastica grazie all’utilizzo di arredi scolastici dismessi dove relatori e pubblico si confrontano direttamente, senza cattedra, prendendo appunti e ricavando informazioni anche dai più nuovi strumenti tecnologici. In quanto spazio di pensiero, La classe dell’arte gravita intorno alla riflessione che è propria dell’arte, e che di per sé è incurante e sovversiva di fronte a qualunque ordine imposto e come tale capace di invenzione e innovazione.

IL PRIMO EVENTO Martedì 21 giugno, ore 20.45-22.30, Centro Culturale Trevi: Mecenatismo e collezionismo: una pratica intima o una missione pubblica? Storie di papi, re e cavalieri, o storie di uomini appassionati? Utopia, ricerca di talenti o strategia?

GLI ALTRI APPUNTAMENTI Mercoledì 5 ottobre: Che cos’è un’opera d’arte? Per chi è immaginata, di che cosa è fatta, quale é il suo potere e la sua funzione? Quale opera d’arte vorresti in casa tua?
Mercoledì 26 ottobre: L’arte è un linguaggio universale? Racconta la tua storia, identifica le tue origini, ti appartiene? Quanto costa e quanto vale l’arte? Se tuo figlio volesse fare l’artista, cosa penseresti?
Mercoledì 16 novembre: La tecnologia ci avvicina all’arte? Quanto e come le istituzioni culturali ne sfruttano le potenzialità multimediali? Le nuove tecnologie sono un valido supporto per l’esperienza e la conoscenza dell’arte a tutte le età e per tutte le tasche?
Mercoledì 30 novembre: L’arte è un patrimonio collettivo o il privilegio di un paese evoluto abitato da persone fortunate? Le istituzioni culturali sono un soggetto attivo nello sviluppo economico e sociale? Il museo è un biglietto da visita internazionale per il suo territorio?
Mercoledì 6 giugno: Presentazione del libro che raccoglie e approfondisce i temi trattati negli incontri attraverso testi e immagini, riflessioni e confronti, interviste e analisi.
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sabato, 18 giugno 2011


San Giovanni, riapre un gioiello

Chiesa consacrata nel 1180, la chiesa era anticamente la parrocchiale del nucleo più antico della città di Bolzano. La prima fase costruttiva dell'edificio segue i dettami dell'arte romanica, ma la struttura attuale venne rinnovata nel XIV secolo con l'inserimento della volta a botte e l'innalzamento della torre campanaria. Un ultimo intervento si è avuto nel XVII secolo con l'apertura di nuove finestre e l'aggiunta della sacrestia.

Nella chiesa sono all'opera tre distinti pittori: nell'abside un maestro ritardatario ancora legato in parte a modelli romanici e ad influssi stilistici gotici-lineari (1330-35 ca.); nella navata due maestri si alternano nella realizzazione del programma decorativo che narra le Storie di San Giovanni Evangelista e San Giovanni Battista (1365 ca.). Entrambi risentono dell'influsso di Guariento, che aveva dipinto la distrutta cappella di San Nicolò ai Domenicani (1360 ca.).



 "Simbolo dell'evangelista Giovanni"


MARCO RIZZA
La chiesetta di San Giovanni in Villa è uno dei veri tesori nascosti di Bolzano. La conoscono in pochi, e quasi esclusivamente per l’esterno dell’edificio, incastonato tra le case di una stradina laterale di via Cavour. Eppure è un piccolo gioiello dell’arte altoatesina. Chiusa al pubblico ormai da anni, sarà riaperta alle visite grazie all’iniziativa «Aperti per voi» del Touring Club Italiano. I dettagli dell’operazione saranno resi noti lunedì: quello che per ora si sa è che grazie all’impegno di una squadra di volontari, a partire dal prossimo fine settimana la chiesa sarà aperta al pubblico gli ultimi venerdì e sabato di ogni mese dalle 10 alle 12.20; l’idea è quella di proseguire nel progetto almeno fino all’inaugurazione del Mercatino di Natale e poi chiudere per l’inverno, quando la temperatura nella chiesetta cala drasticamente.
La chiesa di San Giovanni in Villa è stata consacrata nel 1180 e rifatta all’inizio del XIV secolo con l’aggiunta di un campanile romanico-gotico. La principale attrazione sono gli affreschi, il cui stato di conservazione ha quasi del miracoloso. Realizzati tra il 1330 e il 1370, sono importanti anche perché testimoniano la compresenza di elementi ricavati dalla scuola germanica (ad esempio nell’impianto narrativo) con altri di scuola italiana-giottesca, per esempio nella spazialità e nelle architetture. I due cicli rapppresentano le Storie di San Giovanni Battista sulla parete nord e le Storie di San Giovanni Evangelista in quella opposta. Gli autori - sicuramente più d’uno, probabilmente due - non sono stati identificati con chiarezza e sono chiamati convenzionalmente Primo e Secondo Maestro di San Giovanni; i loro affreschi furono commissionati dalla famiglia di banchieri fiorentini Botsch (la stessa che commissionò al Guariento gli affreschi della chiesa dei Domenicani). San Giovanni Battista è per altro il patrono di Firenze, la città dei committenti.
A quanto pare, per altro, la chiesetta di San Giovanni in Villa non è mai stata restaura se non per piccoli interventi contingenti (rinnovamento delle finestre, piccoli ritocchi ecc). «Per questo - dice Laura Schütz, console del Tci per Bolzano, che proprio giovedì ha effettuato un sopralluogo insieme ad altri volontari dell’associazione - la visita al suo interno è ancora più emozionante. Credo che tutta la città debba molto a Christl Vieider, che nonostante la sua non più giovane età custodisce la chiesa da decenni con enorme affetto e attenzione. È indubitabile che i cicli di affreschi della chiesa confermino come Bolzano sia da secoli il luogo di incontro della cultura nordica e di quella italiana ed è anche per questo che speriamo che quanti più bolzanini possibile vengano a visitarla. L’apertura è garantita dalla dedizione dei volontari del Tci, che ovviamente non possono fare visite guidate ma possono rispondere a domande; in ogni caso saranno realizzati dei brevi testi descrittivi. E a partire dall’anno prossimo vorremmo anche entrare nelle scuole».
Alto Adige 18-6-11

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venerdì, 17 giugno 2011



Pacifismo e nonviolenza: da oggi il convegno

BOLZANO. Da oggi a domenica Bolzano diventa la capitale italiana della nonviolenza. All’Auditorium Battisti di via S.Geltrude si svolgerà infatti un convegno per ricordare Aldo Capitini e i 50 anni della marcia Perugia-Assisi. Sempre oggi, alle 18, presso la Lub Francesco Comina presenterà il suo libro dedicato a Raimon Panikkar, alla presenza di alcuni importanti esponenti del pacifismo italiano come monsignor Luigi Bettazzi e Enrico Peyretti. Per quanto riguarda il convegno - organizzato dal Centro per la pace del Comune di Bolzano - vi numerosi grandi testimoni della nonviolenza, studiosi, attivisti, scrittori, artisti, musicisti. Si tratta di un evento concepito per dare visibilità e attualità alla prassi nonviolenta per un mondo di pace e per dare voce anche alle esperienze concrete sul territorio regionale. Durante i tre giorni di convegno a Bolzano si farà il punto sull’attualità della nonviolenza come alternativa alla scelta di guerra ma anche come relazione dell’uomo con l’altro uomo, con la terra e con il cosmo. Si inizia oggi alle 20 col saluto delle autorità e il primo incontro dedicato alle resistenze nonviolente nel Mediterraneo. Domani si riprende alle 9: mattinata dedicata a Capitini, pomeriggio a gruppi di lavoro su alcuni «maestri di pace».

Alto Adige 17-6-11
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mercoledì, 15 giugno 2011



«Tornano i cittadini La politica cambierà»

MARCO RIZZA
Si è chiusa una fase storica e se ne è aperta una nuova. La grande partecipazione dell’elettorato italiano ai quattro referendum mostra che anche in Italia è arrivata l’onda che, sia pure in forme diverse, si è osservata in Spagna, in altri Paesi europei, e anche nei Paesi teatro della «primavera araba»: la gente vuole sentirsi protagonista della vita politica. E in questa svolta stanno svolgendo un ruolo fondamentale i nuovi media e i social network come Facebook e Twitter. Così il politologo Günther Pallaver, a margine della presentazione del nuovo annuario Politika 11, commenta l’esito referendario: «Nei sistemi democratici che funzionano - dice - ci sono due aspetti fondamentali: l’input di richieste dai cittadini alla classe politica, e l’output delle decisioni di quest’ultima. Per molto tempo il canale dell’input è stato carente ma ora il sovrano è tornato a farsi vivo: e il sovrano è il popolo. La partecipazione della gente è sempre più forte e non solo è in senso generale ma issue-oriented, cioè in relazione a temi specifici: il traffico, per esempio, o come in questo caso l’acqua o l’energia. Ovviamente in questo contesto strumenti come Twitter e Facebook sono fondamentali: ci hanno messo un po’ a diffondersi per la comunicazione politica, ma ora sono essenziali». Per questa che Pallaver chiama «una svolta storica» il sistema politico italiano «non era del tutto preparato, ma se vuole sopravvivere non ha altra scelta che adeguarsi, altrimenti i partiti saranno castigati. È una grande onda che abbiamo visto già in Spagna, in parte dell’Europa, in certi Paesi arabi...». E in Alto Adige? «Siamo in una fase di riflessione - risponde Pallaver -, ma è evidente che sta aumentando la richiesta di democrazia diretta e che nemmeno la Svp può più chiudersi a questa domanda. Lo si è visto nei referendum del 2009 (su aeroporto e democrazia diretta, ndr), dove il quorum non è stato raggiunto ma molti elettori Svp sono andati a votare, nonostante le indicazioni del partito. E anche sulla nuova legge per la democrazia diretta ci sarà da battagliare».
Ieri, come detto Pallaver ha presentato il nuovo volume di Politika, edito da Raetia: giunta alla terza edizione, la pubblicazione affronta - con oltre 20 interventi di altrettanti studiosi, con testi in tedesco o italiano e abstract nell’altra lingua oltre che in ladino e inglese - alcuni dei temi politici più rilevanti a livello provinciale. Due gli argomenti maggiormente approfonditi: l’analisi delle elezioni comunali del 2010 e la riflessione (con saggi di Leopold Steurer, Hans Karl Peterlini e Pallaver) sugli anni del terrorismo sudtirolese. Maurizio Ferrandi interviene invece sulla figura di Silvius Magnago e sulla sua percezione da parte del gruppo italiano. Guido Bocher, sindaco di Dobbiaco, è stato nominato personaggio dell’anno. A proposito di democrazia diretta, tra gli articoli ne è ospitato uno di Arnold Schuler, consigliere provinciale Svp ed ex presidente del Consorzio dei Comuni, che si occupa anche della partecipazione dei cittadini alla politica e traccia una panoramica sui referendum comunali di questi anni.
Alto Adige 15-6-11
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mercoledì, 15 giugno 2011



Sulla terrazza dell’Eurac si parla del federalismo

BOLZANO. Tema decisamente attuale, il federalismo fiscale sarà al centro del nuovo Eurac Science Cafè, il dibattito all’aperto, sulla terrazza della torre dell’Eurac a Ponte Druso, in programma oggi dalle ore 20.30. Mentre il resto d’Italia si accapiglia in tivù su riforme molto mediatiche e di poca sostanza, in Alto Adige il federalismo fiscale avanza. Ma siamo davvero tanto privilegiati? Miglioreranno i servizi? Aumenteranno le tasse? Tra tavole rotonde di addetti ai lavori e dichiarazioni politiche, finalmente una occasione informale durante la quale il pubblico potrà sciogliere i dubbi più comuni e parlare a tu per tu con gli esperti. L’appuntamento ha come titolo “Federalissimo. Tasse uguali per tutti?”, e si partirà dall’accordo di Milano del 2009 che rafforza l’autonomia finanziaria del nostro territorio: stabilisce che la Provincia recuperi il 90 per cento delle tasse raccolte sul territorio e acquisisca nuove competenze a spese del proprio bilancio, contribuendo così alla solidarietà nazionale. Ad esempio, si accollerà gli ammortizzatori sociali, dalla cassa integrazione alla mobilità, e le Poste. Ma cosa cambierà materialmente per i cittadini? A che punto sono le norme di attuazione? Lo spiegheranno Michele Buonerba, segretario provinciale della Cisl; Eros Magnago, direttore della Ripartizione finanze della Provincia; Alice Valdesalici, giurista dell’Eurac; moderatrice Marica Terraneo, giornalista di Rttr. Accompagneranno la serata le vignette realizzate “in diretta” da Rudi e la musica del dj Make Out Club. In caso di maltempo il dibattito si terrà al coperto al pianoterra dell’Eurac.Alto Adige 15-6-11
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mercoledì, 15 giugno 2011



Lausch: ampliare gli strumenti di democrazia diretta

BOLZANO. «La democrazia diretta non può essere solo uno strumento d’emergenza per i casi estremi: dev’essere invece un sistema che permetta a tutti una partecipazione continuata per migliorare le condizioni di vita». Lo afferma Stephan Lausch di Iniziativa per più democrazia. «Ma non si può dimenticare una cosa: il referendum abrogativo, di cui ora ci siamo potuti servire, non è altro che un freno d’emergenza, ed è anche limitato dal quorum del 50%. Perciò funziona solo in casi estremi come quello attuale. Alla democrazia diretta non si dovrebbe ricorrere solo quando quella rappresentativa non funziona proprio più. La democrazia diretta dovrebbe invece permettere a cittadini e cittadine di controllare efficacemente l’operato dei rappresentanti politici e di collaborare tutti, in modo creativo e continuato, a migliorare la nostra realtà, che ha sempre bisogno di essere migliorata», ancora Lausch (nella foto). «Per questo abbiamo bisogno di altri strumenti di democrazia diretta», chiude Lausch.
“I referendum sono andati bene”, così il sindaco Spagnolli nell’incontro con i giornalisti. «Personalmente non credo che il risultato debba essere strumentalizzato a fini politici per chiedere “la testa” del governo, ma credo che dall’esito dei referendum il governo debba trarre delle conseguenze: deve imparare ad ascoltare di più la gente e di conseguenza ad attivarsi. Vi sono degli ambiti in cui il nostro governo è decisamente inattivo, ma la gente si aspetta delle risposte concrete. L’Italia è priva di un piano energetico e credo sia tempo e ora che ci si attivi per realizzarlo», sottolinea Spagnolli.
«Il fatto che molti elettori dell’area di destra siano andati a votare ai referendum, ignorando del tutto le indicazioni del non voto dei propri leader Berlusconi e Bossi, sta a significare, in maniera inequivocabile, che è in atto un forte corto circuito, probabilmente non più ricucibile, tra il Paese reale ed il governo», evidenzia Paolo Degasper, segretario altoatesino dell’Udc, per il quale «all’estero ci considerano ormai di serie B».

Alto Adige 15-6-11
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mercoledì, 15 giugno 2011



Ingegneria meccanica: via alle iscrizioni

ANTONELLA MATTIOLI
BOLZANO. Dalla decisione alla realizzazione sono passati nove mesi: si aprono le iscrizioni al nuovo corso di laurea in Ingegneria industriale meccanica che parte in autunno. Ieri la presentazione ufficiale da parte dei vertici dell’Università e di Assoimprenditori che l’hanno fortemente voluto.
IL NUOVO CORSO. Il nuovo corso si colloca all’interno della Facoltà di Scienze e tecnologie. Il preside Massimo Tagliavini e la presidente del consiglio di corso Maria Letizia Bertotti hanno illustrato le caratteristiche di Ingegneria industriale meccanica che avrà due indirizzi: quel Meccanico (propedeutico) e Ingegneria logistica e della produzione (professionalizzante). Quest’ultimo esiste già ed ha 28 iscritti. In autunno i posti a disposizione saranno complessivamente 50 per i giovani dell’Unione europea e 4 per i non-Ue. Il percorso formativo universitario prevede: una laurea triennale (Ingegneria industriale meccanica), la laurea Meccanica in fase di programmazione e il dottorato di ricerca in via di approvazione. «Il nuovo corso - ha assicurato il preside Tagliavini - non comporterà un aumento dei costi se non in misura minima, visto che il corpo docenti c’è già».
OBIETTIVI. Il percorso di Meccanica (propedeutico) punta ad offrire una formazione di base per il proseguimento degli studi magistrali in diversi settori dell’ingegneria industriale. «Attraverso questo percorso che è unico nel raggio di 300 chilometri - ha spiegato Pietro Borgo, vicepresidente della Lub e general manager dell’Iveco - si intende formare una figura di ingegnere «classico» con una preparazione quinquennale per ruoli manageriali di cui oggi vi è un’enorme necessità a livello locale, italiano ed europeo. Il percorso di Ingegneria logistica e della produzione vuole invece completare la formazione di un profilo di ingegnere Junior pronto per essere inserito nel mondo industriale tenendo conto delle esigenze del territorio». Così Tagliavini: «Da un lato il corso offre ottime prospettive per un immediato inserimento nel mondo del lavoro, dall’altro fornisce solide basi per il proseguimento degli studi sia a Bolzano che in altri atenei, in vari ambiti dell’ingegneria tra cui quel meccanico, gestionale e dell’energia». La didattica, come per tutte le facoltà della Lub, sarà trilingue: italiano, tedesco, inglese. Le preiscrizioni si possono fare online attraverso la pagina web www.unibz.it o attraverso la consegna del modulo entro l’11 luglio. Il test di ammissione è previsto per il 27 luglio. I test linguistici si terranno a partire dal 18 luglio. Gli sbocchi professionali per Meccanica: libera professione, aziende del settore meccanico ed elettromeccanico, impiantistico, dell’automazione, di produzione e conversione dell’energia; per Ingegneria logistica: libera professione, imprese manifatturiere e di servizi, pubbliche amministrazioni, approvvigionamento e gestione dei materiali, organizzazione aziendale e della produzione, organizzazione e automazione dei sistemi produttivi, logistica, project management e controllo di gestione.
LE PROSPETTIVE. «Abbiamo scelto - ha spiegato Borgo, primo sponsor assieme al presidente della Lub Konrad Bergmeister del nuovo corso - di puntare su Ingegneria meccanica perché l’ingegnere meccanico con la sua formazione riesce ad essere il più flessibile e il più impiegabile nelle realtà aziendali del territorio. Non è sicuramente l’unica specializzazione richiesta, ma certamente la più gettonata dalle aziende. Naturalmente non escludiamo in futuro di aumentare l’offerta per altri indirizzi, offerta che dovrà comunque inserirsi in modo organico con quella delle vicine Innsbruck e Trento».
L’APPELLO. «In Alto Adige - ha spiegato il presidente di Assoimprenditori Stefan Pan - operano tante imprese da annoverare tra le migliori a livello europeo che offrono posti di lavoro qualificati e attraenti nel settore tecnico. I giovani lo devono sapere nel momento in cui scelgono a quale facoltà iscriversi. Le aziende altoatesine hanno bisogno di ingegneri e più in generale di tecnici. Per crescere servono le menti». Sulla stessa lunghezza d’onda Borgo: «Oggi le aziende sono costrette spesso e volentieri ad importare tecnici e ingegneri da fuori, però quella che è una scelta obbligata finisce per rendere meno stabile il futuro delle aziende. Serve un giusto equilibrio tra professionalità locali ed esterne». Il nuovo corso dovrebbe colmare, nei prossimi anni, il gap che c’è oggi in Alto Adige dove a fronte di un aumento della domanda di tecnici da parte delle aziende, l’offerta è rimasta praticamente invariata. Ciò si spiega col fatto che in Alto Adige, come per altro nel resto del Paese, i giovani continuano a preferire le facoltà classiche a quelle scientifiche che però oggi offrono sempre meno sbocchi occupazionali. «In passato - ha affermato Pan - si poteva contare sul posto pubblico, ma le cose sono destinate a cambiare: le possibilità di assorbimento da parte dell’ente pubblico saranno sempre meno. La stessa amministrazione provinciale ha annunciato un piano di riduzione progressiva degli organici».
Alto Adige 15-6-11
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mercoledì, 15 giugno 2011



Menapace: così è nato il mio no alla guerra

LIDIA MENAPACE*
Non so se le guerre balcaniche abbiano avuto nella vita di Alex un impatto così drammaticamente distruttivo come Staffler dice: conosco altri momenti della vita di Langer che mi sembrarono altrettanto gravi e dolorosi, e non so dire, né voglio insistere su altri episodi che non so se Alex avrebbe desiderato che fossero resi noti. Comunque è certo che il riaffacciarsi della guerra all’orizzonte della storia è la massima tragedia politica immaginabile. Vorrei, a riprova di come Langer possa aver vissuto questo, narrare come ne fu investita la mia generazione, quasi preistorica. Mi capitò di essere colpita come da mazzate dai seguenti eventi: Hiroshima, il processo di Norimberga, gli stupri degli eserciti.
L’ATOMICA. Hiroshima certamente provocò una universale ondata di dolore,orrore, ecc.: molti però considerarono «giusto» il lancio. Scrissi un articolo che sosteneva invece che la bomba su un popolo vinto che già stava trattando la pace ci rendeva pari ai Nazi e cancellava tutto ciò che avevamo fatto per liberarci dal fascismo e dal nazismo: mia madre che aveva ospitato ebrei e renitenti ai bandi di Graziani, mio padre che era stato internato per due anni come Imi nei campi nazisti, io che pur rifiutando le armi avevo fatto la Resistenza ricevendo infine il brevetto di «partigiana combattente» col grado di sottotenente (ridete pure per i miei gradi militari!): tutto ciò era stato vano. Che mio padre tornando ci avesse subito detto: «Dobbiamo stare in pace, non rifare gli errori di Versailles, la Germania ha pagato abbastanza, è tutta una rovina»; e che io dicessi come tutta la Resistenza: «Questa deve essere l’ultima guerra!»: tutto vanificato dalla bomba, niente è servito. Il mio articolo, certo un po’ estremista, fu cestinato dalla censura americana (l’esercito Usa occupò Novara, dopo che noi ci eravamo liberati da soli il 25 aprile) con la motivazione che quel giorno non c’era carta (era pur sempre una censura «democratica»!): il primo cestino della mia vita.
NORIMBERGA. Dopo Hiroshima analogo impatto deludente ebbero il processo di Norimbega e gli stupri degli eserciti occupanti. Non voglio certo sostenere che gli imputati di Norimberga non fossero dei criminali efferati, né che il verdetto (dopo che gli Stati vittoriosi ebbero deciso che si sarebbe potuta irrogare loro anche la pena di morte, che del resto esisteva in tutti i loro codici nazionali) sia stato ingiusto: ma il fatto distruttivo del futuro era che i vincitori giudicavano e condannavano i vinti, facendo mancare quel fondamento essenziale che distingue la giustizia dalla vendetta, cioè la terzietà del giudice: si deve a quella sconvolgente infrazione della legalità giuridica internazionale se successivamente altri criminali di guerra contestarono il tribunale che li aveva dichiarati imputati, e che ancora Mladic può dire la stessa cosa. Appena finita la terribile seconda guerra mondiale e appena decretato dalla Carta delle N.U. che la guerra è un crimine e - come tale - perseguibile solo con strumenti di polizia (prevenzione del crimine, cattura dei sospetti, senza sparare nel mucchio, giudizio emesso da un tribunale internazionale con magistratura ad hoc e codice di diritto interstatale) ecco di nuovo le armi e la violazione della giustizia, fino all’assassinio di Bin Laden, offerto all’opinione pubblica come esecuzione della vendetta per le Torri gemelle.
GLI STUPRI. Non meno pesante per me il fatto che l’Udi, avendo chiesto che le donne vittime di stupri da parte degli eserciti occupanti fossero considerate vittime di guerra e potessero essere risarcite, fu subito accusata di voler diffamare i «liberatori»: insistemmo con la nota testardaggine femminile, ottenendo il riconoscimento di vittime di guerra e nemmeno una lira di risarcimento. Ci vollero dieci milioni di firme raccolte in tutto il mondo, perché le N.U. dichiarasserro infine solennemente che gli stupri in guerra sono crimini di guerra, qualunque cosa sostengano i codici militari.
L’AFGHANISTAN. La questione è dunque: come approssimare le leggi positive alle aspirazioni delle persone e come graduare i raggiungimenti e farli diventare irreversibili. Come è noto Moravia, l’autore della «Romana» (appunto una storia di violenza verso una ragazza), voleva che culturalmente la guerra diventasse un tabù, altri hanno emesso giudizi altrettanto precisi e definitivi, che hanno infine provocato una distanza, quasi una contraddizione tra l’assolutezza dei movimenti pacifista e di azione nonviolenta e le compatibilità della politica. Questione molto difficile e dirò conclusivamente come mi sono comportata quando mi toccò prendere decisioni in proposito, rimediando condanne dal movimento pacifista e irrisione dalla destra. Non fa piacere, ma sono sopravvissuta. Si tratta dell’Afghanistan: ero senatrice quando fu proposto di rifinanziare la spedizione, mentre sull’Iraq già avevamo deciso di ritirarci. Nel programma del governo Prodi la differenza tra le due questioni era dichiarata e quindi sapevamo che sarebbe arrivata al pettine. Decisi di votare a favore sia perché mi sentivo impegnata dal progamma di governo che avevo sottoscritto, sia soprattutto perché le donne afghane delle due maggiori associazioni femminili del Paese si rivolsero di nascosto (pregandoci di non esporle a rischi di repressione nel loro Paese) per pregarci di appoggiare la permanenza dei nostri soldati in Afghanistan, che «sono sempre meglio dei Talebani». Le senatrici di sinistra cui le afghane si rivolsero prepararono un odg che fu approvato e in cui si diceva di prestare grande attenzione ai diritti delle donne ecc. A mia volta feci un’altra proposta che ottenne un generale rifiuto (e offese) dal movimento pacifista e sarcasmi dalla destra. Il mio progetto era di ridurre continuamente il peso delle armi nelle cosiddette ipocritamente «guerre o spedizioni militari umanitarie». E poiché in Afghanistan durante la guerra la produzione di papavero da oppio era decuplicata, chiedevo di non fare come gli Usa che - dopo essersi riforniti di eroina - bruciavano i raccolti, buttando i contadini nelle braccia dei Talebani che difendevano i raccolti; ma di mandare la Guardia di Finanza, che è armata ma non combattente, perché sorvegliasse i raccolti di papavero, e ne trattasse la vendita a prezzo di mercato, dando un giusto guadagno ai contadini: la vendita dunque alle industrie farmaceutiche che usano il papavero per antidolorifici ecc. È un consiglio della Oms, ma il movimento si dichiarò schifato e su un giornale di destra rimediai una foto più grande di quelle di una star, con la didascalia: «La Menapace spaccia». Amen! Forse altre volte si possono trovare migliori soluzioni. Ad esempio certo mandare la Mezzaluna rossa in Siria e magari in Libia: è meglio che mandare bombardieri e altre diavolerie.
*pacifista, ex senatrice di Rifondazione Comunista
Alto Adige 14-6-11
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venerdì, 10 giugno 2011




La Notte dei fuochi dopo 50 anni «Ma vinse la politica»

ALAN CONTI
Se cinquant’anni fa a cadere in serie furono i tralicci dell’alta tensione, obiettivi della serie di attentati della Notte dei fuochi, oggi l’Alto Adige ha voglia di vedere crollare pregiudizi e falsi miti, anche storici. In occasione del convegno «La notte dei fuochi, la storia e le interpretazioni» organizzato ieri sera dalla giunta provinciale presso la Kolping, la voglia di infilare il passato nella storia è testimoniata da un pubblico che riempie la platea ben oltre la normale capienza. Pubblico folto, dunque, per ascoltare le opinioni degli storici Rolf Steininger, Leopold Steurer e Carlo Romeo che, come un prisma, hanno girato e rigirato la notte tra l’11 e il 12 giugno 1961 per permettere di coglierne ogni sfumatura. Il tutto senza dimenticare che quell’atto di terrorismo seminò morte con Giovanni Postal come vittima. Apertura di incontro affidata all’assessore alla cultura tedesca Sabine Kasslatter Mur: «L’obiettivo è discutere in modo oggettivo e pacato su queste vicende. La ricerca del dialogo non deve mai cessare». «Non era affatto scontato - aggiunge il vicepresidente della Provincia Christian Tommasini - riuscire a risolvere la vicenda in modo così avanzato. Non dimentichiamoci comunque che si trattò di un atto di violenza e come tale va condannato».
Ad aprire le danze ci ha pensato Rolf Steininger analizzando le reazioni dell’opinione pubblica mondiale agli attentati. «L’Alto Adige è un problema che per anni non ha interessato la Germania, ma nemmeno l’Austria. Una diffidenza che non si rifletteva in un disinteresse sociale perché tra la popolazione molti si preoccupavano di un territorio che appariva assolutamente tedesco». Ci furono ugualmente tensioni sull’asse Bonn-Roma: «Una parte della stampa italiana puntava il dito verso la Germania rea di collaborare con i terroristi». E Vienna? «Il governo austriaco ha sempre preso le distanze dagli ordigni e sapeva che tutti i Paesi avevano problemi interni tali da sconsigliare un impegno per l’autodeterminazione altoatesina». Infine Roma: «L’Italia - conclude Steininger - voleva a tutti i costi evitare l’impressione di fare concessioni al terrorismo e allo stesso tempo aveva necessità di non sfigurare presso le Nazioni Unite. La Commissione dei 19 nasce tra queste due volontà. A vincere, però, alla fine fu la diplomazia». Leopold Steurer da parte sua ha sottolineato come «la disinformazione è sempre stata il pericolo di questa vicenda». E questo nonostante «i documenti dimostrino che la stampa europea si interessò della questione in modo approfondito». Il Bas veniva paragonato ad altre esperienze terroristiche: «Si parlò prima di Cipro, poi dell’Algeria, ma in Alto Adige la situazione era molto diversa». Silvius Magnago, nel frattempo, tagliava i ponti con Innsbruck: «La Svp voleva determinare la strategia in loco e non tolleravano un modus operandi imposto da altri. Nel 1960 un sondaggio dava il 26% degli altoatesini pronti alla lotta e il 13% pronti a partire all’ordine della Stella Alpina. Il Bas, quindi, sentiva di avere un appoggio nella popolazione, tipico atteggiamento del terrorismo locale. Era questo l’obiettivo del sondaggio, ma il giornale Dolomiten lo bolla come “pericoloso e inutile in un quadro in cui la violenza non può essere accettata”».
Intervento di chiusura per lo storico italiano Carlo Romeo. «La notte dei fuochi arrivò al culmine di un percorso di esarcebazione del polarismo etnico, in cui svolse un ruolo decisivo anche la pubblicistica». Com’erano, però, i sentimenti dei gruppi linguistici che in quegli anni vivevano in questa terra? «Gli italiani pensavano fosse sufficiente lo stato degli accordi, sottovalutando la crescente richiesta di rappresentatività e importanza del gruppo tedesco. Difficile, allora, trovare un punto di contatto». La sala gremita di ieri restituisce la speranza che cinquant’anni dopo a cadere siano i muri.

Domani in tv nelle due lingue

Il convegno di ieri sarà trasmesso in tv domani su Rai Tre bis in due parti: alle 20.55 e poco dopo le 22.30. Le relazioni saranno trasmesse con doppio audio, sia in lingua originale che con la traduzione simultanea realizzata al convegno. Si potrà quindi scegliere il canale audio in italiano o in tedesco.
Alto Adige 10-6-11
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giovedì, 09 giugno 2011



Langer e la lezione che i pacifisti non capirono

UWE STAFFLER*
Subito dopo la morte di Alexander Langer, che aveva deciso di scegliere in prima persona modo e momento per la sua dipartita, si scatenò un’imbarazzante caccia al tesoro delle motivazioni che potevano aver animato il gesto. Una teoria particolarmente gettonata riguardava, e riguarda tuttora, la disperazione per la situazione in Bosnia, che nonostante tutti gli sforzi peggiorava di giorno in giorno. Proprio quello che sarebbe successo nei due mesi successivi avrebbe clamorosamente confermato tutte le dolorose intuizioni politiche che Langer aveva maturato negli anni precedenti, e che lo avevano fatto collidere con una parte consistente del suo movimento di riferimento. Anche alla luce di tanti, sempre troppi, avvenimenti simili in giro per il mondo, e del recente arresto di Ratko Mladic, il generale dell’esercito serbo in Bosnia Erzegovina, ritenuto il responsabile militare del massacro di Srebrenica, pare più che mai opportuno ricordare quella vicenda, che segnò a detta di molti, anche di chi scrive, uno dei momenti più alti del genio politico di Alexander Langer e ne rappresenta una sorta di testamento politico.
LE AVVISAGLIE. Come spesso gli accadeva, Langer era uno dei primi a percepire i gravi rischi delle nubi che si addensavano sui cieli jugoslavi dopo il crollo del muro di Berlino. Dapprima con la penna e sempre più con iniziative di ogni genere tentava di porre l’attenzione sui crescenti nazionalismi che da lì a poco avrebbero fatto deflagrare la federazione. Quando scoppiarono i primi focolai bosniaci, si precipitò in Slovenia per incontrare i profughi che stavano arrivando in massa da varie parti delle ex Repubbliche, accompagnato dalla collega deputata austriaca Marijana Grandits. Pure lei minoranza, croata, in Austria, avrebbe condiviso con lui tutto il lavoro sui Balcani, portando in dote anche la possibilità di parlare e capire le lingue della zona. Il quadro che gli si presentava davanti era, per chi credeva almeno in Europa la Seconda Guerra Mondiale un ricordo del passato, allucinante. Si sentiva puzza di macello, confermata da un odore che si faceva più acre a ogni nuovo viaggio in zona e con ogni conversazione con testimoni sul posto, che sempre più insistentemente chiedevano pace e supplicavano protezione: o da altri o con armi proprie.
LA RETE. Ecco che cominciava, nell’estate del ’92, un instancabile lavoro di tessitura di contatti, ricerca di consenso, impegno per aiuti, viaggi, telefonate, rapporti creati e altri rovinati, per «fare qualcosa» in una situazione che sembrava senza via d’uscita. Il primo passo riguardava la creazione di una rete di persone per bene di tutti i territori dell’ex Jugoslavia culminata nella fondazione del Forum di Verona. Quando le linee telefoniche tra le ex regioni jugoslave, diventate in parte ormai repubbliche indipendenti, erano interrotte, il Forum di Verona organizzava chiamate di conferenza per far interloquire persone di buon senso serbe con quelle croate, i bosniaci con gli sloveni, gli albanesi della Macedonia con gli ungheresi della Voivodina. Appena c’erano quattro lire sul conto si organizzavano incontri. Oltre all’obiettivo primario di rilanciare il dialogo tra muti innocenti, con qualche tentativo di coinvolgervi anche i colpevoli, il Verona Forum divenne diventato in quel periodo uno dei più preziosi termometri di quanto stava succedendo nei Balcani. Ne sono testimonianza il prestigioso Premio Sakharov del Parlamento Europeo, assegnato nel 1993 al quotidiano di Sarajevo Oslobodjenje e le numerose risoluzioni della stessa Assemblea sulla crisi balcanica, ispirate sempre da Langer su suggerimento delle formidabili antenne del Forum. Nato per evitare la catastrofe, il Forum si è trasformato ben presto in una fucina di idee per alleviare le sofferenze della guerra e preparare il terreno della riconciliazione alla fine del conflitto.
L’EUROPA. All’epoca la politica estera dell’Europa di fatto non esisteva. Per quanto ancora oggi al riguardo facciamo ridere i polli (e piangere nella tomba Altiero Spinelli) sarebbe comunque stato utile potersi rivolgere già negli anni ’90 a qualcuno che oggi è definito «Alto rappresentante della politica estera e di sicurezza dell’Unione» e fare affidamento agli attuali «gruppi tattici». Chissà se non si sarebbe potuto risparmiare alla gente di Bosnia, e in particolare agli abitanti di Sarajevo, 3 anni di massacri. Langer ci aveva provato, con tutti i mezzi a sua disposizione. Ma sempre ha sbattuto la testa, tra gli altri, contro un muro di buoni propositi dall’autoqualifica pacifista. Tradendo quindi ideologici ex compagni di lotta, ma potendo contare sulla solidarietà dei Verdi europei, si ostinava a tessere coalizioni con i democristiani di Arie Oostlander, Doris Pack e Otto d’Asburgo e con i liberali di Wim Bertens per superare i veti di socialisti, comunisti e della destra parlamentare verso un intervento armato al quale non ha più potuto assistere.
IL MASSACRO. Subito dopo la sua morte Langer ottenne ragione su tutto. A una settimana esatta avveniva il massacro di Srebrenica, dove 600 caschi blu dell’Onu hanno osservato inermi (e senza riuscire a convincere nel giro di quattro giorni i grandi capi delle centrali militari della necessità di inviare rinforzi) il massacro di 8.000 uomini della zona. Altre sei settimane dopo, per immensa vergogna europea, su decisione americana e praticamente senza spargimento di sangue arrivò quell’intervento per anni atteso per togliere in meno di due settimane l’assedio di Sarajevo e sgomberare le strade delle città bosniache dai cecchini.
CASSANDRA. Quel «postumo riconoscimento», insieme ad altri, ne fa una specie di profeta inascoltato dei propri movimenti d’origine. Come ha saputo tradire da giovane le in parte perduranti rivendicazioni distorte del suo gruppo linguistico in Alto Adige, ha via via tradito gli (in parte perduranti) innamoramenti del pacifismo verso la nonviolenza senza se e senza ma, gli (in parte perduranti) attaccamenti della sinistra politica a rivendicazioni femministe di sovranità assoluta sul proprio corpo e i destini di ivi alberganti nascituri, le (in parte perduranti) infatuazioni degli ecologisti per battaglie di opposizione per principio, le (in parte perduranti) convinzioni dei puristi che «la sinistra non deve trattare con la destra», ecc. Cassandra Langer aveva ragione come la profetessa di Troia, ma faticava a farsi ascoltare soprattuto dai suoi (concittadini, compagni di partito, perfino da taluni amici). Tutti noi, e chi scrive fa parte di tutte le categorie menzionate, faremmo bene a riflettere ogni volta un cavallo di legno entra dalla porta di casa nostra e sopra vi sia impresso un punto interrogativo firmato Alex. Per nostra fortuna ce ne ha lasciati tanti e pure di facile interpretazione. Soprattutto in tempi di Libia, Afghanistan, Siria e compagnia bella ci aiuta a non voltare semplicemente lo sguardo dall’altra parte, ma andare ad ascoltare e, quando necessario, agire. In tempi di Internet non ci sono più scuse.
*ex assisitente di Langer all’Europarlamento e cofondatore del Forum Verona
Alto Adige 9-6-11
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giovedì, 09 giugno 2011



“Olimpiadi” scientifiche, premi agli studenti locali giunti alle finali nazionali

BOLZANO. Sono stati premiati l’altra mattina a Palazzo Widmann quasi trenta studenti altoatesini che hanno preso parte con successo alle olimpiadi promosse a livello nazionale in materie come la matematica, l’informatica, la fisica e la chimica, nell’anno scolastico 2010/11. A premiarli (erano presenti una ventina di vincitori, nella foro grande sotto), oltre all’assessore provinciale alla scuola e cultura tedesca, Sabina Kasslatter Mur, erano presenti anche gli intendenti scolastici Peter Höllrigl e Roland Verra, che hanno espresso soddisfazione per i lusinghieri piazzamenti in particolare ner Progetto olimpiadi della matematica, che organizza in Italia gare di matematica per le scuole superiori da oltre 20 anni.
Queste gare hanno la loro conclusione con la partecipazione della squadra italiana alle olimpiadi internazionali di matematica. Il Progetto olimpiadi opera in base a una convenzione fra il Ministero dell’università e della ricerca scientifica e l’Unione matematica italiana, e si avvale della collaborazione della Scuola Normale Superiore di Pisa. La fase provinciale consta di 12 domande a risposta multipla, due a risposta numerica e tre dimostrazioni, solitamente di algebra e geometria. Le conoscenze necessarie, come per la fase scolastica, sono quelle delle scuole superiori. I criteri di ammissione alla fase nazionale sono basati sulle cosiddette quote: ogni provincia, in base al numero delle scuole partecipanti e ai propri risultati alla fase nazionale dei cinque anni precedenti, qualifica un certo numero di studenti, scelti tra i primi classificati della selezione provinciale privilegiando leggermente gli studenti più giovani ai quali viene solitamente attribuito un 20% in più rispetto ai ragazzi del triennio. La finale nazionale si è svolta a Cesenatico a inizio maggio, con circa 300 studenti ospitati gratuitamente in albergo per quattro giorni da parte dell’organizzazione delle gare. La competizione consta di 6 esercizi dimostrativi riguardanti vari ambiti della matematica (geometria, teoria dei numeri, algebra, combinatoria) da risolversi in quattro ore e mezza utilizzando solo strumenti per scrivere e disegnare. Ognuna delle sei dimostrazioni viene valutata da 0 a 7 punti; il massimo punteggio ottenibile è quindi 42. I migliori classificati vengono premiati secondo questo criterio: i primi classificati, per circa 1/12 dei concorrenti (cioè circa 25 concorrenti) ricevono una medaglia d’oro, i successivi 1/6 della classifica generale (cioè circa 50 concorrenti) ricevono una medagli ad’argento, i successivi 1/4 della classifica generale (cioè circa 75 concorrenti, arrivando fino a metà classifica) ricevono una medaglia di bronzo; infine chi non è riuscito a conquistare una medaglia ma ha totalizzato il massimo dei punti in almeno uno dei 6 problemi riceve una menzione d’onore.
Alto Adige 9-6-11
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categoria:cultura, giovani
martedì, 07 giugno 2011



Romeo: l’Italia sottovalutò la crisi

MARCO RIZZA
Cinquanta anni fa, la notte tra l’11 e il 12 giugno 1961, decine di attentati terroristici ai tralicci nella conca di Bolzano (e non solo) pianificati dal Bas portarono la questione altoatesina alla ribalta mondiale. Fu la «Notte dei fuochi»: un morto, Giovanni Postal, e soprattutto l’inizio di un periodo di tensione che si esaurì solo col raggiungimento dell’autonomia. Ma cinque decenni non sono bastati per arrivare a interpretazioni univoche di quei fatti. Per questo abbiamo intervistato Carlo Romeo, uno dei tre storici che - insieme a Leopold Steurer e Rolf Steininger - saranno relatori il 9 giugno al convegno pubblico organizzato dalla Provincia (alla Kolpinghaus alle 18) proprio per spostare il dibattito dal piano delle emozioni a quello della ricerca storica.
Chi scelse la via della violenza aveva altre alternative (per esempio sostenendo la soluzione politica, le trattative Italia-Austria, ecc.) o la sensazione dei sudtirolesi era realmente quella di essere con le spalle al muro?
I governi italiani degli anni ’50 consideravano risolta la questione altoatesina nell’ambito del primo Statuto di autonomia e sottovalutarono i segnali di crisi. Da un lato l’agenda politica sembrava assorbita da problemi più urgenti e gravi; la questione di Trieste, l’esodo degli istriano-dalmati, la ricostruzione economica. Dall’altro, si continuarono a ignorare le richieste di discussione e la stessa questione di fondo: cioè che la soluzione regionale non era riuscita a garantire i diritti della minoranza sudtirolese nello spirito dell’Accordo di Parigi. I motivi di malcontento all’interno del gruppo sudtirolese erano anche di natura economica e riflettevano la debolezza della sua struttura sociale.
In che senso?
Ancora più del 40% lavorava nell’agricoltura; era scarsamente presente nell’impiego pubblico e nell’industria ed era esposto a crisi occupazionali. Fino agli anni ’60 si registrò una forte emigrazione all’estero. Si trattava, d’altro canto, di macrofenomeni che dipendevano solo in parte dalla politica italiana verso l’Alto Adige. Lungo gli anni ’50 si registrò un innalzamento del livello della contrapposizione etnica; il disagio venne strumentalizzato da entrambe le parti. Dal 1953, dall’articolo del canonico Gamper, si diffuse lo slogan di «Todesmarsch» (marcia della morte) per indicare la sommersione del gruppo sudtirolese a causa dell’immigrazione italiana. Furono presentate cifre allarmanti, abbastanza lontane dalla realtà ma che contribuirono ad esasperare i sentimenti di alcuni circoli più radicali. Con lo stesso allarmismo la stampa locale italiana parlava di una «marcia della morte» del gruppo italiano, riferendosi al ritorno degli optanti sudtirolesi dalla Germania. Il periodo di svolta fu negli anni 1956/57; non solo entrò in crisi definitivamente la Regione («Los von Trient» di Castel Firmiano), ma si deteriorò anche il clima quotidiano. Tanti episodi, grandi e piccoli, dell’ordine pubblico rivelarono il passaggio ad un grado più elevato dello scontro. I primi attentati si ebbero nel settembre del 1956 e fino alla «Notte dei fuochi» furono una sessantina.
Come fu vissuto quell’attentato dall’opinione pubblica italiana altoatesina in quei giorni?
La «Notte dei fuochi» si presentò come un’azione esplicitamente rivolta non solo contro la presenza dello Stato, ma anche del gruppo italiano in provincia. Già in precedenza erano stati fatti esplodere cantieri di case popolari. I volantini del Bas esprimevano chiaramente l’obiettivo di indurre paura nella popolazione italiana. Abbattendo i tralicci dell’alta tensione (che rappresentavano l’immagine dello «sfruttamento colonizzatore») si mirava a colpire i centri urbani, soprattutto Bolzano con la sua zona industriale. In questo accerchiamento, accanto alla paura, vi furono ovviamente manifestazioni di protesta, richieste di assoluta intransigenza anche sul versante politico, ma tutto ciò venne assorbito dalla reazione dello Stato, che accentuò in modo impressionante la propria visibilità sul territorio.
Le bombe favorirono o ostacolarono il processo verso la seconda autonomia?
Domanda complessa. La «Notte dei fuochi» (che continuò per diversi giorni) ebbe un posto di rilievo sulla stampa internazionale. Nell’immediato portò però alla militarizzazione del problema, data l’energica e prevedibile reazione dello Stato. Su tutti i giornali nazionali gli attentati furono ricondotti, in modo semplicistico, a una matrice nazista e razzista. Si parlò di separatismo, non certo di autonomia. L’escalation non favorì la comprensione del problema; sembrò anzi dare fiato a chi rifiutava qualunque ipotesi di cambiamento. La «Notte dei fuochi» mise in difficoltà l’Austria, che aveva già portato l’Italia di fronte all’Onu e indebolì per un momento anche la Svp. Su un altro piano, nel settembre dello stesso anno il ministro degli interni Scelba istituì la Commissione dei 19. Essa rappresentò una soluzione politica che in un certo senso estrometteva l’Austria dalla questione. In un clima sempre teso a causa degli attentati, la Commissione produsse nel 1964 una relazione che conteneva «in nuce» il Pacchetto. Ma si trattò, appunto, di una soluzione politica. Gran parte del ritardo con cui questa si impose (1969) si deve proprio all’imperversare degli attentati.
Alto Adige 7-6-11
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categoria:cultura
lunedì, 23 maggio 2011



Scuola plurilingue: Svp e partiti italiani convocano gli esperti in Consiglio

DAVIDE PASQUALI
BOLZANO. In consiglio provinciale si terrà a breve un’audizione pubblica, di tecnici ed esperti di scuola plurilingue. La vuole la commissione speciale per la seconda lingua, appena insediatasi. Il clima in commissione è disteso: ci sono spiragli di apertura. Talmente evidenti che le destre tedesche, Südtiroler Freiheit e Freiheitlichen, seppure invitati a farne parte, hanno declinato: non interessa.
 La commissione speciale è un istituto del consiglio provinciale piuttosto sui generis e non molto frequente. Perché ne fanno parte non i consiglieri in ragione del peso proporzionale del loro partito di riferimento (tradotto: i pesci piccoli non è detto che vengano coinvolti), bensì vengono invitati a partecipare tutti i gruppi consiliari: un consigliere per ogni gruppo. Ci sono tutti e tutti valgono per uno. Un’occasione più unica che rara, ma stavolta non tutti l’hanno colta. C’è infatti una commissione appena insediatasi, la commissione speciale sulla seconda lingua. Si è insediata mercoledì, con presidente Martha Stocker (Svp), vicepresidente Alessandro Urzì (Fli) e segretario Maurizio Vezzali (Pdl - Berlusconi per l’Alto Adige). Tolta la presidente e Andreas Pöder (Union für Südtirol), non ci sono altri consiglieri di lingua tedesca. Sembra poco, ma dice molto. Perché, seppure in diritto di partecipare, Freiheitlichen e Südtiroler Freiheit hanno espresso alla presidenza del consiglio provinciale la volontà di non esserci. I rumors in consiglio dicono che si sia anche insistito; pure con telefonate. C’è stato niente da fare.
 E il perché del rifiuto si arguisce piuttosto semplicemente. «La commissione si riunirà giovedì», spiega la presidente Stocker. «Il clima è disteso e c’è concordanza sull’intenzione di fare il punto sullo status quo dell’insegnamento della seconda lingua in provincia. I temi da trattare sono stati stabiliti, ora dobbiamo metterci d’accordo sui singoli personaggi da sentire sulle questioni storiche, didattiche, giuridiche. Nella prima riunione eravamo tutti d’accordo sull’audizione, sui temi da trattare, sulla necessità di dover fare qualcosa. Soprattutto capire perché con tante ore di seconda lingua fatte a scuola non la si riesca a imparare. In un secondo tempo vedremo se sarà il caso di arrivare a proposte legislative». Insomma, un atto dovuto: fare il punto sulla situazione, fare chiarezza. Sarà questo a non andare giù a chi non vuol partecipare? Ovviamente in commissione permangono posizioni differenti: i Verdi vorrebbero la scuola bilingue. La Lega spinge sull’apprendimento precoce («Da zero a sei anni», precisa combattiva Elena Artioli). La Svp stavolta non mostra chiusure; non parte prevenuta, come d’altronde sta accadendo nel gruppo di lavoro squisitamente politico avviato col Pd sempre sull’apprendimento plurilingue. Come precisa Alessandro Urzì - che chiede ai colleghi italiani «più coraggio di quello, seppur apprezzabile, mostrato finora da Gnecchi prima e Tommasini poi» - l’intera componente italiana è determinata: si deve fare di più. A metà fra cautele utopie e pretese, in mezzo al guado, sta il Pd. Ma il cambiamento pare sia nell’aria, e le destre tedesche se ne stanno ben ben lontane.

Tandem linguistici, centinaia di iscritti il modello esteso alle scuole e alla Lub

BOLZANO. Scambi linguistici fra un parlante italiano e un parlante tedesco. Non è la panacea, ma aiuta assai per migliorare le competenze linguistiche di entrambi. In gergo tecnico si chiama tandem e sta riscuotendo sempre più successo, tanto che solo fra Bolzano e Merano l’agenzia linguistica Alpha&Beta quest’anno è arrivata a gestire duecento coppie. Insomma, la bellezza di quattrocento apprendenti. Questo per l’extrascuola, coinvolgendo persone di età superiore ai 15 o ai 16 anni. Lo strumento però è in fase di forte ascesa: lo si sta introducendo come supporto didattico nelle scuole che effettuano gemellaggi e scambi fra istituti italiani e tedeschi, tanto che l’intendenza scolastica italiana ha già cominciato a formare insegnanti ad hoc, preparati a gestire proprio il tandem. E pure la facoltà di scienze della formazione di Bressanone, proprio all’inizio di quest’anno accademico, ha avviato le prime quattordici coppie, fra studentesse italiane e tedesche. Abbiamo tentato di fare il punto sullo status quo parlandone con uno dei massimi esperti altoatesini, Aldo Mazza, direttore di Alpha & Beta. «Come scuola di lingua - dice - ci occupiamo di tandem dall’inizio degli anni Novanta. Ormai abbiamo raggiunto una quota di partecipanti di almeno duecento coppie l’anno, solo contando Bolzano e Merano. Il principio di base, per la sua semplicità, sembra l’uovo di Colombo: due persone, un italofono e un germanofono, si incontrano per scambiarsi le competenze linguistiche, ma non solo, anche quelle culturali. A incontrarsi non sono un tedesco e un italiano, ma siamo io e te, due persone».
 Quali sono le regole fondamentali da rispettare?
 
«Quando ci si trova si dedica metà tempo esclusivamente a parlare solo una lingua e metà all’altra. O si tiene un intero incontro solo in italiano, il successivo in tedesco. L’approccio informale consente di lavorare molto bene sulla naturalezza, sulla fluidità del parlato. Si arricchisce il lessico, e inoltre c’è la possibilità di confrontarsi culturalmente. Permette poi di scegliere i contenuti, e non solo questo. Due medici possono scegliere di parlare nel loro linguaggio specialistico, ma si può anche approfondire, solo per fare un esempio, il dialetto».
 Il tutto accompagnati?
 
«Parzialmente. I tandem devono essere supportati da una struttura di consulenza, per formare coppie omogenee, per indirizzare, per monitorare. Già dopo i primi tre o quattro incontri, però, i feedback sono positivi, e allora la coppia va da sola. Molte durano a lungo, tipo due anni, ma si arriva anche oltre».
 Il buono, in Alto Adige, è che i parlanti l’altra lingua si trovano sul territorio, facilmente.
 
«I tandem esistono in molti luoghi del mondo, tipo nelle università, dove si fanno incontrare gli autoctoni con gli studenti stranieri, ma la cosa è per forza temporanea, dura pochi mesi. In Alto Adige siamo più fortunati».
 Il buono del tandem è la reciprocità.
 
«Esistono anche altri metodi, tipo il volontariato della lingua, attualmente sviluppato dalla Provincia. Lì però manca lo scambio reciproco. Una persona che conosce una lingua la insegna all’altro. A trarne vantaggio è solo uno dei due. Nel tandem ognuno porta qualcosa, nessuno deve niente all’altro».
 Funzionano solo i tandem faccia a faccia?
 
«Nelle scuole li facciamo anche a gruppi. Lo stesso durante i corsi estivi di lingua. Però lì manca un po’ la flessibilità, in tutti i sensi, anche d’orario. Il tandem si può organizzare ovunque, a qualsiasi ora. Per questo, di solito lo si offre soltanto a partire dai 15 o 16 anni, perché occorre una certa responsabilità. Il tandem cosiddetto autonomo non può essere fatto coinvolgendo i bambini delle elementari o i ragazzini delle medie. Li si può indirizzare al tandem assistito, specie durante scambi e gemellaggi. In quel caso il tandem, se non è la soluzione, è utile, ma deve esser realizzato in maniera adeguata, da personale formato ad hoc, che proceda secondo schemi assodati. Altrimenti scambi e gemellaggi servono poco». (da.pa)
Alto Adige 22-5-11
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categoria:cultura
martedì, 17 maggio 2011



«Potenziare il tedesco: portiamo le ore veicolari in tutti gli istituti»

DAVIDE PASQUALI
BOLZANO. «Non sono il sovrintendente ombra. La dottoressa Minnei ha mantenuto tutte le sue prerogative». A parlare è il direttore del neonato dipartimento Istruzione e formazione professionale della Provincia, Ivan Eccli. Rigetta le voci sul presunto accentramento nelle sue mani di tutti i poteri dell’intero comparto scolastico altoatesino, dopo che il governo nel 2009 si era opposto alla sua nomima come sovrintendente, e racconta come funzionerà il nuovo dipartimento, basato su quattro pilastri: razionalizzazione delle risorse; giusta attenzione verso le valutazioni oggettive (studi Invalsi ecc.); ma soprattutto maggiore coordinamento e sostegno centralizzato alle attività di potenziamento linguistico, da estendere a tutti gli alunni (meno ore, ma per tutti); e pressione sulla Lub perché formi insegnanti bilingui in grado di portare avanti le lezioni veicolari.
«Questo mi preme», dice Eccli. «Le funzioni della sovrintendente sono rimaste. Sono esattamente quelle di prima. Non ha perso nemmeno una prerogativa. Continua a essere la rappresentante della scuola verso Stato e Provincia. È il superiore di dirigenti e insegnanti. Il sovrintendente non sono io. La sovrintendente, prima, non aveva mai avuto alle sue dipendenze formazione professionale, istituto pedagogico o istituto musicale. Non sono state tolte delle competenze per assegnarle al direttore di dipartimento, che sarei io. Fra me e Nicoletta Minnei c’è ottima collaborazione, lavoriamo assieme per gestire il processo di cambiamento».
Perché si è reso necessario, questo cambiamento?
«Tutto è nato dalla riduzione degli enti strumentali che la finanziaria nazionale aveva imposto anche a regioni e province autonome. In quest’occasione all’inizio si era pensato solo all’istituto pedagogico. Perché è un ente strumentale alla Provincia. Ora continuerà a svolgere la medesima funzione, anche se si chiama area pedagogica. Idem accadrà con l’istituto musicale Vivaldi. Il fatto di creare un dipartimento istruzione e formazione, abolendo anche la ripartizione, questo si è aggiunto in seguito, per volontà politica della giunta: creare tre grossi dipartimenti, italiano tedesco e ladino, che prendano in mano tutta la scuola e la formazione. Il senso è di avere un’unica regia sull’aspetto scolastico. Inizialmente si era proposto di centralizzare l’amministrazione del personale, creando un unico ufficio per tutti. Poi però, invece che seguire questo che, forse, avrebbe creato qualche malumore - “ma come, noi amministrati da voi; oppure voi amministrati da noi...” - e allora si è pensato di formare tre dipartimenti, in una logica di razionalizzazione e maggior efficienza, lasciando però ai tre gruppi l’indipendenza amministrativa».
Che fine faranno il Vivaldi e la formazione?
«Manterranno la loro struttura, anche se saranno amministrati dal dipartimento. Manterranno le loro funzioni tecniche, dirigenza compresa, come avvenuto per il pedagogico. La Provincia non ha nessun interesse ad eliminare persone dove le cose funzionano. Vogliamo solo razionalizzare la gestione e generare una maggiore osmosi fra settori, specie tra scuola e formazione. Le collaborazioni, già esistenti ma basate sui singoli, ora verranno istituzionalizzate».
Avvierete nuove sinergie, nuove osmosi, anche sul versante linguistico?
«Evidentemente continueremo i nostri percorsi di potenziamento linguistico, la nostra via tradizionale, ma unificando gli sforzi. Come si è visto ultimamente anche nel mondo economico, c’è gran movimento d’opinione. Si riconosce che più lingue si conoscono meglio è. Pure l’Ue chiede tre lingue. Ci sono delle aperture. Si sta cambiando mentalità, anche dal punto di vista politico-amministrativo. Però è chiaro che ci sono ancora delle resistenze. Il percorso è ancora lungo, ma vedo buone possibilità di collaborare».
Le due aree pedagogiche collaboreranno di più?
«Lì dipende dalle persone che ci lavorano. Sullo specifico delle lingue finora non mi risulta ci siano stati grosse collaborazioni; sono state più le scuole a muoversi, autonomamente. Ma dal “più saremo divisi e più ci conosceremo” di quando studiavo o facevo lezione io, a quello che sta succedendo ora, si può ben dire che abbiamo fatto passi da gigante. Il processo è lento ma inarrestabile. Dobbiamo far sì che si cerchi di conoscere sempre più l’altra lingua, l’altra cultura, le altre persone e tradizioni, per sentirsi cittadini a casa propria».
In che modo si agirà?
«Tutti lavoriamo sulle linee guida dell’assessorato, che sono ciò che chiede la scuola. Ci sono stati istituti pilota, poi altre scuole hanno seguito. Molte si sono consorziate fra loro per collaborazioni e scambi di idee. E anche per condividere guide esperte e addetti ai monitoraggi. Da parte dell’intendenza senz’altro adesso ci sarà una nuova gestione. In passato, forse, quello che non c’era tanto era il coordinamento. Adesso noi invece stiamo cercando di implementarlo. Il coordinatore è l’ispettore di L2, Franz Lemayr, che è fortemente impegnato a seguire il discorso, ad andare nelle scuole. Gli istituti verranno monitorati anche dal nucleo di valutazione. Si tratta però solo di un aiuto che diamo alla scuola, la cui autonomia è il motore di tutto».
Con che modalità procederà il potenziamento?
«L’assessore Tommasini ha chiarito che il potenziamento dovrà essere favorito ovunque, in Provincia. Ma una cosa è quando si fa un progetto in una scuola o in due scuole o in due classi. Una cosa è quando si generalizza. In tal caso non si può proporre lo stesso monte ore di quando c’è un’unica classe sperimentale. Per cui il discorso ora è di dire: se noi vogliamo generalizzare questo insegnamento veicolare, o Clil, quante ore possiamo fare? Non possiamo più pensare a 13-14 ore settimanali. Non ci staremmo dentro. Allora passeremo a 9 o 10 ore».
Sintetizzando, un po’ di meno, ma per tutti?
«Esatto. D’altra parte non è interesse dell’amministrazione e neanche della società avere solo delle punte di eccelenza. Le punte, ovvio, rimarranno sempre, ma tutte le scuole e tutti i ragazzi altoatesini devono poter godere delle stesse possibilità».
Il limite è, ed è sempre stato, il personale.
«Il grosso punto che stiamo seguendo è far sì che la Lub formi insegnanti ad hoc, bilingui. Stiamo premendo molto. Abbiamo bisogno di trovare nuovi docenti, formati con insegnamento bilingue per l’insegnamento bilingue. Finora gli insegnanti sono stati bravissimi: oltre che insegnare il tedesco, in tedesco si è fatta lezione di geografia e matematica e scienze. L’hanno fatto a spese loro, nel senso che si sono spesi, mettendoci il loro tempo. Tanto di cappello alle scuole che si sono buttate, anche se magari hanno sbagliato qualcosa. Ma nel futuro dobbiamo avere a disposizione docenti preparati: gli insegnanti disposti a formarsi sul campo ora non bastano più».
Alto Adige 17-5-11
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categoria:cultura, provincia di bolzano
domenica, 15 maggio 2011



Obermair: credo nella scuola

GIANCARLO ANSALONI
Discendere dall’unica famiglia di lingua tedesca vissuta per anni nel vecchio quartiere delle Semirurali, immersa quindi in un mondo allora legato ancora a doppio filo con culture e dialetti profondamente «italiani», che influenza può avere avuto sulla formazione di un giovane studioso sudtirolese? Difficile rispondere a un quesito che sa più di curiosità che non di sostanza. Tanto più che il nostro personaggio, Hannes Obermair, attuale direttore dell’Archivio comunale di Bolzano, questa esperienza l’ha recepita di riflesso, ma è certo che una traccia l’abbia lasciata: «Mia madre, bolzanina figlia di un tipografo di Aslago, si trovò catapultata in un mondo del tutto nuovo, nel 1949, al rientro in Italia con la famiglia “rioptante”, in una casetta di via Parma; trovò un’accoglienza indimenticabile, anche perché parlava italiano. Sicuramente qualcosa mi ha trasmesso alla mia nascita, a Bolzano nel ’61, anche se poi ci siamo subito trasferiti a Brunico, città di mio padre. Allora c’erano molti italiani e questo mi consentì di “alimentare” il mio italiano».
Cosa pensa di avere «ereditato» da questa vicenda di sua madre?
Sicuramente una particolare sensibilità verso la complessità di un mondo variegato, multiculturale che mi ha giovato anche nell’ambientarmi a Bolzano, città prettamente «italiana»; per questo mi considero un po’ privilegiato, una sorta di «apolide» della cultura, con lo sguardo aperto al mondo. Non posso certo rimpiangere gli anni ’60-80, un periodo di chiusura in se stessi delle due popolazioni: un’epoca sicuramente anticreativa, sterile e mortificante che trascurò l’opportunità di crescere cosmopoliti e «internazionali». Oggi naturalmente qualcosa è cambiato, ma sopravvive ancora un freno identitario che non mi piace, ostacolando lo sfruttamento fino in fondo delle opportunità offerte dall’Europa.
A cosa si riferisce?
Guardiamo Trento, ad esempio: qui i pregiudizi identitari sono molto attenuati, il che offre grandi opportunità culturali grazie anche ai finanziamenti. Basta vedere l’exploit del Festival dell’Economia. Spero che si arrivi a qualcosa di analogo anche da noi.
Da dove potrebbe venire una spinta a quella che lei definisce «osmosi» fra i gruppi?
Innanzitutto dovrebbero essere superate le resistenze che ancora esistono, quelle che vengono dalle certezze assolute di certe religioni e che impongono verità assolute e obbedienza. Ci sono molte analogie fra queste «fonti di verità» e l’esercito, ad esempio, perché operano nello stesso modo: con i dogmi o i miracoli da una parte, con le operazioni militari dall’altra. Per questo mi entusiasmo quando vedo proposte come quella per il bassorilievo di Piffrader, cioè la frase di Hannah Arendt «Nessuno ha il diritto di obbedire»: sono segnali di una crescente creatività, di una sensibilità derivante da una multiculturalità che si fonda sul plurilinguismo. Non per nulla l’idea viene dalla Ladinia, abituata al plurilinguismo.
Da dove può scaturire la svolta decisiva?
Proprio da scuole plurilingui. I sistemi didattici ci sono, fondati su principi pedagogici e non politici; il percorso deve partire dalle esigenze e dalle richieste degli utenti che vanno ormai in questa direzione. Scuole miste dove si insegnano pariteticamente 2 o 3 lingue, evitando «egemonie»; quella che chiamo la «qualità totale» deve venire anche dai mass media, settore in cui purtroppo (tranne rare eccezioni) impera la separazione.
E a scuola come stiamo?
La scuola è ancora indietro, ma fa passi avanti e qui bisogna dare atto al mondo economico che dà impulso alla modernizzazione. È anche frutto della globalizzazione, che ha negli scambi la sua centralità: anche nel Medioevo erano gli scambi che portavano progresso.
Non toccherebbe anche alla politica farsi sentire?
Purtroppo sta dimostrando i suoi limiti di fronte a questa realtà complessa, per cui toccherebbe alla società civile aprirsi e fornire le coordinate per un rinnovamento. Non vedo ancora nei politici la formazione necessaria con un solido curriculum, manca la professionalità. Quando sento dibattere su «un italiano» o «un tedesco» come responsabile della cultura mi vengono i brividi: vedo una «berlusconizzazione» della vita pubblica: messaggi semplici e ben confezionati, ma falsi. Ed è difficile che da un contesto falso esca qualcosa di vero.
Alto Adige 15-5-11
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categoria:cultura
venerdì, 13 maggio 2011



Gli esperti Lub: ora servono le medie bilingui

DAVIDE PASQUALI
BOLZANO. Ora che le lezioni veicolari alle elementari sono a regime, i mistilingui pretendono le sezioni bilingui pure alle scuole medie. Allo scopo è necessario che la Lub formi docenti ad hoc: bilingui. In un recente incontro organizzato dai genitori dell’associazione Mix-ling, i mistilingui sono stati sostenuti anche da tre tecnici: i docenti della facoltà di Scienze della formazione Siegfried Baur (sezione tedesca) e Dario Ianes (sezione italiana), nonché l’ispettore provinciale di seconda lingua per l’intendenza scolastica italiana, Franz Lemayr. «La politica dei piccoli passi - sintetizza il succo della serata la presidente di Mix-ling, Michela Gaspari - ha dato finora frutti, come hanno confermato anche i professori Baur e Ianes, ma la creazione di sezioni bilingui anche alle medie è ora urgente, e bisogna velocizzare il processo».
AVANTI TUTTA. Continuano dunque a spron battuto gli incontri promossi da Mix-ling, «volti ad approfondire e promuovere il plurilinguismo. Come ai precedenti, anche all’ultimo incontro hanno preso parte volti noti come il giudice minorile Benno Baumgartner, il magistrato della procura dei minori Antonella Fava, l’avvocato municipale Laura Polonioli e numerosi altri. Al Cristallo i mistilingui hanno incontrato i docenti del corso di laurea in scienze della formazione primaria, i professori Baur e Ianes, responsabili per le due sezioni brissinesi, l’italiana e la tedesca. Ci si è confrontati su un tema oggi fondamentale: la formazione dei docenti che insegnano in una lingua diversa da quella materna degli alunni. Dagli interventi dei due professori, precisa la presidente Gaspari, «è venuta la conferma che questo tipo di lezioni non può essere improvvisata, ma richiede un’adeguata preparazione».
NON IMPROVVISARE. Ai genitori che sollecitavano la Lub a fornire questo tipo di preparazione, e chiedevano come mai fossero stati creati a Bressanone corsi di laurea separati per insegnanti di lingua italiana, tedesca e ladina, Baur e Ianes hanno precisato che da sempre gli studenti potevano frequentare alcuni corsi nell’altra lingua, ma che solo da quest’anno esiste l’obbligatorietà di frequentare almeno un corso per anno nella sezione parallela, quindi in lingua diversa da quella materna, e che sono stati introdotti dei corsi proprio sul plurilinguismo, orientati alla formazione Clil, ovvero la specifica metodologia didattica per l’insegnamento di una disciplina in lingua straniera veicolare. «Le due sezioni del corso di laurea per la formazione degli insegnanti restano pur sempre divise - prosegue Gaspari - ma grazie alla forte collaborazione dei responsabili dei corsi, Baur e Ianes, si stanno facendo piccoli ma importanti passi avanti».
ANDARE OLTRE. Corsi di questo tipo, è stato detto, sono proposti a Bolzano anche agli insegnanti che si offrono per gli scambi fra scuole tedesche e italiane. «Si tratta però ancora di esperienze molto limitate nel tempo - così Gaspari - mentre l’urgenza manifestata dai mistilingui, molti dei quali genitori di bambini che frequentano le sezioni bilingui nelle scuole elementari italiane, è di permettere loro di proseguire questo percorso anche alle medie». Qui però, diversamente che alle elementari, sono richiesti professori competenti in specifiche materie, oltre che preparati alla lezione in una lingua diversa da quella degli alunni. La politica dei piccoli passi ha dato finora frutti, è stato detto, e confermato anche dai due docenti, «ma la creazione di sezioni bilingui alle medie inferiori (oggi denominate secondarie di primo grado) è diventata urgente: bisogna velocizzare il processo».
LA VERA EUREGIO. Bisognerebbe inoltre «promuovere gli (oggi) sporadici scambi di insegnanti fra scuole delle due lingue per un intero anno scolastico, o addirittura, come suggerito dal professor Janes, «un sistema di scambio di insegnanti a livello di Euregio». Ma, non ha nascosto lo stesso Janes, «le paure della politica fermano processi, provincializzano».
L’ARTICOLO 19. Una certa politica, prosegue Gaspari, «continua infatti ancora ad appellarsi all’articolo 19 dello Statuto, che prescrive la scuola in madrelingua». Ancora una volta l’appello dei genitori, supportati in questo anche dall’ispettore di seconda lingua presso l’Intendenza scolastica italiana Lemayr, è stato «a un’interpretazione meno esclusiva di questo articolo, nato in un’epoca con esigenze diverse da quelle attuali, in modo da poter garantire ai propri figli un futuro finalmente plurilingue. Dobbiamo andare oltre l’articolo 19». L’invito di Mixling è a non aver più paura delle contaminazioni. «L’ibrido», ha spiegato lo stesso Baur, «è ormai nella cultura, nella letteratura e nella società un concetto positivo».
Alto Adige 13-5-11
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martedì, 10 maggio 2011

   

A Bolzano Fofi racconta il suo Langer

BOLZANO. Alex Langer si tolse la vita nel 1995: ma a distanza di 16 anni il suo messaggio è ancora così denso di significato, le sue intuizioni così feconde, da rendere ancora attuale il dibattito sulle sue idee. E oggi a Bolzano - ore 20.30 al Teatro Cristallo di via Dalmazia - ci sarà proprio un grande saggista a confrontarsi col pensiero di Langer: Goffredo Fofi. L’occasione è la presentazione della nuova edizione (nuova prorio perché arricchita da una prefazione di Fofi) de «Il viaggiatore leggero», il libro edito da Sellerio che raccoglie alcuni degli scritti langeriani più significativi.
Tra gli insegnamenti più importanti di Langer, Fofi cita quello sull’intervento nella ex Jugoslavia: Langer, pacifista per eccellenza, fece capire che «non si può essere “totalmente” pacifisti, nel senso di mantenere lo status quo. Ci sono dittature e tragedie per le quali è giusto intervenire. Il problema è la saggezza degli interventi: non è detto che si debba scegliere la via militare».
Alto Adige 10--5-11
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domenica, 08 maggio 2011



La notte dei fuochi: quei quaranta attentati che scossero Bolzano

PAOLO CAGNAN
Trentadue anni di guerriglia, dal 20 settembre del 1956 al 30 ottobre del 1988: 361 attentati con esplosivi, raffiche di mitra e mine antiuomo. Ventuno morti, di cui 15 rappresentanti delle forze dell’ordine, due cittadini comuni e quattro terroristi, dilaniati dagli ordigni che loro stessi stavano predisponendo. E poi 57 feriti: 24 fra le forze dell’ordine, 33 fra i privati cittadini. Sono le cifre ufficiali del terrorismo in Alto Adige. Diciassette le sentenze passate in giudicato: la magistratura italiana ha condannato 157 persone, di cui 103 sudtirolesi, 40 austriaci e 14 germanici della Repubblica federale. Quest’anno, la ricorrenza dei 50 anni dalla notte dei fuochi (giugno 1961) riaccende tensioni, ma anche analisi storiche. Ecco una sintesi degli avvenimenti che precedettero quei fatti.
 IL GRUPPO STIELER.
 Il primo attentato avviene il 20 settembre del 1956: a cadere sotto i colpi della dinamite è un traliccio nelle campagne di Settequerce. Nelle settimane successive, altre esplosioni a Bressanone e nella Val d’Ultimo. Il 4 gennaio del 1957, nel mirino finisce per la prima volta la linea ferroviaria. La polizia non impiegherà molto a scoprire i responsabili: un gruppo di sudtirolesi intenzionati a richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale sull’Alto Adige e capeggiati da Hans Stieler, tipografo del «Dolomiten». Friedl Volgger, condirettore del giornale e vicepresidente della Svp, viene additato come il finanziatore: un’accusa mai provata. Il “gruppo Stieler” sarà processato e condannato alla fine del 1957.
 NASCE IL BAS.
 Il Befreiungsauschuss Südtirol”, ovvero il Fronte di liberazione del Südtirol, Bas in sigla, muove i suoi primi passi nella primavera del 1956. Franz Kerschbaumer, un commerciante di Appiano, dà il via ad un’intesa attività propagandistica. Vuole reclutare sudtirolesi pronti a lottare per ottenere la riannessione all’Austria. Al raduno di Castelfirmiano, il 17 novembre del 1957, il Bas farà la sua prima comparsa ufficiale con un volantinaggio. I primi seguaci sono contadini, maestri, artigiani, giovani. Cinque giorni dopo il «Los von Trient» lanciato da Magnago, a Montagna salta per aria la tomba del senatore Ettore Tolomei, il padre della toponomastica italiana dell’era fascista. Altri attentati seguiranno. Il Bas si organizza e conquista nuovi proseliti. Il gruppo si divide in cellule, ogni cellula ha il suo responsabile: Karl Vinatzer per la Bassa Atesina, Luis Amplatz per Bolzano, Jörg Pircher per la zona di Lana, Karl Tietscher per la Val Pusteria, Franz Muther per la Venosta, Georg Klotz per la Passiria, Anton Gostner per Bressanone.
 Il 1960 è un anno di intensa preparazione, ma con i primi piani operativi nascono anche i primi contrasti. Kerschbaumer punta molto sulla propaganda ma pensa anche ad attentati dimostrativi. Klotz spinge invece verso una radicalizzazione della protesta anti-italiana. Ha di fronte a sé le guerre di liberazione di Cipro e dell’Algeria, vorrebbe costituire al più presto diversi gruppi di guerriglia ed arruolare gente pronta ad intraprendere una vera e propria guerra partigiana. Intanto, all’Onu è in corso il dibattito sull’Alto Adige.
 APPOGGI DA VIENNA.
 A Innsbruck, anche i circoli irredentisti legati agli ambienti universitari sono pronti a muoversi. Franz Gschnitzer fonda il Bergisel Bund - Bib in sigla - e arruola esponenti politici di primo piano e di tutti i partiti, fra cui il leader della Övp del Tirolo Alois Oberhammer ed Eduard Widmoser. Il Bib spinge per la riunificazione del Tirolo e pensa ad una protesta spettacolare ma incruenta, che porti la questione altoatesina al centro dell’attenzione mondiale. Nel frattempo, continua lo stillicidio degli attentati. Il 29 gennaio del 1960 viene colpita la statua equestre di Mussolini a Ponte Gardena, ma il Bas non ne sa niente: la bomba è stata piazzata dal gruppo di Innsbruck, all’insaputa di Kerschbaumer e compagni. Il primo attentato del 1961 colpisce a Gleno di Montagna la villa di Ettore Tolomei. Poi tocca alle case popolari a Bolzano, un bar gestito da italiani a Termeno, la caserma della Finanza a Silandro, una condotta a Marlengo. La polizia già sospetta che a finanziare i terroristi sia il Bib. Intanto, il 29 aprile, al Brennero viene fermata Viktoria Stadlmayer, l’archivio vivente della questione altoatesina, membro del Bib e funzionario del Governo regionale tirolese, accusata di propaganda anti-italiana, arrestata ma poi prosciolta in istruttoria.
 Il primo giugno, i vertici del Bas e del Bib si ritrovano in territorio neutro, a Zernez in Svizzera. Ci sono Alois Oberhammer, Wolfgang Pfaundler, Eduard Widmoser e Kurt Welser del Bib, Georg Klotz e Luis Amplatz del Bas. Dalla riunione segreta di Zernez scaturisce quella che sarà poi definita “notte dei fuochi”. Ogni capogruppo stabilisce gli obiettivi e pianifica meticolosamente gli attentati. Gli esplosivi arrivano dall’Austria.
 LA NOTTE DEI FUOCHI.
 Fra l’11 e il 12 giugno 1961, giorno del Sacro Cuore di Gesù, l’Alto Adige conosce la sua notte più buia. Trentasette attentati, di cui una ventina a Bolzano e nei dintorni. Saltano in aria decine di tralicci, il capoluogo precipita nell’oscurità. Ma si registra anche la prima vittima: Giovanni Postal, stradino di Salorno che stava cercando di disinnescare un ordigno. Qualcuno sospetta che il controspionaggio italiano sia stato avvertito per tempo, ma che non abbia fatto nulla per prevenire le azioni dei sabotatori. Il generale Aldo Beolchini, comandante del IV corpo d’armata, aveva informato i vertici dell’esercito del rischio di un’ondata di violenza senza precedenti ma era stato trasferito pochi giorni prima della notte dei fuochi. La reazione alle bombe dell’11 giugno è direttamente proporzionale alla portata dell’avvenimento. Per la prima volta, la Svp si schiera apertamente e senza riserve contro i dinamitardi. Lo Stato italiano, da parte sua, teme una vera e propria guerra civile e mostra i muscoli. A Bolzano, sette alberghi vengono requisiti e trasformati in caserme, arrivano i battaglioni mobili, viene creata la scuola per allievi agenti di polizia. Il ministro dell’Interno Scelba spara ad alzo zero sulla Svp, il presidente del consiglio Fanfani impone il coprifuoco e l’obbligo del visto d’ingresso per gli austriaci che vogliono entrare in Alto Adige.
 LE CATTURE.
 Centinaia di poliziotti e carabinieri danno la caccia giorno e notte ai terroristi. I risultati, complici alcune ingenuità dei dinamitardi, non tardano a venire. Franz Muther, tra i primi arrestati, farà saltare la cellula venostana. Ogni sudtirolese finito in carcere farà nomi nuovi. Quasi 150 presunti attentatori finiranno in carcere nel giro di poche settimane. Georg Klotz, Luis Amplatz, Siegfried Steger, Sepp Forer e Siegfried Carli riusciranno a fuggire in Austria.
 Confessioni ottenute grazie alle torture? La polemica è vivissima anche oggi. Gli storici sono concordi nel sostenere la tesi della «mano pesante» dello Stato: mezzo secolo fa, l’Arma disse che i terroristi si erano procurati da soli le ferite - ma alcuni morirono, tra loro Toni Gostner poi elevato a martire - al solo scopo di screditare l’Italia. E il generale De Lorenzo encomiò dieci carabinieri, finiti a processo per maltrattamenti e sevizie: otto assolti, due amnistiati.

Bombe contro l’autonomia

BOLZANO. Le vicende del terrorismo sudtirolese pongono da decenni una questione importante: il ricorso alle bombe ha favorito, o almeno accelerato, la nascita del secondo Statuto e dell’autonomia altoatesina, o ne ha piuttosto rallentato il percorso? Lo storico Leopold Steurer, uno degli studiosi più autorevoli del terrorismo locale, intervistato qualche giorno fa dal nostro giornale ha sostenuto la tesi che la violenza non sia servita alla causa dell’autonomia: se l’Alto Adige ha lo Statuto, ha detto, «lo si deve a chi nonostante le bombe non fece mai cessare il dialogo: il centrosinistra romano al governo nei primi anni Sessanta, gli esponenti della Dc altoatesina, Silvius Magnago e il ministro degli esteri austriaco dell’epoca, Bruno Kreisky». Steurer sottolinea però anche come non si possano giudicare tutti i terroristi dell’epoca con lo stesso metro: «Kerschbaumer non voleva uccidere e lui e il suo gruppo non sono paragonabili a chi venne dopo».
Alto Adige 8-5-11
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venerdì, 06 maggio 2011



Libera università: si rafforza il settore della ricerca

BOLZANO. Bilancio del primo anno d’attività per i componenti del consiglio di amministrazione della Libera università di Bolzano che sono stati ricevuti ieri mattina dal presidente Luis Durnwalder, e dall’assessora provinciale, Sabina Kasslatter Mur. Come sottolineato dal presidente del cda della Lub Konrad Bergmeister, in primo luogo lo “studium generale”, una sorta di università popolare con corsi aperti a tutti, di durata semestrale, con possibilità di sostenere un esame e conseguire una certificazione. Bergmeister ha inoltre evidenziato che nel 2010 sono state definite la nuova regolamentazione per quanto riguarda le conoscenze linguistiche degli studenti e dei docenti e la competenza linguistica, come presupposto di accesso all’università. Le conoscenze linguistiche in futuro saranno certificate al termine del corso di studi con un ulteriore diploma. I membri del consiglio di amministrazione della Lub hanno quindi affermato di voler rafforzare il profilo dell’università per quanto riguarda il settore della ricerca. In questo ambito, ha rilevato Bergmeister, vi è un’intensa e proficua collaborazione con le università di Innsbruck e di Trento. Infine il presidente della Lub ha informato sulla realizzazione del progetto “Junior Uni” che si prefigge di avvicinare i bambini in età scolare (elementare e media) e prescolare all’apprendimento permanente e di stimolare la loro curiosità verso alcune delle materie offerte dalla Lub. Hanno preso parte all’incontro, oltre a Bergmeister, il vicepresidente della Lub, Pietro Borgo ed i consiglieri Adolf Auckenthaler, Manuela Nocker e Nikolaus Tribus.
Alto Adige 6-5-11
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giovedì, 05 maggio 2011



Fofi: «Langer, così attuale...»

FRANCESCA LAZZARO
Giornalista, critico cinematografico, direttore de “Lo straniero” e grande amico di Alexander Langer, Goffredo Fofi sarà ospite dell’Associazione Cristallo martedì prossimo a Bolzano alle ore 20.30 nel teatro di via Dalmazia, per raccontare il suo rapporto con l’indimenticato leader dei Verdi, che viene ricordato anche come - citando un suo volume - “Il viaggiatore leggero”. Quel libro verrà ora ripresentato con una inedita introduzione firmata appunto da Fofi.
Ci racconta come ha incontrato Langer e cosa l’ha colpita maggiormente di lui?
L’ho conosciuto nell’ambito di “Lotta Continua” ed è stato molto importante nella mia vita: tra tutti i militanti che ho conosciuto è stato quello più straordinario. L’affetto e l’interesse per lui vengono anche da un senso di colpa: non avevo valutato nel giusto modo le sue intuizioni e convinzioni perché preso da altri problemi. Mi sono reso conto della grandezza di questa figura solo quando l’ho persa.
Nell’introduzione a “Il viaggiatore leggero” insiste sul tema della carità. Perché?
Ho inteso la carità nel senso paolino del termine: è l’amore per il prossimo, è la capacità di entrare in contatto, dialogare, servire, rendere l’esistenza meno dura per tutti. Il ruolo che Alex ha svolto con più intelligenza è stato quello di “fare da ponte”, tentando forme di convivenza nelle situazioni più diverse, in ex Jugoslavia come nella sua terra, il Sudtirolo.
Langer, pacifista, nel conflitto dei Balcani scelse l’interventismo; famoso è il suo appello: “L’Europa muore o rinasce a Sarajevo”. Alla luce dei nuovi conflitti, Libia in testa, come si pone, oggi?
Allora da una parte c’erano i pacifisti ad oltranza, persone eccezionali come don Tonino Bello, dall’altra invece c’erano gli interventisti come Norberto Bobbio. Alex ha vissuto questa situazione con angoscia: era favorevole all’intervento dell’Europa, ma con dei limiti. La coscienza pacifista e nonviolenta oggi vive di questa sua esperienza: non si può essere “totalmente” pacifisti, nel senso di mantenere lo status quo. Ci sono delle dittature e delle tragedie per le quali è giusto intervenire. Il problema è la saggezza degli interventi: non è detto che si debba scegliere la via militare. Ci sono anche i blocchi, le ritorsioni economiche...
Langer avallava una “civiltà ecologicamente sostenibile”. Come seguire questa strada?
Mentre la nuova sinistra si gingillava con discorsi para-marxisti, attardati e ridicoli, Alex aveva capito che la grande sfida del futuro era quella dello sviluppo sostenibile. Sosteneva già allora che il capitalismo poteva portare a disastri, come poi effettivamente è stato.
Quanto ha contato per la “conversione ecologica” l’amicizia di Langer con Ivan Illich?
Moltissimo. Illich è uno dei grandi pensatori del Novecento e uno dei pochi che aveva capito la crisi della società consumistica. Langer aveva già coscienza che i grandi obiettivi erano quelli del futuro del pianeta e non quelli della vittoria di una classe su un’altra classe sociale. Scrisse infatti una lettera a San Cristoforo in cui rivendica al Santo il ruolo di portare il peso del mondo, del futuro e su questo lui pensava di dover giocare tutta la sua responsabilità. Si è mosso con un’intelligenza e con dolore nelle due contraddizioni del suo e del nostro tempo: quello delle pace e della guerra e quello dei modelli di sviluppo ecologici per il futuro dei nostri figli e nipoti. Alex in questo è più attuale che mai.
A 16 anni dalla sua morte, c’è qualcuno che gli assomiglia?
Io credo che ci siano centinaia di militanti che sul fronte del pacifismo e dell’ecologia si richiamano alle sue idee. E’ una minoranza, purtroppo: il problema oggi è il fallimento della democrazia. Viviamo sotto il dominio di una maggioranza manipolata mediaticamente. Dobbiamo riattivare la partecipazione delle persone alla “cosa pubblica”.
A questo proposito, Langer era molto legato a don Milani: cosa ne pensa della lettera a Napolitano degli ex ragazzi di Barbiana sulla democrazia in Italia?
Io sono pessimista e vedo possibilità ridotte di cambiare le cose. Credo che la strada giusta sia quella della disobbedienza civile, tema che toccò anche Alex nei suoi scritti. Dobbiamo ragionare sui modi e sulla pratica: si deve dire “no” a ciò che non ci convince, assumendoci la responsabilità nei confronti dello Stato e delle leggi vigenti, in attesa di poterle cambiare.
Langer credeva nel vivere “lentius, profundius, suavius”. E’ concretamente possibile attuarlo o è un’utopia?
Credo che sia possibile, ma ha dei costi. Il problema è di aver voglia o no di rischiare in una situazione dove l’uomo è sempre meno rispettato, dove conta solo il mercato e il potere. La nostra civiltà presenta problemi assolutamente nuovi e in pochi hanno saputo individuarli per tempo e pensare ai modi per intervenire. Dopo Panikkar e Illich, c’è stato Alexander Langer che ci ha aiutato a capire meglio il mondo che sarebbe venuto, anche dopo di lui.
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mercoledì, 04 maggio 2011



L’Università introduce test attitudinali

ANTONELLA MATTIOLI
BOLZANO. La facoltà di Scienze della Formazione si rinnova a partire dall’autunno. Dopo il via libera del Senato accademico, l’altro giorno è arrivato l’ok del consiglio d’amministrazione dell’Università. L’iter prevede che la nuova formula venga approvata ora dalla giunta provinciale e dal ministero. Si tratta di un recepimento del decreto Gelmini con delle novità specifiche per l’Alto Adige: riguardano in particolare i criteri d’accesso, con l’introduzione di test linguistici e attitudinali, e la didattica della seconda lingua. Quest’ultima in particolare per superare i problemi di apprendimento.
Sia il preside di facoltà Franz Comploi che il presidente del cdu Konrad Bergmeister sono convinti che la «nuova» facoltà di Scienze della Formazione (sede Bressanone con un corso per ciascun gruppo linguistico, ndr) contribuirà sicuramente a migliorare la qualità dei futuri insegnanti. I posti a disposizione si riducono: saranno 80 per il gruppo italiano e altrettanti per quello tedesco (oggi sono 120 per ciascun gruppo) e 20 per i ladini (sono 25).
CRITERI D’ACCESSO. La «cura» Bergmeister, per quanto riguarda le conoscenze linguistiche, interesserà, a partire dall’autunno, tutti i nuovi iscritti alle facoltà della Lub. Quindi anche per accedere a Scienze della Formazione si dovranno superare dei test nelle tre lingue (italiano, tedesco, inglese). Unica differenza la seconda lingua: sarà sufficiente un livello B1 invece che un B2 (un livello più elevato richiesto per le altre facoltà). Dall’autunno assume maggior importanza il test attitudinale-caratteriale introdotto un anno fa. «L’obiettivo - spiega Comploi - è capire, attraverso dei test che spaziano dalla motivazione alla creatività, se lo studente ha le caratteristiche per diventare un bravo insegnante. Su come verranno effettuate le valutazioni da parte di una commissione ad hoc, lo decideremo nel dettaglio nelle prossime settimane».
LA DIDATTICA. Migliorare la didattica della seconda lingua per migliorarne l’apprendimento. «Questo - dice il preside - riguarderà l’intero corso, ma per chi vorrà avere una preparazione specifica in questo campo verrà creato un modulo opzionale ad hoc». Per quanto riguarda le discipline d’insegnamento aumenta l’attenzione per quelle linguistico-letterarie, storia-geografia, biologia-fisica-chimica, musica-arte, attività motorie.
CICLO DI STUDI UNICO. La facoltà di Scienze della Formazione passa da 4 a 5 anni (laurea magistrale). Attualmente gli studenti, al terzo anno, devono scegliere tra diventare insegnanti di scuola materna oppure optare per le elementari. «Dall’autunno - spiega Bergmeister - il ciclo di studi sarà unico». Il presidente del cdu vede con favore la novità introdotta a livello nazionale, perché, tra le altre cose, «aumenta le possibilità per il neolaureato di trovare un posto di lavoro». Più cauto il preside: «Io preferisco l’attuale formula perché ritengo che sia diverso insegnare a bambini della scuola materna rispetto a quelli delle elementari. Però, non è detto: parleranno i risultati».
Alto Adige 4-5-11
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martedì, 03 maggio 2011



Le religioni e la pace nel mondo globalizzato Incontro a Bolzano

MARCO RIZZA
Per secoli in diversi Paesi europei o del Vicino e Medio Oriente hanno convissuto pacificamente persone professanti religioni diverse. Ovviamente non sono mancati periodi conflittuali, e anche stragi, «in nome della religione»: ma mai la possibilità di pacifica convivenza tra religioni è stata messa in forse nell’opinione pubblica come in questi ultimi anni (e non solo dopo l’11 settembre: basta pensare a quanto orgogliosamente «plurireligiosa» fosse Sarajevo prima del trauma della guerra jugoslava). E d’altra parte mai si è tanto discusso del possibile ruolo attivo delle religioni per pacificare il mondo. Del rapporto tra le religioni monoteiste e del loro possibile (o meno) contributo al raggiungimento della pace si parlerà domani 4 Maggio alle 20.45 al Circolo cittadino di Bolzano. In un incontro moderato da Sergio Baraldi, direttore dell’Alto Adige, interverranno il teologo don Paolo Renner, l’imam per il Trentino-Alto Adige Aboulkeir Breigheche e il rabbino capo di Modena Beniamino Goldstein. Tre rappresentanti di ognuna delle tre grandi religioni monoteiste, a confronto su uno dei temi più dibattuti a livello globale. E proprio il rabbino Goldstein cerca di limitare il campo: «Più che di “pace mondiale” - dice - mi limiterei alla pace nella nostra società europea...». Perché già in Europa, prosegue, «stiamo assistendo al cambiamento del vecchio Stato-nazione composto da una maggioranza e una o più minoranze, verso un insieme di minoranze che devono trovare il modo di convivere pacificamente. Questo processo prevede due aspetti: da un lato stabilire alcune regole generali dalle quali nessuno può recedere, dall’altro invece stabilire quali concessioni possono essere fatte per garantire a tutti la libertà, ad esempio la libertà di culto. Per questo per garantire la convivenza in Europa è essenziale conoscere quali siano i precetti fondamentali delle religioni: di quelle delle principali minoranze, ossia l’Islam e l’ebraismo, ma anche di quella cristiana, che non è detto non diventi anch’essa minoranza...». Da questo punto di vista, dice Goldstein, l’ebraismo può contribuire con una sua specificità: «Sia l’Islam che il cristianesimo sono stati, nei loro territori d’origine, religioni di maggioranza. Noi invece siamo sempre stati minoranza e nel corso della storia abbiamo stipulato con diversi Stati intese per garantire alla nostra minoranza le libertà fondamentali e una vita dignitosa». Detto in altre parole: «La fratellanza è un grande obiettivo, ma bisogna essere pragmatici e avanzare un passo alla volta. Prima della fratellanza c’è la convivenza ed è a questa, in un’Europa dove l’immigrazione è un processo ormai irreversibile, che dobbiamo puntare oggi». E a chi sostiene che le religioni siano più frequentemente un ostacolo che non uno stimolo al raggiungimento della pace, Goldstein replica: «È un argomento molto diffuso, ma la storia del Novecento ci insegna proprio il contrario. Dal 1933 a Stalin (come dice Jean-Claude Carrière nel volume “Non sperate di liberarvi dei libri”), ma anche da Sarajevo a Sarajevo, le più grandi stragi sono state compiute nel nome delle ideologie e non delle religioni».
 E di come la religione venga spesso strumentalizzata da altri poteri parla l’imam Breigeche: «Negli ultimi decenni sono aumentati gli interessi economici e di egemonia sul mondo - dice -, dinamiche delle quali la religione è spesso vittima. Vale per la politica e ancora di più per il terrorismo: individui o gruppi che proclamano le loro verità religiose per arreccare danno al prossimo. Ma proprio in fatto che nella storia le religioni hanno sempre convissuto dimostra che oggi il problema non sta in esse ma in chi le strumentalizza. La colpa è di noi uomini, non delle religioni». Il che non significa negare le differenze: «Come dice anche il Corano, Dio avrebbe potuto crearci “un unico popolo”, e invece ci ha creato diversi: non per combatterci ma per conoscerci. Per questo le religioni possono essere un fattore positivo per la pace: non solo per i tratti morali che hanno in comune ma anche perché ci spingono a conoscerci e a riconoscerci come fratelli anche nelle diversità».
Alto Adige 4-5-11
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domenica, 01 maggio 2011



Braies, l’ultima illusione Ss

NICOLE DOMINIQUE STEINER
Un caso lo porta a vivere a Dachau, siamo nel 1975 ed è lì che il giornalista Hans Günter Richardi - ieri era in Val Pusteria - nelle sue ricerche sul lager, si imbatte spesso in un qualcosa che nessun libro di storia ricorda. È l’odissea durata mesi dei cosiddetti «Sippen-und Sonderhäftlinge», cioè prigionieri particolari e di stirpe che alla fine della guerra - passando per Dachau - vengono deportati da diversi campi di concentramenti sparsi nel Reich diretti alla «Alpenfestung», l’ultima ridotta immaginaria delle SS: il Sudtirolo. Un’odissea iniziata nel novembre del 1944 che trova il suo lieto fine il 30 aprile 1945 a Villabassa e al lago di Braies, dove i 139 prigionieri provenienti da 17 nazioni diverse ritrovano la loro libertà. Nell’albergo del lago di Braies viene conservato oggi l’archivio che testimonia questi fatti.
Chi erano questi «prigionieri particolari e di stirpe»?
«Politici, militari, persone contrarie al regime nazista, religiosi, uomini, ma anche donne e addirittura bambini. Tenuti prigionieri per due motivi. Il primo: essere imparentati con persone ostili al regime nazista, e questo è il caso del clan von Stauffenberg, cioè la sorella e il fratello di Claus von Stauffenberg, i loro figli, i cugini, lo zio, in tutto dodici persone, tutti parenti stretti dell’ideatore dell’attentato a Hitler del 20 luglio 1944. Lo steso vale per gli 8 membri della famiglia di Carl Goerdeler e per altri. In tutto 45 persone, di cui 37 arrivano a Braies.
Il secondo motivo invece?
«Essere persone ritenute importanti, oggi si direbbe dei vip, tenuti come ostaggi per poter garantire la fuga degli SS. Tra loro per esempio l’ex cancelliere dell’Austria, Kurt von Schuschnigg; l’ex presidente della Francia Léon Blum, l’industriale ed ex collaboratore dei nazi, Fritz Thyssen con moglie; il figlio del maresciallo Pietro Badoglio, Mario; il pastore protestante tedesco, Martin Niemöller, diventato famoso per aver ammesso per primo l’inerzia della sua chiesa di frontel regime nazista».
I prigionieri sanno che ruolo giocano sulla scacchiera della disfatta del Reich?
«Assolutamente no. Non capiscono il motivo del loro girovagare da un campo all’altro».
Cosa accade quando questi prigionieri, scortati da uomini della Ss arrivano finalmente dopo mesi a Villabassa?
«Arrivati qui, in Val Pusteria, prendono coraggio, ignorano i loro carcerieri e fuggono in paese. La popolazione di Villabassa reagisce in modo impeccabile: divide gli ostaggi tra le famiglie, li sfama, dà loro un letto».
E gli uomini della Ss?
«Hanno le mani legate. Gli ostaggi devono essere tenuti in vita, e gli Ss non osano opporsi ad un intero paese. Per intenderci, siamo ormai al 30 aprile, pochi giorni prima della capitolazione. Poi arriva Wichard von Alvensleben, a capo di un commando di 150 soldati della Wehrmacht a Sesto Pusteria e decide di liberare gli ostaggi, presidiando Villabassa e costringendo gli uomini della SS al ritiro. Gli ostaggi liberati vengono portati nell’Hotel Lago di Braies, e quell’albergo diventa la prima tappa della libertà. Ad aspettare gli ostaggi ancora increduli è la proprietaria dell’albergo, Emma Heiss Hellenstainer che farà di tutto per farli sentire a loro agio. Gli procura le prime cose necessarie per tornare alla vita civile. Ci sono ancora oggi conservato i biglietti con le prime, timide richieste degli ex ostaggi: un paio di mutande, una camicia, sapone, un rasoio, calze»
Quand’è venuto la prima volta a Braies?
«Nel 1985. Ricordo di essere stato davanti all’hotel, non osando entrare e cercando un insegna che ricordasse questi avvenimenti. Ma niente. Sembrava come non fosse mai successo».
Una delusione! Nel 2003 sono tornato e ho conosciuto Caroline Heiss Hellenstainer, l’odierna proprietaria dell’albergo. Rimase affascinata di storia e in particolare della storia della quale fece parte attiva sua nonna. Insieme abbiamo organizzato una mostra nel 2005 per ricordare il 60mo anniversario di questi avvenimenti».
La storia diventata viva.
«Viene tenuta viva. Nel 2006 ho trasferito tutto il mio archivio nell’albergo. Nel 2007 per il centenario della nascita di von Stauffenberg abbiamo organizzato a Villabassa le «Giornate della storia contemporanea» in collaborazione con l’Archivio Provinciale e con il Museo della Resistenza Tedesca di Berlino; convegno che replicheremo in agosto».
Quindi l’albergo è diventato una specie di museo degli ultimi avvenimenti prima della fine definitiva della seconda guerra mondiale?
«Sì, aperto a chiunque si interessi di questi fatti, anche a classi. Collaboriamo con l’istituto pedagogico dell’Alto Adige. Ma più di un museo lo vedo proprio come una delle prime, piccolissime cellule dell’Europa unita. Tener viva la memoria significa per me promuovere la reciproca comprensione e la convivenza pacifica».

Giornalista di fama e storico di Dachau

Asei anni Hans Günter Richardi, nato nel 1939, assiste ai combattimenti tra SS e Armata rossa nelle strade di Berlino. Due mesi dopo apre la porta a due signori che deporteranno suo padre in un lager russo per prigionieri politici dal quale non sarebbe mai più tornato. Immagini che sono rimaste impresse nella sua mente. Ha lavorato per 31 anni come redattore della «Süddeutsche Zeitung» ed è autore di innumerevoli libri su Dachau, dove oggi abita, e i suoi prigionieri. Richardi è stato l’unico non-prigioniero abilitato a fare visite guidate al lager di Dachau. Oggi fa da guida solo per classi provenienti dall’Alto Adige proprio per il suo legame particolare con Braies e gli avvenimenti dell’aprile 1945. Ha fondato assieme a Caroline Heiss Hellenstainer l’«Archivio di Storia Contemporanea» presso l’albergo Lago di Braies ed è organizzatore delle «Giornate della Storia Contemporanea» di Villa Bassa.
(n.d.s.)
Alto Adige 1-5-11
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domenica, 24 aprile 2011



Romeo: storia contro il populismo

LUCA STICCOTTI
Da anni Carlo Romeo è un apprezzato insegnante ma anche un vero punto di riferimento non solo per quanto riguarda la ricerca storica in Alto Adige ma anche per la sua divulgazione. Non è cosa da poco, nella nostra terra, e il nuovo ruolo che da qualche tempo Romeo è stato chiamato a ricoprire è davvero cruciale. Su incarico della giunta provinciale sta infatti lavorando con alcuni colleghi degli altri gruppi linguistici ad alcuni libri di testo per le scuole che presentino una «sintesi» di quanto l’attuale ricerca storica offre sulla nostra realtà locale. È quasi un paradosso: la politica - che spesso per i suoi meccanismi tende a ricorrere a stereotipi consolidare il consenso - assegna a un gruppo di storici un compito che lei non è in grado di svolgere, e cioè finalmente analizzare il passato nella sua complessità, tracciare una sintesi ed offrirla a coloro che dovranno occuparsi del futuro, i giovani. La strada sembra quella giusta, anche se le cronache di questi mesi hanno suscitato diversi interrogativi.
 Toponomastica, monumenti, celebrazioni sono da sempre occasione di scontri e polemiche: perché si ha l’impressione che in questa provincia la storia «non passi mai»?
 
Il principale motivo è che la politica (non solo a livello locale) si rifugia spesso nella dimensione del simbolico, come via più semplice e immediata di consenso. È un tipico tratto del populismo. Ci si sottrae all’analisi e al dialogo attraverso il richiamo a posizioni immediatamente riconoscibili (nel nostro caso «tedesca» o «italiana»). Gli umori del presente si traducono in avventati giudizi su un terreno, quello della memoria storica, che esigerebbe invece lucidità e buon senso.
 Non vede segnali positivi da parte della politica culturale o della società?
 
Qualcuno sì. Due anni fa c’è stato il bicentenario hoferiano. Non sono certo mancati i tentativi di riproporre strumentalizzazioni o interpretazioni astoriche, ma le iniziative principali sono state pensate in modo abbastanza critico. Chiunque abbia visitato il nuovo museo hoferiano in Passiria o la mostra di Fortezza ha ricavato l’impressione di un confronto critico col mito. Le celebrazioni dovrebbero servire proprio per fissare la nostra posizione nei confronti del passato: che cosa rimane ma anche quanto siamo cambiati. In altre parole, la «libertà» per cui combatteva Andreas Hofer è completamente diversa dai nostri concetti. Il mito persiste, è quasi un elemento del paesaggio, ma deve essere tenuto alla giusta distanza attraverso le coordinate attuali.
 E sui 150 anni dell’unità d’Italia cosa può dire? Non sono certo mancate le scintille.
 
Anche in questo caso la polemica ha annebbiato la prospettiva. Da una parte e dall’altra si sono confusi concetti come «cittadinanza», «sentimento nazionale», «identità». È chiaro che un sudtirolese non riesca a sentire questa festa nazionale negli stessi modi di un italiano. È altrettanto chiaro, però, che non si può ignorare più di mezzo secolo di partecipazione alla vita repubblicana, pur nelle forme speciali di quest’autonomia. Inoltre la ricorrenza non doveva essere un’acritica celebrazione neppure in campo italiano. Ciascuno pone l’accento sui valori del percorso che sente più vicini, soprattutto se hanno sofferto per affermarsi.
 A proposito di condivisione, qual è la direzione in cui vanno i libri di «storia in comune» ai quali sta partecipando?
 
La definizione di «storia condivisa» o «in comune» può essere motivo di malintesi. Non è una novità che studiosi tedeschi, italiani e ladini collaborino in progetti, mostre, libri. Oggi nessuna persona di buon senso riuscirebbe a concepire una storia di questa terra senza considerarla come sintesi del vissuto di tutti e tre i gruppi linguistici e soprattutto dentro la macrostoria. Per lungo tempo, invece, abbiamo avuto a livello divulgativo la riproposizione di testi in cui questa provincia era presentata come «ombelico del mondo» e la storia coincideva con un racconto politico condito da pregiudizi e vulgate. La semplice novità di questi volumi è che si rivolgono alle scuole e al pubblico tedesco, italiano e ladino negli stessi contenuti e nelle stesse forme. Non è una «storia tradotta» da una lingua all’altra, ma una sintesi che integra più prospettive e divulga lo stato attuale della ricerca.
 Quest’anno ricorre il cinquantesimo della «notte dei fuochi», che probabilmente darà adito a nuove polemiche. È possibile arrivare a visioni condivise?
 
Sui principali snodi del primo ’900 (fascismo, Opzioni, nazismo) è stato sostanzialmente possibile. Sul terrorismo degli anni ’60 il discorso è ancora difficile e si riscontra una certa ambiguità anche a livello ufficiale. Sarebbe davvero triste se passasse il concetto che la nostra autonomia si fonda in qualche modo anche su quelle bombe, che restano atti di violenza mirati contro il dialogo politico. La via è sempre quella della contestualizzazione; considerare il clima di quegli anni, i colpevoli ritardi della politica italiana, la radicalizzazione delle posizioni, l’enfatizzazione dell’etnicità in ampi circoli sudtirolesi e, non ultimo, la strumentalizzazione delle tensioni in quello che rappresentava all’epoca uno dei confini della Nato nel quadro della guerra fredda e quindi il ruolo dei servizi segreti di diversi Paesi.
Alto Adige 24-4-11
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domenica, 24 aprile 2011



Il patentino adesso si fa a scuola

DAVIDE PASQUALI
BOLZANO. La scuola italiana all’avanguardia. Non solo ha iniziato a preparare gli studenti al patentino, ma è andata oltre: certificazioni internazionali a partire dalle primarie. Il corrispettivo del patentino D conseguito in quinta elementare e del C in terza media. E ora il sogno: si punta al B alla fine del primo biennio di liceo e all’A alla maturità.
 A ben vedere, nessun sogno, niente di miracolistico. Semplicemente i progetti di potenziamento e di insegnamento veicolare della seconda lingua avviati con il supporto dell’intendenza scolastica italiana stanno portando frutti. Maturi e succosi.
 Le scuole all’avanguardia sono diverse, ma su tutte ne spiccano due: l’istituto comprensivo Bolzano VI (elementari Manzoni e medie Foscolo) e il pluricomprensivo di Brunico (dall’asilo al liceo). Due esempi cui tendono tutte le scuole altoatesine.
 IL PRIMO PASSO. Nell’anno scolastico 2009-2010 gli alunni della quarta classe delle Manzoni (tutti italiani o stranieri) hanno sostenuto l’esame Fit in Deutsch 1, corrispondente al primo livello (A1) nella scala di valutazione a sei livelli del Quadro comune europeo di riferimento per le lingue, somministrato dal Goethe Institut. L’esame accerta: comprensione orale e scritta in situazioni quotidiane, in messaggi pubblicitari, in segreteria telefonica e in brevi annunci; verifica inoltre la competenza nella produzione orale, ad esempio rispondendo a semplici domande inerenti la propria persona o a situazioni quotidiane e la competenza nella produzione scritta di messaggi brevi e personali. Su 19 bambini della quarta 11 hanno conseguito sehr gut, 6 gut e 2 befriedigend. Quest’anno il Fit in Deutsch 1 è stato ripetuto nell’attuale IV (i dati non sono ancora stati resi noti), mentre la V a breve sosterrà il Fit in Deutsch 2. «Non avranno nessun problema a superarli», chiarisce la dirigente dell’istituto Bolzano VI, Mirca Passarella. L’anno prossimo il potenziamento partirà alla secondaria di primo grado, ovverosia le medie. L’obiettivo minimo è il patentino C in terza media.
 IL SECONDO PASSO. Ancora più avanti, perché ha iniziato le sperimentazioni tre anni prima, il pluricomprensivo brunicense. «Anche quest’anno - spiega la docente Giusy Santo - abbiamo ritenuto utile effettuare una valutazione esterna delle competenze linguistiche raggiunte al termine della scuola primaria e, per la prima volta, della scuola media. Volevamo verificare l’efficacia del progetto in atto e valorizzare i risultati maturati dai singoli alunni». Per questo, dal mese di marzo tutti gli alunni di classe quinta elementare e terza media coinvolti nel progetto dalla scuola elementare hanno sostenuto rispettivamente le prove di certificazione Fit in Deutsch 2 e Zertifikat Deutsch für Jugendliche, rilasciate dal Goethe Institut e riconosciute anche a livello internazionale. La prova Fit in Deutsch 2 è rivolta ai ragazzi fra i 10 e i 15 anni e prevede la verifica delle competenze nei quattro àmbiti di sviluppo linguistico: ascoltare, leggere, scrivere, parlare. Il diploma ottenuto attesta che è stato superato con successo il secondo livello (A2) del Quadro comune europeo di riferimento, corrispondente al patentino D. Gli alunni ad aver sostenuto l’esame sono stati 30, con risultati egregi: 29 promossi, 15 con sehr gut e 14 con gut. Tradotto, vista la vigente equipollenza provinciale fra titoli, in quinta elementare hanno già in tasca il patentino D.
 IL CERTIFICATO. Analogamente al Fit in Deutsch 2, il Zertifikat für Jugendliche corrisponde al livello B1 del Quadro comune europeo di riferimento. Finora non era mai stato superato da nessuna classe altoatesina. Ma questo è il passato. Quest’anno al Pluricomprensivo lo hanno sostenuto in venti: tutti quanti positivi; 6 hanno conseguito il voto sehr gut, 8 gut, 5 befriedigend. Il Zertifikat valuta le competenze nella comprensione e produzione orali e scritte e nella conoscenza delle principali strutture linguistiche. Il superamento della prova certifica la buona padronanza del tedesco parlato e la capacità di comunicare oralmente e per iscritto nelle principali situazioni quotidiane. Il Zertifikat è parificato al patentino C. Tradotto, a 14 anni i ragazzini dell’istituto Don Milani diretto dalla professoressa Mariangela Messina si sono portati a casa il patentino C.
 IL FUTURO. Ora tocca alle altre scuole, perché a Bolzano e Brunico già si pensa oltre: il B a fine ginnasio e l’A alla fine del liceo.

In futuro il «B» a fine ginnasio, l’«A» alla maturità

BOLZANO. La professoressa Giusy Santo spiega: «I certificatori del Goethe Institut quest’anno hanno voluto complimentarsi con la nostra scuola, non solo per il livello riscontrato, ma anche per il piacere e la spontaneità dimostrata da alunne e alunni nel comunicare in lingua tedesca».
 Tali risultati, prosegue l’assistente della preside, «testimoniano l’efficacia del progetto intrapreso e assumono ulteriore valore se si considerano i dati relativi alla madrelingua degli alunni che hanno sostenuto le prove: il 44% dei nostri ragazzi che hanno sostenuto il test è di madreligua italiana, il 20% di origine straniera, il 18% mistilingue, il 10% con entrambi i genitori di lingua tedesca, l’8% con un genitore di madrelingua italiana o tedesca e l’altro di lingua italiana». Tradotto, il potenziamento linguistico funziona con tutti, ma proprio tutti. Il progetto di insegnamento veicolare al pluricomprensivo brunicense da settembre proseguirà anche alle superiori, con l’insegnamento veicolare di storia-geografia e diritto-economia. «L’intenzione - conclude - in un’ottica di continuità verticale tra gli ordini di scuola che costituiscono l’istituto, è quella di permettere, al termine del primo biennio, il conseguimento del patentino B (o altra certificazione equipollente) e, nell’ultimo anno, il superamento del patentino A».

Alto Adige 24-4-11
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mercoledì, 20 aprile 2011



Il premio Langer a un’eroina di Haiti contro la dittatura

Ancora una volta il premio internazionale Alexander Langer è andato ad una donna-simbolo, una donna che ha avuto la forza di battersi fino all’ultimo per i diritti fondamentali delle persone. L’annuncio dell’assegnazione del premio alla memoria della haitiana Elane Printemps “Dodoue” è giunto ieri in mattinata a Bolzano ed ha posto al centro dell’attenzione una vicenda in grado di dimostrare che in ogni luogo e in ogni situazione è possibile costruire umanità.
Lo si può fare solo aggrappandosi ai principi e spendendo tenacemente tutte le proprie energie.
Elane Printemps da giovanissima scelse la vita religiosa ma già a 20 anni decise di lasciarsi alle spalle la vita sicura e privilegiata del convento per immergersi tra la gente del suo paese, il più povero delle Americhe e governato da una delle più feroci dittature della storia. La prima fase dell’attività di “Dadoue” si svolse nel campo dell’istruzione ma ben presto questa donna scelse di dedicarsi ai diritti dei contadini fondando una organizzazione, la FDDPA, che sostiene la gente nella lotta per il recupero della terra, ancora oggi nelle mani dei grandi proprietari terrieri, tradizionalmente sostenuti dalla dittatura.
Dal 1985 fino ad oggi nell’arco degli anni questa organizzazione si è fatta carico di creare una fitta rete di solidarietà e scambio tra le diverse realtà rurali, favorendo progetti agricoli sostenibili, avviando sistemi di irrigazione, nel tentativo di incentivare la produzione per l’autoconsumo e di creare - attraverso il lavoro collettivo - vivai per la riforestazione.
Tutte iniziative che mirano a garantire il sostenimento ai contadini, contrastando l’esodo verso le città, dove il più delle volte sono destinati a sopravvivere nelle immense bidonville.
Quelli che abbiamo descritto sembrano normali interventi nel campo dello sviluppo e della solidarietà sociale, ma in realtà sono iniziative assolutamente eccezionali in un paese come Haiti, caratterizzato da decenni, se non secoli, di sfruttamento e ingiustizie sociali.
Un paese sul quale si è abbattuto il 12 gennaio 2010 uno dei terremoti più assassini della storia, un evento terribile che ha posto però questo paese al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica mondiale, dando occasione alle organizzazioni locali però di denunciare l’assenza del governo e l’inefficacia di quella parte dei soccorsi internazionali d’emergenza che hanno ignorato le reti sociali presenti nel territorio. Dadoue si è attivata fin dalla prima ora nel soccorso dei terremotati.
Ha organizzato una campagna per raccogliere fondi e sostenere la popolazione colpita dal sisma, accompagnando associazioni mediche estere verso le località più colpite o isolate, recandosi a curare gli sfollati nei campi autogestiti dalle reti popolari e organizzando la distribuzione di prodotti alimentari locali tra la popolazione terremotata.
Ma la catastrofe naturale non ha certo alleggerito la già difficile situazione politica ed economica di Haiti, alimentando anzi nuove ondate di violenze quasi sempre incontrollabili.
Il 24 aprile del 2010, dopo essere riuscita a scampare negli anni precedenti alle minacce di morte da parte dei latifondisti, Dadoue Printemps è stata uccisa durante aggressione a scopo di rapina che ha avuto luogo a Cité Soleil, bidonville alla periferia della capitale Port-au-Prince. A un anno esatto dalla sua scomparsa, arriva dunque questo riconoscimento.
Alto Adige 20-4-11
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mercoledì, 20 aprile 2011



Al Museo di scienze una collezione-record di farfalle delle Alpi

BOLZANO. Un trionfo di colori, ma dal valore scientifico che va ben oltre quello... cromatico. Da poco acquisita dal Museo di scienze naturali di via Bottai 1, con oltre 55.000 esemplari per più di 2.000 specie, la collezione di farfalle dell’arco alpino di Werner e Annamaria Kaesweber è tra le più complete esistenti: la raccolta è stata presentata ieri mattina nello stesso museo, dall’assessore provinciale Sabina Kasslatter Mur. La raccolta è il frutto di 50 anni di ricerche in ogni angolo delle Alpi: tanto hanno impiegato i coniugi Werner e Annamaria Kaesweber, di Riedering (Germania) a formare la collezione di farfalle che porta il loro nome. Con 55.630 esemplari suddivisi in 2.012 specie, la Collezione Kaesweber è tra le più complete raccolte private di macrolepidotteri della regione alpina ed è di inestimabile valore per la conoscenza faunistica dell’Alto Adige, in quanto al suo interno è rappresentato un elevato numero di specie presenti su questo territorio. Il Museo di scienze l’ha acquisita con l’aiuto di un generoso contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Bolzano.
La Collezione Kaesweber consiste di due parti distinte, una dedicata alle noctuidi (farfalle notturne, 18.905 esemplari), l’altra composta da farfalle diurne più altri gruppi di farfalle notturne (bombicidi, geometridi e microlepidotteri - 36.725 esemplari). Curata, di rara qualità e bellezza, la Collezione Kaesweber integra ora in maniera ideale i fondi già presenti nel Museo di scienze, soprattutto in merito alla distribuzione e composizione delle specie negli habitat delle alte zone alpine, spesso difficilmente raggiungibili.
«La Collezione Kaesweber permette ora di accrescere fortemente il patrimonio scientifico del Museo di Scienze Naturali dell’Alto Adige», ha commentato il direttore del museo, Vito Zingerle, mentre Werner Kaesweber, presente a Bolzano insieme alla moglie, ha commentato: «Sono lieto che la nostra raccolta sia stata collocata al Museo di scienze naturali dell’Alto Adige, in quanto la sua posizione centrale nell’arco alpino è ideale per la ricerca sulle farfalle delle Alpi».
Alto Adige 20-4-11
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lunedì, 18 aprile 2011



Democrazia diretta, critiche alla Svp

BOLZANO. Oggi il direttivo allargato della Svp intende prendere una decisione sulla propria proposta per la democrazia diretta. L’Iniziativa per più democrazia «mette in guardia i cittadini perché non si facciano ingannare dalla Stella alpina, che in passato ha fatto di tutto per negare loro un efficace diritto di partecipazione». Esaminato il disegno della Svp, l’Iniziativa constata che «purtroppo l’obiettivo non è cambiato». «È deludente dover constatare che le forze più progressiste nella Svp si lasciano prevaricare per mascherare i fortissimi interessi economici nel partito, che niente temono più di un diretto controllo di cittadini e cittadine sulle decisioni dei loro rappresentanti politici» sottolinea Stephan Lausch.
 «La proposta che la Svp intende presentare è un vero e proprio oltraggio al diritto della cittadinanza di avere l’ultima parola in una democrazia. Prevede un numero di firme doppio di quello realisticamente raggiungibile, inoltre limitazioni e ostacoli per impedire un uso efficace di questo diritto. Difficilissimo concepire qualcosa di più inservibile», ancora l’esponente di Iniziativa per più democrazia. «La proposta che si discute nel partito di raccolta nega uno standard ormai consolidato in tutto il mondo, e si orienta su realtà in cui la democrazia diretta è quasi irrilevante. Una nuova regolamentazione della democrazia diretta deve corrispondere alla volontà popolare, che nel referendum del 2009 si è espressa molto chiaramente. Secondo l’indagine dell’Astat sulla gioventù, l’83% dei giovani desidera un’efficace democrazia diretta. L’attuale proposta della Svp non è invece altro che una nuova formula per evitare con altri mezzi la democrazia diretta. Come il diritto di voto, anche il diritto di cittadini e cittadine a decidere direttamente è un diritto democratico basilare che gli spetta in base allo Statuto d’autonomia del 2001 in una forma ben applicabile», sottolinea Lausch. L’Iniziativa per più democrazia «non aspetterà che, come già nel 2009, la nuova legge della Svp impedisca il diritto di partecipazione, e che le aspettative dei cittadini sulla democrazia diretta continuino a essere deluse». «Stiamo raccogliendo firme in tutto l’Alto Adige, di nuovo col sostegno di molte organizzazioni, per far trattare in consiglio provinciale il disegno di legge approvato dalla stragrande maggioranza dei cittadini e delle cittadine di questa provincia. Si può firmare fino a metà giugno in ogni Comune altoatesino», chiude Lausch.
Alto Adige 18-4-11
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categoria:cultura, sociale
lunedì, 18 aprile 2011



Chiudiamo il capitolo della toponomastica e dedichiamoci alle sfide per questa provincia

MAURIZIO DALLAGO
BOLZANO. «Chiudiamo il capitolo della toponomastica e dedichiamoci alle sfide per questa provincia, dalla scuola all’apprendimento delle lingue, dalla questione sociale al lavoro, dai giovani all’innovazione». Così il deputato Svp, Siegfried Brugger, secondo il quale la commissione di saggi all’interno dell’intesa Fitto-Durnwalder sulla segnaletica di montagna ha lavorato bene. «Se poi potessimo usare questi criteri oggettivi per la prossima legge provinciale sulla toponomastica, non ci sarebbero più alibi per nessuno», ancora Brugger. «La grande valenza dell’accordo con il ministro Fitto è quella di aver messo nel cassetto il prontuario Tolomei», sottolinea il suo collega di partito, Karl Zeller. «Il principio del diffuso utilizzo dei toponimi per quanto riguarda quelli in italiano e dei nomi storici da lasciare solo in tedesco mi pare giusto, l’importante è non considerare più l’opera del Tolomei, un pugno nell’occhio per la popolazione di lingua tedesca in Alto Adige», afferma il deputato meranese. «La commissione paritetica di esperti ha lavorato in modo serio, prendendo decisioni su un tema ostico, per cui non mi soffermerei su singoli e specifici nomi: se ci sono correzioni da fare si facciano, ma con regole oggettive come mi pare siano state quelle con cui hanno lavorato gli esperti», spiega Siegfried Brugger. Sì, ma intanto il presidente Luis Durnwalder ritiene due punti irrinunciabili: i nomi delle malghe che derivano da nomi propri di masi che si trovano nelle vicinanze non possono essere tradotti in italiano. Allo stesso modo i rifugi alpini devono mantenere soltanto la loro denominazione originaria, non quella arrivata temporalmente dopo in italiano, ma diventata di utilizzo diffuso per quel gruppo linguistico. «So che il presidente Durnwalder non vuole accettare la traduzione di nomi dei masi, ove sia stata fatta, ma ripeto: guardiamo oltre e scrolliamoci di dosso questo problema per puntare a risolverne altri», sottolinea l’onorevole Brugger.
 Di segnaletica di montagna se ne parlerà a questo punto nel corso della due-giorni di clausura della giunta provinciale prevista per giovedì e venerdì prossimi. All’interno del governo altoatesino si deve decidere come muoversi in concreto rispetto al lavoro uscito dalla commissione composta da Francesca De Carlini e Guido Denicolò per lo Stato e da Karl Rainer, Ferdinand Willeit e dal ladino Hugo Valentin per la Provincia.
 LA RELAZIONE. I quattro esperti (5 con il ladino) si sono occupati di 1.526 indicazioni monolingui in tedesco (tra toponimi puri e indicazioni di carattere generale). Le determinazioni della commissione sono state prese all’unanimità. I toponimi rimasti esclusivamente in lingua tedesca rappresentano il 10% del totale, quindi 150 circa. Si tratta di nomi per i quali non esiste il corrispettivo in italiano neppure nel Prontuario del Tolomei, oppure in minima parte esistono denominazioni in lingua italiana, ma non sono diffusamente utilizzate. Non hanno neppure indicazioni di carattere generale come “Spitze” o “See” che potrebbero essere tradotte. Poi ci sono il 45% di toponimi tradotti in toto in lingua italiana perché diffusamente utilizzati dal gruppo italiano. L’altro 45 per cento è composto da toponimi tradotti in lingua italiana o lasciati in tedesco con l’indicazione di carattere generale in italiano: la gran parte è stata tradotta in italiano, quando esse siano indicazioni di carattere generale, generiche e/o legate a nomi di santi. Tutti i rifugi alpini hanno il loro nome in tedesco ed in italiano.
 L’INTESA. L’intesa sottoscritta il 22 settembre scorso tra il ministrro Fitto ed il presidente Durnwalder prevedeva che la commissione di esperti si occupasse delle 1.526 indicazioni monolingui individuate dalle forze dell’ordine su un totale di circa 36 mila cartelli dell’Alpenverein. I saggi hanno lavorato seguendo il criterio del nome diffusamente utilizzato per quanto riguarda la forma bilingue, mentenendo invece in tedesco o ladino i nomi storici, a cui aggiungere le indicazioni come malga o torrente. Il protocollo d’intesa delaga alla politica la scelta finale, da consentire la sostituzione dei cartelli entro la stagione alpinistica 2013.
Alto Adige 18-4-11
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categoria:cultura, provincia di bolzano
domenica, 17 aprile 2011



Se l’autonomia dell’Alto Adige resta senza benzina

FRANCESCO PALERMO
I muri portanti dell’edificio autonomista iniziano a scricchiolare pericolosamente e in tutta risposta ci si occupa di sistemare i centro-tavola.
 Il massimo della strategia è tenere nel cassetto il lavoro della commissione paritetica sui cartelli di montagna per provare a strappare un accordo che riduca di qualche decimale il numero di indicazioni in lingua italiana, così da poter impostare il disegno di legge sulla toponomastica, che pare essere l’obiettivo primario dell’intera legislatura. La visione dell’autonomia del futuro ridotta a un pittogramma.
 Non va sminuita l’importanza della manutenzione quotidiana dell’autonomia. Ma è evidente che la semplice amministrazione pragmatica, che bastava negli anni Novanta e che è stata l’ultima concezione strategica dell’autonomia, oggi ha il fiato corto. E non poteva che essere così. La risposta pragmatica, caso per caso, funziona a due condizioni: che poggi su basi solide, e che sia limitata nel tempo.
 Il merito dell’era Durnwalder è stato di aver giocato ottimamente la carta del pragmatismo; il demerito è stato pensare che questo potesse durare all’infinito.
Nella gestione politica a tutti i livelli, dall’Unione euopea ai comuni, passando per stati e regioni, sembra che non ci si renda conto che occorrono qui e ora visioni di lungo respiro. Peggio ancora, si ritiene che ci si possa permettere di fingere di non rendersene conto, perché c’è sempre qualcosa di immediato da sistemare. Concretamente, o si gettano ora le fondamenta istituzionali del nuovo Alto Adige, o ogni giorno che passa sarà più difficile invertire la rotta di quel rallentamento sistemico che sta colpendo anche questa provincia, pur se fortunatamente in misura ancora minore rispetto al resto del Paese.
La difficoltà è duplice: politica e istituzionale. E’ politica, perché manca una leadership capace di portare avanti un progetto complessivo per una società complessa, che sappia portare nella modernità una comunità conservatrice senza stravolgerne i valori, che sia in grado di coniugare rispetto dei gruppi e diritti degli individui, di tutte le provenienze, che riesca a farsi carico della gestione del benessere ma anche delle modalità per conservarlo nel competitivo mercato globale. Persone così non ce ne sono molte, ed è già di per sé difficile trovarle. Ma è particolarmente difficile, se non impossibile, quando la classe politica è selezionata e allevata sulla base di regole inadeguate. Per questo il problema è anche e forse soprattutto istituzionale.

***
Se il sistema statutario dà alla personalità dei gruppi e alla loro rappresentanza in quanto tali più peso di quanto ne servirebbe nella società contemporanea, è evidente che la capacità politica di modernizzare il sistema, anche ammesso che ci sia, deve scontrarsi con un ostacolo ulteriore e immenso, a meno di non voler lavorare fuori dalle regole, con tutti i rischi connessi. Allo stesso modo, se lo statuto premia l’appartenenza più del plurilinguismo, è difficile che i politici selezionati in questo sistema possano riformarlo dall’interno. Lo stesso vale per la gestione dell’economia, per il rapporto tra territorio e ambiente e per tanti altri settori, ma soprattutto e prima di tutto per i processi decisionali.
 Sono proprio le modalità di assunzione delle decisioni a rappresentare lo specchio della crisi ma anche la chiave per uscirne. Se le informazioni non circolano, se non si attivano i saperi diffusi, se non si coinvolgono preventivamente gli interessati e gli esperti in un percorso procedimentalizzato e garantito, allora aumentano i rischi che il meccanismo decisionale si inceppi.
 Le crisi non vengono quasi mai sui contenuti delle decisioni, ma sul modo di assumerle. Solo gli ultimi mesi forniscono esempi innumerevoli: dall’aeroporto alla cittadella dello sport a Laives, dalla ristrutturazione delle ripartizioni comunali alla riorganizzazione dei servizi sociali, dalla concessione alla A22 al tunnel di Merano, dalla riforma sanitaria al megastore. Tutti casi di conflitto generato soprattutto da un processo decisionale inadeguato.
 E’ per questo che senza un ammodernamento istituzionale non basterà nemmeno una leadership politica capace e creativa, la quale a sua volta avrà difficoltà ad emergere in un sistema decisionale di questo tipo. Il sistema istituzionale, perfetto per uscire dal conflitto, è oggi una gabbia per la modernizzazione della politica in questa terra, e finisce per scoraggiare le grandi visioni. E tuttavia, solo una leadership politica illuminata può avere la capacità e la forza di affrontare le necessarie riforme dei processi decisionali. E’ il gatto che si morde la coda.
*** La grande occasione per l’aggiornamento dell’autonomia è stata persa all’inizio del nuovo secolo, dopo che la riforma costituzionale del 2001 aveva aperto la via per una nuova stagione statutaria. Non ne hanno approfittato le altre regioni - e non è una sorpresa - ma purtroppo nemmeno l’Alto Adige/Südtirol.
 Occorre accelerare su questo versante prima che sia troppo tardi. Iniziare dall’adeguamento istituzionale può servire a produrre la leadership politica necessaria per una riforma complessiva. Certamente, se nel contesto politico contano di più le lotte interne alla SVP per la (tutt’altro che scontata) successione a Durnwalder o il compattamento della maggioranza in qualche comune, è difficile sperare che se ne possa uscire. E ci terremo a lungo un’autonomia il cui massimo prodotto strategico sono dei pittogrammi.
 Quasi fossimo ai tempi delle caverne.
Alto Adige 17-4-11
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giovedì, 14 aprile 2011



La domenica di sangue che segnò Bolzano

ANDREA DI MICHELE
Il 24 aprile 1921 è la data della cosiddetta «Bozner Blutsonntag», la domenica di sangue, che vide a Bolzano l’assassinio ad opera dei fascisti di Franz Innerhofer, un maestro di Marlengo. Quella domenica rappresenta una data centrale nella memoria collettiva sudtirolese e Innerhofer, insieme a figure come Josef Noldin e Angela Nicoletti, ricopre un posto centrale tra i simboli dell’oppressione fascista.
Il 24 aprile 1921 a Bolzano si teneva un corteo folcloristico per la riapertura della fiera cittadina. Dopo la lunga sospensione del periodo bellico finalmente la fiera riapriva i battenti e ciò faceva di quella giornata un appuntamento importante e sentito. Ma la giornata era speciale anche perché a nord del Brennero vi si teneva un referendum che, contro quanto previsto dai trattati di pace, mirava all’annessione dell’Austria alla Germania. L’appuntamento era visto con preoccupazione da parte italiana per i riflessi irredentistici che poteva avere in Alto Adige, dove un plebiscito a favore dell’unificazione di tutti i tedeschi avrebbe ridato forza a chi chiedeva di rivedere il confine del Brennero. Per i fascisti, in particolare, il corteo in abiti tirolesi previsto a Bolzano proprio quel giorno non era da considerarsi un caso, ma una provocazione politica di segno «pangermanista».
Per questo motivo il fascio di combattimento di Bolzano decise di organizzare per lo stesso giorno una «manifestazione d’italianità» contro le «pretese tirolesi» su Bolzano, «estrema sentinella della Patria». Ma la forza politica e militare del fascismo bolzanino era alquanto limitata, potendo contare su un centinaio di aderenti. Per questo chiese e ottenne il sostegno del comitato centrale dei fasci di combattimento con sede a Milano.
Puntualmente, a dare manforte ai fascisti locali, il 24 aprile giunsero a Bolzano circa 300 squadristi provenienti soprattutto da Veneto, Lombardia e Trentino. Durante la mattinata i fascisti si limitarono a gesti di provocazione, in attesa che si svolgesse nel pomeriggio l’atteso corteo folcloristico. Questo fu preso d’assalto a manganellate, colpi di pistola e persino lanci di bombe. Il bilancio fu di un morto, Franz Innerhofer, e di una cinquantina di feriti.
In questo come in altri episodi simili, di fronte alla violenze squadriste, le forze dell’ordine dimostrarono debolezza, se non connivenza. Il loro comportamento era il riflesso della profonda crisi dello Stato liberale, che pareva arrendersi senza reagire all’aggressione del fascismo in ascesa. Nonostante le successive inchieste, nessuno dei responsabili delle violenze e dell’omicidio di Innerhofer venne mai punito.
Ma il fascismo poté dirsi soddisfatto solo in parte del risultato della propria spedizione. La reazione della locale società civile, italiana e tedesca, fu infatti forte e di chiaro segno contrario. Per il giorno successivo, partiti e sindacati indissero uno sciopero generale di protesta contro i fatti di Bolzano, con una massiccia partecipazione di esponenti di entrambi i gruppi linguistici. Una delegazione si incontrò poi con il Commissario generale civile Luigi Credaro, che significativamente partecipò in prima fila ai solenni funerali di Innerhofer, ai quali presero parte migliaia di persone. Emerse dalla società locale una chiara reazione di indignazione e protesta che favorì una temporanea alleanza di segno antifascista, in grado di tenere insieme forze istituzionali come il Commissariato civile, i partiti conservatori sudtirolesi e le forze di sinistra tedesche e italiane.
Innerhofer è stata la prima e unica vittima dello squadrismo in Alto Adige. Rispetto ad altre realtà regionali, specie del Centro-Nord, Bolzano fu toccata solo di striscio dalle violenze fasciste, che altrove prima dell’ascesa di Mussolini al potere provocarono decine di morti. Questo si spiega con la debolezza del movimento fascista a livello locale, che non stupisce pensando allo scarso numero di italiani presenti a nord di Salorno dopo l’annessione. Se si confronta l’azione del primo fascismo in Alto Adige con quella nella Venezia Giulia, dove anche esisteva la questione dei cosiddetti «allogeni», emerge con chiarezza il diverso grado di radicamento e forza militare delle squadracce. In una realtà come quella triestina e giuliana, in cui le due componenti etniche si equivalevano e in cui il nazionalismo italiano si tingeva spesso di venature apertamente razziste nei confronti delle popolazioni slovene e croate, il livello della violenza fu enormemente maggiore. Da questo punto di vista non è un caso che fascisti triestini, forti della propria organizzazione militare, partecipassero numerosi alla cosiddetta «marcia su Bolzano» del 1º ottobre 1922.
Ricordare l’assassinio di Franz Innerhofer può rappresentare anche l’occasione per ricostruire le modalità d’azione e collaborazione tra i vari fascismi regionali e in particolare tra i diversi «fascismi di confine», che prima e dopo la presa del potere misero in campo politiche non del tutto coincidenti, pur avendo lo stesso obiettivo di italianizzazione dei confini.
Alto Adige 14-4-11
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lunedì, 11 aprile 2011



Università austriache: difficile equiparare gli altoatesini delle scuole italiane

BOLZANO. «Torneremo ad affrontare la questione con il ministro austriaco Beatrix Karl». Così l’assessore Sabina Kasslatter Mur risponde ad un’interrogazione del consigliere provinciale verde Riccardo Dello Sbarba che aveva chiesto se è possibile avere parità di trattamento per l’ammissione alle facoltà di medicina in Austria degli studenti altoatesini che abbiano conseguito il diploma di maturità nelle scuole di lingua italiana. «Le facoltà di medicina austriache, negli anni scorsi - scrive Kasslatter Mur - avevano registrato una partecipazione all’esame di ammissione di molti candidati provenienti dalla Germania. Alla fine del ciclo di studio i neomedici sarebbero tornati nel loro Paese. Di qui la decisione di introdurre la norma che stabilisce quote di assegnazione dei posti in base allo Stato nel quale è stato conseguito il diploma di maturità: 75% per i candidati in possesso di diplomi conseguiti in Austria o diplomi equiparati, 20% per diplomi conseguiti in un Paese dell’Unione europea e 5% per diplomi conseguiti in Paesi extracomunitari. I diplomi conseguiti in scuole medie superiori altoatesine tedesche e ladine sono equiparati ai diplomi austriaci: ciò significa che, a prescindere dalla madrelingua e dall’appartenenza al gruppo linguistico, i candidati con un diploma di maturità di scuola tedesca e ladina ricadono nella quota del 75%, i candidati con diploma di maturità di una scuola italiana nel 20%». L’assessore condivide la necessità di un’equiparazione ma non nasconde le difficoltà.
Alto Adige 11-4-11
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venerdì, 08 aprile 2011



Settimana della cultura: mostre gratuite e convegni

Da domani a domenica 17 aprile si ripropone in Italia la Settimana della cultura, giunta alla tredicesima edizione: in tutto il Paese saranno organizzate 2580 tra mostre, guide speciali, conferenze, convegni e offerte didattiche, il tutto a ingresso libero. Anche l’Alto Adige partecipa quest’anno in maniera significativa alla manifestazione voluta dal Ministero: oltre a un concerto al Conservatorio Monteverdi (domani alle 20 con due orchestre da camera) sono previsti un convegno sull’avvento del fascismo in Alto Adige (il 15 al Comune di Bolzano), la presentazione di documenti austroungarici sull’unità d’Italia e ingressi gratuiti in alcuni musei. Per quanto riguarda le mostre, si potranno visitare sempre gratuitamente le due esposizioni in corso a Castel Tirolo e le due del Museion di Bolzano: la personale dell’artista austriaca Valie Export e la mostra «-2+3. Massimo Arienti Stefano Bartolini: la Collezione di Museion».
 Per quanto riguarda il convegno sull’unità d’Italia vista dall’impero asburgico, sarà ospitato dall’Archivio di Stato - in via Diaz 8 a Bolzano - lunedì 11 alle 15.

Alto Adige 8-4-11

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categoria:cultura
mercoledì, 06 aprile 2011



Assistenza universitaria, varato un finanziamento da 22 milioni

 BOLZANO. Sono 22,5 i milioni messi a disposizione da parte della giunta provinciale per l’assistenza universitaria nel 2011. L’assessore Sabina Kasslatter Mur sottolinea che il settore dell’assistenza universitaria non rientra nel patto di stabilità e così anche per il 2011 l’importo complessivo resta invariato. Potranno così essere messe a concorso 1.658 borse di studio da 5.800 euro per la frequenza di università o istituti superiori all’estero e 633 borse di studio da 5.800 euro per la frequenza di strutture universitarie in provincia. Tali fondi, sottolinea l’assessore, «costituiscono un importante investimento per il futuro dell’Alto Adige. Nel budget approvato rientrano anche i sostegni finanziari a organizzazioni studentesche (603.000 euro), il rimborso delle tasse universitarie (1,87 milioni) la partecipazione finanziaria per i posti nei convitti studenteschi (1,9 milioni). 2,5 milioni sono destinati alla formazione postuniversitaria.
Alto Adige 6-4-11
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mercoledì, 06 aprile 2011



Ebner: all’economia serve il plurilinguismo  

ANTONELLA MATTIOLI
BOLZANO. Due parole chiave: raggiungibilità e competenze linguistiche. Il mantenimento e l’ampliamento dell’alta qualità di vita raggiunta in Alto Adige passa anche attraverso il miglioramento di queste due «voci». Emerge dall’indagine della Camera di commercio sul futuro di questa terra.
 Attraverso il «Laboratorio sul futuro dell’Alto Adige», di cui fanno parte 30 persone (imprenditori, altoatesini che vivono all’estero, economisti), la Camera di commercio cerca di individuare le tendenze e fare proposte concrete per la crescita. Ieri la presentazione delle prime indicazioni, emerse dal gruppo di lavoro, da parte del presidente dell’ente Michl Ebner, Oswald Lechner, direttore dell’Istituto ricerca economica, e Barbara Moroder, autori dell’analisi.
 CINQUE COLONNE Il gruppo di lavoro ha individuato le cinque colonne su cui poggia il benessere dell’Alto Adige. Punto forte: il paesaggio che rappresenta un capitale importante per l’economia e la società. Imperativo categorico: conservarlo. Per questo va posta particolare attenzione alle attività economiche rispettose dell’ambiente che utilizzano meno superficie. Buono il tessuto imprenditoriale, diversificato e caratterizzato soprattutto da microstrutture, crea stabilità e posti di lavoro in periferia. Però, per reggere in futuro, i piccoli dovranno puntare sulla cooperazione e sulla crescita qualitativa. Ottime potenzialità offre la collocazione geografica, zona di cerniera tra il mondo tedesco e quello italiano: c’è la possibilità di ampliare i mercati grazie alle competenze linguistiche e culturali, queste ultime danno alle imprese locali maggiore competitività. Un’altra colonna importante, secondo il gruppo di lavoro, è rappresentata dalla rete sociale e in particolare dalla famiglia. Contribuiscono ad una qualità della vita elevata persone qualificate piene di entusiasmo e di idee: di qui la necessità di aumentare gli investimenti nel settore della formazione.
 CAMPI D’AZIONE L’Alto Adige, sempre secondo il gruppo di lavoro individuato dalla Camera di commercio, può puntare solo su quei comparti che non incidono troppo su paesaggio e ambiente. In questa prospettiva saranno i settori che approfittano dell’immagine ambientale a sostenere lo sviluppo, ovvero: turismo, produzione alimentare (biologico), tecnologie sportive e invernali, tecnologie ambientali (CasaClima, energie alternative), tecnologie elettroniche e automazione.
 RAGGIUNGIBILITÀ Tallone d’Achille del ricco Alto Adige continua ad essere quello dei collegamenti, ovvero strade, treni, aeroporto, banda larga, telefonia. «Il problema è - dice il presidente Ebner - che ogni volta che si parla in particolare di strade, tunnel del Brennero, aeroporto ciascuno ragiona pensando al proprio orticello. Nostro compito è quello di sensibilizzare la popolazione sull’importanza di queste infrastrutture per il benessere dell’intera collettività». Proprio in quest’ottica la Camera di commercio ha già in calendario 10 incontri nei principali centri della provincia. «La popolazione - afferma Ebner - deve capire che l’aeroporto è un’infrastruttura regionale assolutamente necessaria per portare in Alto Adige persone che hanno pochissimo tempo (consulenti, ricercatori, responsabili acquisti, turisti). Inoltre abbiamo bisogno di essere collegati, oltre che con Roma, con altri tre aeroporti internazionali (Francoforte, Zurigo, Vienna). L’adeguamento della pista, deciso dalla giunta provinciale, consente di raggiungere questi obiettivi».
 LE LINGUE Il miglioramento delle competenze linguistiche è ritenuto requisito indispensabile. «Per almeno due ordini di motivi - dice Ebner - conoscersi e comprendersi tra gruppi linguistici e avere maggiori chance nel mondo del lavoro. Il pluringuismo è un valore aggiunto per i nostri giovani. Rispetto al passato oggi nelle vallate aumenta tra i tedeschi il numero di chi ha difficoltà ad imparare l’italiano. Mentre nelle famiglie italiane oggi c’è la consapevolezza dell’importanza che i figli imparino la seconda lingua. La scuola però deve fare di più». Il gruppo di lavoro della Camera di commercio insiste sulla necessità di migliorare le competenze linguistiche attraverso la sensibilizzazione della società sul fatto che l’apprendimento linguistico rappresenta un arricchimento culturale e un vantaggio o meglio una necessità dal punto di vista economico. L’indicazione che arriva dalla Camera di commercio è precisa: bisogna iniziare già nella scuola primaria con l’insegnamento delle lingue, eventualmente prevedendo per le varie materie l’uso alternato di lingue diverse. E ancora, per perfezionare la conoscenza dell’altra lingua, due mesi obbligatori di frequenza scolastica, tirocinio o scambio di apprendisti nell’area di lingua italiana o tedesca. Oltre all’incentivazione di studi universitari all’estero.
Alto Adige 6-4-11
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martedì, 05 aprile 2011



Lotta per la democrazia: oggi c’è padre Tamayo

Una delle personalità più amate e controcorrente della società civile di Honduras e Salvador sarà oggi a Bolzano per un incontro pubblico. Si tratta di padre Andrés Tamayo, che su invito del Centro per la Pace, sarà alle 20.30 in Sala di rappresentanza del Comune e in precedenza, alle 17.30, al Circolo Aurora di Ora. Padre Tamayo è uno degli esponenti di spicco del «Frente contro il golpe», il movimento che si oppone al colpo di stato che ha scalzato Zelaya, il presidente democraticamente eletto. Per la sua attività in difesa dei diritti umani e per le due denunce internazionali Andrés Tamayo è stato minacciato di morte e ha dovuto lasciare il Paese (ora vive in Salvador). Quando il governo golpista ha annunciato pubblicamente l’espulsione dal Paese di Tamayo, le popolazioni più povere sono scese in piazza in segno di protesta e di difesa del loro punto di riferimento.
 Ieri per altro è stato ufficializzato che sarà il Centro per la Pace ad ospitare (dal 17 al 19 giugno) il Convegno nazionale per i 50 anni della Marcia Perugia-Assisi e del Movimento nonviolento fondato da Aldo Capitini.
Alto Adige 5-4-11
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lunedì, 04 aprile 2011



La Lub si apre: nuovi corsi per tutti

BOLZANO. Una spallata alla torre d’avorio in cui talvolta si è rinchiuso l’ateneo cittadino. Lo Studium generale, presentato in occasione dell’Open Day dell’università e anticipato dal presidente della Lub Konrad Bergmeister, spalanca il sorriso del rettore Walter Lorenz: «Apriamo le porte a tutte le generazioni, a tutti gli altoatesini che avranno voglia di avvicinarsi al sapere accademico nella sua accezione più universale». La struttura dello Studium generale è quella di un’università popolare: corsi aperti a tutti, semestrali, con possibilità di sostenere un esame e conseguire una certificazione. L’attestato, però, non può rimanere il classico pezzo di carta simbolico. «Ci siamo preoccupati di renderlo spendibile garantendo il riconoscimento dei crediti, totali o parziali, all’interno dei nostri corsi di laurea», spiega Lorenz. Ci sono aperture, in un momento di crisi occupazionale, anche verso il mondo del lavoro locale? «Fin da quando abbiamo ipotizzato di avventurarci in questa proposta, di fatto una novità a livello italiano e internazionale, il presupposto era di contare su contatti decisivi con il tessuto altoatesino. In questo senso abbiamo già richieste di aziende che intendono sfruttare i nostri corsi come autentiche lezioni di aggiornamento per un salto di qualità nella competenza dei propri dipendenti. Le stesse certificazioni, quindi, godono di un certo riconoscimento», risponde il rettore. Per una vota sembra rimanere sullo sfondo la sfida linguistica: «Ma solo in apparenza, perché comunque si tratterà di utilizzare le conoscenze linguistiche come mezzo per veicolare i temi delle lezioni. La nostra prima preoccupazione in questo progetto, però, è certamente quella di avvicinare i bolzanini e i cittadini della provincia all’istituzione dell’ateneo, configurandolo certamente come una ricchezza, ma anche una possibilità di crescita in diversi ambiti e settori professionali. Si sente dire che la Lub è troppo distante dalla realtà in cui è inserita. Con lo Studium generale speriamo di gettare dei ponti intergenerazionali e stimolare delle amicizie tra chi viene per questi corsi e gli studenti delle facoltà». (a.c.)
Alto Adige 4-4-11
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lunedì, 04 aprile 2011



Tommasini: centri giovanili misti

FRANCESCA GONZATO
BOLZANO. La strada verso il bilinguismo passa anche attraverso il tempo libero: centri giovanili, società sportive, attività culturali.
«Dobbiamo puntare sull’extrascuola», ha ribadito l’assessore alla scuola tedesca Sabina Kasslatter Mur (Svp) nell’intervista di ieri al nostro giornale. E’ la soluzione più semplice, non costringe a fare i conti con il rispetto più o meno rigido dell’articolo 19 dello Statuto. Nella scuola tedesca l’insegnamento veicolare è all’anno zero.
«Forse è arrivato il tempo di avere centri giovanili misti», conferma l’assessore alla cultura e scuola italiana Christian Tommasini (Pd).
I centri giovanili dedicati a ragazzi di entrambi i gruppi (più gli stranieri, frequentatori assidui di questi servizi) è una delle proposte uscite al primo incontro del gruppo di lavoro Svp-Pd sull’apprendimento linguistico.
A volte ritornano. I centri per ragazzi italiani e tedeschi sono stati uno dei cavalli di battaglia del movimento studentesco negli anni settanta-ottanta. All’epoca sembravano tabù.
La politica riscopre quel filone, da affiancare alle esperienze di insegnamento veicolare, in crescita nelle scuole italiane, e agli scambi tra studenti, che iniziano ad essere benvenuti anche nelle scuole tedesche. Ancora Tommasini: «Sì, centri giovanili dedicati ai ragazzi di entrambi i gruppi sono uno degli obiettivi».
Alcune esperienze miste si possono già citare. A Bolzano il Pippo Stage e il Vintola 18, a Laives il No Logo, a Egna il Point, a Brunico l’Ufo. Il Pippo Stage è una sorta di esperimento di laboratorio. E’ il primo centro nato per essere gestito da due associazioni, Arci e Papperlapapp, l’una italiana e l’altra prevalentemente tedesca. Dalla mensa per gli studenti, alle attività culturali (soprattutto musica), secondo Tommasini «sta funzionando bene e non era scontato».
Interessante anche la storia del Vintola 18, da poco ristrutturato. «Tradizionalmente era un centro giovanile con frequentazione italiana», racconta l’animatore Diego Baruffaldi, che si dedica in particolare all’attività musicale. Sta diventando un centro sempre più plurilingue. Misto in tutti i sensi, sottolinea Baruffaldi, «visto che ci sono anche moltissimi ragazzi stranieri». La trasformazione è stata graduale, spontanea anche. Ancora Baruffaldi: «I ragazzi delle medie di lingua tedesca giocano a calcetto nel campo vicino a noi, poi spesso vengono qui a giocare a ping pong». La vera svolta è arrivata con la musica. Molti dei centri giovanili di Bolzano sono dotati di sale prove, ma il Vintola è uno dei pochissimi che può offire un palco per i concerti. «Lo abbiamo messo a disposizione di tutti i centri per organizzare i loro concerti e le cose sono successe praticamente da sole. Spesso sono i ragazzi a organizzare i concerti. Invitano gruppi di Bolzano, ma anche del resto della provincia. Spesso le band hanno musicisti italiani o tedeschi, in ogni caso sempre di più i concerti sviluppano un ambiente mescolato. Non ci sono mai stati problemi». Alle attività estive organizzate dal Vintola per bambini da 8 a 13 anni, racconta la coordinatrice Maria Lo Russo, si assiste a un fenomeno ancora diverso: «Le iscrizioni di famiglie tedesche sono sempre più numerose e molti genitori ci spiegano che lo fanno perché i figli imparino meglio l’italiano».
Tommasini aggiunge un altro filone, il volontariato linguistico, che potrebbe approdare nei centri giovanili. L’iniziativa rivolta prevalentemente agli adulti ha raggiunto le 170 coppie: incontri settimanali tra una persona di lingua tedesca e una di lingua italiana. «Vorremmo fare partire entro la fine di quest’anno il volontariato linguistico per i ragazzi. Stiamo pensando sia ai centri giovanili che alle scuole, visto che ci sono arrivate richieste anche dal mondo scolastico», anticipa. Si lavora con i ragazzi, pensando anche agli adulti: «Le famiglie vengono coinvolte, anche se non sono protagoniste. In fondo anche questo è un modo per scalfire certe resistenze». Ma la scuola resta la protagonista indispensabile e da Sabina Kasslatter Mur è arrivato un segnale inedito di apertura: «Ho chiesto ai presidi relazioni sulle esperienze in atto. I tecnici devono dirmi che cosa serve». (fr.g.)
Alto Adige 4-4-11
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domenica, 03 aprile 2011



Più bilinguismo nel tempo libero

BOLZANO. Seconda lingua: l’assessore tedesco Sabina Kasslatter Mur ha preso coscienza delle richieste della società e della sua scuola. Ora lancia un appello ai presidi: «Ditemi cosa vi serve». E aggiunge: «Lavoriamo sull’extrascuola, lo statuto di autonomia non lo vieta»
L’assessore provinciale alla scuola tedesca Sabina Kasslatter Mur - assieme ai colleghi italiano (Tommasini) e ladino (Mussner) - fa parte del gruppo di lavoro della maggioranza sull’apprendimento linguistico, riunitosi per la prima volta nei giorni scorsi. Un sabato a fine mese si terrà un secondo incontro, una sorta di clausura lunga un giorno, dove per la prima volta si entrerà nei dettagli della questione, dopo che nel corso di aprile le tre intendenze scolastiche e i tre assessorati avranno stilato le relazioni tecniche richieste da Svp e Pd per rendersi conto dello status quo. All’interno della Svp - compresi gli stessi membri del gruppo di lavoro - sopravvivono diverse anime. C’è chi preme per il plurilinguismo, la moltiplicazione degli scambi e la creazione di occasioni di incontro fra studenti italiani e tedeschi. Ma c’è anche chi, per usare un eufemismo, non è tanto convinto. E ha come obiettivo il mantenimento delle garanzie autonomistiche: il diritto alla scuola nella propria madre lingua. E poco altro. Sabina Kasslatter Mur, come esponente Svp e in qualità di assessore, necessariamente si muove con estrema cautela. Mostra però un’inaspettata apertura, votandosi alla politica dei piccoli passi. O meglio alla Realpolitik.
 Assessore, la politica si sta muovendo tanto sul tema seconda lingua.
 
«In realtà abbiamo preso pienamente coscienza del problema già un paio di anni or sono, altrimenti non avremmo commissionato il noto studio Eurac: dati fatti e cifre hanno dimostrato come le competenze linguistiche dei sudtirolesi siano insoddisfacenti. Effettivamente nell’ultimo periodo c’è un certo fermento. Bene: perché più gente si occupa seriamente della questione, meglio è».
 Che obiettivi vi siete posti col gruppo di lavoro?
 
«Migliorare le competenze linguistiche, non solo a scuola ma in tutta la società. Non dobbiamo sempre e solo sparare sui nostri ragazzi. In tema di conoscenze linguistiche noi vecchi non siamo certo migliori. Predichiamo di bere acqua, ma poi beviamo vino. Le pecche non stanno tutte nella didattica. Se tanti studenti sudtirolesi non sono in grado di parlare in tedesco è anche perché nell’extrascuola c’è poco impegno».
 Come si porteranno le giovani generazioni ai livelli europei?
 
«Oggi al termine degli studi se va bene sono a livello di patentino C o B, dovremo migliorare. Abbiamo innanzitutto bisogno dei tecnici: ho chiesto a tutti i presidi di spedirmi delle relazioni sulle esperienze in atto. Sono tante, come ho scoperto anche dalla stampa. I tecnici devono dirmi come si può migliorare, e cosa gli serve per farlo. Dobbiamo ascoltarli».
 Ché le realtà scolastiche sono tante, e differenti.
 
«Non posso prendere un modello che funziona a Bolzano ed esportarlo a San Martino in Passiria. Vorrei capire come mai a Tubre di Monte i bambini conoscono benissimo l’italiano, pur non avendo nessun contatto con gli italiani. Venerdì sono stata a Sarentino, a colloquio con gli insegnanti di italiano L2. Lì pare vada abbastanza bene, ma ho chiesto di mandarmi le loro richieste: ditemi cosa vi serve».
 Servono agevolazioni?
 «Sicuramente sì. In parte ci siamo mossi. Come assessore ho fatto cambiare i criteri di assegnazione dei contributi per le associazioni che si occupano di accudire i bambini nel tempo libero: chi organizza attività bilingui ha un surplus del 20%. Il primo anno abbiamo avuto poche adesioni, a giorni saprò se quest’anno è andata meglio. È proprio qui che dobbiamo spingere, nell’extrascuola, perché su questo lo statuto di autonomia, che dobbiamo e vogliamo rispettare, non pone limiti».
 Altre agevolazioni?
 
«Si potrebbe chiedere al presidente Durnwalder, assessore allo sport e alle attività del tempo libero, se sia possibile ampliare questo surplus di sovvenzioni anche in quegli ambiti».
 Oltre alle agevolazioni?
 
«Ci serve più continuità didattica, corsi di specializzazione per docenti in servizio in attesa della lunga formazione di nuovi insegnanti. Ma chiediamo un impegno anche alla gente. Come il test di ingresso a Bressanone. Troppo severo? Vogliamo docenti preparati e plurilingui. Qualità, non quantità».
 Svp-Pd, cosa deciderete?
 
Parleremo magari di 10 progetti già partiti, che piaceranno a tutti, di 5 nuovi che verranno accolti. Magari altri 5 non piaceranno a qualcuno. Vorrà dire che decideremo di sostenere i primi 15. Non tutto, ma subito».
Alto Adige 3-4-11
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sabato, 02 aprile 2011



MA LA SCUOLA PUO’ CAMBIARE

MAURO FATTOR
Un insegnante di tedesco in ogni asilo italiano. Docenti delle elementari formati ad hoc dalla Lub per le lezioni veicolari. Incremento e intensificazione degli scambi tra istituti superiori delle due lingue. Queste le proposte formalizzate dal Pd alla Volkspartei nel primo incontro del gruppo di lavoro interpartitico che dovrebbe rimodellare la scuola altoatesina. E fino qui siamo nella didattica. Terreno insidioso, ma insomma, alla fine una soluzione si trova. Ma il salto di qualità non sono queste richieste, che pure sono importanti. Il salto di qualità del Pd in questa vicenda è gettare nell’aperto della discussione politica, avanzare l’idea - se non proprio la proposta - che forse è finito il tempo dei centri giovanili separati e delle società sportive etnicamente pure. Intendiamoci, non che lo sport non abbia importanti esempi di associazionismo interetnico, ma questo oggi accade nonostante il sistema e non grazie al sistema. I meccanismi di finanziamento pubblico infatti non fanno nulla per spingere in questa direzione, anzi ciò che accade è il contrario. Al massimo tollerano. Qui non si tratta più di didattica, quando si parla di sport e tempo libero si sposta implicitamente l’accento sul modello di società in cui viviamo.
Scuola e società sono due corni del medesimo problema e per la prima volta ad un tavolo di discussione politico ci arrivano insieme. Sembrano piccoli passi, aperture timide, ma su queste questioni in realtà ci giochiamo l’Alto Adige del domani. Rita Franceschini, direttrice del Centro di Ricerca Lingue della Lub, lo va dicendo da anni: la mera didattica - attorno a cui si è costruita negli anni la mitologia dell’«immersione» linguistica - ha dei limiti intrinseci che sono invalicabili. Se non c’è una società che spinge in direzione del multilinguismo e se non c’è una politica che sostiene con convinzione questa spinta non si va da nessuna parte e il potenziale di una società multilingue come la nostra si disperde in mille rivoli.
 Questa è la domanda fondamentale che ci dobbiamo fare. Come vogliamo che sia l’Alto Adige di domani? Il tavolo interpartitico è un’occasione straordinaria per chiudere la stagione degli alibi che scaricano sulle (presunte) inefficienze della scuola italiana o tedesca le contraddizioni di una società separata e di un ceto politico terrorizzato dal cambiamento. Se il tavolo si chiuderà con un nulla di fatto la politica perderà semplicemente l’occasione di saltare in sella, per quanto con un ritardo decennale, a cambiamenti che nella società sono comunque in atto e che non si fermeranno. La politica, la Volkspartei in particolare, può decidere se governare questi processi o continuare a contrastarli, come ha fatto fino ad oggi, con l’unico risultato di renderli altamente inefficienti. È la spinta europea verso società sempre più plurilingui ad essere inarrestabile. Piaccia o meno. È come la storia di Re Canuto d’Inghilterra, raccontata da Enrico di Huntingdon nel XII secolo. A chi lo adulava dicendogli che a lui nulla era negato, rispondeva che in realtà neppure lui, il re, poteva fermare la marea e con ciò, implicitamente, la potenza di dio. L’uso di lingue forti come il tedesco, l’italiano o l’inglese, è al di là di ogni controllo centralizzato. È come la marea di Canuto. Questo non significa nulla in termini di rinuncia al proprio background culturale e linguistico. Per quanto inverosimile possa apparire - ma solo ora questa assurdità è diventata patrimonio condiviso - abbiamo buttato anni grazie al doppio teorema Zeller (spostato da tutta la Svp), il quale poggiava su due pilastri. Primo pilastro: non possiamo far crescere la scuola italiana perchè finiremmo col mettere fuorigioco la scuola tedesca. Secondo pilastro: apprendimento precoce della seconda lingua e uso veicolare minano le competenze linguistiche nella propria madrelingua e, di riflesso, l’identità dei gruppi etnici. Due solenni fesserie. Da tutti i punti di vista: dal punto di vista tecnico-linguistico e, più in generale dal punto di vista identitario. Eppure hanno inchiodato la crescita della società sudtirolese per un decennio. Oggi che il dibattito, attorno a quel tavolo tra Pd e Volkspartei, ha ricominciato faticosamente a mettersi in moto e che la Svp pare aver capito - come Canuto - che non può fermare la marea, servono passi decisi.
Quello che occorre fare è lavorare attorno all’idea di un multilinguismo diffuso. Il multilinguismo non fa distinzione tra lingue e uso del dialetto, pone semplicemente l’accento sulla varietà di codici comunicativi che si utilizano e si avvicendano nella vita di tutti i giorni. È questo a cui si deve puntare: capire come destreggiarsi in mezzo a questa varietà crescente incrementando le competenze linguistiche di tutti. L’obiettivo è quello che gli specialisti, soprattutto in Europa, chiamano «portfolio linguistico». In concreto significa che cade la distinzione tra prima e seconda o terza lingua. L’idea di fondo è che ogni individuo sia portatore di un’unica piattaforma comunicativa, fatta però di diversi codici linguistici e di diverse competenze che ciascuno poi utilizza al meglio nel contesto in cui vive e lavora. Per le certezze altoatesine a cui siamo abituati è una mezza rivoluzione. O forse è solo il mondo che bussa alla porta.
Alto Adige 2-4-11
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categoria:cultura
venerdì, 01 aprile 2011



«Dall’autunno lezioni aperte a tutti i bolzanini Non solo agli studenti»

DAVIDE PASQUALI
BOLZANO. Le novità Lub. Un nuovo corso di laurea in ingegneria industriale meccanica per supplire alle pressanti esigenze del mercato lavorativo internazionale e colmare le palesi lacune delle università circonvicine, attirando studenti dall’estero e fornendo all’estero professionisti preparati. E poi due innovativi programmi speciali, destinati agli adulti e ai bambini. Il primo, lo Studium generale, sarà in assoluto il primo progetto del genere a livello nazionale e sarà dedicato a chiunque sia in possesso di un diploma di maturità. Servirà a consolidare la preparazione culturale generale e universalistica: per un semestre chiunque potrà seguire lezioni di etica, diritto, scienze naturali, online knowledge, storia regionale e lingue. Col secondo, JuniorUni, l’università farà visita e si farà visitare dai bambini di età superiore agli otto anni. Per affascinarli al mondo della ricerca scientifica. Saranno queste le tre novità più significative introdotte a partire dal prossimo anno accademico e la cui presentazione si terrà alla Lub nel corso della giornata odierna, in occasione dell’Open day 2011. Le anticipa al nostro giornale il presidente del consiglio universitario, il professor Konrad Bergmeister.
Presidente, la parola d’ordine della Libera università di Bolzano per il 2011 è: vicinanza al territorio. Insomma, dal prossimo anno accademico l’ateneo punterà molto sui rapporti con il mondo esterno, con la società civile.
«La nostra idea è duplice, perché rivolta sia a chi ha terminato di studiare ma vorrebbe ampliare le proprie conoscenze, sia a chi inizia il proprio percorso universitario non sapendo bene dove dirigersi. Puntiamo innanzitutto alla popolazione in generale, a chiunque sia in possesso di un diploma di maturità. Daremo la possibilità di consolidare ciò che si è studiato in passato con uno studio più universale, generale».
Il sapere enciclopedico.
«Esattamente questo: lo studio originario, l’enciclopedia delle scienze com’era concepita nel Settecento; il sapere allargato e non solo specialistico. Verrà riesumata una tradizione che a Bolzano esisteva già: al chiostro dei Domenicani si tenevano lezioni simili già nel lontano 1643».
Esistono già altre esperienze del genere in Italia?
«No, a livello nazionale siamo i primi e nemmeno in Austria esiste qualcosa del genere. Perciò siamo molto orgogliosi. È una tendenza nuova, oggi in via di diffusione a livello mondiale: infilare nell’offerta formativa anche l’enciclopedismo, cercando una serie di temi di interesse generale. Con lezioni aperte a tutti. Quello che si definisce il lifelong learning, la formazione continua, durante tutta l’esistenza».
Si terranno lezioni - e a seguire discussioni accademiche - su etica, diritto, scienze naturali. E poi su tre temi che calzano a pennello con l’Alto Adige e la contemporaneità.
«Infatti: si tratterà anche di storia regionale e di lingue. Con tutta probabilità a generare un notevole interesse sarà l’online knowledge».
Trucchi per consultare al meglio il web?
«Verrà insegnato come effettuare le ricerche online; quali siano i metodi di ricerca migliori; quale l’affidabilità dei risultati di una ricerca effettuata nella Rete».
Ci spieghi meglio: si tratterà di lezioni vere e proprie, con esami eccetera?
«Sì, al termine dei corsi chi lo desidererà potrà sostenere un esame e ottenere una certificazione ufficiale da parte della Lub. Chi vorrà solo seguire le lezioni sarà liberissimo di farlo. Invito i bolzanini a seguire molto intensamente queste lezioni. Un’università per un territorio di 500mila persone è un dono, sfruttiamolo! Questa possibilità inoltre, di seguire le lezioni e sostenere al termine gli esami, metterà a disposizione una possibilità in più per i diciannovenni, ossia per chi si iscrive all’università ma ancora non ha le idee del tutto chiare».
Un semestre di prova?
«Preferirei chiamarlo di interfaccia fra la scuola e l’università, un metodo innovativo di approccio agli studi accademici. A me piace definirlo semestre umanistico, perché, più che altro, si trattano le materie umanistiche, che un po’ mancano a diversi corsi di studio universitari. I crediti ottenuti superando gli esami potranno essere utilizzati in qualunque facoltà, in qualunque corso di laurea».
A proposito di facoltà e corsi di laurea, tolta medicina, su cui è ancora tutto da decidere, la vera novità del prossimo anno accademico, di primo acchito, lascia un pochino perplessi. Ingegneria industriale, meccanica, a Bolzano?
«Abbiamo ragionato in termini di rete universitaria. A Trento ci sono ingegneria civile, ambientale, dei materiali e meccatronica. A Innsbruck ingegneria civile, architettura, un tentativo di meccatronica, un master in domotronica (una miscela di medicina, ingegneria ed elettronica, ndr). Dopo una serie di colloqui con gli atenei, assieme abbiamo individuato questa mancanza forte. Perché il mercato internazionale del lavoro è assetato di questo tipo di ingegneri. Si inizierà con una minilaurea di tre anni. In futuro seguiranno due master, dedicati a meccanica ed energia. Forse verranno fusi in un unico master».
Per finire, i bambini...
«Ci teniamo molto. Li faremo entrare alla Lub: scopriranno che mondo scientifico e ricerca sono affascinanti».
Alto Adige 1-4-11
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categoria:cultura
giovedì, 31 marzo 2011



Porte aperte alla Lub: domani l’Università presenta la sua offerta

BOLZANO. A spasso per la Lub, l’Università di Bolzano. Si potrà fare domani, dalle ore 8.30 alle 18 nella sede dell’ateneo, in piazza Università 1 (o piazza Sernesi 1), per la nuova edizione dell’ormai tradizionale Open Day, la giornata appunto delle porte aperte per presentare la propria offerta formativa. Domani insomma corridoi e aule della Lub avranno decisamente più movimento e animazione, con presentazioni dei corsi di laurea, dimostrazioni di lezioni tipo, colloqui con studenti e professori. Al mattino l’attenzione sarà puntata sui corsi di laurea triennali, mentre il pomeriggio saranno presentate le lauree magistrali e il nuovo Studium Generale. Un’opportunità ottimale, insomma, per studenti degli ultimi anni delle scuole superiori che vogliono capire bene cosa offre la Lub, o per studenti giù universitari, che vogliono capire bene qual è l’offerta dell’ateneo altoatesino. Insomma chi ancora non sa se scegliere un corso di laurea nel settore dell’economia piuttosto che delle scienze della formazione, dell’informatica piuttosto che del design o delle scienze e tecnologie, durante l’Open Day poltrà trovare tutte le informazioni necessarie per prendere la decisione giusta e orientarsi tra tutti i corsi offerti nelle tre sedi universitarie di Bolzano, Bressanone e Brunico.
La giornata sarà introdotta dall’intervento del rettore, il professor Walter Lorenz, alle 8.30; durante la mattinata poi sarà possibile partecipare a lezioni universitarie e parlare con professori e studenti. A partire dalle 9.30 le facoltà presenteranno i corsi di laurea che offrono, illustrando naturalmente anche le possibilità professionali a essi legate. Pomeriggio l’accento sarà posto sulle lauree magistrali, i master e il nuovo Studium Generale, possibilità di formazione aperta a tutta la cittadinanza.
Non solo: ci saranno visite guidate alla biblioteca universitaria, si potranno provare i test linguistici e ottenere informazioni agli stand dei servizi universitari per studenti e delle associazioni studentesche Scub, Kikero e Aiesec. Interessante infine, perchè lo studente deve... studiare ma anche avere un alloggio decente, la possibilità di gettare uno sguardo all’interno degli studentati: Kolping, Rainerum, Collegium Deutschhaus Marianum, Mädchenheim Marienschule, St. Benedikt e UniverCity accoglieranno i visitatori.
Parteciperanno all’Open Day anche la scuola di video Zelig, l’Ufficio provinciale per il diritto allo studio e le associazioni Mua e Sh-Asus.
Alto Adige 31-3-11
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categoria:cultura, giovani
mercoledì, 30 marzo 2011



Democrazia diretta: la Svp è divisa

MAURIZIO DALLAGO
BOLZANO. Democrazia diretta, per la Svp è una croce continua. Come il referendum sull’aeroporto: tra necessità di aprirsi alla popolazione e volontà di mantenere il potere nei luoghi deputati della politica. Ecco che il disegno di legge di cui si discute da mesi all’interno del partito diventa ostaggio delle lotte intestine. I comprensori Svp di val d’Isarco e Pusteria sono contrari ad un ddl che permetta con referendum di intervenire sulle decisioni della Provincia, magari cassandole. L’aeroporto di Bolzano è l’argomento contingente su cui si affrontano favorevoli e contrari. Ma sullo sfondo ci sono anche le trame per la successione a Durnwalder. Che intanto governa, decide in giunta di approvare il masterplan con un leggero allungamento della pista.
AeRoporto e referendum. L’Obmann Theiner avanza l’ipotesi di un nuovo referendum sul tema-ampliamento dello scalo, ma proprio la Stella alpina non può permettersi una prova di forza al suo interno su un tema così delicato. «La discussione sul disegno di legge era talmente complicata in via Brennero che si è deciso di fare un nuovo giro a livello di comprensori», sintetizza il consigliere provinciale Arnold Schuler. Quest’ultimo fa parte del gruppo di lavoro che ha messo a punto la proposta sulla democrazia diretta, insieme a Elmar Pichler Rolle e Maria Kuenzer. Tra le novità rispetto alla normativa in vigore l’eliminazione del quorum di partecipazione, affinché i quesiti referendari siano validi ed una quota di 38 mila firme per avviarne l’iter. Sul numero di firme necessarie si sta ancora discutendo dentro il partito di raccolta. L’ala sociale, ad esempio, ne vorrebbe di meno. «Rappresentano circa il 10% dell’elettorato in Alto Adige», ancora Schuler. La legge sulla democrazia diretta rappresenta un cruccio per la Svp. Dopo l’esito degli ultimi referendum - non passati ma soltanto per un’inezia legata al quorum - la Stella alpina si è convinta che una nuova disciplina sia necessaria. Eravamo nell’ottobre 2009: i quesiti referendari erano stati snobbati dalla Svp, ciò nonostante si recarono alle urne quasi il 40 per cento degli elettori. Da allora il sostantivo «democrazia diretta» è diventato argomento di discussione in via Brennero.
I dubbi dei comprensori. Due settimane fa, stante l’impossibilità di essere approvata dal direttivo allargato, la proposta di legge è stata rinviata ai comprensori per un ultimo giro di vedute. Ma adesso, ad esempio, l’Obmann della Val d’Isarco, Herbert Dorfmann, mette il freno. «I cittadini non possono influire sul potere esecutivo, ma solo su quello legislativo, senza dimenticare che la democrazia si esplica già nelle elezioni», così Dorfmann. Sulla stessa falsariga, anche le osservazioni che arrivano da un altro circondario, quello pusterese. L’Obmann Albert Wurzer teme le limitazioni al potere della giunta provinciale. Insomma, nel partito di raccolta c’è una grossa fetta della base che è contenta se la politica prende decisioni. Qui, si vorrebbe evitare che il referendum riguardi delibere e decreti di Palazzo Widmann, non leggi del consiglio provinciale. Se a Nord e ad Est la Stella alpina esprime riserve, l’Obmann del Burgraviato, Karl Zeller, è convinto che l’attuale proposta di legge elaborata fino ad oggi dal suo partito possa andare bene. «Anche perché limitare le tematiche a sole leggi provinciali, non cambia la sostanza, perché la stessa giunta non potrebbe sottrarsi nelle sue deliberazioni a quanto deciso da leggi provinciali», evidenzia il deputato.
L’Obmann. Entro fine aprile Richard Theiner vorrebbe il via libera al disegno di legge. «Una maggioranza si troverà», si dice fiducioso e resta dell’opinione che «dopo il via libera al masterplan e una puntuale informazione della popolazione attraverso un confronto tra favorevoli e contrari, si possa fare un referendum sull’aeroporto». Una posizione, quella di Theiner, calibrata sui contrappesi interni. Pichler Rolle, senza parlare di referendum, è convinto che «dopo il via libera del masterplan per lo scalo di San Giacomo, sia necessario un nuovo tavolo di mediazione». Alla fine, anche la nuova legge sulla democrazia diretta sarà un compromesso nel partito, come la stessa scelta del futuro Landeshauptmann. Vale la legge del minor danno possibile.
Alto Adige 30-3-11
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categoria:cultura, sociale
sabato, 26 marzo 2011



Raffaello Sernesi Il pittore macchiaiolo che seguì Garibaldi  

MARCO RIZZA
Erano giovani, talentuosi e idealisti. Erano patrioti come lo si poteva essere durante il Risorgimento: credevano nell’Italia da unire e da liberare dalle dominazioni straniere. Un’Italia nuova alla quale offrire un’arte nuova. Andavano sui campi di battaglia (come Federico Zandomeneghi), spesso restavano feriti (come Giuseppe Abbati, che perse un occhio nella battaglia del Volturno), a volte morivano, come Raffaello Sernesi. I «macchiaioli», il gruppo di pittori che a partire dalla metà degli anni Cinquanta dell’800 hanno cambiato il corso della pittura italiana, erano tutto questo. Patrioti ma non retorici: nelle loro tele non c’è un filo di ampollosità nazionalista, e i soggetti militari sono rarissimi, tranne per una serie di opere di Fattori. «È un vero peccato che in questi festeggiamenti sull’unità d’Italia di loro si sia parlato quasi nulla - commenta Francesca Dini, storica dell’arte, toscana, tra i massimi esperti italiani dei macchiaioli -. Incarnavano degli ideali altissimi, erano moderni e antiretorici. Abbandonato ogni accademismo, raccontavano la realtà e l’Italia come apparivano ai loro occhi». Ora: se c’è un macchiaiolo che rappresenta meglio di ogni altro la dedizione all’ideale risorgimentale, quello è Sernesi. Partecipa alla guerra d’indipendenza del ’59 a soli 21 anni. Nel 1866 si arruola tra i volontari di Garibaldi, in estate combatte contro gli austriaci in Trentino fin quando viene ferito gravemente a una gamba, forse durante una battaglia a Condino. È ricoverato all’ospedale militare di Bolzano, rifiuta inizialmente l’amputazione ma la ferita si incancrenisce e quando finalmente viene amputata è troppo tardi: Sernesi muore in ospedale nell’agosto 1866. Ha solo 28 anni. Bolzano gli ha dedicato in pieno centro una piazza (ora rinominata piazza Università), una via (quella che dalla piazza porta a piazza Domenicani), una galleria pedonale. E in via Da Vinci c’è anche una targa che lo ricorda.
 Ma chi era Sernesi? Nato a Firenze nel 1839, si forma in ambiente accademico «ma poi - racconta Dini - grazie ad alcune amicizie come quella di Telemaco Signorini si avvicina alla rappresentazione della realtà ed entra di fatto nel gruppo dei macchiaioli. Nel 1861 va con Borrani sugli Appennini pistoiesi e dipinge dal vero alcune opere nelle quali emerge la novità dell’uso della luce, che dà monumentalità anche a scene quotidiane che hanno come protagonista una pastorella... Negli anni successivi c’è da ricordare almeno il suo soggiorno a Catiglioncello ospite di Diego Martelli, durante il quale dipinge alcuni meravigliosi paesaggi. Per lo più realizzò opere di piccole dimensioni. La sua parabola artistica si interrompe molto presto, quando ha solo 28 anni, quindi la sua produzione non è vasta: ma subito dopo la morte fu quasi “mitizzato” dai suoi colleghi. Signorini scrisse sempre di lui cose splendide, e per esempio tenne per sé gelosamente tutta la vita il bozzetto della Marina a Castiglioncello».
 Per molti anni, durante l’Ottocento, i quadri di un artista come Sernesi non riscossero successo: «Bisogna immaginarsi queste mostre pubbliche - prosegue Dini - nelle quali accanto a grandi tele accademiche, magniloquenti, piene di retorica e di citazioni dotte, venivano esposti i piccoli quadri di Sernesi, opere di 20 centimetri per 15 che rappresentavano muri bianchi, cipressi, magari due monelli che rubavano dei fichi... Ovvio che all’epoca non piacessero, erano soggetti ritenuti volgari, e invece i macchiaioli stavano solo raccontando l’Italia reale. Inoltre nessuno riusciva a capire che il vero interesse artistico di un Sernesi era nei giochi di luce, nella purezza espressiva che anticipa Morandi».
 Sernesi come detto muore a Bolzano. Dei suoi ultimi giorni di vita sappiamo poco. Telemaco Signorini nel 1867 scriverà un ricordo nel quale racconterà di avere ricevuto nell’estate del 1866 una lettera da un sacerdote di Trento: quest’ultimo gli parlava della ferita subita in battaglia da Sernesi, del ricovero a Bolzano, della simpatia e del rispetto che il giovane artista suscitò. Negli ultimi istanti, scrive Signorini, Sernesi «fu consolato da poche distinte persone» che lo avevano conosciuto in ospedale.
Alto Adige 26-3-11
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categoria:cultura, arte
venerdì, 25 marzo 2011



“Junior Uni”, l’Università aperta ai più piccoli

La cultura va coltivata fin dalla tenera età e un ateneo capace di guardare al futuro non può accontentarsi unicamente di ricevere quanto già costruito dagli altri ordini scolastici.
 Ecco, quindi, che la Lub orienta la propria attenzione su bambini e adolescenti tagliando il nastro al progetto “Junior Uni”, in partenza con la collaborazione di “MiniBz” del Vke.
 L’iniziativa mira sostanzialmente a portare i docenti delle varie facoltà dell’ateneo a contatto con i bimbi per delle lezioni assai differenti dalle classiche ore accademiche. Nessuna trasmissione pura e cattedratica del sapere, ma un’efficace opera di pungolo verso la cultura. D’altronde esistono fior di studi capaci di dimostrare come l’investimento dalla resa maggiore per un’istituzione sia proprio nella cultura in tenera età.
 ‹‹Questa volta noi professori - ci spiega la docente responsabile del progetto Gabriella Dodero - non ci troveremo di fronte i ragazzi delle superiori da orientare, ma bambini che frequentano dalla terza primaria alla terza media. Il nostro obiettivo, dunque, non sarà di descrivere minuziosamente il meccanismo universitario, ma semplicemente innescare la curiosità e la passione per la cultura. Qualcuno di noi ha avuto in passato esperienze simili, più nel campo laboratoriale che non nella promozione della cultura››.

Per i professori, comunque, un ritorno al nucleo principale della loro professione? ‹‹Certo e sarà un’esperienza del tutto nuova e stimolante per chi comunque è abituato quotidianamente a un altro genere di uditorio››.

 Il progetto è una sostanziale novità sul panorama italiano. ‹‹In Emilia Romagna - continua Dodero - è già stato attivato qualcosa di simile negli atenei di Bologna, Ferrara e Modena. Nel mondo germanico, invece, la pratica della “Children University” è abbastanza diffusa: abbiamo potuto, così, attingere a un buon bacino d’esperienza. Nella scelta del nome “Junior Uni”, inoltre, abbiamo scelto una dizione capace di essere immediatamente comprensibile in tutte e tre le lingue di riferimento della Lub››.

 Ora, però, tutta l’esperienza romagnola e tedesca va calibrata sulle esigenze altoatesine. ‹‹Partiremo, come detto, assieme al Vke costruendo attività specifiche nel pomeriggio. Al momento sono in corso le riunioni programmatiche tra i docenti delle varie facoltà, ma ad aprile saremo pronti a partire con entusiasmo. L’idea iniziale, comunque, è di rivolgersi a piccoli gruppi di bambini, quindi le lezioni andranno prenotate negli uffici dell’ateneo››. Il progetto, pur partendo da una manifestazione fortemente radicata nel tessuto sociale bolzanino come “La città dei ragazzi”, lascia intravedere per il futuro spiragli di sviluppo nel mondo scolastico.

 ‹‹Inizialmente - conclude Dodero - abbiamo voluto muoverci a piccoli passi, quindi valutando l’impatto di Junior Uni con i bambini, comunque bilingui, che ruotano attorno al mondo del Vke. In autunno, una volta valutate potenzialità e difetti da correggere, cercheremo senz’altro di allargare il raggio d’azione negli Istituti Comprensivi dell’intero territorio altoatesino››.
Alto Adige 25-3-11
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categoria:cultura
venerdì, 25 marzo 2011



Il trilinguismo e la ricerca: eccellenti offerte di formazione

Trilinguismo, ricerca e innovazione. Tre le marce in più sulla plancia della Libera Università di Bolzano, pronta ad affrontare una nuova fase di sviluppo costruita su tre pilastri decisivi. Fin dalla sua costituzione, è bene sottolinearlo, la Lub ha fatto della possibilità di affrontare una didattica completamente in tre lingue un tratto distintivo e caratterizzante.

 Evidente, quindi, che gli organi istituzionali dell’ateneo intendano sfruttare appieno una peculiarità che rende Bolzano unica nel panorama europeo, schiacciando volentieri il pedale dell’acceleratore linguistico. Konrad Bergmeister, presidente del Cdu, ha indicato in modo deciso la strada che l’università dovrà seguire per salire nuovi gradini sulla scala dell’eccellenza: maggiori sinergie tra mondo accademico e professionale locale, ma anche criteri di selezione più severi per studenti e professori nel campo del sapere linguistico.

 Porte più strette all’inizio del percorso, insomma, per allargare i portoni del futuro, quelli che proietteranno i ragazzi nel mondo del lavoro.

 Una scelta, come afferma lo stesso Bergmeister ‹‹capace di guardare alla qualità più che alla quantità che poi, c’è poco da fare, è quanto ci chiede la società moderna››. Il salto in alto, comunque, riguarderà pure il corpo docente: ‹‹Una commissione ad hoc avrà il compito di fare una valutazione dei curriculum, proprio seguendo l’ottica del trilinguismo qualitativo. Solo in caso di relazione positiva si passa alle pratiche per la chiamata diretta››.
 Procedimento che riguarda circa il 70% dei professori della Lub. Per quanto riguarda i ragazzi, invece, chi si iscrive ai corsi di laurea triennale dovrà dimostrare di possedere una conoscenza di livello B2 del quadro di riferimento europeo in due delle tre lingue di insegnamento. Per i master, invece richiesto un elevato C1 in una lingua e nuovamente un B2 per una seconda. Criteri, insomma, che fin dalla partenza pongono un salto di qualità importante. A fine corso della triennale, inoltre, gli studenti potranno certificare una conoscenza C1 in una lingua, B2+ nella seconda e B2 nella terza: tutti documenti in grado di dare maggiore spessore a qualsiasi curriculum, da Reykjavik ad Atene.

 Sullo scenario economico altoatesino, però, si stagliano importanti due profili per il futuro e rispondono ai nomi di ricerca e innovazione. La politica prepara il terreno per il polo tecnologico e in questo sviluppo un coinvolgimento primario, logicamente, lo avrà l’Università. Bergmeister, dal canto suo, sottoscrive la dichiarazione d’intenti: ‹‹Il nostro ateneo vuole svolgere un ruolo centrale nel raccordo tra i vari enti››. La direzione della ricerca scientifica è condivisa pienamente dal rettore Walter Lorenz, accademico di grande profondità culturale: ‹‹Il ruolo scientifico e sociale dell’Università sta proprio nella ricerca, sia nel suo aspetto di disciplina applicata alle varie esigenze sia, ovviamente, nella sua accezione più basilare di studio. La Lub deve essere in grado di sapersi collocare in questo panorama. Così potremmo soddisfare le esigenze del nostro territorio di riferimento, ma anche penetrare sempre più capillarmente nel tessuto sociale della nostra terra››. Ricerca e cultura, inoltre, difficilmente vanno lontano se costrette a camminare da sole. ‹‹Giusto - riprende Lorenz - ed è necessario adoperarsi perché il desiderio di partecipare alla ricerca coinvolga tutta la popolazione, specialmente i ragazzi giovanissimi››.

Trilinguismo e ricerca, però, sono i prodromi di una continua missione dell’ateneo: legare i propri studenti all’Alto Adige. Una volontà che sembra condivisa dagli stessi ragazzi, come confermano i rappresentanti Jana Rückert e Alfred Mitterer: ‹‹Le nuove misure portano a evidenziare il carattere internazionale della nostra Università. Caratteristica e forza che intendiamo spendere affinché si creino le condizioni perché molti studenti, anche stranieri, si fermino in Alto Adige dopo la laurea››. I cervelli, insomma, cominciano a mettere radici.
Alto Adige 25-3-11
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categoria:cultura
venerdì, 25 marzo 2011



LA «Capitale Culturale Europea del 2019» E’ UNA SFIDA

G. TAVANO BLESSI
Lo scorso 24 Febbraio i rappresentati della Provincia Autonoma di Bolzano, Provincia Autonoma di Trento, Regione Veneto, Friuli Venezia Giulia hanno firmato il protocollo d’intesa per la candidatura di questi territori a Capitale Culturale Europea del 2019. Nei giorni immediatamente precedenti e successivi alla firma si è acceso un interessante dibattito tra gli attori del sistema locale rispetto agli obbiettivi, scopi ed opportunità di un evento di questo tipo nel territorio altoatesino, anche alla luce delle passate esperienze che hanno visto alternarsi casi di successo ad altri passati quasi in anonimato. Proprio gli andamenti delle passate esperienze inducono ad una riflessione su quali siano i possibili modelli di successo ed impatti - e benefici - non solo in una prospettiva di breve termine, ma di lungo respiro. In questa direzione può essere utile effettuare un paragone tra due città che sono state selezionate quali Capitali Culturali Europee del 2004, Genova e Lille. Le due capitali hanno costruito sia il protocollo di candidatura che la manifestazione in maniera nettamente opposta.
E pur essendo state entrambe un caso di successo durante l’anno dell’evento, la cosa che le ha distinte in maniera netta sono stati gli impatti nel lungo termine. Analizzando nel dettaglio l’operazione realizzata a Genova è possibile verificare come questa sia stata prevalentemente orientata ad ottenere dall’evento il massimo profitto economico possibile, un profitto generato dai visitatori accorsi ad assistere al programma culturale messo in campo. L’interesse degli amministratori locali era infatti dichiarato apertamente in tal senso, ed è stato perseguito attraverso azioni che hanno prevalentemente riguardato l’hardware del territorio, ovvero ad esempio, la ristrutturazione di luoghi a precedente vocazione industriale e la trasformazione in nuovi contenitori culturali, ed eventi di grande richiamo. L’operazione ha quindi avuto successo durante l’anno, scarse però sono state le ricadute in termini di presenze aggiuntive l’anno successivo, così come le occasioni di sviluppo economico non connesse all’industria turistica.
Sempre nello stesso anno, Lille ha operato in maniera diametralmente opposta. Innanzitutto l’area dell’evento ha travalicato i confini urbani, andando ad abbracciare l’intera regione ed i territori limitrofi, allo scopo di creare una rete di relazioni virtuose in grado di promuovere lo sviluppo sociale ed economico a livello regionale ed extra-regionale. L’intero anno è stato quindi pianificato sia rispetto allo sviluppo dell’hardware del territorio, come nel caso precedente, ed operando parallelamente, e con lungimiranza anche rispetto al software, ovvero nel promuovere un processo di sviluppo di interessi e conoscenza nella popolazione attraverso la partecipazione ed esposizione alla cultura. Lille ha cercato di trasformare questo evento in un’occasione di ri-definizione delle vocazioni e capacità degli attori locali, cercando di avviare una strategia in grado di rendere maggiormente attrattivo il territorio non solo quale meta turistica, ma anche quale luogo in grado, ad esempio, di accogliere adeguatamente le aziende di carattere innovativo, di supportare questi settori produttivi grazie alla presenza di risorse umane preparate a curiose, la creazione di un tessuto sociale aperto ed inclusivo quale premessa per accogliere ed accettare i nuovi residenti, in altre parole rendere l’area più competitiva ed aperta alle sfide del contemporaneo.
L’esempio di Lille è forse l’esempio di maggior successo tra le Capitali Culturali Europee degli ultimi anni, un successo che non è frutto unicamente dell’elevato numero di visitatori giunti a visitare la città e la regione durante l’anno, ma per gli effetti generati nel lungo periodo. Numerosi sono i dati che potrebbero essere utilizzati per testimoniare la bontà del progetto, basti però riportare come l’agenzia pubblico privata che si è occupata di progettare la manifestazione abbia cambiato il proprio nome, da Lille 2000 a Lille 3000, e guardando al futuro sia ancora attiva quale struttura al servizio dello sviluppo sociale ed economico della regione.
Cosa ci dicono questi casi rispetto alla funzione e concezione della cultura?
Da un lato l’esempio di Genova mostra un idea della cultura quale prodotto da vendere alla stregua di qualsiasi settore produttivo (edilizia, automobili) per ottenere una rendita economica. E’ una concezione obsoleta della risorsa cultura, considerata un’abbellimento’, concezione strettamente collegata ad un’idea di territorio dato per le sue caratteristiche storiche ed identitarie ritenute immutabili. Il caso di Lille fornisce invece una chiara evidenza della funzione strumentale e trainante della cultura rispetto a nuovi modelli di sviluppo basati sull’economia della conoscenza. In queste società la cultura è la piattaforma per la concezione di idee e di innovazione, per promuovere modelli sociali aperti ed inclusivi, lo strumento per fornire opportunità di crescita per i giovani, la piattaforma per quei settori che presentano i tassi più elevati di sviluppo e assorbimento di forza lavoro - per lo più giovani - come nel caso delle industrie creative, per evolvere le caratteristiche storiche ed identitarie del territorio e quindi promuovere la generazione di benessere economico e sociale futuro.
Il caso di Lille ha mostrato gli effetti di un oculato investimento di un territorio in cultura, e come questa risorsa sia fondamentale nella vita delle persone e delle società contemporanee, perché capace di innescare occupazione, spinta innovativa, complementarità strategica e la fertilizzazione incrociata tra le persone, le comunità, le regioni, settori produttivi.
Per L’Alto Adige si tratta di raccogliere questa occasione. Attraverso questo evento gli attori locali possono lavorare su un progetto di lungo respiro che ponga al centro la cultura quale veicolo per lo sviluppo, per creare reti di collaborazione tra attori sociali ed economici, per guardare in maniera equilibrata sia la nord che a sud, a breve, medio e largo raggio. Si tratta di un’opportunità che può generare un salto di qualità per il sistema locale, una sfida per costruire il futuro di un area al centro dell’Europa.
Alto Adige 25-3-11
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giovedì, 24 marzo 2011



Quell’esodo di ebrei dall’Europa in macerie attraverso l’Alto Adige

ANDREA DI MICHELE
Nell’ultimo decennio la storiografia europea si è finalmente dedicata a un tema a lungo trascurato, quello dei grandi spostamenti di popolazione avvenuti in Europa dopo il 1945. Il crollo dei regimi fascisti e il ridisegno dei confini nell’Europa orientale diedero avvio a imponenti movimenti di popolazioni, di diversa natura e di differente impatto. Se da una parte vi furono milioni di tedeschi espulsi con la violenza dai territori orientali perduti dalla Germania, dall’altra ci fu un numero non facilmente determinabile di cosiddetti «displaced persons», potremmo chiamarli «dispersi», che i drammi della guerra aveva trasportato da una parte all’altra del continente e che ora, migrando, cercavano di ricostruirsi una nuova esistenza.
 Erano ex internati dei campi di concentramento, deportati politici e razziali, lavoratori coatti per il Terzo Reich, tutti accomunati dal fatto di trovarsi lontano dal proprio abituale luogo di residenza. Tra questi, ovviamente, molti ebrei. Il termine ebraico nato allora per definirli è «she’erith hapletah», «il resto dei sopravvissuti».
 Delle loro vicende sul suolo italiano si occupa una recente ricerca della storica bolzanina Cinzia Villani, frutto di lunghe consultazioni di archivi italiani e stranieri, che questo pomeriggio viene presentata a Bolzano. Il suo titolo è «Infrangere le frontiere. L’arrivo in Italia delle displaced persons ebree 1945-1948». Villani ricostruisce le vicende della fase che dalla fine della guerra conduce alla nascita dello Stato di Israele nel 1948. Durante questo lasso di tempo circa 50.000 persone arrivarono in Italia, non per fermarcisi, ma per partire da lì verso le mete più agognate, Stati Uniti e Palestina prima di tutte. La maggior parte di loro transitò per l’Alto Adige, attraverso il Brennero, il passo Resia e anche il passo dei Tauri in valle Aurina.
 Anche se la meta finale non era l’Italia, molti rimasero nel nostro Paese periodi più o meno lunghi, talvolta anni, ospitati in appositi campi, in condizioni di vita non certo facili. L’Italia, come del resto anche gli Alleati, si mostrò inizialmente del tutto impreparata a gestire questi arrivi. Le condizioni di estrema difficoltà in cui versava il Paese appena uscito dalla guerra non erano certo le più favorevoli a garantire assistenza.
 Uno dei meriti della ricerca di Villani è di interessarsi anche di aspetti apparentemente minori della vicenda, di cui poco si è occupata la storiografia italiana. In maniera ancora embrionale, ma che lascia intravedere interessanti piste di ricerca, emerge il desiderio di capire come si svolse la vita quotidiana di queste migliaia di persone all’interno delle strutture in cui vissero, che genere di relazioni sociali si stabilirono, quale vita associativa si sviluppò nei campi. Per migliaia di uomini e di donne quei luoghi furono il punto di partenza di un’esistenza nuova, di un futuro migliore da ricercarsi lontano dall’Europa e dai suoi fantasmi.

Oggi l’incontro con l’autrice e Gustavo Corni

Il libro «Infrangere le frontiere. L’arrivo dei profughi ebrei in Italia nel secondo dopoguerra» sarà presentato oggi pomeriggio alle 18 presso la biblioteca provinciale italiana Claudia Augusta in via Mendola 5 a Bolzano. A presentare il volume saranno la storica bolzanina Cinzia Villani e il professor Gustavo Corni (foto), docente di Storia contemporanea all’Università di Trento. Il tema affrontato dalla ricerca della Villani era stato affrontato anche in un incontro pubblico organizzato a Bolzano dall’associazione Storia e Regione lo scorso mese di ottobre.
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lunedì, 21 marzo 2011



Bandiera Ladina


«Né tirolesi, né italiani» Esce una nuova storia dei ladini delle Dolomiti

M. DI GIANGIACOMO
BOLZANO. Una nuova, grande storia dei ladini delle Dolomiti verrà presentata nei prossimi giorni. Un libro importante, perché affronta le grandi questioni degli ultimi due secoli, quelle legate all’affermazione dell’identità della minoranza. «Originariamente pensavamo di stampare una nuova edizione della Breve storia dei ladini delle Dolomiti di Giuseppe Richebuono, rielaborando l’ultima parte - spiega l’autore, Werner Pescosta, 37enne di Badia, laureato in lettere moderne a Padova, dal 2004 ricercatore dell’Istituto Micurà de Rü -. Poi, andando avanti con il lavoro, ci siamo resi conti che veniva fuori qualcosa di completamente diverso, perché la storia degli ultimi due secoli, che Richebuono tratta solo in parte, è invece determinante, con la presa di coscienza dei ladini della loro identità. Che è stata una conseguenza degli opposti nazionalismi: siamo tirolesi, perché viviamo in Tirolo, ma dal punto di vista della lingua non siamo né tirolesi, né italiani».
«Il libro - prosegue Pescosta - offre una panoramica globale della storia della ladinità, con aspetti che fino ad oggi non erano accessibili alla maggiorparte della popolazione, perché trattati solo in riviste che non hanno una grande diffusione. Al Micurà de Rü mi occupo da sempre dell’archivio fotografico, le immagini in questo volune rivestono un ruolo molto importante. Pubblichiamo, ad esempio, una cartina linguistica del ministero degli interni francese dell’inizio dell’800, con una rilevazione dei gruppi linguistici dell’impero: già allora si era coscienti dell’esistenza della lingua ladina. È la dimostrazione che la nostra lingua non è un’invenzione di Graziadio Isaia Ascoli».
«Con il libro di Pescosta colmiamo una lacuna di qualche decennio - conferma il direttore del Micurà de Rü, Leander Moroder -. I libri in circolazione sono datati e privi della storia degli ultimi anni, di questioni importanti come quelle del 20esimo secolo, tutte culturalmente, socialmente e politicamente delicate, oltre a quella più recente, legata all’autocoscienza dei ladini. Altro merito dell’autore è aver raccolto fotografie di tutte le cose di cui si parla nel libro, centinaia di immagini con una risoluzione molto alta che nelle altre pubblicazioni non ci sono. Molto accurati - conclude Moroder - sono infine gli indici tematici, per personaggi ed il glossario».
Alto Adige 20-3-11
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martedì, 15 marzo 2011



Risorgimento: storia e canzoni

L’unità d’Italia riletta e spiegata attraverso le sue canzoni popolari. Uno spettacolo ma anche una lezione di storia - tenuta da uno storico. È «Se viene Garibaldi, soldato mi farò», oggi alle 18.30 alla biblioteca provinciale italiana Claudia Augusta in via Mendola 5 a Bolzano
 Si tratta di una conferenza spettacolo su inni, canti (e canzonette) del Risorgimento italiano. La caratteristica della manifestazione è che Franzina, professore ordinario di storia contemporanea all’Università di Verona, canterà le canzoni accompagnandosi alla chitarra insieme ad altri due musicisti (Paolo Bressan ai fiati e Mirco Maistro alla fisarmonica). Franzina narra attraverso canti, canzoni e inni patriottici la nascita dell’Italia unita. Frutto di una indagine anche musicale sul processo di unificazione politica della penisola che consentì il «miracolo» della sintesi fra diverse posizioni nazionaliste, questa «lezione di storia cantata», raccontando grandezze e contraddizioni del nostro Risorgimento, fornisce numerosi spunti alla riflessione sul passato (ma anche sul presente) dell’Italia.
 Emilio Franzina è uno dei maggiori esperti dei problemi dell’antica emigrazione italiana all’estero. Autore di numerosi studi di storia dei secoli XIX e XX, Emilio Franzina è anche un appassionato culture di musica popolare (e non) e dal 2000, accompagnato da musicisti professionali e da gruppi di musica etnica, realizza le sue «conferenze spettacolo».

Alto Adige 15-3-11
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martedì, 15 marzo 2011



I docenti: funzionano gli scambi studenti

DAVIDE PASQUALI
BOLZANO. Gli scambi di alunni fra scuole italiane e tedesche sono ancora in fase sperimentale, per cui si possono perfezionare. Ma funzionano, eccome. Lo sostengono le ispettrici provinciali responsabili del progetto “Un anno in L2”. Partito in sordina, in sette anni ha coinvolto oltre 200 ragazzi.
 COSTRUIRE PONTI. Nel suo “Tentativo di decalogo per la convivenza” Alexander Langer parlava dell’importanza di creare occasioni di incontro e conoscenza per coltivare il dialogo, costruire ponti e saltare muri, superare confini e favorire così l’interazione fra le comunità. Lo ricordano le docenti Claudia Provenzano, Adriana Sartor e Erna Flöss, ossia le responsabili del progetto “Un anno in L2-Zweitsprachjahr”.
 «In provincia di Bolzano - sostengono - avremmo la fortuna di poter attraversare facilmente il confine con la cultura del vicino ma, purtroppo, questo non sempre avviene, anche se è sempre più diffusa la consapevolezza che l’apprendimento della seconda lingua e delle lingue straniere sia fondamentale nella formazione dei giovani: famiglie e studenti dimostrano sempre più interesse per tale apprendimento, il Consiglio d’Europa promuove e favorisce un’educazione plurilingue dei cittadini e la nostra scuola offre, oltre all’insegnamento curricolare, molte opportunità per approfondire la conoscenza delle lingue».
 GLI STRUMENTI. Attualmente sono in atto gemellaggi fra classi di madrelingua diversa, sezioni trilingui, soggiorni all’estero, settimane intensive. Ma, spiegano le professoresse, si è voluti andare oltre: «È ormai assodato che, per apprendere una lingua, è necessario conoscere a fondo cultura e contesto sociale in cui la lingua stessa si sviluppa. Per questo, dall’anno scolastico 2003/04, accanto alle altre iniziative già in essere, attraverso il progetto “Un anno in L2” è stata offerta un’ulteriore opportunità di avvicinarsi alla realtà linguistica e culturale dell’altro gruppo, permettendo agli studenti di quarta superiore di frequentare, per un quadrimestre o un anno, scuole con lingua d’insegnamento diversa da quella materna».
 UN ANNO IN L2. Gli scopi dell’iniziativa sono: miglioramento della competenza linguistica in L2, interazione con giovani di madrelingua diversa, conoscenza approfondita degli aspetti linguistici e culturali degli altri gruppi, creazione di una rete di relazioni fra scuole. Dal 2006 i tre istituti pedagogici (ora “aree pedagogiche”) e le tre intendenze hanno avviato un progetto di accompagnamento dell’iniziativa per informare le famiglie e le scuole e per supportare gli istituti coinvolti nell’esperienza.
 GLI OSTACOLI. Le responsabili di progetto ammettono: difficoltà e problemi non mancano. Perché «gli insegnanti si trovano a dover gestire dinamiche relazionali nuove e a dover insegnare integrando competenze linguistiche e contenuti disciplinari, mentre gli studenti devono adattarsi a una realtà nuova, elaborando strategie di apprendimento per studiare tutte le discipline in una lingua che per undici anni hanno appreso come L2».
 NUMERI. Dall’anno scolastico 2003/2004, quando la prima studentessa del liceo tedesco von der Vogelweide ha frequentato il quarto anno presso il liceo italiano Carducci, «si sono fatti molti passi avanti, anche se il numero dei partecipanti non è altissimo. Questi primi anni sono ancora sperimentali e bisogna anche aggiungere che l’esperienza non può essere allargata ai grandi numeri». Questo non significa che l’iniziativa sia di tipo elitario, ma semplicemente che le scuole ospitanti non possono accogliere più di due o tre studenti per classe, sia per motivi organizzativi, sia perché altrimenti gli obiettivi non verrebbero raggiunti. Si è comunque passati da uno a circa cinquanta o sessanta studenti coinvolti ogni anno scolastico (per un totale di circa duecento in sette anni). E soprattutto, se all’inizio i movimenti erano unidirezionali, ossia dalla scuola tedesca verso la scuola italiana, e gli istituti coinvolti erano solo i licei classici e artistici di Bolzano, ora lo scambio è alla pari fra scuole italiane e tedesche, e ormai sono coinvolti tutti i tipi di istituto e tutte le località della provincia».
 I LADINI. La scuola ladina aderisce all’anno in L2, «ma per ora ci sono solo timidi movimenti, anche perché il sistema scolastico paritetico ladino offre già ottime opportunità di apprendimento delle lingue e molti studenti delle superiori frequentano già scuole in lingua italiana o in lingua tedesca».
 ULTERIORI PONTI. Le docenti Provenzano, Sartor e Flöss proseguono: «Non solo il progetto in sé, con il movimento degli studenti, è un’iniziativa che crea ponti, ma anche tutta l’organizzazione dell’anno in L2 prevede l’incontro e la collaborazione fra i tre istituti pedagogici e le tre intendenze». Il gruppo di progetto che cura il monitoraggio e il supporto alle scuole è formato da rappresentanti di tutti gli enti interessati; ricerca e corsi di formazione sono occasioni di incontro tra insegnanti delle tre scuole.
 I RISULTATI. Dalle interviste effettuate agli studenti emerge che per affrontare l’anno in L2 ci vuole disponibilità verso l’altro, volontà di mettersi in gioco e curiosità, ma che i risultati, sia in ambito linguistico sia interculturale, sono positivi e interessanti. Sicuramente, concludono, «ci sono ancora alcuni nodi da superare». Occorrerebbe «migliorare l’informazione, sensibilizzare i docenti, rafforzare la figura del tutor, riflettere sui criteri di valutazione, incrementare i rapporti con le scuole. Ma dal monitoraggio costante effettuato in questi anni sono emerse molte considerazioni positive che costituiscono per i ragazzi una valida motivazione a partecipare».
  Alto Adige 15-3-11
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categoria:cultura
lunedì, 14 marzo 2011



Ripartire dai 115.000 voti di cittadini che nel 2009 hanno scelto la Democrazia Diretta.

Dopo la risicata sconfitta, 38,1% dovuta solo ad una sofglia di quorum altissima (40%) e ad una inverosimile paura (o ignoranza o indifferenza) del (non) voto italiano, le associazioni che sostengono la DD rilanciano la battaglia.

Si è aspettato un anno e mezzo affinchè la SVP riscrivesse, come promesso, la legge per la democrazia rappresentativa.
In un anno e mezzo sono riusciti a peggiorare la legge, ad abbassare fittiziamente il quorum, alzando però il numero di firme, costringendo perfino ad una doppia raccolta. Tutto per rendere più difficile arrivare ad un referendum.
A questo punto il movimento della DD ripropone la vecchia legge già presentata al referendum come disegno di legge, completato da una clausola di garanzia per i gruppi linguistici ( diritto di veto su questioni di sensibilità etnica) .

Bisogna ora raccogliere 8000 firme per portare il nuovo disegno di legge in Consiglio provinciale entro l'estate.

Una strada lunga e difficile ma che le varie associazioni iniziano con entusiasmo, conscie che l'attuale sistema di democrazia rappresentativa sia limitato ed insufficiente a rappresentare i cittadini.

Non può essere

sufficiente una croce su un simbolo ogni 5 anni per dare carta bianca sulla nostra vita a poche persone, i politici, che troppo spesso ci sembrano portare avanti interessi di pochi invece che quelli della comunità.

Soprattutto sulle grandi questioni e in particolare sulle grandi opere e su interventi che modificano il territorio, i cittadini informati devono dire la loro.

Pensiamo al Virgolo, al progetto per l'areale ferroviario di Bolzano, oltre al non dimenticato aeroporto e al BBT, problemi enormi che incideranno sul futuro della nostra provincia, rispetto ai quali è evidente la pressione di gruppi economici ed imprenditoriali, mentre manca completamente la voce dei cittadini.

E' proprio ai cittadini il referendum per la DD vuole dare voce, creando un momento di vera partecipazione popolare.

Dove e come firmare: a partire dal 17 marzo in ogni comune presso le segreterie dei municipi e nelle piazze presso i tavolini.

Info su www.dirdemdi.org
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categoria:cultura
lunedì, 14 marzo 2011



Unità d’Italia: parla Garibaldi

Oggi le «interviste impossibili» alla biblioteca civica di Bolzano


Nei 150 anni dell’unità d’Italia la biblioteca civica di Bolzano propone un momento di riflessione leggero e agile, per affrontare l’argomento con toni alla portata di tutti, senza riservarlo a storici o esperti: si tratta di «interviste impossibili» a Cavour, Garibaldi e Vittorio Emanuele II.
L’incontro è intitolato «Si scopron le tombe si levano i morti» e l’appuntamento è per oggi alle 18 (ingresso libero). Le voci saranno di Emanuele Pianta e Alfonso Masi. Cosa succederà? Cavour, Vittorio Emanuele II e Garibaldi si materializzeranno per essere intervistati. È questo il modo originale scelto dalla Civica per celebrare con anticipo la ricorrenza dell’unità d’Italia. I tre protagonisti rievocano gli eventi principali che portarono alla proclamazione del regno d’Italia il 17 marzo 1861, intervenendo ciascuno con i propri personali pregi e difetti. Cavour, capace di sfruttare le occasioni propizie per favorire l’ingresso del Piemonte sulla scena europea, convinto che le iniziative democratiche non avrebbero portato ad una Italia unita. Un po’ di gossip non manca nell’intervista a Garibaldi, e anche Vittorio Emanuele II viene invitato a stilare il catalogo delle proprie conquiste sentimentali.
A seguire la biblioteca presenterà periodicamente proposte di lettura con tema «Italia». Verranno stampati agili percorsi di lettura affiancati da vetrine tematiche.
Alto Adige 14-3-11
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categoria:cultura, comunicati
lunedì, 14 marzo 2011



Arriva anche la festa dei papà Poniamo i due genitori sullo stesso piano giuridico

ELIO CIRIMBELLI
Da tempo si parla di crisi della funzione paterna, una figura che appare spesso assente o incapace di svolgere un ruolo incisivo sul piano della presenza, dell’educazione e del rapporto con i propri figli. I padri hanno lasciato alle spalle i modelli patriarcali, ma non hanno ancora acquisito tratti nuovi di tipo post-patriarcali. I nostri nonni ed i nostri padri, non hanno mai cambiato un pannolino, raramente hanno giocato con i loro figli e altrettanto raramente hanno manifestato l’affettività con baci ed abbracci, ma le punizioni ed i rimproveri erano affar loro: dinnanzi alle loro regole imposte, i figli chinavano il capo. Secondo Charmet i padri oggi non costituiscono più la “cinghia di trasmissione” dei valori tradizionali, delle norme, delle regole. Non dobbiamo comunque dimenticare che, come ci sono molti modi di essere uomini, ci sono molti modi di essere padri.
Ogni genitore ha un proprio passato di figlio e come genitore è un intermediario tra quel passato e la personalità del figlio.
Nelle famiglie tradizionali ci si aspetta che la madre abbia la responsabilità della crescita affettiva ed il padre di quella educativa. Con l’entrata in vigore dell’affido condiviso, sono pochi i padri che chiedono che i figli minori possano vivere prevalentemente presso di loro, perché le probabilità che questo avvenga sono così rare, da scoraggiare qualsiasi genitore. La prova è che, se il padre chiede il collocamento prevalente presso di sé dei figli, raramente il giudice accoglierà la sua richiesta. Purtroppo in alcune aule di tribunale, la madre non deve dimostrare di essere una buona madre, il suo è un diritto assiomatico. Il padre invece, deve dimostrare di essere un padre “speciale”. Oggi rischiano di essere “padri-ombra” anche quelli che non hanno nessuna intenzione di sparire. Ai padri che si separano rimane, generalmente, per crescere ed educare i figli, solo un risibile diritto di visita, facilmente eludibile dal genitore presso il quale i figli hanno la residenza. Anche nelle separazioni più tranquille i padri a volte vengono estromessi dal rapporto con i figli, perché sono le madri che passano più tempo con loro. Nella separazione si sviluppa spesso una forte conflittualità, ed in questa fase, sempre dolorosa, affiorano le parti peggiori di uomini e donne. In queste situazioni le sofferenze maggiori le pagano i figli, privati di qualcosa che nessuno potrà loro restituire. Lo psicologo americano Henry Bitter, uno dei pionieri dello studio sulla paternità, autore di molti saggi sull’argomento, ha scritto:”E’ sempre maggiore il numero di bambini che crescono con solo la metà di ciò di cui hanno bisogno. E’ probabile che essi saranno solo la metà di ciò che dovrebbero essere”. Finalmente la legislazione ha ammesso l’affido condiviso: padri e madri possiedono entrambi la potestà genitoriale nella pienezza del suo significato: titolarità ed esercizio. Ponendo padre e madre sullo stesso piano di fronte alla legge e di fronte ai figli, si riducono i motivi di attrito tra i coniugi, contribuendo così da un lato a ridurre il carico delle responsabilità che gravano sul genitore affidatario, e dall’altro a investire di una accresciuta responsabilità il padre.
Alto Adige 14-3-11
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lunedì, 14 marzo 2011



Avanza la scuola bilingue Avviato il gemellaggio tra Carducci e Vogelweide


DAVIDE PASQUALI
BOLZANO. Il quarto anno di liceo nell’altra metà del cielo? Una scelta sempre più diffusa fra i diciassettenni. Quest’anno i ragazzi coinvolti sono 63, 38 di lingua italiana e 25 di lingua tedesca, la maggior parte del capoluogo. I due istituti più impegnati negli scambi sono i licei Carducci e von der Vogelweide. I ragazzi sono entusiasti, consigliano l’esperienza, ma non lesinano critiche durissime: gli scambi sono poco o punto pubblicizzati e per nulla sostenuti, se non addirittura osteggiati, da una quota del corpo insegnante; e poi mancano efficienti strutture di supporto agli scambisti, tipo: informazioni; corsi di introduzione; uno scambio propedeutico di qualche giorno da effettuarsi in terza; un tutor di un ente terzo e super partes in grado di monitorare il progetto sul campo e al quale ci si possa rivolgere in caso di necessità. Infine i programmi di studio: troppo differenti e mal conciliabili fra loro. Il sogno, almeno nel capoluogo, sarebbe la scuola mista. Intanto, i ragazzi avanzano alla politica provinciale queste circostanziate richieste.
Gli scambisti sono gente normale. Nel senso che non occorre essere dei geni per effettuare l’anno di scambio. La fauna è delle più varie. Camilla Valerio e Paolo Cuccurullo arrivano al von der Vogelweude dal linguistico Carducci. Italofoni, genitori italiani, scuole in italiano. Per imparare la lingua avrebbero anche scelto il quarto anno all’estero, ma la cosa risultava più complicata e pure costosa. Inoltre, i due praticano seriamente sport. Quindi hanno preferito rimanere in città, dove stanno le loro squadre. Cecilia Clò e Helena Geraci sono mistilingui: un genitore italiano, l’altro tedesco. A casa loro vige una legge non scritta e ignorata dalla politica sudtirolese: il bilinguismo. Lo scambio? Scelto mica per la lingua, bensì per vedere com’era e come si stava dall’altra parte. E siccome si può scegliere, e loro non necessitavano di tanto tempo per imparare bene l’italiano, sono passate da Vogelweide a Carducci per un solo quadrimestre. Ulrike Pardatscher, invece, abita nella Bassa Atesina. Germanofona, genitori tedeschi, scuole sempre in tedesco. Almeno fino a settembre, quando si è fatta coraggio e dal von der Vogelweide è passata al Carducci. Per un anno. Perché è un bell’impegno e, visto che il difficile è iniziare, tanto valeva arrivare a fine anno. Lo scopo? Imparare l’italiano. Ma non è finita qui. Perché rappresentato è pure l’altro gruppo etnico - altro fenomeno ignorato dalla politica sudtirolese - ossia il quarto. Lo rappresenta Shadi Davoodi. Genitori iraniani, a casa si parla anche in italiano, scuole sempre in italiano. Che però in Alto Adige non basta mica, perché occorre sapere a menadito anche l’altra lingua.
Tolti i mistilingui, lo scambio all’inizio non è una passeggiata, e non soltanto per le difficoltà linguistiche. Perché, di là, è tutto un altro mondo. Interessante ma diverso. I confronti sono illuminanti. Agli italiani il liceo tedesco appare più rigido ma assai meglio organizzato: amministrazione rapida e impeccabile, poca confusione in classe, durante le lezioni opinione dei ragazzi quasi mai richiesta, rapporti assai più formali, pressoché totale assenza di elasticità nelle situazioni critiche. Ai tedeschi il liceo italiano appare più umano, socievole, caldo; conta molto lo stato d’animo e i profe ti chiedono addirittura come va; quando si affronta un argomento si discute, si argomenta, c’è meno distacco. Due approcci differenti, entrambi funzionanti ma al contempo limitanti. Al liceo italiano si impara il contraddittorio ma con più lassismo sui risultati, al liceo tedesco si punta molto al rispetto del programma e ai risultati, ma si sviluppano meno le capacità critiche individuali. E fin qui ci si poteva anche arrivare da soli. Ma le diversità e l’interesse derivano da mille altri fattori. Per dire: gli italiani al sabato sera si trovano in piazza Erbe, tanti tedeschi non sanno nemmeno dove si trovi. Il liceo tedesco è una pacchia per gli orari, perché c’è una pausa ogni due ore anziché ogni tre. E c’è ben la rottura di un rientro al pomeriggio, ma così si finisce tutti i giorni alle 12.25: tutto un altro andare rispetto alle 13.15; così, ti rimane il tempo per la siesta. Se invece dal liceo tedesco te ne vai a fine della terza, per tutto il resto della vita non avrai mai più a che fare con la chimica. E i ragazzi italiani partecipano molto di più alla vita di classe, cosa inimmaginabile al liceo tedesco, dove tanti alunni abitano fuori città e trovarsi al pomeriggio risulta più difficoltoso. E poi, diciamolo, i profe italiani sono un pochetto più elastici. E allo scambista, visto l’impegno profuso, alzano un pochetto i voti. Dall’altra parte è impensabile. Ma davvero non si sa, quale dei due sia l’approccio migliore.
Alto Adige 14-3-11
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venerdì, 11 marzo 2011



Cultura, nuovi tagli «Bondi via subito»

ROMA. Non solo 27 milioni di euro in meno nel Fus (Fondo unico spettacolo), ma anche altri 50 milioni in meno tra i fondi ordinari a disposizione del Ministero dei Beni culturali. Ogni giorno che passa è uno stillicidio che toglie respiro alla gestione del dicastero retto da un Sandro Bondi (cui il mondo culturale chiede a gran voce rapide dimissioni): «Comprendo la preoccupazione e la delusione del mondo della cultura in seguito alle ultime notizie riguardanti una ulteriore previsione di riduzione degli investimenti. A questo punto posso solo confidare che chi mi succederà a breve abbia l’autorevolezza e la forza di porre rimedio e invertire l’attuale situazione». A denunciare gli ulteriori tagli il sottosegretario Francesco Giro: «Il taglio di 27 milioni al Fus e quello di altri 50 ai fondi ordinari del Ministero sono di una gravità inaudita». A rischio sono gli stanziamenti per teatri, cinema, fondazioni lirico-sinfoniche. Sarcastico il commento del Pd, per bocca di Matteo Orfini: «Mentre Berlusconi pensa ai suoi processi e Bondi si strugge addolorato a casa il sottosegretario Giro è di fatto passato all’opposizione lamentandosi quotidianamente del governo di cui fa parte. Il ministro Tremonti abbia il coraggio di farsi assegnare l’interim dei Beni culturali».
Alto Adige 11-3-11
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giovedì, 10 marzo 2011



«La nostra mente plurilingue è più agile»

BOLZANO. La scuola pluriligue agevola o ostacola? «Questo è uno degli argomenti che viene tirato fuori spesso», ammette Verra. «Noi abbiamo condotto degli studi appositi: ad esempio c’è l’istituto di neuroscienze che sta facendo delle ricerche assieme alla facoltà di Bressanone. Si è cercato di esaminare l’impatto positivo o negativo del plurilinguismo sulla mente dei ragazzi riguardo all’apprendimento di carattere scientifico. Be’, i dati registrati dicono che il plurilinguismo è un vantaggio. I ragazzi palesano maggiore agilità mentale o, come la chiamano gli studiosi, maggiore plasticità. La mente appare più reattiva e più capace nell’adattamento al metodo scientifico. Quindi, almeno da questo punto di vista, il plurilinguismo dovrebbe essere un vantaggio, ovviamente mai assoluto e sempre relativo, perché comunque è legato al singolo».
Ma quando terminano il percorso scolastico plurilingue in terra ladina, come si trovano questi ragazzi plurilingui? «Ho notato che hanno dei grandi vantaggi nella dimensione europea dell’istruzione, cioè in genere sono molto mobili. Tanti nostri alunni si spostano con facilità, a livello non solo europeo, ma anche in generale. E quindi penso che il vantaggio ci sia, eccome».
Sono mobili anche prima di terminare le scuole, i ragazzi ladini. Attualmente, infatti, nelle valli ladine di Badia e Gardena, non ci sono diversi tipi di istituto superiore, motivo per cui il numero di studenti superiori iscritti negli istituti ladini è di molto inferiore a quello delle elementari e medie. «Si spostano a Brunico o a Bressanone e pure a Bolzano», conclude Verra. «Perché noi non abbiamo il classico e nemmeno lo scientifico. Scelgono per lo più le scuole tedesche, ma alcuni frequentano anche le italiane». Il tutto, senza grandi difficoltà.

Alto Adige 10-3-11
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martedì, 08 marzo 2011



Diritti umani: il premio Nobel Ebadi a Merano e Bolzano

Torna in Alto Adige Shirin Ebadi, avvocatessa iraniana, premio Nobel per la pace nel 2003. Per lei un doppio appuntamento: a Merano giovedì alle 19 in Sala civica e a Bolzano venerdì, sempre alle 19, all’Eurac. In occasione dell’incontro col premio Nobel sarà proiettato in prima visione il film documentario «Le attiviste in Iran e i loro contatti con l’Alto Adige». A Merano parteciperanno all’incontro Sissi Prader del Museo delle donne ed Enzo Nicolodi presidente della Fondazione Langer mentre a Bolzano sarà presente alla tavola rotonda il giornalista meranese Ulrich Ladurner (della «Die Zeit»).
Quello con Shirin Ebadi è un incontro importante anche alla luce degli sconvolgimenti che stanno avvenendo sullo scacchiere africano e che di riflesso investono anche realtà come quella iraniana: una società in movimento, con una percentuale altissima di giovani che preme per conquistare la libertà e i diritti civili. Ebadi fu ospite in Alto Adige già nel 2008, quando partecipò al primo Convegno internazionale dei musei delle donne a Merano. Dando seguito ad una sua proposta, nel dicembre del 2008 l’organizzazione Human Rights International Alto Adige e il Museo delle Donne Merano hanno devoluto il premio per i diritti dell’uomo a un difensore iraniano dei diritti umani, l’avvocatessa Nasrin Sotoudeh. Da lì nacque l’idea del film. (gi.bo.)
Alto Adige 8-3-11
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martedì, 08 marzo 2011



Kasslatter: asili, niente scambi di maestre

DAVIDE PASQUALI
BOLZANO. «Negli asili tedeschi niente maestre italiane». È la chiusura dell’assessore Kasslatter Mur alla proposta Pd. «I nostri bimbi parlano troppo dialetto, prima dell’italiano devono imparare la loro lingua». Ma la Svp è spaccata. Il senatore Peterlini attacca: «Per quanto riguarda l’apprendimento linguistico 60 anni di autonomia sono stati un fallimento: non siamo riusciti a insegnare le due lingue ai nostri figli».
LA PROPOSTA PD. Una maestra tedesca in ogni sezione delle materne italiane. Per il momento ne esistono solo 18, ma ce ne vorrebbero alcune altre decine, in maniera da portare a regime l’insegnamento precoce e ludico del tedesco, come richiesto dalle famiglie e consigliato da pedagogisti e linguisti. È questa la richiesta principe che il Pd avanzerà al gruppo di lavoro con la Svp.
LA RISPOSTA. Ma dall’assessore alla scuola tedesca Sabina Kasslatter Mur ora arriva lo stop: «L’interesse principale della popolazione sudtirolese - dice - è di imparare il tedesco. Nelle nostre materne non ci saranno maestre italiane. Se i nostri genitori lo vogliono, mandino i loro figli all’asilo italiano». Perché «ce lo impone lo Statuto: i nostri bimbi devono innanzitutto padroneggiare il tedesco alto, e devono rendersi conto di quando si debba usare la lingua e quando il dialetto. Attualmente si usa per lo più il dialetto».
I RIMEDI. Certo, visti i dati tutt’altro che rassicuranti riguardo all’apprendimento della seconda lingua elaborati dall’Eurac, anche da parte tedesca si dovrà necessariamente intraprendere qualcosa in più, ma secondo l’assessore tedesco lo si dovrà fare su altri fronti: «Dobbiamo sostenere maggiormente gli insegnanti di italiano L2, stabilizzando il corpo docente, cioè limitando l’eccessivo turn over che non garantisce la continuità didattica. Saranno queste le richieste Svp al gruppo di lavoro col Pd».
L’ALTRO FRONTE. «Riguardo all’apprendimento linguistico 60 anni d’autonomia sono stati un completo fallimento». Lo dice il senatore Svp Oskar Peterlini, spiegando: «Non siamo riusciti ad insegnare ai nostri figli le due lingue. La politica, non solo la Svp, ma tutti i partiti, è rimasta indietro decenni rispetto alla società civile. Basta con le reticenze al cambiamento: dobbiamo trovare il modo di sperimentare nuove strade per l’apprendimento non solo di tedesco e italiano ma pure dell’inglese».
STEGER APRE. Insomma, sul pluriliguismo la Svp si palesa sempre più divisa. Prima le esternazioni dell’Obmann bolzanino Dieter Steger: «È disumano - ha precisato parlando ai genitori mistilingui dell’associazione Mix-Ling - che chi vive in famiglia due culture sia costretto a scegliere fra una e l’altra al momento dell’iscrizione a scuola». Ora l’assessore Kasslatter Mur risponde: «Per i genitori il dover scegliere fra due sistemi scolastici non è affatto disumano». Peterlini invece commenta: «Sono in sintonia con quanto affermato da Steger. Specie sul fatto che la società civile debba esercitare una pressione forte sui partiti».
NUOVI DIRITTI. Secondo il senatore - destinato a non ricandidarsi e quindi, forse, più libero di esternare - «i nostri figli hanno diritto ad una educazione linguistica assai più ampia dell’attuale, anche per non rimanere vittime del mercato del lavoro, le cui pretese sono sempre più elevate. La politica finora si è rivelata troppo farraginosa per reagire a queste istanze. Troppi preconcetti, magari validi in passato, sopravvivono ancora oggi. Una cosa è pacifica: in Alto Adige l’insegnamento di seconda e terza lingua è in ritardissimo».
Peterlini è pacato ma non ha peli sulla lingua: «Da questo punto di vista l’autonomia ha fallito. I giovani si impegnano, ma non basta: non siamo riusciti ad insegnare loro le due lingue. Dovremmo guardarci allo specchio, ma ancora oggi sussistono troppi freni, troppe paure, troppi preconcetti».
PASSATO E FUTURO. Nel passato, spiega, il discorso reggeva. «Specie nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale, quando anche io ho frequentato le scuole. C’era stato il fascismo; a quei tempi la scuola era solo in italiano. C’era dunque la necessità di fondare le basi della scuola tedesca. Allora i timori erano comprensibili: si temeva per la scomparsa della cultura sudtirolese». Nell’ultimo ventennio, però, «le garanzie dell’autonomia sono state rafforzate. Ora c’è la sicurezza: non sparirà nessun gruppo linguistico». A questo punto è ora di agire: «Le strade intraprese finora non bastano. Ho provato a parlarne nell’ultimo vertice del partito, ma ci sono ancora reticenze al cambiamento. Però dobbiamo ridiscuterne. I rilievi tecnici della scuola non bastano: serve una spinta da parte della politica».
LA SOLUZIONE. Peterlini precisa: «Non giuro sulla scuola plurilingue come panacea, anche perché la scuola monolingue è un monumento simbolico e, come si è dimostrato ultimamente, toccare i monumenti è pericoloso». Ma il senatore va oltre: «Ciò non significa che non si debbano mettere in campo scambi più forti fra istituti e fra insegnanti. Dobbiamo puntare su modelli più avanzati, senza paura. Non occorre rinunciare al principio della scuola nella propria madrelingua». Peterlini desidera si punti sull’insegnamento veicolare della seconda ma anche della terza lingua, ossia dell’inglese. E che si preparino docenti ad hoc. «Molti, non laureati in scienze della formazione, vorrebbero insegnare, ma non gli è permesso. Luisa Gnecchi (Pd) da assessore aveva tentato una riforma, ma era stata frenata, non si sa perché, dall’intendenza tedesca». Servirebbero, questi insegnanti veicolari, «anche per l’inglese. Nelle scuole tedesche è una completa catastrofe».
IL CORAGGIO. Conclude Peterlini: «Occorrono esperimenti più coraggiosi: geografia in L3, storia in L2. Nelle teste dei politici deve entrare che la società è cambiata e soffre molto a vedere la politica che non recepisce le sue richieste. Basta con l’articolo 19 e con la paura di sparire. Quelli erano i timori ai tempi di Magnago e Zelger».
Alto Adige 8-3-11
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lunedì, 07 marzo 2011



La rivoluzione dei mistilingui

PAOLO CAMPOSTRINI
I tedeschi non sempre proprio tedeschi, gli italiani quasi mai fascisti, i giovani inquieti, gli anziani incerti, la gente con una grande voglia di essere semplicemente felice. Per un partito nato per rendere le cose rigide e immutabili (di qui i sudtirolesi, di là gli altoatesini) e la storia (e dunque anche il presente) ferma in un passato senza ombre, deve essere un viaggio difficile. Ma ci stanno provando. Litigano, ad esempio. E questo è molto normale. Si dividono in Senato per questioni personali. E questo è molto italiano. L’altro giorno Steger (che è un Obmann) ha detto alla Svp (cioè a se stesso) che la scuola deve essere bilingue. Steger è andato oltre: ha riconosciuto i mistilingui. E ha compreso il loro problema principale, che è molto umano e dunque normale: quello di vivere in una società (voluta dalla Svp) in cui sono costretti a fare l’ultima cosa che gente come loro dovrebbe essere chiamata a fare, cioè scegliere. E scegliere quale lingua privilegiare per persone che sono cresciute con tutte e due è come imporre ad un bambino di farlo tra mamma e papà. Tra lingua paterna e materna. Decidere chi essere, dimenticando l’altra. O almeno il suo universo culturale. Immergersi in un mondo monolingue, fatto di soli papà o di sole mamme: uno strazio. Ma ignorato da sempre. Anzi: il mistilingue è stato sempre visto come il virus che avrebbe infettato il cemento su cui si regge l’architettura statutaria.
Scuola, proporz, censimento, divisione delle risorse, numero dei consiglieri, assemblee elettive, ottoni per le bande, cibo per i cavalli e gli uomini: tutto è strutturato perchè una percentuale sia assegnata matematicamente ai tre gruppi. Il quarto, i mistilingui, non era neppure relegato nel ghetto, come accadeva agli ebrei, perchè il ghetto era comunque un luogo fisico. Ci viveva della gente, bisognava in qualche modo rapportarvisi. Qui no, questo quarto gruppo sarebbe stato sempre e solo un’illusione ottica, uno sguardo nel buio. Per questo la Svp e Magnago odiavano, pur ammirandolo intellettualmente, Langer. Perchè era l’infezione nel corpo statutario e autonomistico.
Ed è dunque questo, quello dell’altro giorno di Steger, uno dei passaggi più importanti compiuti all’interno del partito. Più che la riflessione aperta sulla scuola bilingue, il contatto visivo con i mistilingui, la presa d’atto dell’esistenza del loro mondo. E la coscienza di un dramma. E’ stato un passaggio epocale, quasi antropologico più che politico. Naturalmente è importante che tutto questo diventi comunque politica. Ed è politica un’altro incrocio che la Svp sta passando, nel suo viaggio: il tavolo italo-tedesco per affrontare i nodi della sperimentazione linguistica nelle scuole altoatesine. Che lo abbiano affrontato, il problema, è importante. Che lo abbiano fatto in giunta provinciale, Durnwalder presente, lo è di più. Perchè significa che la normalità della società sudtirolese-altoatesina, sta infettando il partito. Che non si tratta più solo di pressioni liberal, operazioni elitarie e colte, di manovre ai margini: è la società liquida che sta facendo filtrare le sue acque in ogni anfratto, sta trovando pertugi ovunque non essendo essa controllabile come una lobby o arginabile come un partito organizzato. E’ la semplice diffusione delle idee, dell’intelligenza e del buon senso che si fa largo. La classe dirigente Svp, quella più sensibile ai mutamenti e desiderosa di innovazione, vi si sta aprendo con una dinamicità inaspettata. E’ il segno dei tempi ma è anche un segno dell’età. Perchè la classe dirigente del partito, nei suoi ruoli intermedi, è stata oggetto di un rinnovamento in profondità. La Svp non è solo Steger. Ma lo è anche. Naturalmente i settori che chiedono un rinnovo del mandato a Durnwalder sono forti. Ma la sensazione è che lo chiedano non per scelta conservatrice, ma per preparare meglio il nuovo, per evitare eccessivi scossoni in un momento in cui occorre gestire i rapporti con una società in rapida evoluzione. Perchè è questo il vero motore che sta scaldando la speranza di una Svp-partito normale, diviso tra destra e sinistra, un poco più povero di certezze, meno legato al passato: la sua gente. Sono i sudtirolesi (e gli italiani) mistilingui e no, cittadini e no che stanno scoprendo una nuova voglia di normalità. Del tipo: se una cosa serve, chiediamola.
Senza chiedersi se è scritta nello Statuto. Se il passato è passato, diciamolo. Senza temere di spaventare i sepolcri imbiancati. Se una scuola va cambiata, cambiamola. Se il quarto gruppo esiste, riconosciamolo. Perchè la questione mistilingue è importante.
Se si fa largo l’idea che in Alto Adige possa esistere e crescere qualcosa di misto sarà una rivoluzione. Niente è misto in Alto Adige. Tutto è stato costruito perchè il bianco e il nero non si frullino mai insieme col rischio di produrre colori nuovi, inaspettati, magari non previsti dallo Statuto e dalle norme di attuazione. Se i mistilingui vinceranno la loro battaglia, vinceranno una battaglia per tutti noi, non solo per loro.
Alto Adige 6-3-11
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lunedì, 07 marzo 2011



Tommasini: una maestra tedesca in ogni sezione della materna italiana

DAVIDE PASQUALI
BOLZANO. Formare docenti ad hoc per le lezioni veicolari; far entrare a regime gli scambi fra scuole superiori; un insegnante tedesco in ogni sezione d’asilo italiano. Sono le richieste che il Pd avanzerà al gruppo di lavoro con la Svp sull’apprendimento linguistico.
Il Pd ha designato i membri del gruppo di lavoro sull’apprendimento linguistico: ne faranno parte l’assessore provinciale alla scuola italiana Christian Tommasini, il deputato Luisa Gnecchi e tre esperti del mondo della scuola, il consigliere comunale meranese Daniela Rossi, il consigliere comunale bolzanino Andrea Felis più un quinto membro ancora da designare da parte del circolo Pd di Bressanone. Con tutta probabilità dovrebbe trattarsi del dirigente di scuola dell’infanzia Gianfranco Cornella. Nel prossimo trimestre, assieme ai membri nominati dal partner di giunta, la Svp, si farà il punto sullo status quo dell’apprendimento linguistico e si comincerà a sondare la fattibilità di progetti innovativi per la scuola.
«Le sperimentazioni ormai sono terminate», sostiene ora l’assessore Tommasini. «Siamo ben al di là dello sperimentare: oggi l’insegnamento veicolare, il Clil, gli scambi, sono istituzionalizzati, sono curricolari».
«Due anni fa - prosegue - a inizio legislatura, mi ero ripromesso di portare una sezione con Clil in tutte le scuole della Bassa Atesina, il terreno forse più fertile in questo senso. Più di qualcuno era scettico, lo vedeva come un progetto eccessivamente pretenzioso, ma a settembre si partirà a Bronzolo, l’ultimo istituto non ancora attivato in tal senso». Negli ultimi anni «si è accelerato molto» e non per nulla ultimamente fioccano interrogazioni in consiglio provinciale. «Perché non ci siamo resi conto che siamo molto più avanti di quel che pensiamo. Ovviamente è giusto che il dibattito ci sia, anche all’interno della Svp». Per quanto riguarda il Pd, l’intenzione è soprattutto di «permettere non solo ai figli delle élite mistilingui di via Fago ma anche ai figli degli operai monolingui di via Resia le stesse opportunità». I nodi fondamentali su cui discutere nel gruppo di lavoro con la Svp saranno tre. «Per estendere le opportunità è necessario disporre di un corpo insegnante ad hoc. Finché si sperimenta in poche scuole bastano pochi docenti motivati, se si tenta di estendere si rischia di arenarsi se non ci sono abbastanza professori a disposizione, in particolare per le medie e le superiori, dove oltre alla lingua servono le competenze specifiche. Dovremo attivare la Lub». Secondo aspetto, gli scambi: «La riforma delle Superiori non dice che si possono fare, dice che si fanno. Dovremo trovare le modalità per attivarli a metterli a regime in tutta la provincia».
Terzo e ultimo nodo: anche per evitare che i bimbi italiani affollino le scuole materne dell’altro gruppo linguistico «ci piacerebbe che in tutte le sezioni delle scuole dell’infanzia ci fossero una maestra italiana e una tedesca. Oggi sono solo 18; ce ne vorrebbe qualche decina». Non ne andrà dei posti di lavoro, perché in tal modo si arginerà l’emorragia di bimbi italiani dai loro asili.
Alto Adige 6-3-11
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sabato, 05 marzo 2011



"Disumana la scuola monolingue"

DAVIDE PASQUALI
BOLZANO. «È disumano che chi vive in famiglia due culture sia costretto a scegliere tra una e l’altra al momento dell’iscrizione a scuola». Lo ha dichiarato l’Obmann cittadino della Svp Dieter Steger durante un incontro con una quarantina di genitori di bimbi mistilingui dell’associazione Mix-Ling.
 Sono sempre di più e sempre più disposti a darsi da fare in prima persona, i genitori di lingua italiana, tedesca e multilingui impegnati per ottenere una scuola aperta al plurilinguismo. E aumenta costantemente il numero dei partecipanti agli incontri proposti dall’associazione “Mix-ling - Eltern für una cultura plurilingue”, che stavolta ha invitato a un confronto, al teatro Cristallo, anche l’ex presidente del consiglio provinciale Dieter Steger.
 Ormai da tempo, premette la neo-presidente di Mix-Ling Michela Gaspari, «Steger si è fatto paladino, anche in quanto rappresentante del mondo dell’economia, della necessità di offrire ai bambini fin dalla più tenera età l’opportunità di un insegnamento in più lingue».
 «Per raggiungere questo obiettivo», è stato questo il forte messaggio lanciato da Steger ai genitori presenti alla serata, «la spinta deve arrivare dalla società civile, perché solo con una continua pressione è possibile convincere i partiti, anche la Svp, della validità di questa proposta». «È disumano - ha proseguito raccogliendo l’approvazione dei genitori - che chi vive in famiglia due culture sia costretto a scegliere tra una e l’altra al momento dell’iscrizione a scuola».
 L’Obmann cittadino ha quindi sottolineato che la padronanza delle lingue è uno strumento fondamentale per affrontare la concorrenza, sempre più accesa, per i migliori posti di lavoro. «I nostri figli - ha detto - rischiano di vedersi superati da chi, venendo da fuori, padroneggia almeno tre lingue».
 A Steger mamme e papà hanno esposto le loro difficoltà nel promuovere la crescita dei propri figli in una cultura plurilingue; hanno raccontato i successi dei loro bambini ed espresso il desiderio che la politica si apra a questa richiesta. Steger ha sottolineato che il problema «non è di sicuro l’articolo 19 dello statuto di autonomia, ma semmai le persone responsabili a trovare soluzioni e strumenti per soddisfare le esigenze di sviluppo della nostra società». Sono state anche valutate le diverse vie di promozione al plurilinguismo nella scuola che già oggi, rispettando l’articolo 19 e la normativa vigente, è possibile percorrere: dagli scambi di classi fra scuole di lingue diverse alla frequenza di un anno nella corrispondente scuola superiore dell’altra lingua. Condivisa anche l’idea che il peso di questa sfida non può ricadere sugli insegnanti delle scuole materne, che troppo spesso si trovano a dover gestire bambini di madrelingua diversa senza un adeguato supporto, né su quelli del primo e del secondo ciclo di scuola primaria, cui la partecipazione a progetti di approfondimento della seconda lingua richiede un impegno più gravoso. A questo scopo, è stato ritenuto necessario un maggior coinvolgimento della Lub nella formazione degli insegnanti di seconda lingua e aperti al plurilinguismo.
 Alla riunione erano presenti anche la sovrintendente alla scuola italiana, Nicoletta Minnei, e l’ispettore di seconda lingua presso la sovrintendenza, Franz Lemayr, che hanno espresso il loro sostegno all’attività dei genitori di Mix-ling. All’incontro era presente anche l’ex rettore della Lub, il linguista Hans Drumbl.
Alto Adige 5-3-11
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giovedì, 03 marzo 2011

      

Cavour e Bismarck anti-austriaci

GIAN ENRICO RUSCONI
Gli accadimenti italiani del 1859-61 lasciano stupefatti, preoccupati, ammirati i tedeschi. Per gli Stati della Confederazione germanica di orientamento conservatore quello italiano è un cattivo esempio, un evento «rivoluzionario», nel senso di eversivo di tutti i valori d’ordine morale e politico del continente.
 Per i governi più moderati di ispirazione liberale invece il movimento nazionale italiano è ammirevole proprio perché appare loro prodotto di autentico liberalismo. Per alcuni di essi, tuttavia, il movimento ha un grave difetto: dovendo contare sulla potenza militare francese, porta con sé una pericolosa minaccia per la Germania e per l’equilibrio europeo. Anche i liberali più simpatetici verso l’Italia sono preoccupati; e molti di loro, sebbene a malincuore, nel 1859 sono disposti a sostenere l’Austria nel conservare il Lombardo-Veneto pur di fermare Napoleone III, che si teme miri a un cambiamento geopolitico più ampio in Europa, tale da consentirgli di arrivare sino al Reno. Da qui il popolare slogan secondo cui «il Reno si difende sul Po». Di tutt’altra opinione è Bismarck, che al momento non ha responsabilità di governo ma è inviato prussiano a Pietroburgo. Per lui la priorità è l’espulsione dell’Austria dalla Confederazione germanica, possibilmente mediante un conflitto che risolva una volta per tutte l’antagonismo austro-prussiano. Vienna quindi non va sostenuta nel suo scontro in Italia.
 Come si vede, la strategia bismarckiana ha punti di convergenza oggettiva con quella cavouriana: individua nell’Austria il nemico del principio nazionale e la potenza conservatrice per eccellenza dello status quo geopolitico europeo, che può essere modificato solo con le armi; assume di conseguenza un atteggiamento tatticamente benevolo verso la Francia bonapartista per conquistarne l’interessata neutralità in un probabile conflitto intratedesco; apre infine al liberalismo politico nella questione nazionale. A proposito dell’Italia Bismarck nel dicembre 1860 dichiara che «per la Prussia è bene che al sud, tra la Francia e l’Austria, si formi un forte Stato italiano». È una convinzione che lo Junker prussiano ha maturato studiando gli eventi italiani, e che lo porta alla conclusione: «Dovremmo inventare noi il regno d’Italia, se non fosse già nato per conto suo». Ma altrettanto netta è la precisazione di qualche mese dopo, nell’imminenza di diventare presidente dei ministri: «Io non sento la vocazione di spingere la Prussia sui binari della politica di Cavour, e se qualcuno nella mia situazione sentisse tale vocazione, gli mancherebbero tutti i presupposti per tradurre la teoria nella prassi».
 Nella sua concisione questa dichiarazione è molto lucida. Il modello cavouriano infatti non vale per Bismarck non soltanto per ragioni politico-ideali o ideologiche, in quanto guidato e orientato secondo logiche liberali e parlamentari da lui non condivise, ma anche perché mancano i «presupposti», le condizioni per realizzarlo: insomma è diversa la combinazione dei fattori politici e dei rapporti di forza con cui Bismarck deve fare conti. Senza contare che il ministro prussiano non saprebbe come affrontare una situazione politica interna di tipo italiano, contrassegnata dalla consistente presenza di movimenti popolari «democratici», come quelli guidati da Garibaldi e ispirati da Mazzini, che soltanto Cavour riesce a controllare politicamente. L’uso diretto della forza contro di essi sarebbe la fine di ogni politica nazionale. È tuttavia importante sottolineare che questa insuperabile differenza d’impianto politico non impedisce ai due statisti di essere convinti che Piemonte e Prussia, in quanto Stati, abbiano interessi convergenti a livello di politica internazionale, a partire dall’ostilità contro l’Austria e dall’attenzione benevola verso la Francia.
 L’affermazione di Bismarck di non potere né volere seguire l’esempio di Cavour non è gratuita. Di fronte agli eventi italiani, infatti, molti liberali in Germania si erano augurati che comparisse un «Cavour tedesco». La forza di suggestione del modello cavouriano era tanto forte che ancora nell’agosto 1866 - quando la Prussia bismarckiana aveva appena sconfitto l’Austria compiendo il primo passo decisivo verso l’unificazione tedesca - un eminente liberale scrive: Come ho invidiato per anni gli italiani, per il fatto che a loro fosse riuscito quello che a noi il destino sembrava aver rimandato a un lontano futuro; come ho desiderato un Cavour tedesco e un Garibaldi come messia politico della Germania. Poi di colpo esso è comparso tra noi nella persona del sempre insolentito Bismarck. Come non credere di sognare, se l’impossibile è diventato possibile?
 Bismarck era stato «insolentito» dai liberali tedeschi perché, da quando era andato al governo, nel 1862, aveva intrapreso un durissimo e prolungato scontro politico in parlamento contro le forze liberali, che si rifiutavano di approvare il costoso rafforzamento dell’esercito voluto dal sovrano per aumentare la potenza militare dello Stato prussiano. Bismarck aveva assunto una linea intransigente a sostegno della Corona. Il 29 settembre 1862 davanti a una Commissione parlamentare per il bilancio aveva fatto una dichiarazione che ancora oggi viene riportata nei manuali di storia come espressione della sua filosofia politica: La Germania non guarda al liberalismo della Prussia, ma alla sua potenza. La Baviera, il Württemberg, il Baden possono indulgere al liberalismo perché a essi non è attribuito il ruolo della Prussia. La Prussia deve concentrare la sua forza e tenerla insieme per il momento favorevole che ha mancato altre volte. Le grandi questioni del nostro tempo si decidono non con discorsi e risoluzioni di maggioranza - questo è stato il grande errore del 1848 e del 1849 - ma con il ferro e il sangue. Cavour naturalmente non avrebbe mai fatto una dichiarazione del genere, anche se non aveva esitato a ricorrere «al ferro e al sangue», programmando, dopo gli accordi segreti a Plombières con Napoleone III, la guerra del 1859 contro l’Austria. Aveva affermato in quell’occasione che «la questione italiana comporta una sola soluzione reale efficace: il cannone»: un’affermazione di sapore bismarckiano. Ma Cavour non avrebbe mai contrapposto e messo in alternativa la scelta della guerra con «i discorsi e le risoluzioni di maggioranza». Il suo orizzonte politico rimane infatti basato - con intima convinzione - sul liberalismo costituzionale, sulle procedure parlamentari e le scelte prese a maggioranza. Queste sono raggiunte con uno spirito combattivo e in una dialettica politica che non è affatto considerata la «chiacchiera parlamentare» su cui Bismarck volentieri esercitava il suo sarcasmo. Cavour e Bismarck hanno un’idea radicalmente diversa di «popolo» e soprattutto del suo modo di manifestarsi politicamente. Per il liberale costituzionale Cavour «il popolo» è quello che si esprime nei partiti politici rappresentati in parlamento e nell’opinione pubblica, ed egli non esita a combattere il «radicalismo» dei movimenti democratici extraistituzionali. Per il monarchico Bismarck invece il «vero popolo» sono i sudditi fedeli al re, pronti a mobilitarsi contro i demagoghi democratici, tra i quali iscrive volentieri anche i liberali in parlamento. Questo convincimento, maturato negli anni della reazione antidemocratica successiva 1848, lo accompagna sino alle motivazioni della sua proposta del suffragio universale del 1866.
 In sintesi dall’intera vicenda emergono due forti personalità politiche di dimensione europea. Cavour offre l’esempio di una guida politica esercitata secondo la logica parlamentare liberale, carica di contrasti, in una dinamica politica vivace e dura, segnata da forti personalità competitive e antagoniste. Bismarck incarna invece il principio d’autorità monarchica, con l’utilizzo strumentale di elementi democratici (il suffragio universale), in costante tensione e conflitto con il parlamento; non ha antagonisti politici della sua statura e per i suoi piani nazionali dispone del formidabile strumento militare dell’esercito prussiano. Liberalismo e cesarismo sono così i poli entro cui si dispiega l’azione dei due statisti per la nascita delle due nazioni italiana e tedesca.

Alto Adige 3-3-11
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giovedì, 03 marzo 2011



Il liceo von der Vogelweide lancia lo scambio docenti con il Pascoli e il Carducci  

BOLZANO. Il liceo tedesco von der Vogelweide lancia l’idea, ben accolta dagli omologhi istituti italiani Pascoli e Carducci. «Gli scambi di studenti al IV anno funzionano - spiega la dirigente Adami - ma li miglioreremo e amplieremo ancora. Però mi piacerebbe molto cominciare gli scambi fra i professori: sonderò se i docenti siano disponibili».
 Nel mondo della scuola, seppure in sordina, ci si sta muovendo molto da diversi anni e ora le innovazioni didattiche riguardo alla linguistica cominciano per forza a emergere in maniera palese e inequivocabile. Il dibattito si amplia, perché i tempi sono sicuramente molto più maturi oggi che non negli anni Ottanta o Novanta, per lo meno a Bolzano e in qualche altro centro. Tempi maturi per i professori, per gli alunni, per i genitori. E pure la politica si sta avvicinando, tanto che le forze di maggioranza in giunta provinciale, Svp e Pd, con consapevolezza hanno deciso di nominare un gruppo di lavoro proprio sull’apprendimento linguistico. In tre mesi si farà il punto sulla situazione Si vedrà se sia possibile o opportuno fare qualcosa di più.
 Il mondo della scuola, temendo intromissioni, è un poco titubante e chiede soprattutto di poter lavorare in tranquillità. Lo chiedono Archimede, Manzoni e Foscolo. Lo chiede anche il mondo tedesco, che seppure con meno clamore, sta lavorando moltissimo. Un esempio è il liceo Walther von der Vogelweide. La dirigente, Martina Adami, sulle richieste alla politica si limita a un laconico: «Le risorse per la scuola non sono mai abbastanza. Se poi si cercheranno nuove strategie di insegnamento linguistico, mi auguro ci sia uno scambio di idee, un confronto con dirigenti e docenti».
 Il liceo in lingua tedesca di via Diaz, infatti, come gli omologhi italiani Pascoli e Carducci, è all’avanguardia nello sperimentare e non abbisogna di novità clamorose. «Da diversi anni, con il coordinamento della docente Adriana Sartor, numerosi nostri studenti frequentano il IV anno nelle scuole italiane, Pascoli e Carducci. Queste esperienze funzionano, solo quest’anno abbiamo “fuori” dieci ragazzi. All’inizio c’è qualche comprensibile imbarazzo, nel seguire le lezioni nell’altra lingua. Ma poi, nel giro di poche settimane, si abituano. Vorremmo proprio proseguirli, questi scambi». Magari con qualche aggiustamento, perché i piccoli problemi organizzativi ci sono. «Cercheremo maggiore concordanza con i licei italiani, linguistico classico e artistico». Nel frattempo in via Diaz si è dato il via anche a una lunga serie di incontri con docenti ed esperti di altre lingue, per avviare discussioni con i ragazzi. «Su temi di attualità, non solo su Goethe. Vogliamo che si confrontino parlando in italiano, ma anche in inglese».
 «A me però - conclude semplicemente la dirigente - piacerebbe molto cominciare gli scambi di professori. A Bressanone hanno iniziato e pare funzioni molto bene: per un certo numero di ore un docente di storia di lingua italiana insegna ai ragazzi di lingua tedesca, mentre il collega tedesco fa lezione agli italiani. Voglio lavorare per vedere se ci sono docenti ben disposti». «Non vediamo l’ora», rispondono Laura Canal e Andrea Pedevilla, ossia i presidi di Pascoli e Carducci.
Alto Adige 3-3-11
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lunedì, 28 febbraio 2011



Esperimento fra Archimede e von Hoffensthal: metà italiani, metà tedeschi

DAVIDE PASQUALI
BOLZANO. Non era mai accaduto, ora è una realtà: si sono tenute le prime prove di scuola mista alle medie. Coinvolte la II E in lingua italiana delle Archimede di Bolzano e la II D in lingua tedesca delle von Hoffensthal di Renon. La settimana scorsa ciascuna classe è stata divisa in due gruppi di dieci alunni l’uno. Lunedì, martedì e mercoledì le prime due metà classi sono rimaste a lezione nella rispettiva scuola d’origine, le altre due metà classi hanno seguito le lezioni altrove, nell’altra lingua: gli italiani sono saliti in quota, i tedeschi se ne sono scesi in città. Giovedì, venerdì e sabato lo scambio si è invertito: le due metà classi che già si erano spostate sono tornate nelle scuole madri, sostituite dalle altre due metà classi. Per intendersi, non un gemellaggio per una gita sugli sci o una giornata al lido, ma lezioni vere e proprie: i bolzanini in trasferta si sono sorbiti le ore di matematica auf Deutsch, mentre a quelli dell’altipiano scesi a valle è capitata analisi logica auf Italienisch. Mica facile, ma è piaciuto un sacco a tutti, per cui l’anno prossimo si ripete. E l’istituto pedagogico tedesco, supportato dall’intendenza scolastica tedesca, non nasconde: l’intenzione sarebbe di estendere l’esperienza a quanti più istituti possibile, scambiando non solo ragazzi ma pure professori. La normativa lo permette, la pedagogia lo suggerisce, la didattica lo sostiene, la linguistica lo pretende, la politica si sta finalmente cominciando ad inchinare. Non opponendosi.
 Dal punto di vista logistico non è stato per nulla semplice e ci è voluto un gran bel coraggio ma, a ben vedere, le medie Archimede e le medie Hans von Hoffensthal hanno scoperto l’acqua calda: magari all’inizio c’è diffidenza o timore per l’altro, ma i ragazzini non ergono mai steccati e si adattano con entusiasmo in un nanosecondo. Il resto è così semplice da risultare banale: assieme imparano più L2 in una settimana che non nel resto della loro vita, almeno fino a quel momento.
 Intendiamoci: i gemellaggi esistono da tempo. Le medie Archimede, in particolare, sono attive da almeno un quindicennio. E anche il mondo della scuola tedesca è attivo, forse più dell’italiano. Ma finora i gemellaggi funzionavano così: o giornate sporadiche nel corso dell’anno, tipo gite sulla neve. O gemellaggi di qualche giorno, ma a distanza: i tedeschi con una scuola di Firenze, gli italiani con una di Düsseldorf. In entrambi i casi magari funzionavano, ma non potevano avere seguito. Se infatti ci si incontra per un giorno solo, dopo i primi giustificati tentennamenti, quando i ragazzini si sono finalmente sciolti, è già ora di tornare a casa. E qualche contatto, a centinaia di chilometri di distanza, si può anche mantenere, ma non è sufficiente per rendere lo scambio duraturo. E comunque una gita, un soggiorno marino, una settimana all’estero, sono attività extrascolastiche, quasi da tempo libero: la soglia di attenzione è bassina anzichenò. Inoltre - e in tempi di crisi economica non è affatto da sottovalutare - i gemellaggi a distanza costicchiano: bus, treni, alberghi, colonie, assicurazioni e quant’altro.
 E allora ecco l’alzata d’ingegno, tanto semplice che finora non era mai venuta in mente a nessuno: visto che i ragazzini sono tutti quanti dotati di Abo+, l’abbonamento gratuito a tutti i mezzi di trasporto pubblico provinciale, perché non accompagnarli al Renon con la funivia? Costa niente, bastano dieci minuti. Però poi intendenze, istituti pedagogici, collegi docenti e genitori devono accettare (e con entusiasmo, altrimenti non funziona). E si deve organizzare tutto a puntino: un programma triennale, con tre o quattro giornate di reciproca conoscenza in prima media, tipo una caccia al tesoro in centro a Bolzano, o una gita didattica alle piramidi del Renon. Il tutto condito da scambi epistolari, di foto e quant’altro.
 Si sarebbe potuto organizzare fra due scuole omologhe di Bolzano, ma non sarebbe risultato così interessante. Ché oltre a funzionare, come spiega il corpo docente, è stato soprattutto interessante. Per un ragazzino del Renon sono ovvia routine la sciata quotidiana doposcuola o il giretto con l’avelignese di papà. Per un bolzanino non è affatto così. Ma oltre alle differenti dinamiche del tempo libero, molto altro è diverso. Storia, si scopre, non è mica come Geschichte, perché le differenze didattiche sono palpabili e oltremodo interessanti, anche per gli stessi docenti. I ragazzini, però, pare si siano adattati alla velocità della luce. A riprova, si potrebbero citare quintali di frasi dei docenti, ma non occorre mica. La vera dimostrazione che lo scambio ha dato ottimi frutti è un’altra: quando si è scattata la foto di fine esperienza, la classe si è sì divisa in due. Ma mica fra italiani e tedeschi. Come per ogni seconda media che si rispetti: di qua i maschi (misti), di là le femmine (altrettanto miste).
 In aula si è infine organizzato una specie di concorso per scegliere il logo dell’iniziativa. Ancora non si sa chi abbia vinto, ma uno dei loghi proposti mostrava un cartello col segnale di pericolo con disegnati dentro due bimbi. Uno di Bolzano, uno di Renon. O, se si vuole, uno italiano e uno tedesco. Sopra una duplice scritta: Achtung, Amici! Attenzione, Freunde!
Alto Adige 28-2-11
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categoria:cultura
domenica, 27 febbraio 2011



Le scuole clandestine durante il fascismo

SALORNO/EGNA. A soffrire per i veti imposti dal fascismo all’epoca delle Katakombenschulen, le scuole clandestine nelle quali i bambini tedeschi imparavano la lingua madre con l’incubo delle perquisizioni, fu soprattutto la Bassa Atesina, che come ricordano in un libro Milena Cossetto e Letizia Flaim era una realtà plurilingue abituata da secoli a convivenza e rispetto.
 La nuova pubblicazione («Scuole clandestine in Bassa Atesina 1923-1939) raccoglie una serie di testimonianze dell’epoca, ricorda figure come l’avvocato Josef Noldin di Salorno, la maestra Angela Nikoletti di Magré (morì a soli 25 anni e divenne un modello per molti sudtirolesi) o Rudolf Riedl di Egna, altra vittima della repressione fascista, ma soprattutto riesce a trasmettere il clima di quegli anni. La lingua madre - scrive Milena Cossetto - diventava una minaccia: ogni lettera dell’alfabeto doveva stare al suo posto, non si potevano confondere, mescolare le due lingue, le due calligrafie. In quegli anni, in Alto Adige, il sapere, la cultura, ma anche solo la lettura o la scrittura erano diventati nemici. Salvare la propria lingua ha voluto dire ripudiare l’altra lingua, innalzare palizzate e steccati, gli stessi che - per fortuna di rado - ancora oggi troviamo in alcuni angoli isolati della nostra provincia.
 LA NASCITA. L’appello a costituire o frequentare le Notschulen, o scuole d’emergenza, risale al 1923, quando vennero italianizzate le scuole della Bassa Atesina. Il canonico Michael Gamper, presidente della casa editrice Tyrolia e redattore del Volksbote, incominciò a lanciare appelli sul giornale affinché venisse data, comunque, la possibilità di imparare il tedesco alla gioventù sudtirolese. Con l’entrata in vigore della legge Gentile dall’anno scolastico 1923/1924 Gamper sollecitò direttamente la popolazione. «Dobbiamo imitare i primi Cristiani. (...) Di fronte alle persecuzioni si ritirarono all’interno del loro focolare domestico. Lì pregavano e sacrificavano insieme. Quando i persecutori arrivarono anche lì, essi si rifugiarono presso i morti delle tombe sotterranee, nelle catacombe».
 LE PRIME LEZIONI. In Bassa le lezioni private iniziarono nell’autunno del 1923, quando l’avvocato di Salorno Josef Noldin tenne una riunione a casa sua per spiegare alle madri il progetto delle scuole private. Le prime ad attivarsi furono Berta von Gelmini, Theresia Simeoni e Ottilie Dalvai. Noldin - ricorda Letizia Flaim - può essere considerato il promotore delle lezioni private in Bassa Atesina e il rappresentante legale, perché si battè per difendere legalmente sia l’istituzione delle lezioni private, sia le singole maestre, che a causa della propria missione incorrevano in problemi giudiziari. Noldin venne aiutato da Josef Riedl, responsabile dell’organizzazione nella zona di Termeno. Ogni paese aveva un proprio responsabile: Alfons Holzknecht a Egna, Josef Gallmetzer a Ora, Johann Mazagga Montagna, il parroco Sebastian Kröss a Cortaccia, Josef Noldin a Salorno e il parroco Josef Gasser ad Anterivo. A causa delle persecuzioni fasciste, peraltro, questa prima semplice organizzazione dei corsi non è resistita a lungo.
 LA GESTIONE. Per gestire meglio le scuole clandestine e per motivi di sicurezza si pensò di suddividere il territorio in tre circoscrizioni: Bolzano, Bassa val d’Isarco, Bassa Atesina e comuni periferici sotto la direzione di Maria Nicolussi, Bressanone, Alta Val d’Isarco e Pusteria vennero affidate a Richard Holzeis, Merano, Burgraviato e Venosta a Rudolf Mali, noto anche per il suo abbeccedario, utilizzato dalle maestre nelle Katakombenschule.
 LA FORMAZIONE. I primi corsi si tennero a Bolzano. A palazzo Toggenburg vennero “formate“ 24 ragazze, ospitate nell’odierna clinica Santa Maria. Le partecipanti provenivano quasi tutte dalla Bassa Atesina, considerata la particolare urgenza in questa zona di organizzare i corsi di lingua tedesca. Ufficialmente si trattava di un corso di cucito sotto la direzione di Maria Nicolussi. L’anno dopo, sempre per motivi di sicurezza, si decise di formare le giovani maestre a Grado, fingendo che si trattasse di una colonia estiva. Il corso venne interrotto prima del tempo per il sospetto di essere spiati e da allora le giovani maestre si ritrovarono solo in locali messi a disposizione dalla Chiesa.
 MAESTRE & ALUNNI. Una delle maestre, Hildegard Seeber Menghin, non notò mai nei bambini svogliatezza o pigrizia. «Volevano poter leggere anche in tedesco e questo per loro non era un dovere». La Menghin dopo l’anno di formazione a Monaco, dal 1933 al 1934, all’età di 20 anni, iniziò ad impartire lezioni clandestine a Egna e Villa fino al 1940. «Tedesco, solo tedesco. Storia, grammatica...grammatica, a dire la verità poca, solo esercizi». Per evitare che vi fosse concorrenza tra le maestre l’organizzazione stabilì delle regole: i gruppi dovevano essere costituiti da non meno di 3 e più di 6 bambini, le lezioni non dovevano tenersi prima delle 7 e non dopo le 19; i bambini svogliati dovevano essere esclusi; le insegnanti dovevano trattare il programma stabilito. In realtà venivano spesso usate le ore serali, dalle 18 alle 22, e le lezioni si concentrarono giovedì e domenica.
 PERQUISIZIONI. Le frequenti interruzioni dovute alle perquisizioni, le corse per nascondere il materiale didattico, l’ansia di essere scoperti erano deleterie per lo studio e i bambini ne risentivano. C’era persino chi sosteneva che la scuola clandestina non era poi così utile, perché i bambini a causa delle interruzioni e del panico apprendevano poco. Salorno venne considerata dalle autorià fasciste la roccaforte della resistenza sudtirolese per la salvaguardia della lingua e della cultura sudtirolese e nell’archivio comunale si fa cenno alla necessità di «contrastare il focolaio di germanesimo antinazionale».
 CASO SATTLER. Insegnò a Termeno e non venne mai sorpresa durante le lezioni perché i bambini - in caso di pericolo - impararono ad uscire dal tetto della casa. La Sattler doveva stare a casa per i controlli, ma riuscì in realtà ad eluderli facendo vestire una sorella come lei. Quando arrivavano i carabinieri si affacciava alla finestra e gridava “presente“. Nel 1938/1939 venne denunciata e incarcerata a Trento. Nel 1942 uscì di casa in pantofole e grembiule per andare in caserma per una firma: apprese strada facendo che era stata espulsa dall’Italia. I familiari, a Ora, fecero in tempo ad allungarle almeno una valigia. Si era sposata solo da 7 mesi.
Alto Adige 27-2-11
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sabato, 26 febbraio 2011



Dalla Lub 50 ingegneri per le imprese

ANTONELLA MATTIOLI
BOLZANO. L’Università risponde al pressing del mondo dell’economia e, dal prossimo anno accademico, ovvero dall’autunno, parte con il corso, per ora triennale ma l’obiettivo è la laurea magistrale, in ingegneria meccanica. Ieri alla Lub la presentazione della nuova offerta formativa.
È la prima conseguenza del legame che ci è creato tra mondo economico e Lub. Non poteva essere altrimenti visto che presidente del cdu è Konrad Bergmeister, ingegnere-manager-docente universitario, suo vice Pietro Borgo, ingegnere e general manager dell’Iveco, nel consiglio siede anche Nikolaus Tribus, presidente del Tis. «Partiamo - dice il preside di Scienze delle tecnologie Massimo Tagliavini - con ingegneria meccanica, un corso che dà agli studenti basi molto forti in fisica, matematica, meccanica. Il corso è triennale ma puntiamo alla laurea magistrale, ovvero ai cinque anni, in meccanica ed energetica. Saranno ammessi cinquanta studenti. Abbiamo già avviato la fase di reclutamento dei professori: ne serviranno 14».
Tagliavini parla chiaro: «È una facoltà dura che richiede impegno, ma ne vale la pena da tutti i punti di vista. Il mercato del lavoro, soprattutto in Alto Adige, ha bisogno urgente di questo tipo di professionalità».
La richiesta di ingegneri è fortissima: «È il profilo professionale - ha ripetuto più volte in questi mesi il presidente di Assoimprenditori Stefan Pan - più ricercato dalle nostre imprese». Lo stesso vale per le aziende più piccole: «Non troviamo giovani - dice Claudio Corrarati, presidente di Cna - specializzati nelle materie tecniche». Il nuovo corso di laurea porterà vantaggi a tutti i livelli. In termini di offerta formativa, perché si tratta di un corso che non esiste né a Trento né ad Insbruck. Ma anche per gli sbocchi professionali. Secondo Borgo, che ha fortemente voluto il corso, chi si iscriverà ad ingegneria meccanica troverà lavoro ancora prima di laurearsi. Il nuovo corso andrà ad aggiungersi a quello di ingegneria logistica che già oggi viene offerto dalla Lub.
Se il preside Tagliavini ha promosso la nuova offerta formativa della sua facoltà, Giancarlo Succi, preside di informatica, ha snocciolato le cifre che ne certificano il successo: «Dalla facoltà bolzanina escono una quarantina di laureati all’anno e il lavoro lo trovano subito. C’è anche un altro particolare: gli stipendi, in questo settore, sono al top. Da una ricerca risulta che i nostri laureati guadagnano il 45% in più dei colleghi trentini e veronesi. Queste cose i ragazzi e le famiglie devono saperle».
Alto Adige 26-2-11
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categoria:cultura
martedì, 22 febbraio 2011



Imparare divertendosi Torna il campo estivo dell’Eurac per i giovani

BOLZANO. Per gli studenti indecisi su cosa fare al termine dell’anno di lezioni, soprattutto per quelli che vorrebbero continuare a imparare ma non sanno come, arriva la proposta dell’«Eurac junior science camp», organizzato dall’Eurac di ponte Druso. In questa iniziativa i ragazzi, affiancati dagli esperti dell’Accademia Europea, fanno conoscenza con il mondo della ricerca scientifica lontano dai banchi di scuola. Possono partecipare gli studenti delle terze e quarte classi delle scuole superiori italiane e tedesche, con le iscrizioni aperte fino al 30 aprile. Ma cosa si farà? Cercare tracce di Dna come i detective di «Csi» ma anche piante rare e microrganismi che si nascondono nei boschi e fanno parte del nostro ecosistema, questi alcuni dei settori presi in considerazione, perché la passione per la ricerca è il filo conduttore di tutte le attività del camp estivo firmato Eurac junior. I ragazzi analizzeranno immagini satellitari, progetteranno case energeticamente efficienti e le costruiranno in scala ridotta. Ma ci sarà spazio anche per chi ha voglia di scrivere, fotografare, intervistare. I giornalisti in erba lavoreranno al fianco di «colleghi» professionisti alla redazione di una rivista scientifica e in generale ragazzi provenienti da tutto l’Alto Adige potranno sperimentare per una settimana cosa significa fare ricerca. Un’esperienza importante anche in vista delle scelte di studi che affronteranno in futuro.
 E non si impara solo la scienza. Durante la settimana, ragazzi appartenenti ai tre gruppi linguistici parteciperanno insieme a workshop ed escursioni e passeranno insieme il loro tempo libero avendo così la possibilità di di migliorare le loro conoscenze linguistiche. Oltre al laboratorio di scrittura, i temi principali della settimana a base di scienza saranno lingue, genetica, ambiente alpino, energie rinnovabili e telerilevamento. L’Eurac junior science camp si svolgerà dal 19 al 25 giugno al maso Fölserhof a Redagno (Aldino). Per vitto e alloggio è richiesto un contributo di 50 euro. Il modulo di iscrizione è disponibile sul sito http://junior.eurac.edu. Il junior science camp è sostenuto dalla Fondazione Carispa e dalla Provincia.
Alto Adige 22-2-11
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categoria:cultura, giovani
lunedì, 21 febbraio 2011



Patentino, gli esperti: si deve uscire dal monopolio ma senza crearne di nuovi

ALAN CONTI
BOLZANO. Le certificazioni linguistiche devono avere, anche in provincia, la stessa dignità del patentino. E’ forte il messaggio che arriva dalla tavola rotonda organizzata dall’“Azb” l’altra mattina all’hotel “Laurin” che ha riunito in una sala gremita alcuni tra i massimi rappresentanti degli enti certificatori europei. Una realtà, quella altoatesina, che vede l’equipollenza come un punto d’arrivo, ma ancora stenta a farne uno di partenza. Manca, infatti, un’informazione chiara sulle offerte alternative, così come continua il meccanismo per cui documenti riconosciuti in tutta Europa, a Bolzano debbano essere vidimati dall’ufficio provinciale. Dell’altro giorno, inoltre, la firma dell’accordo tra Provincia e centro linguistico della Lub che permetterà anche all’università cittadina il riconoscimento della validità dei certificati. All’orizzonte, intanto, si profila la nuova questione del test linguistico per gli immigrati.
 La prima forte presa di posizione arriva da Oskar Putzer, docente dell’università di Innsbruck e rappresentante dell’ente certificatore tedesco Telc: «Dobbiamo uscire dal monopolio del patentino, ma senza entrarne in un altro che pone come unica alternativa l’attestato del “Goethe Institut”: il panorama è vasto. La struttura dello studio delle lingue, inoltre, negli ultimi anni si sta spostando verso una maggiore competenza comunicativa rispetto alla mera e singola conoscenza linguistica: è la modernità che, forse, non appartiene totalmente all’esame dell’ufficio bilinguismo». Appuntito l’intervento dell’avvocato bolzanino Gianni Lanzinger che seguì in prima persona il caso Angonese da cui nacque la riflessione sulle equipollenze. «In Alto Adige dobbiamo garantire un’effettiva libera circolazione dei lavoratori, con più cultura e meno burocrazia. Evidente come l’obbligatorietà, comunque, di passare attraverso la vidimazione dell’ufficio bilinguismo delle singole certificazioni rappresenti di per sé una limitazione forte alla libertà. Non è un caso che la sentenza “Angonese” abbia attirato l’attenzione di tutta Europa, ma ci sono voluti dieci anni per arrivare all’equipollenza che, di fatto, veniva già sancita da un dispositivo eloquente. Necessaria, inoltre, una sburocratizzazione delle pratiche». La lingua italiana, chiaramente, è ovvia coprotagonista del patentino e gli enti certificatori, in questo caso, si chiamano “Dante Alighieri” e “Cils”. «Mi chiedo - interviene Massimo Arcangeli, responsabile scientifico della “Dante Alighieri” - come sia possibile che in provincia di Bolzano una ragazza laureata in Italia, dopo un percorso scolastico italiano, debba sentirsi dire dall’ufficio bilinguismo che deve dimostrare le sue competenze proprio nella sua lingua. Si tratta di una testimonianza che è stata inoltrata direttamente ai nostri uffici: un’anomalia cui andrebbe posto rimedio». Da Siena, invece, sono arrivati il rettore dell’Università per stranieri Massimo Vedovelli e il professore dell’ateneo toscano Monica Barni, in rappresentanza del “Cils”: «E’ importante che il quadro di riferimento europeo acquisti sempre più importanza perché qui, come su tutto il territorio nazionale, ancora manca una forte cultura e radicamento dell’industria delle lingue». Proprio gli enti italiani, oltretutto, si trovano a dover fare i conti con i test linguistici per gli immigrati, tema al centro della politica provinciale sugli stranieri. «L’importante - l’opinione di Arcangeli - è che ci sia uniformità e standardizzazione tra tutte le regioni del Paese». «L’uniformità - gli fa eco Vedovelli - è un aspetto cruciale, ma quello che mi lascia perplesso di questa soluzione del test è la mancanza completa, sul tavolo della discussione, del capitolo sulla formazione di queste persone». Se le certificazioni tedesche all’interno delle scuole altoatesine ancora faticano a fare breccia, molto meglio vanno gli omologhi inglesi. «E’ anche questione di cultura - spiegano Robert Hill e Rosalind Hunter, rappresentanti dell’ente “City&Guilds” - e siamo molto contenti che nella vostra realtà circa il 70% dei bambini delle primarie riesca ad ottenere una prima certificazione alla fine della quinta. Non si tratta, ovviamente, di un attestato da proiettare subito sul mondo del lavoro, ma è utile comunque a fornire una certa mentalità». Chiusura con Maria Luisa Cama, direttrice dell’“Azb”: «Abbiamo voluto questa tavola rotonda perché ci siamo accorti che in Alto Adige c’è ancora bisogno di chiarezza. Sono tantissime, infatti, le persone che vengono da noi con le idee confuse: chiediamo che l’ente pubblico ci aiuti in questa operazione».
Alto Adige 21-2-11
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lunedì, 21 febbraio 2011



LA FRONTIERA PLURILINGUE

Sul tema caldo della scuola bilingue, immersione e articolo 19 interviene l’ex presidente dei genitori per il bilinguismo.

di Enrico Hell
Nel forum all’Alto Adige, il presidente Durnwalder è ritornato sul concetto che l’immersione linguistica non sarebbe il metodo giusto per imparare la seconda lingua, perché, a suo avviso formerebbe studenti che non conoscono né l’una né l’altra lingua. A riprova Durnwalder cita, a sorpresa, la situazione linguistica delle valli ladine, che invece in genere viene richiamata per dimostrare l’esatto opposto: è straordinario, infatti, sentire sia in Gardena che in Badia ragazzi che non sono né di madrelingua tedesca, né di lingua italiana, parlare fluentemente sia l’italiano che il tedesco, supportati da una scuola bilingue, il cui unico aspetto debole, se proprio lo si volesse trovare, è di insegnare troppo poco la madrelingua ladina. Il punto è che se si vuole innovare davvero l’insegnamento delle lingue occorre cominciare a insegnare le materie in un’altra lingua: è cosi’ che si comincia a fare in tutta Europa e o si fa cosi’ o non si innova.

In Italia è la riforma delle scuole superiori a prevedere l’insegnamento in lingua straniera di una disciplina non linguistica in un gran numero di situazioni. In Trentino, in stretto contatto con il Tirolo del Nord, il cavallo di battaglia è il CLIL, che rappresenta un insegnamento ad immersione pianificato su un numero ridotto di materie. Dunque l’insegnamento in più lingue sembra essere considerato dai più il metodo giusto, mentre l’idea che si possa perdere qualcosa della propria lingua madre e della propria cultura di origine a causa dell’insegnamento bilingue, non sfiora quasi nessuno né in Europa né in Italia, né altrove.
La scuola ad immersione, inoltre, è particolarmente adatta a situazioni in cui si fa oggettivamente uno scarso uso della seconda lingua sul territorio. In quelle situazioni una scuola in cui vi siano materie trattate in diverse lingue può essere uno straordinario contesto d’uso della seconda lingua. I contatti e gli scambi fra scuole inoltre, vengono del tutto agevolati da una scuola ad immersione.
 L’idea di una appartenenza culturale univoca, che trova un limite piuttosto che un arricchimento nel rapporto con le altre culture, sta probabilmente alla base delle prese di posizione dei detrattori della scuola ad immersione. Anche in questo caso l’idea che si sta affermando in Europa e in Italia sembra essere quella opposta, perché viene sempre più sottolineato il valore della contaminazione nella costruzione dell’identità, in contrapposizione all’idea di una identità statica e rigidamente predeterminata. Infine, osserviamo che il potenziamento dell’insegnamento in lingua non materna impone un profondo rinnovamento metodologico e organizzativo non ai soli insegnanti di seconda lingua ma a tutto il sistema scuola. Trattare discipline non linguistiche in seconda lingua, infatti, mette in discussione il metodo degli insegnanti di tutte le materie e il ruolo stesso delle famiglie sul piano del supporto e della motivazione. In definitiva l’immersione linguistica produce un rinnovamento globale dell’intera scuola, che ne guadagna efficacia su tutti i versanti.
 Una politica scolastica che punti al miglioramento della scuola nel suo complesso non dovrebbe quindi trascurare questo beneficio complessivo che l’insegnamento plurilingue comporta e che ricade direttamente sulla qualità del sistema.
Alto Adige 21-2-11
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domenica, 20 febbraio 2011



Pacifismo: al convegno di Bolzano ci sarà anche Hildegard Goss-Mayr

Sabato 26 febbraio, in occasione del ricordo annuale di Josef Mayr-Nusser, il Centro per la Pace del Comune di Bolzano proporrà al pubblico un convegno che avrà luogo presso la Sala di rappresentanza del Comune e vedrà ospiti alcuni importanti protagonisti del coraggio civile contro le dittature e del movimento per la pace. Si tratta di grandi testimoni come Franz Josef Müller, presidente onorario della Fondazione Rosa Bianca (Weisse Rose Stiftung). Ci sarà anche Hildegard Goss-Mayr, simbolo del pacifismo tedesco postbellico: insieme al marito Jean Goss ebbe infatti un ruolo fondamentale per la soluzione di alcuni casi di conflitto in contesti di guerra, oltre che il merito di fondare il Movimento Internazionale per la Riconciliazione (Mir). Al convegno prenderanno parte anche Piero Stefani, uno dei massimi studiosi italiani di ebraismo, e Uschi Teissl Mederer, giornalista attiva nel gruppo austriaco di Pax Christi che ha lavorato per la beatificazione di Franz Jägerstätter, il contadino di Linz che si oppose a Hitler che pure venne processato per la sua opposizione al nazismo e condannato a morte.
Gli ospiti, sollecitati dal coordinatore del Centro per la Pace Francesco Comina e dallo storico Leopold Steurer, cercheranno di approfondire il tema della resistenza nonviolenta al totalitarismo cercando di attualizzarne il messaggio in vista delle sfide che il movimento per la pace si trova ad affrontare anche oggi. Josef Mayr-Nusser, giovane bolzanino presidente dell’Azione Cattolica, morì di stenti su un carro bestiame diretto a Dachau. Il convegno alla Sala di Rappresentanza del Comune prenderà il via alle ore 10. Sarà a disposizione un servizio di traduzione simultanea. Nel pomeriggio i simpatiztutti gli interessati saliranno a Stella di Renon per commemorare Mayr-Nusser.
Alto Adige 20-2-11
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domenica, 20 febbraio 2011



Müller: il mio no a Hitler

LUCA STICCOTTI
Noi non taceremo, siamo la vostra cattiva coscienza, la Rosa Bianca non vi lascerà in pace!». Così si concludeva il quarto dei sei volantini che fecero la storia della più famosa organizzazione della resistenza tedesca. Fu una storia breve che si concluse in maniera tragica: nei giro di 9 mesi, tra il giugno del 1942 e il febbraio del 1943, gli studenti Hans Scholl e Alexander Schmorell scrissero i primi «Flugblätter» contro il regime e li spedirono in forma anonima a intellettuali bavaresi. Subito dopo entrarono a fare parte del gruppo anche Sophie, la giovanissima sorella di Hans, e quindi Willi Graf e Christoph Probst. Il quinto volantino vide la luce all’inizio del ’43 e l’ultimo alla fine dell’anno, quando ormai la Rosa Bianca era stata annientata. Il «testamento» della Rosa Bianca ebbe anche la possibilità di essere diffuso in forma massiva, attraverso il lancio dagli aerei da parte degli alleati. I fratelli Scholl vennero arrestati il 18 febbraio quando tentarono di distribuire il volantino direttamente all’università di Monaco (Sophie ne lanciò alcune copie dal secondo piano lungo le scale). Con loro venne arrestato Probst. Furono incarcerati, torturati e condannati alla decapitazione. Lo stesso destino seguirono i loro compagni più stretti. Solo pochissimi tra questi sopravvissero agli eventi, e tra questi Franz Josef Müller, che sabato 26 febbraio sarà a Bolzano, su invito del Centro Pace del Comune, per portare la sua testimonianza.
Che cosa si prova a essere un sopravvissuto?
Il ricordo più forte che ho è quello del momento in cui mi decisero di trasferirmi in un altro carcere, dopo avermi condannato a 5 anni di reclusione. Prima della partenza mi fecero transitare rapidamente per il cortile dove si trovavano i nostri compagni che erano stati condannati a morte. Sono stati pochi secondi ma non li dimenticherò mai: stavano aspettando, a 30 metri dalla macchina che da lì a poco avrebbe tagliato loro la testa. Non sapevo cosa fare e alle fine dissi «Alles Gute!». Cosa mai si può dire in una situazione di questo genere? Non lo dimenticherò mai...
Cosa vi aveva portato ad aderire alla resistenza?
La città di Ulm, dove sono nato io ed anche i fratelli Scholl, era all’epoca un libera città del Reich che viveva una sorta di autonomia, era una sorta di centro di spiritualità liberale rispetto a Berlino e alla Prussia. Noi poi frequentavamo un liceo classico i cui insegnanti non erano di orientamento nazista e quindi ci spingevano a pensare con la nostra testa. La maggior parte dei cittadini di Ulm erano protestanti, ma anche la minoranza cattolica di cui io facevo parte era molto attiva. A scuola non facevamo religione, ma ci incontravamo privatamente e in segreto con tre sacerdoti. Eravamo una ventina e in un primo momento non parlavamo di politica, ma di cultura. Da lì però scaturirono le nostre idee di opposizione prima e di resistenza poi. Fin da subito ci trovammo in rotta di collisione con la Hitlerjugend. Quindi giunsero i prigionieri dai paesi invasi dalla Germania ed noi avemmo contatti con loro, chiarendoci ulteriormente le idee.
Poi cosa accadde?
Si era creato un corto circuito: molti giustificavano il nazismo con la motivazione di dover sostenere la Germania. Noi non eravamo d’accordo e allora iniziammo a diffondere le nostre idee. Poi, all’inizio del 1943 fu chiaro che la guerra sarebbe stata perduta. E la sconfitta era l’unico modo per uscire dal nazismo, ma anche questo era un concetto difficile da far passare. Venne quindi il momento in cui tutti noi dovemmo andare sotto le armi. Io venni spedito in Francia ed è lì che venni a sapere che Sophie e Hans Scholl erano stati catturati. Cercai di entrare nella resistenza francese ma non fu possibile, venni invece arrestato e rimandato in Germania.
Le argomentazioni presenti nei volantini della Rosa Bianca furono cruciali per la resistenza al nazismo ma contenevano alcune riflessioni che è forse poco definire profetiche...
Eravamo convinti che nazionalismo e militarismo fossero le cause primarie della grande tragedia, e che andassero individuate differenti soluzioni politiche per il futuro. Già nel 1942 scrivevamo così: «Solo attraverso un’ampia collaborazione dei popoli europei si può creare la base su cui sarà possibile una costruzione nuova». E pensavamo ad una futura Germania federale, sognando di estendere il concetto a tutta l’Europa. Per noi le basi della nuova Europa dovevano basarsi su «libertà di parola, libertà di fede e difesa dei singoli cittadini dall’arbitrio degli stati criminali basati sulla violenza». Oggi il federalismo è la più grande garanzia che abbiamo per arginare guerre e nazionalismi, ma va promossa un’idea di Europa che non si limiti agli aspetti economici. Se l’Europa non fa riferimento alla sua cultura, alla sua «storia spirituale», diventa debole, smarrisce le sue motivazioni più profonde. Nella macchina amministrativa europea oggi ci sono decine di migliaia di persone che lavorano sugli aspetti giuridici e sono invece poche decine quelle che si dedicano alla cultura. I diritti che stanno alla base delle costituzioni europee prima di diventare leggi sono cultura e sono sosprattutto il risultato di un lungo percorso fatto di pensiero e tragedie. Dobbiamo tornare lì, riprendere le motivazioni originarie. E non dimenticare.
Alto Adige 20-2-11
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categoria:cultura
sabato, 19 febbraio 2011



Centro di storia regionale: spesa da 350 mila euro l’anno, si parte nel 2012

Entro il 2011 la nomina di direttore e ricercatori, all’inizio del 2012 l’avvio dell’attività di ricerca. È la road-map del Centro di storia regionale (Csr), l’istituto di ricerca presentato ieri dal presidente Luis Durnwalder, dall’assessora Kasslatter Mur e dal presidente della Lub Konrad Bergmeister. Il Csr sarà formalmente un «Centro di competenza» della Libera Università, non legato a una facoltà specifica. I profili per i bandi di concorso saranno preparati dal Comitato scientifico del Csr, l’organismo cui spetta anche la predisposizione delle linee guida della ricerca e la successiva valutazione. Il Comitato sarà anche la garanzia di indipendenza del Csr e sarà composto da un membro a testa delle università di Bolzano, Trento e Innsbruck, uno dell’Archivio provinciale, uno dell’associazione Storia e Regione e due componenti esterni «di chiara fama» (le cui nomine avverranno nei prossimi mesi). Il passo successivo sarà l’indizione del bando europeo per la nomina del direttore, che dovrà corrispondere a rigorosi criteri scientifici. In seguito ci saranno i bandi - sempre europei - per i tre ricercatori fissi. Per singole ricerche potranno poi essere integrati altri ricercatori. La Provincia - ha detto Kasslatter Mur - stanzierà 100 mila euro l’anno per la ricerca, più le spese del personale: in tutto circa 350 mila euro. Altri fondi potranno arrivare da bandi di ricerca esterni. Il Csr si occuperà principalmente di storia contemporanea. Tre i blocchi tematici: la storia regionale «intesa come storia della regione in quanto spazio culturale, risultato di rapporti sociali ed economici», regioni di confine e sviluppo storico della macroregione alpina. Il Csr dovrà anche fare divulgazione: «È importante - hanno detto Durnwalder e Kasslatter Mur - giungere a un’interpretazione scientifica della storia comune dei tre gruppi lingustici che tenga conto delle tre differenti prospettive interpretative, dando conto anche dei risultati delle ricerche internazionali. Si creeranno così i presupposti migliori per una pacifica convivenza fra gurppi linguistici». Al Csr potranno svolgere ricerca anche laureandi e dottorandi. Ieri è stato anche annunciato che storia sarà tra le materie insegnate ai corsi di «studio generale» aperti a tutti che la Lub organizzerà dall’autunno. (m.r.)
Alto Adige 19-2-11
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giovedì, 17 febbraio 2011



La mia proposta: i monumenti diventino vita

La rimodulazione del relievo di Mussolini deve inoltre essere effetuato in modo esemplare facendo si che in futuro altri relitti fascisti possano essere rimodulati in monumenti commemorativi per elaborare e superare una fascia di storia critica.
 La rimozione fisica del rilievo dallo spazio urbano potrebbe verificarsi tramite la realizzazione di un museo all’aperto tenendo conto del modello ungherese, dove molti relitti dell’era communista, supravissuti ai disordini e la caduta del regime, sono stati rimossi e dislocati nella periferia della capitale ungherese in un museo all’aperto. Detto”Memento Park” da l’opportunità di osservare statue e monumenti in un’ambito razionale e di riconoscere nello stesso tempo il loro valore artistico, il tutto accompagnato da informazioni sull’artista, l’anno della realizzazione dell’opera, il luogo originale di provenienza e la descrizzione del motivo rappressentato, e inoltre le circonstanze e il motivo della loro realizzazione. Detta applicazione del modello ungherese ad altri relitti fascisti come lo potrebbero essere gli ossari, per motivi e aspetti etici e religiosi non sono fattibili. Altri relitti come il monumento dell vittoria, per il loro grande volume, sono legati al loro luogo d’origine. Un museo all’aperto di spessore provinciale dislocato in diverse ubicazioni con un concetto uniforme potrebbe essere una soluzione fattibile per sensibilizzare la gente per i postumi dell’era fascista. Come il modello ungherese il o i musei all’aperto potrebbero essere integrati con un museo della storia. Il museo dell’terrore, al centro di Budapest, rende all’visitatore l’opportunità di una veduta totale della storia e del passato nazionalista (Pfeilkreuzler) e communista della nazione per potere capire il grande rischio d’ideologie totalitari. In Alto Adige detto museo potrebbe occuparsi delle ideologie estremiste del fascismo e nazismo le quali hanno influenzato la storia della nostra terra. Potrebbe essere inserito nel concetto anche il “Lager” di Bolzano il quale non deve cadere in oblio.
 Come citato inizialmente, non tutti i relitti, nel caso il concetto venisse prima o poi realizzato, possono essere rimossi dal loro luogo attuale. Inoltre la loro rimozione dal luogo pubblico riquarderebbe solo l’oggetto stesso ma non rimuoverebbe l’ideologia fascista e nazista che purtroppo sono ancora diffusi. Per questo motivo la sensibilizzazione sul luogo sarebbe di fondamentale importanza. La rimozione e lo spostamento dei relitti fascisti sarebbe connesso a costi enormi e inoltre ci sarebbe il rischio di falsificare il carattere dell’oggetto. Per esempio se il monumenti alla vittoria fosse girato di 90°, la dea della vittoria non punterebbe più verso il confine del brennero e per tanto verebbe falsificata il messaggio originario.
 Tenendo conto di questi ragionamenti, prenderemmo in considerazione di lasciare i relitti al loro posto e di integrarli in un ambito museale. Per il relievo di Mussolini la soluzione potrebbe essere di sfruttare le sue caratteristiche architettoniche. Effettivamente il relievo si trova in fondo ad una nicchia di alcuni metri, la quale potrebbe essere chiusa da una struttura in vetro semitransparente e in questo modo verebbe creato uno spazio museale con la concomitanza della chiara divisione dallo spazio urbano.
 Delle passarelle in acciaio a diversi piani darebbero l’opportunità al visitatore di osservare e nello stesso tempo di avere informazioni sull’opera e la storia in modo ravvicinato. Inoltre alcuni locali dell’ex-casa del fascismo, oggi palazzo della finanza, potrebbero essere trasformati in museo per ampliare il concetto. La facciata esterna della vetrata farebbe apparire all’osservatore esterno solo le sagome dei visitatori che stanno caminando sulle passarelle.
 Inoltre sulle grandi vetrati potrebbero essere applicati delle scritte in italiano, tedesco e ladino che si rivolgano contro ogni tipo di ideologia autoritaria e ogni disprezzo del genere umano. Il vetro semitransparente sarebbe da considerarsi uno sipario sulla storia, che pero allo stesso tempo invita a non dimenticare. In questo modo un chiaro distacco dalla storia verebbe ottenuto insieme a una riflessione continua. Di notte dette scritte potrebbero essere illuminate dal retro usando i riflettori attualmente in dottazione per illuminare il relievo del duce. In questo modo il vecchio potrebbero essere abbinato al nuovo e dare in questo modo un contributo alla convivenza pacifica dei tre gruppi linguistici. Detto concetto è naturalmente applicabile anche ad altri relitti fascisti eventualmente anche di dimensione più grandi e in altri luoghi dislocati in Sudtirolo. Tutti questi monumenti verebbero rimossi solo simbolicamente dal luogo pubblico senza doverli forzatamente abbattere e dislocare. Detta rimodulazione sarebbe un contributo importante per la società democratica della nostra terra e un distacco da tutti gli estremismi del passato. Indipendentemente dal bando di concorso che nella nostra opinione è e rimane importantissimo perche adatto a coinvolgere in principio tutta la popolazione nell indirizzare la questione, idee come questa potrebbero essere ulteriormente discusse e sviluppate presso la facolta di design ed arti ponendoli su una base piu scientifica, insieme con la politica e la societa civile territoriale. Crediamo che in questioni di alto interesse pubblico-artistico come questa che sono di loro natura connessi a processi culturali di communicazione e consenso nella sfera pubblica, il potenziale delle enti scientifiche locali potrebbe - e forse dovrebbe - essere usato maggiormente, usufruendo anche e non come ultimo del potenziale di collaborazione tra “maestri” e “studenti”, come uso negli Stati Uniti dove in molti casi processi culturali pubblici che sono allo stesso momento casi di memoria collettiva vengono usati come opportunita di approfondimento storico per le nuove generazioni coinvolgendoli direttamente nei concreti lavori.
Roland Benedikter * Professore di Sociologia Politica all’Università di California a Santa Barbara e alla Stanford University. Ha collaborato Andreas Trenker studente presso la Facoltà di Design a Bolzano  
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martedì, 15 febbraio 2011



«Il 17 marzo l’Alto Adige festeggi l’autonomia»

MARCO RIZZA
Lutz Klinkhammer, storico tedesco che da oltre 10 anni lavora a Roma presso l’Istituto Storico Germanico (e già docente di storia contemporanea nelle università di Colonia e Pavia), autore di alcuni libri fondamentali sul nazionalsocialismo e l’Italia (ad esempio «Stragi naziste in Italia», ed. Donzelli) è stato tra i firmatari dell’appello degli storici sulla monumentalistica fascista in Alto Adige. Ne parliamo in questa intervista, che però non può non partire dalle polemiche di questi giorni sull’assenza della Provincia ai festeggiamenti per i 150 anni dell’unità d’Italia.
 Professor Klinkhammer, la posizione del presidente Durnwalder è stata: alle cerimonie ci vadano gli italiani, noi sudtirolesi (e la Provincia) non abbiamo niente da festeggiare perché nessuno nel 1919 ci ha chiesto di diventare italiani. Lei cosa ne pensa?
 
Questi festeggiamenti non celebrano una data precisa ma un processo. Ricordare oggi l’entità geografica Italia significa celebrare l’unità ma anche l’ordine costituzionale odierno, non quello di 150 anni fa. Il centocinquantenario è un ibrido: da un lato celebra l’unità, dall’altro il punto d’arrivo, ossia la situazione attuale. È chiaro che chi si esprime a favore di valori separatistici o autonomistici può vedere questo festeggiamento con qualche scetticismo, però bisogna dire che i valori dell’autonomia altoatesina raggiunti negli ultimi 20 anni non sono messi in discussione. Quindi oggi si potrebbe celebrare anche in Alto Adige un’autonomia raggiunta dopo un lungo e tormentato processo. All’interno del quale bisogna ovviamente ricordare anche il fascismo, l’italianizzazione forzata ecc: ma si può celebrare l’inizio di un processo che ha portato alla situazione odierna, ossia una autonomia molto ampia. Dopo il 1919 nessuna grande potenza, e nemmeno l’austriaco Hitler, ha più messo in discussione i confini: ma oggi - anche attraversando drammi che vanno sempre ricordati - si è arrivati a un’automonia garantita e i tedeschi dell’Alto Adige sono tra le minoranze linguistiche più tutelate al mondo.
 Quindi l’anniversario va in qualche modo attualizzato...
 
Bisogna vederlo così, altrimenti quasi nessuno avrebbe motivi di festeggiare i 150 anni: per gran parte del Sud fu solo il crollo di una monarchia e l’arrivo di un’altra, Roma nel 1861 non era Italia, il Veneto nemmeno... Il 17 marzo dovrebbe festeggiare solo qualche nostalgico monarchico sabaudo. Sarebbe assurdo, il senso non è questo.
 Lei è stato tra i firmatari dell’appello sulla storicizzazione dei monumenti fascisti. Cosa significa storicizzare?
 
Significa essere ben consapevoli del contesto storico in cui sono nati questi monumenti. Non vederli con anima iconoclasta, che non ha mai portato grandi frutti. L’Alto Adige non è una situazione unica nel mondo, questi problemi si pongono spesso anche in altri contesti: solo che nel caso di Bolzano si sovrappongono vari problemi. Ciò nonostante, l’idea di demolire opere che si riferiscono a epoche passate e che si ritiene di condannare non è certo nuova. Pensiamo agli iconoclasti medievali che distruggevano le sculture nude dell’antichità pagana, o alla Rivoluzione francese, o al nazismo che si disfa dell’entartete Kunst. Sono contrario alla proposta di distruggere per togliersi un pensiero, o addirittura per fare un dispetto.
 Però il rapporto tra noi e il fascismo è diverso da quello tra nazismo e arte degenerata. Nessuno di noi pensa che ci sia da salvare qualcosa del totalitarismo mussoliniano, tantomeno i messaggi di un’opera monumentale. Allora perché non toglierla dalla vista?
 
Naturalmente siamo tutti d’accordo nel non vedere nessun elemento positivo in quel periodo, che ha portato alla alla soppressione della libertà, alla guerra d’aggressione, all’alleanza col nazismo, alla persecuzione antisemita... Ma questo non deve indurci a distruggere tutte le opere prodotte da quei tempi, che possono servire alle giovani generazioni per ricordare quello che è successo. Un memento. Per questo dico che bisogna storicizzare, il che significa investire soldi per realizzare un centro di documentazione. Tra l’altro se eliminassimo quelle opere sarebbe poi difficile capire dove fermarsi nell’eliminazione delle testimonianze del passato.
 È rimasto stupito nel vedere che nel 2011 si parla ancora di monumenti fascisti? In tanti dicono che la questione si sarebbe dovuta risolvere da decenni... In Germania come ci si è comportati in questi anni?
 
In effetti il dibattito oggi un po’ stupisce, ma non si pensi che in Germania si siano risolti tutti i problemi sul lascito monumentale del passato. In Germania è stato più facile perché spesso sono stati i vincitori che hanno indotto i tedeschi a distruggere i monumenti nazisti, quando non lo hanno fatto loro direttamente. Per esempio i tempietti d’onore nazisti messi sulla Königsplatz di Monaco di Baviera vennero fatti saltare in aria dagli americani nel 1947. Però, d’altra parte, la piazza intera fu coperta interamente con un pavimento durante il nazismo e solo alla fine degli anni ’80 questo pavimento è stato tolto e la piazza è tornata al suo aspetto originario di inizio ’800: il dibattito su cosa fare col lascito nazista è durato decenni. Oppure il «colosso di Rügen», di cui non si sa bene cosa fare. In generale il problema è creare luoghi della memoria «attivi», cioè che non diventino luoghi di nostalgia per neonazisti. Un altro caso particolare è quello di Norimberga.
 Per molti Norimberga è un esempio che Bolzano dovrebbe seguire, per quanto riguarda la rielaborazione del passato. Anche per la creazione del centro di documentazione.
 
Le cose non sono così facili nemmeno a Norimberga. Il Reichsparteitaggelände era un complesso così gigantesco che è stato parzialmente riutilizzato nel Dopoguerra, e distrutto solo in piccola parte: si era anche pensato a distruggerlo tutto, ma sarebbe stato come demolire l’Eur a Roma... O prendiamo la Zeppelin-Tribüne: all’interno c’è una grande sala con vasche che venivano usate per il fuoco di tipo olimpico. Una di queste fino a qualche anno fa era usata come piscina per bambini: ecco, questo mi sembra un uso ingenuo, non giustificato. E anche parte della tribuna dovrebbe essere restaurata: ma costerebbe tra i 20 e i 50 milioni e il Comune non sa se spendere tutti questi soldi. La storicizzazione di complessi monumentali così grandi porta problemi pratici, anche se a Bolzano la situazione è oggettivamente diversa. Fregio e Monumento sono più facilmente integrabili in un percorso didattico realizzato dagli storici locali. D’altra parte non si può nemmeno lasciare tutto così come è. Roma ha un esempio significativo, in questo senso.
 Quale?
 
Nel Foro Italico, ex Foro Mussolini, c’è ancora il gigantesco obelisco con la scritta «Mussolini Dux», senza spiegazioni. I visitatori stranieri sono irritati per la visibilità data al regime fascista, tra l’altro in un posto davanti al quale passano tutti i diplomatici stranieri... Qui ci vuole una storicizzazione più adeguata.
 A Bolzano lasciare i monumenti senza spiegazione è, se possibile, ancora più imperdonabile...
 
Sì, la situazione altoatesina è particolare. In ogni senso. Per esempio nella polemica sui monumenti c’è, oltre al rifiuto dell’imperialismo mussoliniano, anche una componente di rivendicazione di libertà tirolese: il che mi sembra una rivendicazione più legata al passato che al futuro. L’italianizzazione forzata c’è stata, ma legare solo a questa la propria rivendicazione identitaria è una visione un po’ piatta della storia. Vedo il rischio di strumentalizzazione dei monumenti anche sul fronte di lingua tedesca: oltre al rischio opposto di confondere l’eventuale ammirazione estetica di un monumento con l’ammirazione del regime che lo creò.
Alto Adige 15-2-11
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martedì, 15 febbraio 2011



L’Unità d’Italia/ Ormai tutti pensano per sè

PAOLO CAMPOSTRINI
La Svp ha deciso: si occuperà solo dei tedeschi. Anche Durnwalder ha deciso: non sarà più il presidente di tutti. Un partito e una giunta hanno scelto di non candidarsi più a governare un territorio unitario ma di gestire la separazione. A pensarci, il problema non è che Durnwalder non festeggi l’anniversario dell’unità d’Italia ma che non abbia mai voluto festeggiare neppure quello dell’autonomia. Ne avrebbe la possibilità. E gli avevano pure offerto alcune date: l’accordo di Parigi, il patto De Gasperi-Gruber, la firma del Pacchetto, la quietanza liberatoria. Tappe fondative di una nostra magna charta della convivenza. Facendo crescere il sospetto che tanta Svp non accetti la prima festa perchè non considera la seconda un’occasione per festeggiare. Sembra preda di un retropensiero: che anche l’autonomia resti solo una tappa di avvicinamento all’autogoverno, un passaggio intermedio verso le magnifiche sorti e progressive di una minoranza che fa una tremenda fatica a vedersi nella rete dei popoli europei e ritiene la propria sorte l’ombelico continentale. Si tratta di una visione identitaria più che politica. Di più: prepolitica.
Di conseguenza non in grado di leggere politicamente passaggi come questo dei 150 anni. Durnwalder potrebbe vedere l’Italia di oggi come un Paese che ha elaborato un patto autonomistico senza uguali nel mondo e dunque onorandolo, onorala. Non vede per la semplice ragione che questo patto per lui ha una valenza inferiore ai 200 anni di Hofer. Perchè è preda del mito e non della storia. Perchè guarda indietro e il suo universo di riferimento è rimasto ibernato al 4 novembre 1918 e a quella vigilia vorrebbe tornare. Non vuole celebrare perchè non riesce a scindere l’Italia di Mussolini e Tolomei da quella di Moro; la patria dello Statuto Albertino da quella dello Statuto di autonomia; il Paese centralista scelbiano da quello che ha prodotto da Costituzione repubblicana e la tutela in profondità delle minoranze.
 Con una serie di conseguenze che dal mito ci fanno piombare nella realtà. 1) La prima è che così facendo, Durnwalder certifica la divisione della nostra società. E lo fa con precisione scientifica: qui qui gli italiani, di là i tedeschi. 2) Ribadisce la scomparsa di un luogo unitario (la giunta, la presidenza della Provincia) capace di tenere sotto il suo ombrello le diverse sensibilità. Di coprirle e valorizzarle, senza necessariamente condividerle. Come avviene nelle democrazie mature e dovrebbe accadere in una autonomia consolidata. 3) Straccia la sostanza e in gran parte la forma del dettato statutario. Perchè il Pacchetto non è solo una legge di rango costituzionale. E’ di più: un patto tra due popolazioni. Che accettano la democrazia (e dunque le regole della maggioranza) solo alla condizione che essa protegga la minoranza nazionale rispetto allo Stato centrale e che, a specchio, difenda la minoranza nazionale italiana dentro i confini provinciali dalla forza dei numeri dei sudtirolesi divenuti maggioranza territoriale. Un patto che le istituzioni autonomistiche sono tenute a incarnare proprio nel momento in cui sono in grado di non agire solo in rappresentanza etnica ma, appunto, territoriale. La giunta dovrebbe essere la nostra giunta, non la loro. Non è stato così: Durnwalder non si è mosso da presidente ma da primo rappresentante del gruppo etnico tedesco e leader Svp. E, quel che è più grave, la Svp ha deciso di restare un partito etnico. Di non più assumersi la responsabilità di incarnare la complessità ma di gestire l’ordinario.
 Gli italiani prendono atto. Non hanno i numeri per scalfire un potere ormai etnicizzato ma possono inziare ad attrezzarsi per affrontarlo. Per difendere, più che l’identità di un singolo gruppo, la possibilità che tutti i gruppi possano sentirsi a casa loro. E’ un compito che potrebbero condividere con la Svp. Se solo volesse.
Alto Adige 15-2-11
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martedì, 15 febbraio 2011



Licei: via libera a cinque indirizzi

ANTONELLA MATTIOLI
 BOLZANO. Via libera della giunta provinciale, ieri, a cinque indirizzi per altrettanti licei. L’indirizzo sport al liceo scientifico «Toniolo», musicale e sociologia del territorio al liceo «Pascoli», linguistico al liceo linguistico «Marcelline», nutrizionale al liceo «Pertini».
 Si tratta in sostanza dell’ufficializzazione con delibera di quanto già avviene oggi ma a livello sperimentale. «Le cinque opzioni - spiega la sovrintendente Nicoletta Minnei - entrano così a pieno titolo nella riforma scolastica che in Alto Adige scatta in autunno».
 MUSICA. Al liceo delle scienze umane e artistiche «Pascoli» l’indirizzo musicale è partito in autunno a livello sperimentale. A volerlo, fortemente, la dirigente Laura Canal: «Si sono iscritti in venti, ma c’è già stato qualche abbandono. Qualcuno pensava che il nuovo indirizzo fosse una sorta di «Amici» in salsa scolastica, si è trovato davanti ad una realtà completamente diversa: il liceo ad indirizzo musicale è molto impegnativo, perché unisce lo studio delle materie tradizionali a quello della musica». Da sperimentale l’indirizzo musicale viene dunque ufficializzato ed entra nella riforma. Ma l’obiettivo della dirigente resta la creazione di un liceo musicale. Al Pascoli, dall’autunno, gli studenti troveranno anche un’ulteriore offerta: sociologia del territorio nell’ambito di economia sociale.
 SPORT. Al liceo «Toniolo» l’indirizzo sportivo, introdotto a livello sperimentale, entra a pieno titolo nella riforma e subisce qualche leggero ritocco a livello di materie. «Ad esempio - spiega il dirigente Esio Zaghet - la fisica si studierà già a partire dal primo anno». Il «Toniolo» ha 125 iscritti, in gran parte si tratta di studenti-atleti, ma non solo. «La nostra scuola consente ai ragazzi di conciliare le esigenze scolastiche con quelle sportive. Da noi si è diplomata anche l’olimpionica dei tuffi Tania Cagnotto».
 NUTRIZIONE. Al liceo «Pertini» l’indirizzo nutrizionale che c’è già. Ma il «Pertini», con l’applicazione della riforma, dall’autunno cambia pelle: da istituto tecnico per attività sociale ad indirizzo economico dietistico diventa liceo delle scienze umane economico sociale con opzione scienze dell’alimentazione. La scuola storicamente solo serale, dall’autunno 2010, è diventata anche diurna con 19 studenti. Complessivamente sono 65. Il nuovo liceo manterrà il doppio «binario»: diurno e serale. «Non puntiamo ad aumentare gli studenti - spiega la dirigente Fiammetta Bada - ma vogliamo contribuire a migliorare la formazione dei nostri ragazzi che, a conclusione dei cinque anni di studi, diventano una figura intermedia tra il medico, il dietista, l’infermiere».
 LINGUE. Soddisfatta la dirigente del liceo linguistico Marcelline Antonella Biancofiore: la sua scuola manterrà le attuali quattro lingue straniere. Ovvero, inglese, francese, spagnolo e russo. La cosa non era del tutto scontata, visto che la riforma prevede per i licei linguistici tre lingue straniere.
 La giunta, nella riunione di ieri, ha inoltre fissato per ogni direzione scolastica la la possibilità di usare il 20% del monte orario annuale di ciascuna disciplina, per promuovere progetti interdisciplinari e realizzare speciali “curvature” dei percorsi scolastici. «La riforma - commenta il dirigente Zaghet - è una grande occasione per rinnovare la scuola. La possibilità di realizzare percorsi ad hoc consentirà anche di migliorare e aumentare l’offerta».

Le novità della riforma in Fiera Studenti invitati a partecipare

BOLZANO. Sarà tutta dedicata alla riforma della scuola superiore e della scuola professionale in Alto Adige la terza edizione di Futurum, la fiera biennale della formazione, in programma da giovedì 17 al 20 febbraio nei padiglioni fieristici di via Buozzi a ingresso libero (ore 9-18).
 «Studenti e genitori sono invitati a conoscere le novità del prossimo anno scolastico per poter poi scegliere con maggiore consapevolezza l’indirizzo di studio superiore» ribadiscono gli assessori provinciali Christian Tommasini, Sabina Kasslatter Mur, Florian Mussner e Hans Berger. La terza edizione si concentra sulla riforma del secondo ciclo di istruzione e formazione (scuola superiore e scuola professionale).
 Per questo motivo alla Fiera si presentano solo le diverse tipologie degli istituti superiori e professionali, affiancati dagli esperti dell’Ufficio assistenza scolastica e dell’Ufficio orientamento scolastico e professionale.
 La riforma entrerà in vigore all’inizio dell’anno scolastico 2011/2012 ma va ricordato che il 31 fine marzo scadono i termini di iscrizione alla scuola superiore: per questo Futurum propone a studenti di terza media e delle prime classi superiori, ma anche ai genitori, una panoramica complessiva sulla nuova offerta degli istituti superiori e della formazione professionale. Così Tommasini: «Siamo l’unica provincia italiana a non aver effettuato tagli: nè al personale, nè ai fondi. La nostra priorità era creare un sistema più funzionale, efficace e qualificato, razionalizzando e migliorando l’offerta didattica; il tutto mettendo sempre lo studente al centro di ogni decisione e coinvolgendo tutte le parti del nostro territorio. Siamo assolutamente certi - conclude - di avercela fatta».

Alto Adige 15-2-11
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lunedì, 14 febbraio 2011



La Valle a Bolzano «Ai giovani diciamo viva la Costituzione»

BOLZANO. Raniero La Valle è stato un giovanissimo direttore de L’Avvenire d’Italia di Bologna, per il quale all’inizio degli anni Sessanta scrisse le cronache del Concilio Vaticano II. Dal 1976 al 1992 è stato parlamentare nella Sinistra Indipendente. Attualmente è presidente dei Comitati Dossetti per la Costituzione e direttore di “Vasti - Che cos’è umano? Scuola di ricerca e critica delle antropologie”. Mercoledì 16 febbraio, presso il Centro Lovera di Bolzano, alle ore 20.30 La Valle presenterà il suo ultimo libro Paradiso e libertà (Ed. Ponte alle Grazie), che forma una ideale trilogia con Prima che l’amore finisca (2003) e Se questo è un Dio (2008). Al centro del libro c’è l’ immagine “nuova” dell’uomo, quale è stata riconosciuta dal Concilio Vaticano II, quella che partecipa della dignità e della libertà stessa di Dio. Il libro sollecita una svolta culturale e antropologica necessaria per la trasformazione della nostra società. Lo abbiamo intervistato. (f.b.)

di Fabio Bonafè
 Quale è oggi la situazione della Chiesa rispetto al messaggio di rinnovamento portato quasi 50 anni fa dal Concilio Vaticano II?
 La Chiesa non ha ripreso questo straordinario annuncio del Concilio e anzi dicono le sue autorità che il Concilio non ha cambiato nulla. Allora sarebbe come se il Concilio non ci fosse stato, la Chiesa si ridurrebbe a quella che sta nel museo della setta di mons. Lefebvre, e l’uomo moderno sarebbe perduto.
 A volte sembra che la Chiesa cattolica in Italia sia diventata una costola del “berlusconismo”, è così?
 
La Chiesa in Italia è responsabile del fatto che il modello devastante del berlusconismo continui a essere il modello ufficiale dell’etica civile e della moralità privata in Italia. La forza di corruzione della ricchezza di Berlusconi sta inquinando l’intero sistema politico e sociale italiano. Denunciare la potenza corruttrice della ricchezza non è moralismo ma è Vangelo. Il rischio è che la Chiesa resti forte nei rapporti col potere, ma che a molti faccia perdere la fede. Allora diventa inutile che quel potere somministri soldi alle scuole cattoliche o neghi diritti ai senzamatrimonio, perché di questo passo non ci saranno più genitori interessati all’educazione cristiana dei figli e saranno sempre meno le coppie interessate a un matrimonio religioso.
 Cosa serve oggi per costruire una alternativa al berlusconismo?
 
Serve la Costituzione, non solo riabilitata, ma attuata, proseguita e amata. Serve che la politica sia restituita alla sua finalità di utilità sociale, e sottratta alla logica dello scambio che è, nella vita pubblica, un altro nome della corruzione. Se io voto per un candidato premier perché promette di togliermi l’ICI, questa è corruzione. Ma anche dare in Parlamento il voto a un governo in crisi, perché darà qualche privilegio alla mia provincia, è uno scambio non accettabile. Il Presidente Durnwalder può decidere di non partecipare alle celebrazioni dell’unità d’Italia; ma allora i suoi deputati, che non sentono attrazione per l’Italia, non dovrebbero salvare con i propri voti un governo che per l’Italia è una rovina.
 Lei aveva 15 anni quando l’Italia diventò repubblica, cosa significava diventare “repubblicani” allora e cosa significa esserlo oggi?
 
A quindici anni ancora non sapevo che la Repubblica, e la Costituzione, volevano dire liquidare le filosofie che avevano teorizzato la disuguaglianza, e affermare l’eguaglianza di tutti gli esseri umani come principio giuridico supremo; significavano ripudiare la guerra che era stata compagna di tutta la storia umana; significavano sottomettere la sovranità ai vincoli del costituzionalismo e al diritto internazionale, alle rinunce necessarie per costruire un ordinamento di pace e di giustizia. Ieri non lo sapevo; oggi lo so e perciò credo che la Repubblica e la Costituzione siano i beni più preziosi che sul piano della vita pubblica io abbia conosciuto, e che vorrei trasmettere intatti alle nuove generazioni.
Alto Adige 14-2-11

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sabato, 12 febbraio 2011



Con “UniWorld” si scopre l’università bolzanina


BOLZANO. La Lub, l’Università di Bolzano, diventa protagonista di una serie di approfondimenti televisivi, a partire da domani nel magazine mattiniero “Passpartù”, in onda su RaiTre dalle ore 9.45 circa. S’intitola infatti “UniWorld” la serie di cinque trasmissioni, prodotte e girate dalla società bolzanina di cineoperatori PR Video in collaborazione con la Lub e con la Rai. L’idea è nata perchè si riteneva che molti bolzanini siano ancora poco informati sul “mondo della Lub”, e “UniWorld” mira quindi ad avvicinare l’università ai cittadini e i cittadini all’università, attraverso una serie di filmati. Si scopriranno così le facoltà, alcuni docenti, si vivrà la vita di uno studente della Lub, si scopriranno i progetti portati avanti dalle varie facoltà.
 Il conduttore Paolo Mazzucato, insomma, accompagnerà i telespettatori alla scoperta del mondo universitario bolzanino. La prima delle cinque puntate, domani alle ore 9.45 circa su RaiTre, vedrà il rettore Walter Lorenz “accompagnare” i telespettatori nella Lub spiegando le caratteristiche principali sulle quali si è sviluppato il profilo dell’ateneo, tracciando un bilancio della pratica del trilinguismo nelle attività didattiche e parlando della vita universitaria di docenti e studenti.

Alto Adige 12-2-11
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venerdì, 11 febbraio 2011


Leonardo Sciascia

Se il passato non passa mai usiamo diritto e storia come antidoto ai fascismi

Leonardo Sciascia scriveva che il passato, il suo errore, il suo male, non è mai «passato» e aggiungeva che occorre sforzarsi continuamente nell’impegno di comprenderlo e giudicarlo nel presente. Credere in un «passato che non c’è più» appariva allo scrittore il segno di «una profonda stupidità». Il passato c’è sempre, come i suoi errori, come il suo male. «Il fascismo - scriveva Sciascia - c’è sempre». Nell’immediato secondo dopoguerra Vittorio Emanuele Orlando avvertiva che il fascismo aveva immesso una «tabe ereditaria» nel modo di pensare dei contemporanei: il lascito del regime consisteva per Orlando in questo ultimo boccone avvelenato che si apprestava a inquinare il tempo a venire. In questi giorni a Bolzano il dibattito pubblico è occupato dal pathos per la simbologia fascista sul frontone di piazza Tribunale, è occupato dal fascismo sui monumenti, sui frontoni e sulle scritte. Così ci dimentichiamo del fascismo che vive nelle teste, nel modo di pensare, nel modo di pensare la politica e il diritto: il contagio che paventava Orlando più di mezzo secolo fa, si è avverato. La disaffezione per ciò che è pubblico, la disaffezione per ciò che è comune, l’arroganza dei regnanti che pretendono di convertire l’interesse personale in interesse comune, prospera indisturbato mentre il dibattito pubblico è occupato da una simbologia, che vive ancora, seppur in un curioso processo di inversione: il simbolo sostituisce la realtà, continua a sostituire la realtà.
 Il regime ha preteso di convertire l’ingiustizia in giustizia, di tramutare per incanto il crimine in diritto, di piegare la storia ai propri fini. Oggi, sotto altre forme e in un tempo diverso, assistiamo quotidianamente ad atteggiamenti simili: la malattia ereditaria si è perpetuata. Dai vertici della politica nazionale ai dibattiti nei consigli comunali si ripete la seguente idea: chi è eletto dal popolo agisce in nome del popolo e dunque, rappresentando il popolo, può fare quello che vuole, approvare le leggi che vuole, riscrivere la storia e sovrastare il diritto.
 Semplice idea, troppo semplice, che si diffonde come un cancro sopra la società civile e contiene un germe totalitario: chi vince le elezioni, chi detiene il potere, chi detiene la forza, scrive il diritto, scrive la storia, indica alla società cosa la società deve essere.
 Sulle pagine di questo giornale (7 febbraio) la stringente esigenza di comprensione del passato è stata espressa con lucidità dal presidente di «Italia Nostra», Umberto Tecchiati nel suo accorato appello alla «seria ricerca scientifica» e alla sua divulgazione. Come diceva Sciascia, il passato non passa mai, è sempre presente: è il presente. Diritto e storia hanno in comune di non essere di parte, di non essere nella disponibilità del potere, di appartenere a una società e non ha una sua parte esclusiva. Diritto e storia sono gli autentici luoghi della democrazia: regimi di ogni sorta hanno cercato di rimuovere l’uno e l’altra. Tuttavia resistono. E sono comuni.
Alto Adige 11-2-11
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giovedì, 10 febbraio 2011



Gli storici altoatesini «L’Istituto di ricerca sia indipendente»

Sarà presentato entro fine mese il nuovo Istituto di ricerca storica atteso da anni. Si chiamerà «Centro di storia regionale - Zentrum für Regionalgeschichte». La sua creazione era stata preannunciata qualche settimana fa su questo giornale dall’assessora alla cultura tedesca Sabina Kasslatter Mur. A presentare l’Istituto sarà il presidente Luis Durnwalder, il che conferma quante aspettative stia suscitando questo progetto. L’assessora Kasslatter non svela molti segreti («ne parlerà il presidente»). Conferma che l’impostazione sarà quella già anticipata - comitato scientifico composto da studiosi locali e di fuori provincia, organigramma composto da un direttore e un piccolo team di ricercatori - ma rivela che con ogni probabilità sarà aggregato alla Libera Università: «Ci sono state trattative anche con l’Eurac - dice - ma verosimilmente ci rivolgeremo alla Lub».
 Nel frattempo però la principale associazione di ricerca storica attiva in Alto Adige, ossia «Storia e regione», scende in campo per indicare quali dovrebbero essere a suo dire le caratteristiche dell’Istituto. Il punto di partenza, sostengono gli storici, è che «il dibattito pubblico attualmente in corso attorno ai monumenti di epoca fascista in Alto Adige / Südtirol testimonia quanto gravi siano le carenze culturali, e di riflesso politiche e civili, connesse alla mancanza nella nostra provincia di un’istituzione che si occupi continuativamente, in maniera scientifica e con un’adeguata dotazione di mezzi di ricerca storica». Da qua le proposte dell’associazione per la creazione della nuova istituzione. Il primo punto è l’indipendenza: «La qualità del lavoro di un istituto di ricerca storica dipende anche dalla possibilità di operare in piena autonomia dalla politica. Essendo però evidente come le risorse finanziarie dell’istituto debbano provenire in larga parte da finanziamenti pubblici, pare proponibile un modello - già collaudato altrove - per cui le linee di fondo dell’attività di ricerca vengano discusse, su base paritaria, all’interno di un accordo di programma tra enti finanziatori e istituto».
 Per quanto riguarda l’attività scientifica, «temi, metodi e risultati del lavoro devono essere tali da reggere il confronto con gli standard internazionali di ricerca. Sotto il profilo istituzionale, diventa essenziale la presenza di un comitato scientifico in larga parte indipendente dagli enti finanziatori e composto da studiosi di riconosciuto prestigio, provenienti anche da fuori provincia». Ma all’attività di ricerca va affiancato «un attento lavoro di divulgazione, che però deve partire da lavori preliminari che rispondano a canoni scientifici». Per la qualità dei risultati, inoltre, «è necessario poter pianificare il lavoro su scala almeno triennale».
 «Storia e regione» pensa inoltre che «la qualità del lavoro svolto dipende anche dalla presenza di un nucleo consistente di personale fisso, con la possibilità di coinvolgere personale a progetto. In questo senso, la configurazione minima che si può ipotizzare è un modello 1-3-1, con un direttore, tre ricercatori e un adetto all’amministrazione. L’aggregazione a un ente di ricerca già esistente garantirebbe sinergie importanti». Sia nella composizione del personale che nella scelta dei temi va poi garantita «un’adeguata rappresentanza di tutte le componenti linguistiche e culturali della società locale». Si apre poi la questione dei finanziamenti. Per «Storia e regione» «l’esistenza dell’istituto non deve pregiudicare, anche sotto il profilo finanziario, la possibilità per enti e associazioni che si occupano di ricerca e divulgazione storica di proseguire la propria attività, al fine di garantire un sano e democratico pluralismo». Su questo fronte però si apre una partita complessa. Non solo per «Storia e regione» che, dice Kasslatter, «probabilmente entrerà nel comitato scientifico dell’Istituto, perché sono tra i più bravi che abbiamo», ma in generale per chi si occupa di ricerca storica: «Penso che non dobbiamo creare doppioni, quindi servirà una riflessione».
Alto Adige 10-2-11
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mercoledì, 09 febbraio 2011



La Lub si fa conoscere in televisione

BOLZANO. Se, chi legge il giornale lo sa bene, ultimamente in ambito studentesco le acque sono un po’ agitate nell’ambito della Lub, l’Università di Bolzano, ora l’ateneo provinciale diventa protagonista di una serie di approfondimenti televisivi, a partire da questa domenica 13 febbraio, nell’ambito del magazine mattiniero “Passpartù”, in onda su RaiTre dalle ore 9.45 circa. S’intitola infatti “UniWorld” la serie di cinque trasmissioni, prodotte e girate dalla società bolzanina di cineoperatori d’alta professionalità “PR Video”, in collaborazione con la Lub e con la Rai. L’idea è nata, in PR Video, da una considerazione: se si chiedesse cosa si studia alla Lub, quali facoltà ci sono, come funzionano i corsi di laurea, quali prospettive offre una laurea alla Lub, probabilmente ancora oggi la maggior parte dei cittadini della provincia di Bolzano non saprebbe rispondere. “UniWorld” mira quindi ad avvicinare l’università ai cittadini e i cittadini all’università, attraverso una serie di filmati, in formato di “magazine”, che raccontano l’università bolzanina. Si scopriranno così, anche in rubriche, le facoltà, alcuni docenti, si vivrà lo spaccato della vita di uno studente, italiano o straniero, della Lub, si scopriranno i progetti portati avanti dalle varie facoltà.
 Il conduttore Paolo Mazzucato, insomma, accompagnerà i telespettatori alla scoperta del mondo universitario bolzanino, nella rubrica “UniWorld”. La prima delle cinque puntate, come detto domenica 13 febbraio alle ore 9.45 circa su RaiTre, vedrà il rettore Walter Lorenz “accompagnare” i telespettatori nella Lub spiegando le caratteristiche principali sulle quali si basa e si è sviluppato il profilo dell’ateneo, tracciando un bilancio della pratica del trilinguismo nelle attività didattiche e parlando della vita universitaria di docenti e studenti. La puntata in onda la domenica successiva sarà dedicata alla facoltà di scienze e tecnologie informatiche e seguirà poi la presentazione della facoltà di scienze della formazione e, via via, delle altre facoltà.
Alto Adige 9-2-11
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mercoledì, 09 febbraio 2011



IL CITTADINO DURNWALDER

PAOLO CAMPOSTRINI
Ai sudtirolesi non può essere chiesto di amare l’Italia per legge. Ma sono state proprio le leggi di questa Italia che hanno consentito a tre generazioni di altoatesini di amare la terra che li ha accolti e ad altrettante di sudtirolesi di godere di un autogoverno senza pari. Ed è questa l’Italia che ricorda i suoi 150 anni. Non solo quella di Vittorio Veneto; non certo quella di Tolomei. Non necessariamente quella di Bezzecca o di Solferino. E’ un’Italia che ha saputo farsi amare perchè tenta di riannodare i fili che uniscono chi ci vive oggi. Che sono la democrazia conquistata con la Resistenza e non imposta dalla pace dei vincitori come a Vienna; il rispetto delle minoranze politiche; il coraggio di (con)cedere pezzi del proprio potere in nome della pacificazione dei suoi confini. Ci possiamo riconoscere in tanti in questa Repubblica. Anche chi non l’ha mai amata. Anche i sudtirolesi. Perchè non è più neppure la Repubblica di De Gasperi: quella di una democrazia ancora giovane che tentava di chiudere i tedeschi tra l’incudine dello Stato centralista a Bolzano e il martello dei trentini nella Regione del primo Statuto. E’ la Repubblica del Pacchetto.
Che ha perduto consapevolmente grandi porzioni di governo del territorio in nome di un alto concetto di democrazia. Sostanziale, non formale. Che ha scelto di perdere consensi per i suoi partiti-guida sapendo di riversarli sulla Svp di Magnago e Benedikter. Che ha concesso denaro e tasse.
 In questa Italia tutti possono riconoscere una parte di sè. Perchè è un’Italia che ha scelto di includere le sue articolate esperienze formative, non di eleggerne una da imporre erga omnes. Dentro la democrazia repubblicana ci stanno Garibaldi e Rosmini, don Sturzo e Spadolini, i morti di Marzabotto e i martiri di Belfiore, Magnago e Mayr Nusser, le missioni di pace degli alpini e le libere università. A Durnwalder sarebbe bastato scegliere una di queste. Perchè l’Alto Adige di oggi non esisterebbe senza questa Italia. E neppure lui. Dice la Bibbia: se solo uno di voi crederà in me, io salverò tutti voi. E’ difficile pensare, mutatis mutandis, che Durnwalder non riesca a farsene piacere neppure una di quelle esperienze. E in nome suo, riconoscere nell’Italia 2010 qualcosa da salvare. Per consentire a tutti noi almeno di esserci, a Roma quel giorno. Non in quanto sudditi ma in quanto cittadini.
 Il cittadino Durnwalder. Come nella Francia repubblicana. Non avrebbe di che vergonarsi il Landeshauptmann: lui è libero di andarci o no. E’ libero di starsene a casa sua il 17 marzo. Di dire quello che vuole. Ma come cittadino. Come presidente no. Non avrebbe dovuto. Perchè rappresenta una istituzione nata da questa Repubblica. E esserci, a Roma, avrebbe significato non solo onorare la Repubblica ma anche onorare l’istituzione Provincia. Per questo Durnwalder ha sbagliato. Perchè rappresenta tutti i cittadini e gli tocca di interpretarne le diverse sensibilità. E’ chiamato a questa incombenza per il ruolo che riveste non per scelta ideologica. Il suo trisavolo forse ha combattuto a Bezzecca, contro le camicie rosse; forse, come i Bossi Fedrigotti, è stato raggiunto al fronte da una lettera da Falzes in cui gli si chiedeva: «amore mio, uccidi Garibaldi». 130 anni dopo, nessuno chiede a Durnwalder di amare Garibaldi. E neppure di festeggiarlo. Gli si chiede semplicemente di stare al suo posto. Di fare il presidente di una provincia che deve molto all’Italia di oggi, se non a quella di allora. Di assumersi la responsabilità politica di rappresentare i suoi amministrati. Sbaglia la Svp a non distinguere tra partito e istituzione. Anche Berlusconi sa che deve muoversi il 25 aprile. Anche Spagnolli si è mosso per andare a Innsbruck, il giorno delle fantasmagoriche celebrazioni hoferiane. Perchè la Svp riconosce oggi in Hofer non il combattente sanfedista ma il progenitore dell’autonomia. E in nome dell’autonomia anche gli italiani rispettano Hofer. E sanno distinguere tra l’uso che ne fanno gli Schützen e il suo ruolo nell’Alto Adige di oggi. Ecco, per questo la Provincia avrebbe dovuto essere a Roma. Per la stessa ragione per cui alcuni italiani che rivestivano ruoli istituzionali sono andati a Innsbruck quel giorno. Per rispetto non per amore.
Alto Adige 9-2-11
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martedì, 08 febbraio 2011



Polo bibliotecario pronto nel 2016

ALAN CONTI
BOLZANO. Un organismo tripartito gestito da un ente dalla doppia testa, provinciale e comunale: questo il piano di gestione del polo bibliotecario di Bolzano presentato ieri sera in un incontro informativo all’università. Ad annunciare la gestione bipartita è l’assessore provinciale ai lavori pubblici Florian Mussner: «Vogliamo creare un ente ex novo, a metà tra Provincia e Comune, che possa coordinare al meglio i singolo gruppi di lavoro interbibliotecari che si andranno a formare».
 Nell’edificio di via Longon che oggi ospita il liceo classico “Carducci”, infatti, troveranno la loro sede la biblioteca provinciale tedesca”Tessmann”, l’italiana”Claudia Augusta” e la civica “Cesare Battisti”. Tutto pronto nel 2016, con un investimento da 67,8 milioni di euro. Entusiasta della proposta è anche l’assessore comunale alla cultura Patrizia Trincanato: «La formula di gestione bipartita mi sembra la soluzione più convincente per tutti». Davanti a un parterre de roi composto da moltissimi assessori, consiglieri comunali e circoscrizionali sono intervenuti sul progetto gli assessori provinciali alla cultura italiana Christian Tommasini e Sabine Kasslatter Mur, il presidente Luis Durnwalder e il sindaco Luigi Spagnolli. Proprio i due assessori sono tornati sul capitolo della gestione «sinergica, così come l’intera opera servirà ad avvicinare il mondo di ragazzi e studiosi italiani e tedeschi». Organizzazione che finisce nella lente del primo cittadino, non senza una puntura a Durnwalder: «Dal vicino Trentino abbiamo molto da imparare. Va bene la gestione sinergica, ma perché ancora non abbiamo un sistema di catalogazione comune? Non possiamo pensare a una sola testa che comandi il polo, altrimenti non arriveremo mai a un accordo, ma servirà un’insieme di forze. Auspichiamo, infine, che tutto questo comporti un vero risparmio rispetto all’organizzazione bibliotecaria di oggi».
 Pronta la risposta del presidente della Provincia: «Saremo così intelligenti da creare un’opera davvero comune. L’occasione è favorevole, anche per ampliare la Tessmann e togliere la civica dall’affitto. Avremmo un’unica amministrazione, con realizzazione di comitati scientifico per i gruppi linguistici, e un unico cda. Se non siamo in grado di fare una gestione unica nemmeno iniziamo. In totale, comunque, avremo 7 piani, due interrati e cinque in superfice, con 105.000 metri cubi di cubatura. Vogliamo iniziare i lavori il prima possibile». A presentare nel dettaglio il progetto dell’architetto bolzanino Christoph Mayr Fingerle è stato l’ingegnere Maurizio Patat, responsabile di progetto: «La posizione urbanistica è veramente strategica, vicina alle scuole. Si prevede, inoltre, la chiusura di via Longon al traffico veicolare. Avremo due fronti equivalenti, uno su Corso Libertà e l’altro su via Diaz che convergeranno in un unico cuore centrale con un sistema di percorsi interni. I volumi saranno sfalsati con creazione di piattaforme come fossero libri casualmente sovrapposti». Le biblioteche, come detto, saranno tre, ma diversi spazi saranno in comune: «La restituzione libri, il forum, la caffetteria, il forum, la zona all’aperto, lo spazio per giovani e per bambini. “Claudia Augusta” e civica coesisteranno al primo piano (la “Battisti” in parte al terra), mentre al secondo troveremo la Tessmann, collegata al cuore con scale verticali».
 Dal centro, in pratica, si avrà una percezione unitaria del complesso. «Esatto. Al terzo piano, invece, si concentreranno le sezioni scientifiche delle tre biblioteche e al quarto l’amministrazione». Si passa, poi, ai piani interrati compartimentati: «Al primo la zona conferenze - continua Patat - 30 posti auto, locali tecnici e, infine, al secondo i magazzini». Ultima riflessione sul sistema di restituzione Rfid in cui «sostanziamente ogni volume avrà una tracciabilità con un chip e innescherà un meccanismo fortemente automatizzato, perfetto per un sistema a scaffale aperto. I bibliotecari, così, saranno a disposizione dell’utenza».
Alto Adige 8-2-11
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martedì, 08 febbraio 2011



Lub: sì ai test di lingua più severi

MIRCO MARCHIODI
BOLZANO. La Provincia ieri ha approvato il piano proposto dal presidente della Lub Konrad Bergmeister: i criteri di conoscenza linguistica per iscriversi all’università di Bolzano diventano più severi.
 Criticato dagli studenti (in particolare da quelli della facoltà di Design), ma appoggiato fortemente dal mondo dell’economia (si sono fatti sentire in maniera decisa prima il presidente della Camera di commercio Michl Ebner e poi quello di Assoimprenditori Stefan Pan), ieri il nuovo regolamento didattico proposto dal presidente della Lub Konrad Bergmeister è stato approvato dalla giunta provinciale.
 Diventano così più severi i criteri di conoscenza linguistica per iscriversi all’università di Bolzano. Agli studenti dei corsi di minilaurea in sede di ammissione agli studi sarà richiesta la conoscenza di due tra le tre lingue d’insegnamento (italiano, tedesco e inglese) con livello minimo “B2”. Per capirsi, si tratta di un livello equiparabile a quello richiesto dal patentino di bilinguismo “B”. La conoscenza della terza lingua dovrà essere comprovata entro il primo anno di studio.
 Allo stesso modo, per gli studenti che si iscriveranno ai master sarà richiesto il livello “C1” (il più alto, quello che accerta una conoscenza ottima della lingua) per una delle tre lingue con la seconda che va padroneggiata con livello minimo “B2”.
 Non solo diventerà più severo l’accesso, ma il nuovo regolamento didattico prevede anche che gli studenti debbano migliorare le loro conoscenze linguistiche durante il percorso di studio (prevista una specifica verifica alla fine del corso di laurea). Gli studenti dei corsi di laurea triennale dovranno raggiungere il livello “C1” in una delle tre lingue, il “B2+” nella seconda e il “B2” nella terza. Per gli studenti del master il livello di conoscenza richiesto al termine degli studi sarà pari al “C1” per due delle tre lingue di insegnamento e al “B2” per la terza.
 Agli studenti sarà dunque richiesto uno sforzo in più, ma in compenso, assieme al diploma di laurea, usciranno dalla Lub anche con un diploma che accerterà le loro conoscenze linguistiche a livello internazionale. «Il trilinguismo - ha motivato la decisione della giunta il presidente Luis Durnwalder - è uno dei punti di forza dell’università di Bolzano, un biglietto da visita importante. Sempre più spesso però ci vengono segnalati dei casi di studenti che alla prova dei fatti non conoscono a sufficienza le tre lingue. Per questo abbiamo deciso di appoggiare in pieno il nuovo regolamento che ci ha proposto il presidente Bergmeister».
 La richiesta di studenti più preparati a livello di conoscenze linguistiche è stata portata avanti anche dall’economia: il presidente di Assoimprenditori Stefan Pan ritiene «decisivo il trilinguismo» e anche quello della Camera di commercio Michl Ebner afferma che «in Alto Adige la richiesta di personale plurilingue è più elevata che altrove». Claudio Corrarati, presidente degli artigiani della Cna, chiede però un occhio di riguardo anche per i livelli di istruzione inferiori: «Va benissimo migliorare l’apprendimento linguistico all’università, ma è importante che i nostri giovani escano preparati già dalle scuole dell’obbligo e dalle superiori», afferma.
Alto Adige 8-2-11
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sabato, 05 febbraio 2011



UNA STORIA CHE UNISCA

Gli storici scendono in campo per non spostare i relitti ma storicizzarli. Andrea Di Michele, Hans Heiss e Hannes Obermair si sono fatti promotori dell’appello che pubblichiamo.

Firmiamo questo appello in qualità di storici e storiche che per mestiere si confrontano con il passato e l’uso pubblico della memoria nella nostra provincia. Conosciamo le difficoltà dell’Alto Adige/Südtirol nel rapportarsi con la propria storia più recente e siamo consapevoli della pesante ipoteca rappresentata al riguardo dalla presenza di alcuni monumenti eretti nel Novecento. Nella nostra veste di studiosi e sulla base delle nostre conoscenze e del nostro impegno civile sentiamo la necessità di questa pubblica dichiarazione. E’finalmente ora che la questione dei monumenti di epoca fascista presenti nella nostra provincia venga risolta alla radice e in via definitiva. In primo luogo il Monumento alla Vittoria e il bassorilievo di Piffrader continuano a rappresentare un elemento di divisione nelle memorie e nella rappresentazione della storia da parte dei gruppi linguistici della nostra terra. Ancor peggio, essi rappresentano un peso e un ostacolo per la pacifica convivenza.
Non devono più essere utilizzati né come elementi identitari, né come occasione per affermare contro-identità; hanno bisogno, invece, di essere finalmente storicizzati in maniera profonda ed efficace.
Storicizzare significa fare in modo che il Monumento alla Vittoria e il “duce a cavallo” di piazza Tribunale appaiano, in forme chiare e inequivocabili, quali segni della loro epoca storica. Attraverso un’appropriata opera d’informazione va reso esplicito il loro spirito totalitario e contrario a ogni sentimento di umanità: chiunque vi passi davanti, locale o turista che sia e soprattutto se giovane, deve immediatamente percepire e avere l’opportunità di comprendere come tali monumenti siano figli di un regime che si è servito della violenza, del razzismo e della guerra quali strumenti di potere e che ha eretto tali architetture per esaltare i propri inaccettabili fini.
Riuscire a comunicare tutto questo in maniera chiara e a trasmetterlo in modo efficace rappresenterebbe il miglior antidoto contro il messaggio che questi monumenti portano con sé. Una soluzione definitiva del problema non potrà arrivare dal loro smantellamento o dalla rimozione anche solo di alcune loro parti, ma piuttosto da una seria spiegazione delle ragioni che hanno condotto alla loro realizzazione nonché delle loro valenze più profonde.
Per questo motivo consideriamo sbagliata l’idea di rimuovere e trasferire in altro luogo il bassorilievo di Piffrader. Si può certo comprendere la proposta, espressa dal partito di maggioranza e dalla giunta provinciale, di neutralizzare il “nocciolo” totalitario di quel monumento, di eliminare il motto fascista “Credere, Obbedire, Combattere”, nonché di allontanare da uno spazio pubblico l’immagine del duce. Ma la rimozione del bassorilievo non farebbe che accrescerne il peso nel dibattito pubblico, trasformandolo in un’icona capace di scatenare nuove ondate emozionali, rendendo impossibile un suo utilizzo educativo e una vera presa di distanza.
Per questo invitiamo con forza ad abbandonare il proposito di spostare il bassorilievo e di procedere invece per esso e per il Monumento alla Vittoria alla rapida realizzazione d’iniziative che mirino alla trasmissione di conoscenze e informazioni e che siano capaci di attivare moderne forme di didattica e di comunicazione.
Qualora ciò avvenisse, possiamo garantire alle autorità competenti che troverebbero in noi, in qualità di storici e storiche, la piena disponibilità a collaborare e a mettere a disposizione le nostre competenze per raggiungere in tempi rapidi soluzioni concrete, a vantaggio della pacifica convivenza nella nostra terra.
Andrea Di Michele, Hans Heiss, Hannes Obermair


L’appello degli storici italiani e tedeschi «Il passato va spiegato senza rimozioni»

DAVIDE PASQUALI
BOLZANO. Hanno firmato trentacinque fra storici tout court e studiosi di totalitarismi, minoranze, regioni di confine, questione altoatesina, monumentalistica e architettura di epoca fascista. Altoatesini, tirolesi austriaci, germanici e italiani. E hanno sottoscritto pure due prestigiose istituzioni. Ideata dagli storici altoatesini Hannes Obermair (Archivio storico del Comune), Hans Heiss e Andrea di Michele (Archivio storico provinciale), la petizione “Risolviamo insieme il problema della monumentalistica fascista” (il cui testo integrale pubblichiamo in prima pagina) è nata con lo scopo di chiedere a tutti di fermarsi a riflettere, senza agire di impulso e, soprattutto, senza rimuovere il duce a cavallo di piazza Tribunale.
 «L’idea - precisa lo storico Andrea Di Michele - è nata parlando tra di noi, con Heiss e Obermair. Ci siamo sentiti a inizio settimana, quando si dava per scontato che il duce a cavallo di piazza Tribunale sarebbe stato rimosso in quattro e quattr’otto. Non potevamo accettare una scelta di questo tipo: la fretta è cattiva consigliera. Non considero il punto di vista politico. La petizione non prende le mosse da una critica nei confronti dell’accordo fra il governo e la Provincia, non critica le istituzioni. Chiediamo esclusivamente questo: è ora che la questione dei monumenti di epoca fascista presenti nella nostra provincia venga risolta alla radice e in via definitiva».
 Il testo della petizione è stato redatto in fretta e furia sia in lingua italiana che in lingua tedesca e poi inoltrato ai vari contatti. Nel giro di due giorni hanno sottoscritto tutti, con convinzione. Ci sono gli storici e gli studiosi locali, di entrambi i gruppi linguistici, a riprova del fatto che «non è vero che tutti gli italiani vogliono mantenere il duce e tutti i tedeschi vogliono rimuoverlo».
 Tra i firmatari Nicoloso, che si è occupato di storia dell’architettura di epoca fascista. E poi ci sono in pratica tutti i docenti di storia contemporanea dell’università di Innsbruck: Meixner, Schreiber, Pfanzelter, Alexander. E poi c’è il germanico Wörsdorfer, grande esperto di minoranze e confini orientali, che da anni si occupa di Croazia e Slovenia. E c’è Rolf Petri, storico germanico che insegna a Venezia. E c’è il viennese Wedekind, che da anni si occupa di Alpenvorland dal 1943 al 1945. Ma c’è anche il germanico Gehler, stimatissimo in area tedescofona per la sua sterminata letteratura sulla questione altoatesina. E Klinkhammer, storico germanico che insegna all’istituto storico di Roma. E c’è lo svizzero Mattioli, esperto di architettura di epoca fascista. Ma la firma forse più significativa è quella collettiva. «Quella del gruppo di lavoro per la teoria e la didattica della tutela monumenti di Weimar. Si sono riuniti e hanno deciso all’unanimità di firmare come istituzione».
 Sono firme che pesano, di esperti che per mestiere si confrontano con il passato e l’uso pubblico della memoria. Ne conoscono le difficoltà, ma ne intravedono anche le potenzialità.
 «Ci auguriamo un progetto ampio, coraggioso. Un’idea potrebbe essere questa: intanto, senza levare o coprire nulla, si parta con le tabelle esplicative sugli ossari. Il testo è già stato predisposto e approvato». Poi, magari organizzando un convegno internazionale di esperti, che mai si è tenuto sul tema, «pensare a un progetto complessivo di storicizzazione, che coinvolga in primis il museo civico. Lì la prima parte del museo dei totalitarismi, dove si potrebbe riassumere e spiegare. Poi si potrebbe uscire per visitare il museo all’aperto. In questo contesto il duce a cavallo sarebbe un punto irrinunciabile». Oltre a Semirurali, zona industriale, Vittoria e quant’altro.
Alto Adige 5-2-11

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giovedì, 03 febbraio 2011



Ecco come Nicolò Rasmo fu un eroe dell’arte

BARBARA GAMBINO
«Combattivo, polemico, affascinante, scomodo, tanto colto quanto chiaro e semplice nella divulgazione della cultura, Nicolò Rasmo è stato amato e stimato da molti, avversato duramente da altri, come succede a chi decide di vivere votato totalmente a una causa, senza accettare compromessi».
 Così Silvia Spada Pintarelli, direttrice dell’Ufficio Servizi Museali e Storico-Artistici del Comune di Bolzano, descrive Nicolò Rasmo, grande storico dell’arte e soprintendente della Provincia di Bolzano e di Trento, scomparso nel 1986. A lui Bolzano ha dedicato recentemente anche una strada.
 “Per l’Arte. Nicolò Rasmo (1909-1986). Für die Kunst” è il titolo del volume che raccoglie gli atti del convegno del 2007 a lui dedicato, che verrà presentato questa sera alle 18 nella sala Conferenze dell’Antico Municipio.
 Dottoressa Spada, la documentazione custodita dalla Fondazione N. Rasmo-A. von Zallinger è veramente sterminata: dalla biblioteca, ai documenti comprendenti il carteggio dello studioso, che conta 1300 corrispondenti, oltre all’immensa fototeca. Quali aspetti avete approfondito?
 
I materiali di studio a nostra disposizione sono un vera e propria miniera di informazioni e rispecchiano la poliedricità degli interessi di Rasmo nel campo storico-artistico. Senza alcun intento esaustivo, questa pubblicazione propone una riflessione che si snoda attraverso dodici interventi, dedicati all’attività di Nicolò Rasmo nel campo della tutela del patrimonio artistico, alle problematiche della conservazione, argomento che allora come oggi, è di grandissima attualità e, in modo minore, alla sua figura di storico dell’arte.
 Nicolò Rasmo fu soprintendente in periodi molto caldi della storia.
 
Infatti! Il suo ostinato ruolo di conservatore fu fondamentale per il patrimonio culturale della nostra regione. Basti ricordare “la montanara caparbietà” con cui riuscì a ostacolare lo smembramento delle Collezioni del Museo Civico di Bolzano nel delicato periodo delle Opzioni. In accordo segreto con il Prof. Ringler, sua controparte all’interno della commissione italo-tedesca che doveva stabilire l’appartenenza culturale degli oggetti delle collezioni ai fini di un eventuale trasferimento, fece di tutto per dilatare le discussioni “scientifiche” in merito all’italianità e tedeschità delle opere, per ritardarne l’espatrio.
 In questo caso quindi, Rasmo, uomo di Stato italiano e Ringler, che rappresentava il Reich all’interno della commissione scientifica, si trovarono d’accordo...
 
Ebbene sì, entrambi erano veri uomini di cultura e storici dell’arte e difficilmente avrebbero potuto avallare uno sradicamento così capillare e repentino di oggetti d’arte dal loro contesto.
 Come nel caso dell’altare di Hans Multscher a Vipiteno?
 
Proprio così! Nel dopoguerra fu Rasmo a reclamare a gran voce il ritorno al suo luogo d’origine della portelle d’altare donate da Mussolini a Göring, che il capo dell’Ufficio Interministeriale per il Recupero delle Opere d’Arte, Rodolfo Siviero, conosciuto come lo 007 della storia dell’arte, voleva ritardare, probabilmente per usarle come merce di scambio per ottenere dai tedeschi la restituzione di opere d’arte italiane. Conserviamo tutta la documentazione di questa vicenda, che Paola Bassetti ha ricostruito nel suo prezioso contributo.
 L’attività di Rasmo come soprintendente fu innovativa?
 
Innovativa non è il termine più appropriato. Da fedele uomo di Stato quale era, Rasmo ha usato la profondissima conoscenza della storia dell’arte e le sue capacità professionali per far rispettare quanto stabilito da una legge di tutela molto forte, come la 1089 del ’39, che andava ad influire anche sui beni privati. In questo ambito è interessante però scoprire come Rasmo abbia fatto propri alcuni principi e alcune metodologie di conservazione della cultura austriaca.
 Quali sono?
 
Ce lo raccontano Eva Gadner e Andreas Lehne nei loro interventi. Dai suoi colleghi austriaci, Rasmo assorbe il concetto di Kunsttopographie, ovvero la mappatura artistica del territorio. Un approccio non capolavoristico nei confronti dell’opera d’arte, aperto a tutte le forme espressive, considerate come frutto di un contesto culturale e territoriale. Sono più di 35.000 le foto con cui Rasmo ha compiuto una ricognizione fotografica del nostro territorio.
 Cosa direbbe Rasmo dell’accordo dell’SVP con il Governo per la rimozione, tra gli altri, del rilievo di epoca fascista realizzato da Piffrader in Piazza Tribunale?
 
La risposta è tutta in questo libro e nella documentazione del suo sterminato lavoro di storico dell’arte e di conservatore. Non penso occorra dire altro. Ma forse le risponderebbe quello che era solito ripetere ai suoi collaboratori: “Ricordatevi, noi siamo del partito della storia dell’arte!”.

SE NE PARLA OGGI
Gli acquerelli di Hitler

 È proprio esaminando la sterminata corrispondenza di Rasmo che Elisa Nicolini è riuscita a ricostruire la storia di 20 acquerelli realizzati da Hitler tra il 1910-14, transitati per Bolzano nel 1945. “Alcune delle poche immagini innocue che si possono ricollegare al Führer. Sono paesaggi e vedute di città, di scarso interesse artistico, ma di indubbio valore evocativo” afferma la ricercatrice. Una vicenda intricata e intrigante. Gli esiti di questa affascinante indagine intitolata “Quando un’opera d’arte porta la firma di Adolf Hitler”, verranno esposti dall’autrice questa sera, a corollario della presentazione del libro “Per l’arte. Nicolò Rasmo (1909-1986). Für die Kunst”. (b.g.)
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categoria:cultura
giovedì, 03 febbraio 2011



«Esperienza che segna»: così i giovani di ritorno dal viaggio ad Auschwitz

BOLZANO. La voglia di sorridere, quella c’era sempre, perchè è difficile togliere la voglia di allegria a un giovane. Ma era forse un sorriso un po’ velato, perchè anche se certe cose le hai lette, le hai sentite raccontare, le hai viste in fotografia, quando poi le vedi davvero, quelle cose, e anche se hai attorno cento coetanei sei circondato solo dal silenzio della morte, quando le vedi e le senti, quelle cose, il sorriso un po’ te lo velano. Il sorriso, è quello del centinaio di ragazzi altoatesini rientrati ieri, alle 13 in stazione a Bolzano, sul “Treno della memoria”, il convoglio partito il 27 gennaio e che ha portato gli studenti biancorossi, insieme a colleghi - coetanei delle superiori del Trentino e del Veneto, in visita agli ex campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau, in Polonia, come chiusura di un progetto di approfondimento sul dramma del nazifascismo e della Shoah.
 La classica telefonata a casa («Sono arrivato!») appena fuori dalla stazione, poi il commento su ciò che ha significato per loro il viaggio, e soprattutto la visita al lager di Auschwitz, era una voce unica.
 «E’ stato un momento di profonda riflessione - hanno commentato ragazzi e ragazze - dove abbiamo avuto la fredda, gelida sensazione di quello che la crudeltà dell’uomo è stata capace di causare. Indubbiamente questo è un viaggio che ti segna in modo particolare, ed è stata positiva anche l’attività di rielaborazione a gruppi, effettuata dopo la visita ai campi di sterminio».
Alto Adige 3-2-11
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categoria:cultura, giovani
mercoledì, 02 febbraio 2011



Lunedì sera incontro per i cittadini sul progetto del polo bibliotecario

 BOLZANO. Nel futuro Polo bibliotecario di Bolzano, che sarà ubicato nell’ex area scolastica “Longon - Pascoli”, troveranno collocazione la Biblioteca provinciale “Tessmann”, la Biblioteca provinciale italiana “Claudia Augusta” e la Biblioteca civica “Cesare Battisti”. Un incontro informativo su tale progetto, aperto a tutta la popolazione, avrà luogo lunedì 7 febbraio, alle ore 19, nell’aula D102 della Lub, l’università di Bolzano in piazza Università (o piazza Sernesi). Allo scopo di informare la popolazione sullo “stato dell’arte”, interverranno il presidente della Provincia, Luis Durnwalder, il sindaco di Bolzano, Luigi Spagnolli e gli assessori Christian Tommasini e Florian Mussner. Giusto ricordare che il progetto prevede due piani interrati e cinque piani fuori terra, l’edificio è articolato in diverse zone ben riconoscibili, riguardo alle funzioni che in esso si devono svolgere e offrono la massima flessibilità. Al piano terra si trovano giornali/caffetteria, informazioni e distribuzione, settore per bambini e ragazzi; nei piani superiori sono previsti fiction, non fiction, sezione locale e magazzino a scaffale aperto; all’ultimo piano si trova l’amministrazione. Nei piani interrati sono situati i magazzini, l’archivio storico, il garage e i locali tecnici.
Alto Adige 2-2-11
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categoria:cultura, provincia di bolzano
martedì, 01 febbraio 2011



Maturità, uscite le materie d’esame

BOLZANO. L’Intendenza scolastica italiana guidata da Nicoletta Minnei  ha reso note le materie degli esami di Stato 2010/2011 conclusivi delle scuole secondarie di secondo grado (ex esami di maturità) riguardanti la seconda prova scritta e quelle affidate ai commissari esterni. Materie che compaiono nell’infografica qui a lato.
Gli esami finali avranno inizio con la prima prova scritta d’italiano sull’intero territorio nazionale il prossimo 22 giugno 2011 alle ore 8.30, come stabilito dall’ordinanza ministeriale n. 53 del 25 giugno 2010.
 La prima prova scritta d’italiano di norma è stata affidata ad un commissario interno, mentre la seconda prova scritta, caratterizzante ogni indirizzo di studio, è stata affidata ad un commissario esterno. La materia tedesco (seconda lingua) secondo il principio dell’alternanza, questo anno è stata affidata ad un commissario interno.
 I candidati che saranno impegnati negli esami di Stato saranno in totale 995 compresi i candidati esterni (privatisti), così suddivisi: 742 candidati delle scuole a carattere statale, 219 candidati delle scuole riconosciute paritarie, 34 candidati esterni.
 Gli Istituti sedi degli esami di Stato sono 11 scuole a carattere statale, e 6 Istituti riconosciuti paritari.
Alto Adige 1-2-11
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categoria:cultura

lunedì, 31 gennaio 2011



basta paura dell’immersione, favoriamo gli scambi

MIRCO MARCHIODI
BOLZANO. «Non spetta a noi dire come riorganizzare la didattica, ma è certo che la scuola deve fare di più: le competenze linguistiche dei nostri giovani non bastano e in un contesto che diventa sempre più internazionale rischiano di diventare ancora più insufficienti, perché oltre all’italiano e al tedesco bisogna conoscere anche l’inglese e possibilmente una lingua in più, magari il cinese o il giapponese». Christof Oberrauch, presidente degli imprenditori di lingua tedesca del Wirtschaftsring, non ha paura di chiedere troppo alla scuola altoatesina: «Finora non abbiamo fatto abbastanza, ma sono convinto che i nostri giovani hano le capacità per cambiare marcia».
 Ne è convinto anche Franz Staffler, presidente della “Wirtschaftszeitung”, il settimanale degli imprenditori sudtirolesi che nella sua ultima edizione si è schierato apertamente a favore dell’immersione linguistica: «Ma non è tanto l’economia che lo chiede, è una richiesta che arriva da tutta la società altoatesina. La battaglia a favore dell’immersione la portavo avanti già più di 30 anni fa come studente: è passato tanto tempo, ma dopo un lungo periodo in cui anche solo discutere di questo tema era tabù e la parola immersione era quasi una bestemmia, ora finalmente si sta muovendo qualcosa».
 Anche Staffler, come Oberrauch, non vuole rubare il mestiere agli esperti di didattica: «Però - dice - non possiamo non notare il cambio di mentalità che c’è stato rispetto al passato. Gli italiani hano capito che è necessario imparare il tedesco, i sudtirolesi si stanno rendendo conto che imparare una lingua in più non significa rinunciare alla propria identità. In questi anni abbiamo pagato una grande colpa della politica, quella di vivere in due mondi separati. Invece la nostra ricchezza è proprio quella di poter crescere assieme. Faccio un esempio concreto: chi vuole imparare bene l’inglese va a fare uno scambio in Inghilterra. Da noi questo non serve, basta bussare alla porta del vicino. Oppure - e qui mi rivolgo alle scuole - basta favorire gli scambi all’interno delle classi, permettere ai ragazzi di stare assieme durante le pause, organizzare le gite scolastiche in comune. Gli esperti ci dicono che le lingue si imparano meglio da bambini: prima si inizia e meglio è, anche perché l’apprendimento avviene in modo giocoso e diventa più semplice. Non è solo questione di regole di grammatica, ma anche di apprendimento della musicalità di una lingua». Staffler chiude con un appello rivolto anche ai genitori: «La scuola può fare molto e non posso che salutare con favore le aperture di entrambe le intendenze, ma serve che anche le famiglie facciano la loro parte. Anche i genitori devono sforzarsi di frequentare l’altro gruppo linguistico, partecipare a iniziative comuni, abbattere le divisioni che ad esempio ci sono ancora tra i diversi gruppi sportivi. Mi sembra che ormai la società altoatesina sia consapevole che bisogna abbandonare gli steccati del passato».
Alto Adige 31-1-11
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categoria:cultura
domenica, 30 gennaio 2011



«La società spinge per il plurilinguismo: la scuola deve adeguarsi»  

ALAN CONTI
BOLZANO. La difesa dell’identità linguistica non è più il freno forte alle sperimentazioni bilingui nella scuola tedesca. L’assessore provinciale alla scuola tedesca Sabina Kasslatter-Mur, dopo anni di chiusura del suo partito, la Volkspartei, apre uno spiraglio di interesse verso il potenziamento linguistico che sta già interessando tutte le primarie italiane. Anche la scuola tedesca è in fermento e cresce la richiesta, da parte dei genitori e dei dirigenti, del potenziamento dell’italiano. Kasslatter-Mur guarda con attenzione al cambiamento, ponendo però dei forti distinguo sul piano tecnico del reclutamento degli insegnanti.
 Allora assessore, l’arroccamento sull’identità non è più una priorità?
 «Oggettivamente, non penso che tra le famiglie tedesche ci sia chi è ancora convinto che imparare più lingue sia uno svantaggio pericoloso. Si parla di un futuro plurilingue e di condivisione tra i gruppi linguistici, quindi in qualche modo dobbiamo adeguarci e tenere il passo della società».
 Pare di capire, però, che il potenziamento linguistico nella scuola tedesca sia pratica demandata all’autonomia delle scuole più che il frutto di un approccio sistematico come quello tra i banchi italiani...
 «Non possiamo fare un’operazione generale. Abbiamo enormi difficoltà nel reclutamento del personale docente italiano in periferia e le statistiche parlano di un apprendimento dell’italiano nemmeno sufficiente al conseguimento del patentino B dopo 1.500 ore di insegnamento. Le pare che con questi risultati possiamo essere in grado di raddoppiare tutto?».
 Il nodo, quindi, passa dalla difesa dell’identità all’efficacia degli insegnanti?
 «In parte. Attenzione, però, che a livello qualitativo disponiamo di ottime risorse ed elementi molto validi. I grossi limiti, semmai, sono legati alle difficoltà nel far accettare ai docenti di L2 cattedre nelle valli periferiche. Dopo le capriole per riempire tutte le caselle della pianta organica a inizio anno, inoltre, sorge il problema della continuità: ci sono bambini che cambiano maestra tre volte in un anno perché quasi tutti, appena possono, scappano verso le città. Il tutto considerando che l’attrattiva della lingua nei bambini è molto spesso dipendente da qualità e capacità del docente che, in questi casi, è sempre diverso. Le stiamo provando tutte: ho persino ipotizzato di pagare di più chi sceglieva queste sedi per più anni, ma non si può fare». Difficoltà che hanno portato persino all’assunzione di insegnanti senza patentino....
 «Per fortuna - replica Kasslatter Mur - che il processo di formazione sta lentamente cambiando. Suscita sempre qualche perplessità, infatti, che dietro a una cattedra si possa sedere anche chi nella sua carriera scolastica non ha mai letto una pagina di didattica o pedagogia. La sovrintendenza, l’ispettore Marco Mariani e la stessa università stanno lavorando a progetti molto concreti sulla formazione degli insegnanti».
 L’idea prevalente, però, è quella di una scuola tedesca ferma rispetto ai colleghi italiani.
 «Sensazione sbagliata. Il sovrintendente Peter Höllrigl, proprio sul vostro giornale, ha spiegato molto bene quali siano i nostri canali di intervento. I gemellaggi, anche con realtà venete o lombarde, sono essenziali. La scuola, però, non può tutto e bisogna favorire le iniziative che occupano il tempo libero. In questo senso le famiglie e gli adulti devono dare il buon esempio».
 Logico, quindi, che la chiusura identitaria non aiuti....
 «Credo che la nostra terra abbia un notevole potenziale che va sfruttato meglio. Gli adulti si preoccupino anche di dare il buon esempio favorendo amicizie e contatti con le famiglie italiane. L’esercizio linguistico deve diventare un’abitudine mentale quotidiana priva di paletti e steccati: solo così possiamo smetterla di andare in difficoltà».
 Insomma, la scuola da sola non basta...
 «Favorire il contesto d’uso senza dare alla seconda lingua il peso di un obbligo per trovare lavoro può essere una delle chiavi per migliorare il sistema. La motivazione, infine, gioco un ruolo centrale e la controprova sono gli eccelsi risultati di molti extracomunitari rispetto ai nostri studenti».

Gli imprenditori tedeschi: sì all’immersione nelle scuole

BOLZANO. Anche il mondo economico apre all’immersione. La “Wirtschaftszeitung”, settimanale che fa capo a un gruppo di imprenditori di lingua tedesca attorno a Franz Staffler, nella sua ultima edizione scrive che «il vecchio modello didattico è ormai superato» e spiega che «gli italiani si rendono conto che le 13 ore settimanali di tedesco non bastano per apprendere bene la seconda lingua».
 Il settimanale economico sottolinea come «al contempo cresce la pressione sulla scuola di lingua tedesca, perché se gli italiani imparano bene il tedesco è necessario che anche chi frequenta le scuole tedesche conosca altrettanto bene l’italiano». Anche se ci sono ancora molte questioni aperte, prosegue la “Swz”, «bisogna abbandonare la strategia di difesa della propria identità del passato, perché così come gli italiani non hano paura di perdere la loro scuola “italiana”, non esiste più il rischio di un’italianizzazione della scuola di lingua tedesca». L’insegnamento in entrambe le lingue, chiude la Wirtschaftszeitung, «è ormai solo questione di tempo».
Alto Adige 30-1-11
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categoria:cultura
sabato, 29 gennaio 2011



«Lasciate lì Mussolini Quell’urlo fascista è la Storia»

ELISA TESSARO
Nata nel 1850 a Vienna come «Imperial-regia Commissione Centrale di studio e conservazione dei monumenti architettonici», dal 1972 la Soprintendenza ai Beni Culturali della Provincia di Bolzano - oggi Ripartizione Beni Culturali, ufficio beni architettonici e artistici - controlla e tutela circa 5.000 beni architettonici, opere d’arte di proprietà pubblica quali chiese, monasteri, castelli, masi e circa 400 opere d’arte mobili di proprietà di privati. Dal 1986 l’ufficio specifico che si occupa di questo patrimonio è guidato da Waltraud Kofler Engl. «Il pensiero comune - dice - circonda il lavoro del nostro ufficio di un alone nostalgico. La Soprintendenza ai Beni architettonici e artistici si confronta invece quotidianamente con la contemporaneità. Il nostro compito consiste, infatti, nello studiare ogni oggetto, architettura e altre opere del passato per determinare quale di essi deve essere tutelato e “traghettato” nel presente e nel futuro. In qualche modo si tratta di un processo di trasformazione che implica competenze storiche e creatività».
Di recente il critico Philippe Daverio ha sottolineato come a volte scelte sbagliate di restauro mettano seriamente in pericolo l’identità degli edifici o peggio, la capacità di poterli ancora «leggere» correttamente.
Questo è un tema molto complesso. Sicuramente Daverio vuol dire che a volte i restauri sono fine a se stessi, non hanno un linguaggio comprensibile immediatamente. Nel caso del restauro architettonico concordo con Daverio: è vitale rispettare, l’integrità, il volume, l’anima di un edificio. Non esistono però ricette universali, i criteri vanno calibrati a seconda dei casi.
Il patrimonio architettonico in Alto Adige è costituito anche da molti masi e nuclei abitati. Lei evidenzia che molti proprietari si oppongono al restauro scegliendo la strada della perdita totale o della cancellazione del vincolo di tutela con la conseguente demolizione...
Purtroppo i casi stanno aumentando. Molti edifici posti sotto tutela sono chiese e cappelle. Nessuno mette in dubbio che una chiesa o un castello o delle case residenziali facciano parte del nostro patrimonio. Per quanto riguarda i masi invece - un’architettura più «povera» - è tutto più difficile. Una realtà come l’Alto Adige deve però prendere sotto vincolo anche queste fondamentali testimonianze della nostra storia locale, oltre al fatto di rappresentare una parte significativa del paesaggio. Non si tratta solo di una questione economica, dal momento che la possibilità di ottenere dei contributi esiste - così come l’aiuto per formulare le richieste. È anche una questione culturale.
La riflessione sugli strati della storia, arrivando a Bolzano, non può che toccare il delicato nodo dell’architettura fascista - razionalista.
Questo tema mi sta molto a cuore. Fino ad oggi più di cinquemila edifici sono stati posti sotto tutela. Ora manca l’insieme delle testimonianze più povere e, soprattutto, un gran numero di edifici e monumenti costruiti nel periodo fra le due guerre. Sono testimonianze ancora emotivamente coinvolgenti, ma che fanno parte di un momento storico cruciale, che ha delineato l’identità della nostra terra così come la conosciamo oggi. L’Alto Adige ha vissuto l’esperienza di una dominazione fascista aggressiva - soprattutto a Bolzano - determinata a cancellare la cultura locale e ad innestare i simboli di un colonialismo totale. Il Monumento alla Vittoria è solo uno di questi; esso è però anche il portale della città nuova e rientra in un concetto urbanistico molto interessante.
Quali sono gli edifici e monumenti di quel periodo più rilevanti?
I due palazzi Ina in piazza Domenicani, l’ex Gil (oggi Eurac), il fregio di Hans Piffrader in piazza Tribunale, il Quarto Corpo d’Armata, corso Libertà, ma anche il muro del Lager di Bolzano in via Resia (già vincolato). L’Alumix è un’altra icona del razionalismo sulla quale non c’è una visione condivisa. Noi che non abbiamo vissuto questo periodo percepiamo solo la qualità e la brillantezza dell’architettura, trovando parallelismi con il Bauhaus... Ma non dobbiamo dimenticare tutto il pregresso.
Si tratta di un patrimonio particolarmente a rischio...
Secondo la legge italiana non sono oggetto di tutela le opere la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquant’anni. È una norma che andrebbe rivista, perché concepita in un periodo in cui si pensava che solo la distanza dal passato permettesse di avere uno sguardo oggettivo sul valore delle cose. Uno dei momenti più impressionanti della mia carriera - lavoro qui dal 1986 - è stato nel 1987, quando hanno demolito il cinema Corso, ex Palazzo del Turismo, uno dei palazzi più belli costruiti a Bolzano nel periodo fra le due guerre da Armando Ronca. Non aveva ancora cinquant’anni di storia: abbiamo visto salire le nuvole di calce, era agosto, mentre prendevamo un tè proprio lì di fronte. II Lager di Bolzano, il Monumento della Vittoria, il frontone in piazza Tribunale, così come i segni lasciati sul Reichstag di Berlino sono ferite che fanno parte della nostra biografia, sia individuale che collettiva.
Il tema però viene spesso valutato esclusivamente dal punto di vista politico...
Sarebbe tempo di trovare un’altra base di discussione. Non è compito della Soprintendenza sanare lo scontro fra le diverse posizioni ma, per fare un esempio, il cancello di ferro battuto che delimita il Monumento alla vittoria impedisce l’accesso alle persone conferendogli una maggiore sacralità. Se le persone potessero accedervi il carico di violenza emanato da questo monumento si alleggerirebbe...
È proprio di questi giorni la notizia che la Provincia ha ottenuto dal ministro della cultura Bondi larghi poteri per quanto riguarda la scomoda «gestione» dei monumenti fascisti in Alto Adige.
Ho provato un vero senso di delusione, in particolare per il destino del frontone del Tribunale. L’edificio è nato insieme a questo rilievo, dividerli è un errore sia dal punto di vista formale che artistico. Non c’è niente da dire: il Duce a cavallo «urla» un messaggio fascista. Ma oggi quest’immagine, se decontestualizzata, non potrebbe sembrare quasi una caricatura? Toglierlo dalla vista, confinandolo magari in un deposito del Comune, è una semplificazione. Invece proprio beni architettonici e artistici di questo tipo sono un importante veicolo per arrivare a livelli di riflessione affascinanti. Se non li vedo, non li guardo negli occhi, non sono in grado di distanziarmi. È un processo psicologico elementare: come hanno fatto in Germania a confrontarsi con i lasciti del nazismo? Visitare un campo di concentramento è dolorosissimo, ma lì il dibattito su questo tema non è mai stato messo in discussione. La strada imboccata è stata il confronto diretto con la storia in tutte le sue sfaccettature.
In base alla sua esperienza, cosa immagina si possa fare concretamente per cambiare prospettiva?
Ho potuto visitare i sotterranei del Monumento alla Vittoria prima che iniziassero i lavori di restauro. Un centro di documentazione sarebbe la strada giusta: ora dobbiamo solo aspettare, anche se trovo assurda la decisione, anche a livello economico, di interrompere i lavori a data da destinarsi. Le targhe informative apposte sui monumenti sono un primo passo, così come la ricerca di una concertazione, come nel caso del Monumento all’alpino di Brunico, ma non basta. Si dovrebbero concepire dei progetti di partecipazione più articolati. Si potrebbe immaginare un percorso che colleghi il centro storico con la città nuova: esiste ancora, latente, un confine invisibile che la gente ancora percepisce. Ma non solo
Cos’altro?
Ho molta fiducia anche nel potere comunicativo dei progetti artistici fatti in questi luoghi, una strada alternativa più emozionale. Penso ad esempio all’artista Rachel Witheread che ha realizzato alla Judenplatz di Vienna un monumento sull’Olocausto: la presenza nello spazio pubblico di questo progetto lancia un messaggio forte, forse più efficace di tante spiegazioni su cartelli e di tanti libri. Altri esempi sono l’Holocaust Denkmal di Peter Eisemann a Berlino o il Monumento a Walter Benjamin a Portbou di Dani Karavan. Vorrei sentire anche cosa ne pensa la gente, a volte mi chiedo quanto questo tema sia sentito realmente dalle persone e quanto dettato, purtroppo, dalla politica etnica...
Alto Adige 29-1-11
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categoria:cultura
sabato, 29 gennaio 2011



Seconda lingua: corsi e master alla Lub

DAVIDE PASQUALI
BOLZANO. In Alto Adige si lavora molto per migliorare l’apprendimento della seconda lingua, ma alcuni punti dolenti ancora sussistono. Uno riguarda la formazione dei docenti di L2, sia italiana che tedesca, alle scuole elementari. Solo nelle scuole tedesche, su settecento insegnanti di madre lingua italiana circa un centinaio non sono titolati, ossia specificamente preparati. E per l’altra metà del cielo altoatesino pare non vada molto meglio. Per questo, su proposta dell’intendenza scolastica tedesca si è avviato un gruppo di lavoro fra ispettori provinciali di L2, esperti in didattica linguistica presso l’istituto pedagogico e docenti della Libera università di Bolzano. Lo scopo è individuare le modalità migliori per preparare in un futuro assai prossimo maestri elementari in grado di insegnare la loro lingua madre come L2. Le ipotesi, sulla cui rapida realizzazione premono entrambe le intendenze, italiana e tedesca, sono un corso di specializzazione per l’insegnamento della seconda lingua nell’ambito del corso di laurea quadriennale in scienze della formazione primaria e un master post laurea di primo livello per chi già è laureato e desidera specializzarsi tout court o ulteriormente. L’intenzione è di avviarli presso la facoltà di scienze della formazione di Bressanone.
L’idea, attivamente sostenuta dall’intendente alla scuola in lingua tedesca Peter Höllrigl, dal direttore dell’istituto pedagogico tedesco Rudolf Meraner e dalla professoressa Jolanda Caon - la quale, sempre per conto dell’istituto pedagogico, da 15 anni si occupa di coordinare e monitorare i progetti per l’insegnamento di italiano L2 nelle scuole sudtirolesi - è nata nella mente del professor Marco Mariani, già preside del liceo classico Carducci e oggi ispettore provinciale di italiano come L2 nelle scuole di lingua tedesca.
«Le scuole elementari in lingua tedesca - spiega Mariani - sono differenti dalle italiane. Queste sono concentrate in poche città, le altre sono capillarmente diffuse sul territorio. Abbiamo difficoltà nel reperimento degli insegnanti di L2, ossia di maestri di madre lingua italiana. Non tutti sono disposti a trasferirsi nelle valli. Alcuni li peschiamo fuori provincia, ma spesso il turn over è elevato, perché non è semplice abituarsi alla realtà sudtirolese. Attualmente, su 700 maestri di italiano, circa 100 non sono titolati, perché i presidi devono garantire la presenza dell’insegnante di italiano, e quindi pescano anche fuori dalle graduatorie». In media «i nostri docenti di italiano sono preparatissimi. Abbiamo fior fiore di laureati: lettere antiche e moderne, scienze dello spettacolo, Dams. Ma la realtà globale è assai variegata. Ci sono anche diplomati, perché prima del 2002 non occorreva la laurea per insegnare alle elementari. E ci sono laureati in altre discipline. Per dire, abbiamo anche dei dottori in farmacia». Per questi docenti, adeguati perché di madre lingua italiana, ma non specializzati nell’insegnamento della loro lingua come L2, si sono avviati ampi progetti di formazione in servizio. In attività un esercito di tutor, coordinatori, addetti al monitoraggio. Ma non basta, si deve guardare oltre. «Queste sono contromisure si potrebbe dire di emergenza, anche se molto curate. Ma la soluzione per il futuro può essere solo una: formare maestri elementari in grado di insegnare la loro lingua madre come L2 secondo gli standard scientifici più accreditati. L’idea è piaciuta molto ed è stata ben accolta dai docenti di Scienze della formazione. Stiamo lavorando assieme. Il compito della Lub è costruire percorsi curricolari specialistici. Ad occuparsene è un super gruppo di lavoro, di cui fanno parte fra gli altri il preside Franz Comploj e i professori Liliana Dozza, Rita Franceschini, Hans Drumbl e Siegfried Baur». Stanno pensando all’istituzione di una specializzazione in L2 all’interno del corso di laurea in formazione primaria e a un master di primo livello.

«Una risorsa in più»

BOLZANO. L’intendente scolastico Peter Höllrigl lo dà già per scontato: «Probabilmente si partirà già il prossimo anno accademico». Il preside Comploj non conferma né smentisce, soprattutto perché tanto dipenderà dalla volontà politica e dai relativi finanziamenti. Ma gli assessori alla scuola e cultura italiana, Christian Tommasini, e tedesca, Sabina Kasslatter Mur, sono già stati informati ed è stato loro consegnato un promemoria. E, questo sì, l’entusiasmo c’è, anche se si è ancora in una fase preparatoria. Lo conferma la professoressa e linguista Rita Franceschini.
«Stiamo lavorando a due ipotesi, anche se per ora siamo in fase embrionale. Si pensa di istituire un master di primo livello per l’insegnamento della madrelingua come L2. questo vale sia per l’italiano che per il tedesco. L’altra ipotesi di lavoro riguarda invece l’inserimento di alcuni moduli incentrati su alcuni aspetti cognitivi specifici». L’idea partita dal professor Mariani, conferma la professoressa Franceschini, a Bressanone è stata molto ben accolta, anche perché è uno sviluppo naturale cui la facoltà tende per sua vocazione specifica. «Gli auspici dell’intero gruppo di lavoro è che si possano avviare questi progetti e che lo si possa fare in tempi per quanto possibile brevi». Le difficoltà di carattere tecnico, finanziario, logistico e normativo non mancano, ma sul progetto sussistono forti «spinte parallele», come le chiama Franceschini.
Ovviamente, per il momeno è troppo presto fare delle previsioni sulla tempistica, molto meno sul fine del corso specialistico e del master. «Le nostre idee comuni - spiega concludendo la docente - vanno verso la formazione di quello che mi piace chiamare un “insegnante più”, ossia un docente con una ulteriore qualifica rispetto al normale. Un docente in grado non soltanto di insegnare alle scuole elementari nella sua lingua madre, ma di insegnare la sua lingua madre come L2, come seconda lingua». E non è la stessa cosa. (da.pa)


Alto Adige 29-1-11
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venerdì, 28 gennaio 2011



MA ORA USCIAMO DAL NOVECENTO

LUCA FAZZI
L’accordo sui cosiddetti “relitti fascisti” stipulato tra i parlamentari SVP e il Ministro della Cultura Bondi è purtroppo, in una terra dove il conflitto etnico ha rappresentato per decenni la base di legittimazione del potere politico dominante, foriero di nuove e pericolose tensioni tra i gruppi linguistici. I partiti italiani sia di destra che di sinistra hanno accolto l’accordo con giudizi molto negativi, accusando la SVP di avere tradito le legittime attese di ricerca di soluzioni condivise sul futuro di questa terra. La chiave di lettura di quanto accaduto a mio avviso dovrebbe sforzarsi però di superare le emotività identitarie e le comprensibili frustrazioni di un gruppo italiano lasciato in apparente balia degli eventi da quelli che avrebbero dovuto essere i suoi legittimi rappresentanti a livello governativo. Alcuni elementi di critica espressi nei giorni scorsi anche su questo giornale sono naturalmente condivisibili. In primis l’accondiscendenza di un politico in difficoltà il ministro Bondi nei confronti di richieste fino al giorno prima considerate inaccettabili. Ma questo elemento fa più parte del processo di metastasi della politica nazionale.
E di crisi della coalizione governativa guidata dal decadente premier Silvio Berlusconi che non delle problematiche politiche locali. Il tema dei relitti fascisti da un punto di vista locale si presta a diverse letture. In primis si deve sottolineare con grande decisione che i relitti fascisti sono un problema sentito solo da una minoranza di popolazione locale in larga parte composta da oltranzisti di destra e fanatici revanscisti. Per quanto riguarda lo stele di Mussolini, che spinse due anni fa migliaia di tiratori scelti a attraversare pietosamente in assetto paramilitare una Bolzano in stato di guerra, ad esempio, le ricerche empiriche dimostrano come solo una minoranza di bolzanini conosca l’esatta ubicazione del busto e ciò vale sia per gli italiani che per una larga parte di popolazione di lingua tedesca. I problemi della gente comune sono altri e molto diversi da quelli che le campagne politiche fagocitate dalle destre tedesche e, di reazione, italiane vorrebbero continuare a porre al centro dell’attenzione. Il problema dei relitti fascisti è dunque un problema in ampia misura sollevato strumentalmente da frange minoritarie percepite in questa fase storica come potenzialmente destabilizzanti per il partito di raccolta e le sue èlites politiche. Da questo punto di vista, la soluzione alla tensione sui relitti fascisti costituisce una risposta finalizzata a depotenziare la crescita delle destre tedesche e consentire alla SVP di continuare a restare al potere garantendo un equilibrio incerto ma comunque fondamentalmente ancora stabile al problema della convivenza tra i gruppi linguistici.
 Certamente si può vedere in questo progetto anche una debolezza strutturale del partito di raccolta che in cinquanta anni non è riuscito ancora a modernizzare le basi della sua cultura politica orientando in forza della sua legittimazione popolare il dibattito verso tematiche diverse da quelle del conflitto etnico e della disperata difesa di un’identità etnica irreversibile che i processi di cambiamento globali rendono ormai asfittica e destinata alla trasformazione. C’è da chiedersi tuttavia quale è il senso della difesa da parte dei rappresentanti politici italiani di simboli quali lo stele del duce o la chiusura ermetica del Monumento alla Vittoria che certamente non rappresentano elementi identitari reali per la stragrande maggioranza della popolazione italiana. Chi mai a Bolzano oggi realisticamente può dire di immedesimarsi nella figura del duce a cavallo? Seppi? Holzmann? La frastornata Biancofiore? E chi altro? E quanti cittadini di madre lingua italiana veramente sarebbero contrari all’idea di storicizzare il monumento aprendo un museo a memoria dei drammi causati dai totalitarismi? E’ certo che il problema dei monumenti fascisti per essere neutralizzato e non diventare l’alibi identitario di frange minoritarie di popolazione di lingua tedesca più oltranziste (e identitariamente fragili) doveva essere già stato affrontato in passato. La storicizzazione del Monumento della Vittoria è una decisione che andava presa già nelle scorse legislature attraverso un percorso condiviso, ma deciso e chiaro che non è stato realizzato per i timori e l’inconsistenza della classe politica che ha governato la città. Al tentativo di Salghetti di cambiare il nome dei Piazza della Vittoria sulla spinta delle provocazioni dell’oltranzista Ellecosta senza un preventivo dialogo con la popolazione ha seguito il quinquennio di non governo del sindaco Spagnolli che, pur potendo intervenire con una cartellonistica esplicativa della storia del Monumento e azioni propulsive finalizzate alla sua storicizzazione, ha preferito come suo stile nicchiare senza prendere posizione. Gli stessi partiti italiani, sia a livello provinciale che comunale, non hanno mai avuto il coraggio di affrontare la questione per timore di perdere consenso o di inimicarsi il partito di raccolta con proposte alterative a quelle espresse da Durnwalder e dall’establishment politico tedesco. A mio avviso chi oggi accusa la Svp di avere forzato la mano su un tema così delicato come quello dei monumenti fascisti ha dunque in parte ragione, ma in larga parte, anche torto.
Ha ragione nella misura in cui è ora e tempo che la SVP la smetta di strumentalizzare le questioni etniche ad infinito per assicurare lo status quo e il mantenimento del potere politico locale. Ma come ha ammesso solo pochi giorni fa un politico di rilievo del partito di raccolta come Dieter Steger la sensazione che la società sia più avanti della politica ormai si sta diffondendo anche all’interno del partito di raccolta e la sostituzione prossima di Durnwalder molto probabilmente farà fare un passo avanti importanti verso l’emancipazione della cultura politica della SVP. Ha invece torto perché comunque la Svp è un partito territoriale minoritario a livello nazionale che per ottenere vantaggi deve in qualche modo sfruttare le occasioni negoziali che si presentano possibili. Ma forse ha ancora più torto perché il trovare una soluzione a un problema che rappresenta un potenziale di conflitto permanente nella negoziazione politica locale è effettivamente un obiettivo da perseguire con determinazione. In particolare se come è assodato trasformare il Monumento della Vittoria in museo contro i totalitarismi oppure trovare un altra collocazione allo stele del duce non sono azioni che compromettono la qualità della vita degli italiani, né mettono a repentaglio la loro identità. La dichiarazione di Karl Zeller che sancisce con questo accordo la chiusura di un periodo storico flagellato da grandi ingiustizie e tensioni e esplicitamente sottolinea come il superamento di questo dibattito anche per la SVP può costituire un passo per guardare avanti e costruire insieme un futuro migliore è non solo ragionevole, ma anche condivisibile. Chiudere il Novecento in questa terra incredibilmente fortunata ma, al contempo, angosciata ancora da troppi fantasmi e incubi identitari, è un obiettivo importante che non va ostacolato. Il problema è adesso di maturare anche da parte dei partiti e degli opinionisti italiani la responsabilità di condividere un percorso di sviluppo condiviso dell’autonomia usando gli strumenti che lo statuto offre a tutela degli interessi della parti e selezionando un’elite politica più consona e capace di quella esistente di guidare i percorsi di cambiamento che inevitabilmente la storia impone.
Alto Adige 28-1-11
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venerdì, 28 gennaio 2011



La scuola tedesca punta ai gemellaggi

DAVIDE PASQUALI
BOLZANO. Apprendimento della seconda lingua. «La scuola tedesca si muove con meno clamore dell’italiana, ma è scorretto dedurre che non stia accadendo nulla». Lo dichiara l’ispettore provinciale Marco Mariani. E l’intendente Höllrigl annuisce: «Lavoriamo tanto da 15 anni. E puntiamo sui gemellaggi».
 Si parla tanto, forse troppo, di apprendimento della seconda lingua. Spesso a sproposito. Perché gli italiano non sanno come funziona la scuola tedesca. «E altrettanto vale per i tedeschi: sanno poco o niente della scuola italiana». Lo afferma l’intendente scolastico Peter Höllrigl. Si parla tanto di potenziamento del tedesco da parte italiana, per cui, sempre da parte italiana, si ritiene che l’altra metà del cielo sia immobile. O peggio, che sia rimasta indietro anni luce. Marco Mariani, ispettore provinciale di italiano come L2, spiega: «Nella scuola italiana c’è molta enfasi sul tema del potenziamento linguistico. Gli atteggiamenti, anche dei genitori, sono spesso parossistici, drammatici. Le aspettative sono forse eccessive». Insomma, si lavorerebbe molto meglio in un clima di maggiore serenità. «Nella scuola tedesca, da 15 anni si sta lavorando tantissimo per creare le premesse culturali. Perché conta soprattutto la disposizione di spirito con cui ci si mette ad imparare una lingua e il clima in cui lo si fa». E se nella scuola italiana la pressione è enorme, «la scuola tedesca è più pacata, anche se non mancano di certo aspettative e interesse», precisa Höllrigl. Con un distinguo, però: «Nelle valli ormai non ci sono più occasioni per parlare in italiano. Un tempo a Moso in Passiria almeno c’erano i finanzieri italofoni; oggi non ci sono più. Per tanti nostri alunni l’italiano non è seconda lingua, ma lingua straniera. Non hanno mai occasione di praticarla». Inoltre, bisogna tener conto del fatto che «la nostra è la scuola di una minoranza. Importante è imparare l’italiano. Ma altrettanto lo è salvaguardare l’identità minoritaria». Ergo, semplificando, niente immersione. Perché non è affatto l’unica strada possibile, né necessariamente la migliore. «La didattica deve essere adattata alla realtà in cui si va ad agire. Dopo anni di monitoraggi sul campo, che hanno coinvolto centinaia di insegnanti e alunni, noi abbiamo avviato un modus operandi che, seppur sempre suscettibile di migliorie, funziona. I dati lo dimostrano». L’intendenza si sta muovendo sulla base di tre principi. Li illustra il direttore dell’istituto pedagogico, Rudolf Meraner. «Costante e frequente aggiornamento degli insegnanti in servizio. Predisposizione di materiali didattici ad hoc per l’italiano. Creazione di ripetute possibilità d’incontro con italofoni». La scuola tedesca non nasconde i suoi problemi. Uno è la carenza di personale specificamente preparato per l’insegnamento della seconda lingua, problematica acuita dall’elevato turn over dei docenti d’italiano, che spesso provengono da altre province e mostrano difficoltà ad adattarsi alla realtà sudtirolese. E pure la Lub, finora, non offriva percorsi formativi ad hoc. «Per questo - spiega Jolanda Caon, esperta di italiano L2 per conto dell’istituto pedagogico - lo sforzo per la costante formazione dei docenti in servizio è un nostro punto fermo». Inoltre, così Höllrigl, «su pressione delle intendenze a Bressanone la Lub inserirà nei curriculum di studi un corso di specializzazione per l’insegnamento della seconda lingua e partirà pure un master di primo livello». Molto si è lavorato sui materiali didattici, creati ad hoc per insegnare l’italiano ai sudtirolesi. Di tale qualità scientifica, da aver raggiunto risonanza internazionale. «Vengono utilizzati per insegnare l’italiano a Colonia, a Francoforte e addirittura per i figli degli emigrati italiani in Argentina. Attualmente, dopo i volumi predisposti per elementari e superiori, stanno per essere pubblicati quelli per le medie».
 Ma il vero fulcro del discorso didattico ruota su altro. Tecnicamente si chiama: contesto di comunicazione autentica. Tradotto per i profani: siccome gli alunni sudtirolesi non hanno possibilità di parlare in italiano, specie nelle valli, occorre creare occasioni di incontro in contesti reali, autentici appunto. E le occasioni di incontro si chiamano gemellaggi fra classi italiane e tedesche. Mica solo in Alto Adige. I progetti coinvolgono gli alunni dalla IV elementare in su. Fra Bolzano e Renon, Silandro e Foggia, Brunico e Cesenatico. E poi ci sono i campi estivi bilingui di Dobbiaco e Vallunga, con metà italiani e metà tedeschi. Solo la Settimana azzurra di Cesenatico coinvolge 700 studenti germanofoni e 500 italofoni.
Alto Adige 28-1-11
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giovedì, 27 gennaio 2011

Irit Amiel

Giorno della Memoria

Una vendetta incompiuta
Nella notte più torrida dell'agosto 2005 feci di nuovo quel sogno angoscioso. Lo ricordo perfettamente.
Eravamo nel gennaio del 1945. Di notte per il nostro villaggio gironzolavano gruppi di soldati tedeschi sbandati, che di giorno cedevano il campo a pattuglie di ricognizione sovietiche. I tedeschi volevano sapere cosa raccontavano i russi, i russi ci interrogavano sui tedeschi. Ma a noi nessuno diceva niente. Noi volevamo soltanto che tutto quell'incubo finisse al più presto... 
... Per tornare a quel giorno, riusciamo a comprare sia la farina che il sale e, carichi come muli, ci mettiamo sulla via del ritorno. Adesso abbiamo i campi innevati alla nostra destra, e la foresta a sinistra. Il vento gelido si è fermato e un pallido sole ha fatto capolino da dietro le nuvole plumbee. Ci sentiamo un po' più rinfrancati. Ancora non sappiamo che tre giorni più tardi i tedeschi cattureranno il padre di Krysia e zio Mordechai che adesso si chiama Jan Hankiewicz. Mio zio ritornerà sano e salvo, invece il padre di Krysia sarà ferito mortalmente.
All'improvviso dalla foresta salta fuori un gruppo di partigiani polacchi. Gridano da lontano: “ Fermi!”, « Halt!», «Hände hoch»
Potrebbero benissimo spararci da laggiù, perché non riusciamo a mettere le mani in alto piegati sotto il carico dei sacchi come siamo. Per fortuna tra loro c'è il signor Józek, un cugino di Antos, che si nota per la sua altezza. Ci riconosce all'istante e questo ci salva. I partigiani portano alcuni soldati tedeschi catturati, che a vederli, si sarebbero detti ebrei. Impauriti, lerci, non rasati. Ricordo di aver pensato: Ma come, allora anche i tedeschi sono esseri umani?
Giunti sulla strada, il signor Józek ordina a un tedesco di togliersi le scarpe. Mi getto verso di loro con un urlo:
«Signor Józek, la prego, non lo faccia! Non si può camminare scalzi sulla neve». Ovviamente mi guardo bene dal dire che nel nostro piccolo ghetto di Cestocova ero solita camminare sulla neve con i piedi avvolti in fogli di giornale e che ricordo bene che nel giro di pochi minuti la neve inizia a bruciare le piante come fosse acqua bollente.
Il signor Józek mi fissa con uno sguardo carico di stupore e dice:
«Gioia mia, ma non lo vedi? È un tedesco!»
« Signor Józek carissimo, lo guardi quel poveraccio, quanto è spaventato e malconcio, senza scarpe creperà in un istante». A mia discolpa posso solo dire che all'epoca avevo poco più di tredici anni, e non sapevo nulla di quel che i tedeschi avevano fatto alla mia mamma, al mio papà e a tutti gli altri. Allora ero ancora convinta che sarebbero tornati.
«Come vuoi» il signor Józek si dà per vinto, « mi prendo i suoi begli scarponi, ho sempre sognato di averne un paio come questi, ma in cambio gli darò le mie vecchie ciabatte sbrindellate». E così io manco di compiere la mia doverosa vendetta e dovrò vivere con quel peso fino alla tarda vecchiaia nel paese in cui per otto mesi all'anno vado in giro scalza.
Da quel giorno sono passali più di sessant'anni, eppure, ogni volta che passeggio sulla sabbia arroventata della riva che scotta i piedi, non posso fare a meno di pensare ai piedi nudi di mio padre immersi nella calce viva sparsa, conformemente alle prescrizioni igieniche tedesche, sul pavimento di un carro bestiame lanciato a tutta velocità verso Treblinka.
Nata nel 1931, Irit Amiel ha trascorso i primi anni della Seconda guerra mondiale nel ghetto di Cestocova in Polonia riuscendo a fuggire e a salvarsi procurandosi dei falsi documenti ariani.
Ha lasciato la Polonia nel 1945 per raggiungere la Palestina, clandestinamente, solo due anni dopo, nel 1947, passando per la Germania, l'Italia e Cipro. Da allora vive in Israele e alterna lavori in prosa a raccolte poetiche. Fratture è stato inserito nella rosa dei candidati al NIKE 2009, il più prestigioso premio letterario polacco assegnato al miglior libro dell'anno.
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giovedì, 27 gennaio 2011



 «L’Alto Adige finalmente sta facendo i conti col suo passato»

MARCO RIZZA
Oggi è la Giornata della Memoria, istituita per tenere vivo il ricordo dell’orrore della Shoah e della deportazione. Molti gli eventi in programma anche in Alto Adige, a partire dalla deposizione delle corone di fiori questa mattina a Bolzano presso piazza Loew-Cadonna, il Lager, il cimitero ebraico e la tomba di Longon (la prima cerimonia inizierà alle 9.30). In mattina poi ci sarà il saluto ai 150 giovani tra i 17 e i 24 anni di tutti i gruppi linguistici che nel pomeriggio partiranno col «Treno della Memoria» per un viaggio a Cracovia con visita ai campi di Auschwitz e Birkenau e al ghetto ebraico della città. A salutarli, oltre alle autorità politiche, ci sarà anche Hannes Obermair, direttore dell’Archivio storico di Bolzano: «Abbiamo incontrato il gruppo di ragazzi di recente - dice - e sono rimasto impressionato dalla preparazione che hanno dimostrato». Manifestazioni come queste, prosegue, dimostrano «che la società civile in Alto Adige sta facendo passi avanti nell’elaborazione del proprio passato: sia il gruppo tedesco verso il nazismo che quello italiano verso il fascismo. C’è ancora un grande distacco tra gli importanti risultati ottenuti dalla ricerca storica e quello che si deposita nella coscienza collettiva, ma questo è un problema generale della ricerca, che deve sapere essere divulgativa ma senza banalizzare. Credo però che oggi in Alto Adige ci sia una consapevolezza su questi temi che una generazione fa non esisteva: basta pensare alle cerimonie negli spazi pubblici. La società sta acquisendo anticorpi che prima non aveva, e lo fa a prescindere dalla lingua». Un aiuto per aumentare questa consapevolezza, conclude Obermair, potrebbe arrivare anche da quella che chiama «civilizzazione dei monumenti» fascisti presenti a Bolzano: «Quei monunenti sono una risorsa per la città: scomoda, ovviamente, ma con un’operazione intelligente può servire a mostrare i drammi del Novecento. Sono una testimonianza che bisogna usare. Oggi manca una frattura che renda esplicita la violenza dei loro messaggi, che invece è quello che bisogna fare emergere per mostrare la presenza dei totalitarismi a Bolzano: il fascismo ma anche, meno visibile, il nazismo».
 Alla cerimonia di stamattina per salutare i ragazzi del «Treno della Memoria» è attesa anche Elisabetta Rossi Innerhofer, presidente della comunità ebraica di Merano. Manifestazioni di questo tipo, dice, «sono fondamentali per sviluppare la sensibilità tra i giovani. E la mia impressione è che qualche risultato ci sia». Ma allora perché, chiediamo, continuano a crescere i fenomeni di neonazismo tra i giovani? Proprio nel Burgraviato e in Venosta è un problema sempre più serio... «All’inizio - risponde Elisabetta Rossi Innerhofer -, quando sono emersi i primi casi, si poteva forse pensare che fossero almeno in parte bravate giovanili. Invece non è così, dietro c’è qualcosa di più profondo: c’è l’indifferenza di certe famiglie al diffondersi di quell’ideologia. Perché non posso credere che un genitore non si accorga se suo figlio sta diventando neonazista: quindi o è consenziente, oppure sorvola. E spesso alle spalle dei giovani neonazisti c’è un adulto». Paura di un antisemitismo di ritorno? «Sono spaventata quando vedo una persona come Ahmadinejad ricevuta nei Paesi occidentali con gli onori che si riservano ad un Capo di Stato qualsiasi. In questo caso mi sembra che il rischio di un ritorno dell’antisemitismo sia concreto. Ma ci sono anche novità positive: per esempio ho incontrato insegnanti che si adoperano tantissimo per fare conoscere la tragedia della seconda guerra mondiale». E i monumenti fascisti? Qui la Rossi Innerhofer dice di parlare «a titolo personale» perché «nella comunità ci sono sensibilità diverse». Per lei «è sbagliato pensare di cancellare le testimonianze della storia di questo Paese. Il fascismo è stato un orrore ma c’è stato, non è cancellando i monumenti che lo si cancella. Credo che siano gli storici a dovere proporre un progetto che metta tutti d’accordo».
Alto Adige 27-1-11
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mercoledì, 26 gennaio 2011



Due minuti d’emozione ecco le immagini crudeli del Lager di Bolzano

GIANCARLO ANSALONI
Era il 1960 quando anche a Bolzano, con scarsa eco per la verità, uscì al cinema Eden “Notte e Nebbia”, firmato da Alain Resnais: fu il primo documento “agghiacciante”che fece conoscere a un pubblico relativamente vasto gli orrori dei campi di sterminio, incollando spezzoni d’archivio in bianco e nero con parti a colori girate sui luoghi di deportazione. Pochissimi fino ad allora avevano potuto vedere cadaveri ammassati con bulldozer, fosse comuni scoperchiate, esseri umani scheletriti, svuotati fino all’anima con un contorno di capelli umani, cumuli di occhiali, orologi, denti d’oro, montagne di scarpe. Il film era stato girato 4 anni prima, ma boicottato anche dal Festival di Cannes, solo in parte per la crudezza, forse più per censura: un orrore da occultare per opportunità politica in pieno clima di guerra fredda.
 Ebbene, il “fantasma” di quella cinica censura è riapparso ieri, nella sala di Vicolo Gumer nell’incontro pubblico battezzato “Vedere la memoria”, una delle manifestazioni organizzate dal Comune nell’ambito della “Giornata della Memoria.
 L’incontro è coinciso con una mostra di scritti, libri, materiali d’archivio provenienti dal “Fondo Ciusa” e donato dalla signora milanese Tamara Ciusa, figlia di Franco, la cui figura è stata al centro della mattinata. Chi era Franco Ciusa? Nato a Milano nel 1930, a 15 anni rimase sconvolto di fronte alle condizioni dello zio Vittore Gorza, reduce da Mauthausen e dai suoi racconti sugli orrori dei Lager. Talmente “scioccato” da restare incredulo e indurlo a cercare riscontri e conferme. Dovette arrendersi di fronte alla realtà; da allora dedicò la sua vita, conclusa a 78 anni, alla ricerca maniacale di manoscritti, libri e filmati un po’ dovunque, soprattutto in Francia. Lavorando di notte montò un documentario intitolato “KZ”, 25 minuti di immagini che colpirono, profondamente nel 1960 la giuria del Festival del “passo ridotto” di Salerno, che gli attribuì il I premio. Il filmato è stati riproposto ieri nella sua versione originale, dalla quale si evince che alcuni passaggi furono “oscurati”, cioè censurati, come ha fatto notare un altro protagonista della mattinata, il regista Gianpiero Rizzo della Rai Milano, esattamente come per “Notte e nebbia”. Nel Fondo la figlia ha trovato anche un secondo filmato: il padre infatti non trascurò il “Lager” di Bolzano, immortalato in film 8 mm, quando il campo di concentramento era ancora pressoché “intatto” con il muro di cinta e le baracche, adattate ad abitazioni tipo “favelas” da famiglie senza tetto. “Nella nostra casa c’era materiale dappertutto, perfino nella vasca da bagno - racconta la figlia Tamara - abbiamo ricevuto spesso offerte di acquisto, ma abbiamo voluto rispettare il lavoro di nostro padre: mantenere intatto l’archivio come testimonianza per le nuove generazioni, con la donazione all’archivio di Bolzano, incoraggiati dall’interesse e dalla passione dimostrata della dottoressa Carla Giacomozzi.

Alto Adige 26-1-11
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mercoledì, 26 gennaio 2011



A Laives la nuova sede del “Toniolo”

LAIVES. Il sindaco Di Fede e l’assessore allo sport Alberto Covanti hanno incontrato il vicepresidente della giunta provinciale Christian Tommasini e il direttore del liceo “Toniolo” di Bolzano, Esio Zaghet. Tema del colloquio, cittadella dello sport e nuova sede del liceo che potrebbe essere realizzata nel centro della Bassa Atesina. Questo progetto, insieme a quello della cittadella dello sport, si inquadrano in una serie di iniziative che mirano alla promozione complessiva di Laives. Durante l’incontro quindi è stato sottolineato l’interesse verso il progetto, tornando a ribadire il valore educativo dello sport per i giovani e per la popolazione nel suo complesso. Tommasini ha sottolineato la necessità di un approfondimento dei vari aspetti legati al progetto, che mira alla realizzazione di un polo sportivo di livello provinciale a Laives, garantendo il proprio sostegno all’iniziativa. «D’altro canto - ha detto Tommasini - le cittadelle dello sport solitamente vengono realizzate al di fuori dei grandi centri abitati per facilitarne l’accesso e gli spostamenti. In questo modo Laives potrebbe trovare una propria identità peculiare e diventare punto di riferimento per tutta la provincia».
Alto Adige 26-1-11
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mercoledì, 26 gennaio 2011



Scuola, porte aperte

BOLZANO. Dopo l’ok alla riforma del secondo ciclo di istruzione, per gli studenti che concludono la scuola media diventa fondamentale essere informati sulle novità che li attendono dal prossimo anno nelle scuole superiori e professionali dell’Alto Adige. Partono oggi con il Liceo delle scienze umane “Pertini” di Bolzano le giornate delle porte aperte organizzate dai singoli istituti. Le scadenze - tra gennaio e marzo - sono pubblicate online sul sito www.riformascolastica.bz.it. L’Intendenza scolastica italiana ricorda che oggi (mercoledì 26 gennaio la giornata delle porte aperte è in programma dalle 9 alle 12 al Liceo delle scienze umane con opzione economico-sociale di Bolzano, in via Maso della Pieve 4/F. Informazioni: tel. 0471/051720 oppure www.itasbz.it. Sabato 29 gennaio invece tocca alla manifestazione pubblica dell’Istituto professionale per l’industria, artigianato e servizi e Istituto di istruzione secondaria di II grado per le scienze e le tecnologie “G.Galilei” di Bolzano, in via Cadorna 14. Porte Aperte dalle 9 alle 12.30.
Alto Adige 26-1-11
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martedì, 25 gennaio 2011



Lager di Bolzano: ecco le uniche immagini filmate

Il Lager di Bolzano in un filmato del 1959, quando le strutture originarie erano ancora tutte in piedi e abitate da decine di famiglie bolzanine. L’eccezionale documento sarà presentato oggi nell’incontro pubblico «Vedere la memoria» che si svolgerà a partire dalle 11 presso la Sala di rappresentanza del Comune (in vicolo Gumer 7). La proiezione è una piccola-grande sopresa per il programma di avvenimenti legati alla Giornata della memoria: solo negli ultimi giorni infatti Carla Giacomozzi, dell’Archivio storico della Città di Bolzano, è riuscita a recuperare il filmato. E la stessa Giacomozzi spiega di cosa si tratta: «Tutto nasce da Franco Ciusa, milanese classe 1930, che ha dedicato gran parte della sua vita a raccogliere materiale sulla deportazione. Il Fondo Ciusa è stato donato al nostro Archivio (se ne parlerà anche oggi al convegno, ndr). Nel 1959 Franco e suo zio, che fu un deportato, partirono da Milano per un viaggio in moto al Lager di Bolzano e a quello di Mauthausen. Portò con sè una cinepresa e oggi abbiamo trovato il filmato di quel viaggio». La parte dedicata al Lager bolzanino è breve ma il suo valore è straordinario: «Sono le uniche immagini filmate di cui disponiamo che mostrino il Lager con le sue strutture originali, prima che venissero abbattute. Finora conoscevamo solo qualche foto di Pedrotti, ma nessun filmato. Si vede con chiarezza che tutti i blocchi (quello delle celle, quello dei deportati ecc.) erano abitati da decine di famiglie». Nel corso del convegno sarà proiettato anche «Kz», un documentario del 1960 sempre di Ciusa, uno dei primissimi sul tema della deportazione, sempre con immagini d’epoca. Successivamente interverrà anche Gianpiero Rizzo, della Rai di Milano, che mostrerà tre spezzoni di documentari inediti sulla deportazione. L’ingresso alla manifestazione è libero.
 Ieri intanto è stata inaugurata al Teatro Cristallo la mostra itinerante «The Labyrinths», che ospita opere dell’artista polacco Marian Kolodziej. Nato nel 1921, Kolodziej fu rinchiuso nel giugno del 1940 nel Lager di Oswiecim (Auschwitz 1): fu il primo trasporto di deportati nel Lager di Auschwitz 1. Come gli altri è sottoposto alla fame costante, al lavoro che supera le forze, ai pidocchi, alla lenta morte fisica, alle molteplici vessazioni fisiche e psicologiche. È presente all’appello del 29 luglio 1941 durante il quale padre Massimiliano Kolbe diede la vita per salvare quella di un altro deportato. Coinvolto nel movimento di resistenza clandestino interno al Lager, Marian viene scoperto mentre copia alcune piante topografiche del campo di concentramento. Condannato a morte, viene rinchiuso nel blocco 11 e sottoposto a violenze. Quando Auschwitz 1 viene sgomberato, Kolodziej passa per numerosi altri Lager fino alla liberazione nel 1945. Nel dopoguerra diventa un affermato artista e scenografo, ma non affronta mai pubblicamente il tema della prigionia. Negli anni Novanta però, colpito da una grave malattia, per riabilitare la mano inizia a creare «The Labyrinths»: giorno dopo giorno, foglio dopo foglio dà vita alla mostra delle sue esperienze nella fabbrica della morte. Kolodziej è morto nel 2009. Le opere di «The Labyrinths» sono esposte al Cristallo, nella biblioteca Sandro Amadori, al Centro giovanile Pierino Valer, al punto di prestito Don Bosco, nella Biblioteca civica e nelle biblioteche succursali Europa, Novacella e Ortles. (m.r.)

Alto Adige 25-1-11
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martedì, 25 gennaio 2011



Eurac Science Cafè: i temi li può proporre il pubblico

BOLZANO. All’inizio dell’edizione 2011 manca ancora qualche mese, ma gli Eurac Science Café sono già... aperti al pubblico. Da quest’anno infatti gli organizzatori dei dibattiti serali estivi, in forma di colloqui al bar, sulla torre dell’Eurac di Ponte Druso, chiedono agli interessati di partecipare in maniera ancora più attiva: non solo intervenendo ai dibattiti ma anche esprimendo la propria preferenza sui temi da trattare. Ambiente, energia, lingue, minoranze, trasporti, turismo, salute sono alcune delle possibili scelte e i temi ricalcano gli ambiti in cui gli undici istituti dell’Eurac svolgono attività di ricerca. Fino al 12 febbraio è possibile inviare le proprie proposte di discussione direttamente dal sito tower.eurac.edu oppure via mail a tower@eurac.edu.
Alto Adige 25-1-11
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martedì, 25 gennaio 2011



Materne bilingui

DAVIDE PASQUALI
BOLZANO. Sezioni bilingui non solo alle elementari e alle medie, ma pure nelle scuole dell’infanzia. La proposta avanzata dal deputato Pd Luisa Gnecchi viene accolta tiepidamente dal compagno di partito nonché assessore provinciale alla scuola italiana Christian Tommasini. «Su questo tema - dichiara - in futuro si potrà anche aprire un dibattito, ma per ora la strada è un’altra: continuare con l’approccio ludico del tedesco, in atto da diversi anni per i bimbi di 4 e 5 anni di età; potenziare le attività extrascuola; infine, soprattutto, coinvolgere i genitori. L’assessorato sta elaborando una serie di progetti a tale proposito, che partiranno nel corso di quest’anno».
 Tommasini viene però in qualche modo superato dall’Obmann cittadino Svp di Bolzano, Dieter Steger. «Così come per elementari e medie - dice - si dovrebbe avviare al più presto un dibattito ampio, scientificamente approfondito e serio anche sull’insegnamento del tedesco all’asilo. La società è andata oltre la politica: certe decisioni, giuste nel passato, potrebbero risultare sbagliate oggi».
 «Da anni - spiega Tommasini - l’assessorato sta puntando sul bilinguismo precoce. Se vogliamo studenti preparati che possano frequentare l’università bilingue, bisogna cominciare da piccoli. Il nostro standard, rivelatosi vincente, oggi si chiama approccio ludico al tedesco. Ossia: insegnare la lingua facendo divertire i bimbi, in maniera da creare un clima di simpatia nei confronti della seconda lingua. Ci serviamo o di insegnanti dell’altro gruppo linguistico in servizio all’interno delle scuole dell’infanzia in lingua italiana oppure di agenzie di formazione esterne. Per i bimbi di 5 anni d’età le lezioni sono gratuite; per quelli di 4 anni occorrono piccoli contributi. Ma puntiamo molto anche sulle attività extra scuola, come i progetti linguistici estivi: la giunta provinciale concede il 10% di contributi in più alle associazioni che organizzano attività se sono tenute in due o in tre lingue». Il futuro prossimo, nel giro di un anno garantisce Tommasini, «sarà estendere a tutte le realtà provinciali il coinvolgimento dei genitori. Perché è inutile che i bimbi imparino a giocare in tedesco, se poi a casa trovano un ambiente totalmente monolingue. Cercheremo di coinvolgerli, di stabilire un patto: noi potenziamo e miglioriamo l’insegnamento del tedesco, i genitori si impegneranno a partecipare alle iniziative ludiche extra-scuola, sia prendendo parte ai progetti in classe, sia aiutando i bimbi a casa. Un’occasione, anche per i genitori, di riprendere in mano il tedesco, magari guardando in tv cartoni animati in tedesco o visionando i supporti digitali preparati dagli esperti e messi a disposizione di tutti. Ogni giorno 10 minuti. Bastano. Potrebbe diventare un rito quotidiano delle famiglie. In questi anni le coppie giovani con figli sono molto sensibili e aperte in tal senso».
 Concorda il presidente uscente del consiglio provinciale, Dieter Steger: «C’erano altri tempi, in cui si diceva: la seconda lingua non serve. Oggi i genitori di lingua italiana la pensano altrimenti: desiderano intraprendere tutti i passi possibili perché i loro figli imparino la seconda lingua. E allora dovremmo aiutarli, dovremmo metterli nelle condizioni di soddisfare il loro desiderio». Perciò Steger si dice convinto che «sia necessario avviare al più presto un dibattito allargato, serio, e improntato su basi scientifiche. L’argomento è delicato, perché c’è di mezzo lo statuto di Autonomia, ma il tema deve essere affrontato: parliamo con gli esperti, che ci spiegheranno come si debba insegnare la seconda lingua alle elementari e alle medie, e, perché no, anche alle scuole materne». Steger ammette: «La società è andata oltre la politica, non possiamo più nasconderci dietro un cerino. La politica non può più attendere. Alcune decisioni, giuste in passato, oggi potrebbero essere sbagliate». Sta di fatto, dice, «che anche nelle scuole tedesche la conoscenza dell’italiano è forse peggiore di quella della mia generazione. E negli asili tedeschi sono tanti i bambini italiani, molti dei quali conoscono poco o nulla l’altra lingua, e questo genera complicazioni gestionali notevoli. Personalmente sono aperto e credo che anche il mondo tedesco dovrebbe cominciare a interrogarsi e ad aprirsi. L’identità, la conoscenza della madre lingua, non svanisce se ci si apre». Qualcuno, raccoglierà?
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lunedì, 24 gennaio 2011



Il rettore: sospesi i corsi senza prospettive

ANTONELLA MATTIOLI
BOLZANO. «Posso capire la preoccupazione degli insegnanti e ritengo che forse i tempi potevano essere diversi, ma la decisione del cdu è giusta. Una sospensione di un anno del corso di Scienze della comunicazione plurilingue è necessaria per fare un’analisi complessiva e capire che sbocchi occupazionali offre per il futuro. Poi si ripartirà, potenziando l’offerta». Così il rettore Walter Lorenz in merito alla decisione del consiglio d’amministrazione della Lub di sospendere per l’anno accademico 2011-2012 il corso di Scienze della comunicazione che si tiene a Bressanone nell’ambito della facoltà di Scienze della formazione (stop di un anno anche per il corso di laurea magistrale in fruit science della facoltà di scienze e tecnologie). Le lezioni continueranno per chi è già iscritto. Si ripartirà col primo anno nell’autunno del 2012. La decisione del cdu è condivisa dalla stragrande maggioranza degli studenti che, a quanto pare, nel corso degli anni, ha più volte rilevato carenze e anomalie. Mentre ha creato malumori tra i docenti. Lorenz, in quanto massima espressione del mondo accademico, è in una posizione scomoda, ciononostante condivide la scelta del cdu.
Entrambi docenti universitari, ma con una formazione più manageriale il presidente del cdu, più sociologica il rettore, Bergmeister e Lorenz condividono la filosofia del nuovo corso: elevare la qualità per dare più chance a chi si laurea alla Lub. «È in quest’ottica - assicura il rettore - che il cdu ha deciso di sospendere per un anno Scienze della comunicazione. Lo stop serve per analizzare il corso che è caratterizzato da una certa ambiguità e per questo ha bisogno di qualche correttivo».
Cosa significa “ambiguità”?
«Significa che le materie che vengono insegnate sono sicuramente interessanti però, a mio avviso, non caratterizzano abbastanza questo corso. Poi bisogna capire esattamente che tipo di prospettive occupazionali può offrire in futuro un corso di questo tipo. Quindi si ripartirà con le nuove matricole nell’anno accademico 2012-2013, aggiungendo al triennio, la laurea magistrale e il master». E per quanto riguarda i docenti c’è il rischio che qualcuno perda il lavoro? «No. Si sospende solo la partenza del primo anno, ma il secondo e il terzo continueranno regolarmente». D’accordo dunque nel merito, Lorenz ha qualche riserva sui tempi. «In futuro mi auguro che se si dovesse prendere un’altra decisione di questo tipo, si decida prima e non nell’ultimo cdu dell’anno com’è successo stavolta. Nel caso specifico avrei preferito che si aspettasse, rinviando tutto all’ estate. Così avremmo potuto disporre anche delle valutazioni sui singoli corsi che stanno effettuando sei esperti internazionali. Ma il cdu non poteva attendere, perché dovendo approvare il bilancio 2011 bisognava sapere subito se Scienze della comunicazione c’era ancora oppure si sospendeva».
Alto Adige 24-1-11
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lunedì, 24 gennaio 2011



Sì alle classi bilingui 

FRANCESCA GONZATO
BOLZANO. Luisa Gnecchi (Pd) ha firmato nel 2008 la legge di riforma della scuola del primo ciclo, poi ha lasciato Palazzo Widmann per la Camera. «Adesso si deve procedere speditamente sull’insegnamento veicolare».
Le classi bilingui sono ancora limitate. L’assessore Tommasini punta ad allargarle.
«Infatti si deve andare avanti velocemente. Per fortuna si muove qualcosa anche nel mondo tedesco, a partire dalle dichiarazioni di Dieter Steger in appoggio a Tommasini. La cosa ideale sarebbe spingere sulla scuola materna, con un insegnante di lingua italiana e uno di lingua tedesca».
Dall’anno prossimo verrà istituzionalizzato l’insegnamento veicolare alle medie Foscolo, poi partiranno anche le Archimede, per accogliere i bambini che escono dalla classi bilingui delle elementari.
«Questo va benissimo, ma insisto anche sulle materne, perché con i bambini di quella età attraverso il gioco puoi fare un lavoro enorme sulla lingua, anche sulla pronuncia. Per dirla tutta, il mio sogno sarebbe una scuola materna così organizzata: una sezione con due maestri di lingua italiana, una sezione con due maestri di lingua tedesca, una sezione con un insegnante italiano e uno tedesco. La scelta poi spetterebbe alla famiglia».
Sotto lo stesso tetto?
«Sì».
In Provincia si terrà una riunione di tutti i consiglieri di lingua italiana per provare a stabilire una linea comune in vista della discussione sulla legge per la toponomastica. Cosa ne pensa?
«Un passo giusto, vista l’importanza del tema. Devo dire che è stato fatto anche in passato proprio in occasione della riforma della scuola, dove volevo spingere per l’inserimento dell’insegnamento veicolare. Ne discussi con i consiglieri di centrodestra, a partire da Minniti che da figlio di una brava insegnante capiva l’importanza del tema. Nonostante stessimo parlando dell’applicazione della riforma Moratti, sono riuscita a collaborare con il centrodestra. Nel caso estremo avrei chiesto la votazione separata per gruppo linguistico».
E’ opportuno che i consiglieri italiani trovino una linea comune sulla toponomastica?
«Direi che ci vorrà l’accordo di tutti, anche della Svp: su questi temi le leggi non possono passare solo con la forza dei numeri».
Il Pd ha rifiutato di firmare il testo della Svp.
«Ha fatto bene. Il principio della verifica dell’uso in teoria potrebbe essere sensato, se certificasse la situazione. Ma la commissione dovrebbe essere paritetica e l’eventuale sondaggio sulla popolazione andrebbe effettuato a livello provinciale, non certo comune per comune. In generale sarei stanca di sentire parlare di questo tema, quando ci aspettiamo che i nomi dei luoghi siano definitivamente bilingui e basta».
A proposito di dialogo bipartisan, come giudica la proposta di Luigi Spagnolli di andare alle provinciali non con la lista del Pd, ma con un progetto autonomista allargato?
«Mancano quasi tre anni alle provinciali».
Non può cavarsela così.
«Siamo per un Pd forte e sono passati solo tre anni dalla sua fondazione. Penso, come Bersani, che non si debba superare Berlusconi con un presidente padre padrone. Così a Bolzano il problema del centrosinistra non è dividerci già nel 2011 sulla lista, ma costruirci giorno per giorno e fare in modo che la presunzione di singole persone lasci spazio ai progetti».
Ma Spagnolli accusa il Pd di perdere i pezzi, invece di allargarsi.
«Perdere pezzi? Se ne sono andate un paio di persone, Barbara Repetto e Diego Cavagna».
E gruppi relativi.
«Poche persone. Abbiamo due assessori provinciali che collaborano e un partito che non ha problemi».
Lei è sempre stata scettica sui rapporti Svp-Pdl. Negli ultimi giorni sono arrivate dichiarazioni di ghiaccio su Bondi e Berlusconi.
«Non mi scomponevo prima, quando si parlava di svolta a destra, non mi scompongo ora. Bondi pagherà con la Svp il restauro del Monumento alla Vittoria. Su Berlusconi non mi stupisce che la sua condotta provochi una reazione così forte nella Svp: siamo una terra con valori cattolici radicati, una cultura di affermazione della donna e l’abitudine a politici che rispettano le istituzioni. Ma insisto, non prevedo scossoni, finché la Svp non farà la scelta decisiva».
Quale?
«Se continuare ad essere blockfrei o no. Secondo me è giusto che scelgano».
Com’è il clima alla Camera? Cosa le raccontano i parlamentari di centrodestra lontano dalle dichiarazioni ufficiali?
«Lo scandalo sessuale di Berlusconi provoca insofferenza in alcuni di loro, altri sono costretti al silenzio perché sono stati eletti così. La cosa che mi fa più rabbia e che questa vicenda passa sotto silenzio comportamenti gravissimi del governo, come la confusione totale che stanno provocando sulle pensioni, la materia di cui più mi occupo: nell’ordine, hanno varato il pensionamento coatto dei lavoratori con oltre 40 anni di contributi nel pubblico impiego, sono state costrette alla pensione le donne di 58 anni, poi hanno alzato la soglia per le donne a 61 anni, poi 65 anni, poi spostato tutti di un anno. Cosa vogliono, mandare le persone in pensione o tenerli al lavoro? Ma i media parlano solo di escort».
Alto Adige 24-1-11
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sabato, 22 gennaio 2011



Giornata della Memoria In città da lunedì sette giorni di eventi

ALAN CONTI
BOLZANO. Meglio una settimana di un singolo giorno, specialmente quando si tratta di Memoria. È questo l’orientamento del Comune di Bolzano che onorerà le celebrazioni della Giornata della Memoria fissata per giovedì 27 gennaio con una «sette giorni» di mostre, manifestazioni ed eventi culturali che alimentino la riflessione storica e morale sul dramma della Shoah. Curato in prima persona da Carla Giacomozzi dell’Archivio storico cittadino, il cartellone degli eventi si spalma, come detto, da lunedì a sabato. Si parte il 24 gennaio alle 10 con l’inaugurazione della mostra fotografica «The Labyrinths» di Marian Kolodziej al teatro Cristallo: «Un’esposizione di disegni - spiega Giacomozzi - in cui l’autore racconta con viva disperazione la sua esperienza di deportato nel Lager di Auschwitz 1. Oltre al teatro di via Dalmazia le opere saranno ospitate al centro Pierino Valer e in alcune biblioteche cittadine». Martedì 25 sarà la volta della mostra del Fondo documentario Franco Ciusa alle 10.30 nel foyer del Comune in vicolo Gumer. «Libri, film e materiale raccolto da Ciusa e donato all’archivio cittadino. Troviamo anche reperti molto preziosi di difficile rintracciabilità. Alle 11, invece, passeremo nella sala di rappresentanza per un incontro pubblico dal titolo “Vedere la memoria” dove proietteremo filmati inediti, realizzati dallo stesso Ciusa, sul ghetto di Varsavia e la liberazione del lager di Buchenwald».
 Il giorno dopo ci si sposta in via Pacinotti dove, alle 10.30, ci sarà la presentazione dell’opera di risistemazione dell’area attorno al binario della deportazione, in corrispondenza dell’entrata della Metro. «Da lì - specifica Cecilia Baschieri del Servizio tecnico ambientale e progettazione del verde del Comune - partirono la gran parte dei 13 viaggi che da Bolzano portarono i deportati nei vari Lager nazisti. Abbiamo posizionato, in prossimità del binario a vista, la tipica ghiaia delle aree ferroviarie restituendo un’atmosfera seria e rispettosa di un simile ricordo. La zona di parcheggio è stata regolamentata e il monumento ai deportati realizzato da Christine Tschager sarà valorizzato maggiormente».
 Si passa così alla Giornata della Memoria ufficiale, fissata per giovedì 27 gennaio, anniversario della liberazione di Auschwitz. Si comincia dalle 9 alle 11.30 con commemorazioni ufficiali con deposizione di corone in piazza Wilhelm Alexander Loew-Cadonna, in via Resia davanti al muro del Lager, al cimitero ebraico e a quello maggiore in prossimità della tomba di Manlio Longon. Alle 11.30 a palazzo Widmann andrà in scena l’assemblea degli studenti del Treno della Memoria: ragazzi che si uniranno ad altri giovani per ripercorrere parte del tragitto dei deportati. Chiusura delle manifestazioni sabato 29 quando, alle 18, in Comune si terrà il concerto di musica in Aulis «Suoni...parole...per ricordare» con musiche di Aldo Salottini e voce recitante di Maria Luisa Crosina. «Per Bolzano - ha chiuso il sindaco Luigi Spagnolli - la Giornata della Memoria riveste sempre un’importanza particolare, legata anche alla presenza del Lager in via Resia».
Alto Adige 22-1-11
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sabato, 22 gennaio 2011



Nuova sede a Laives per la scuola agraria

LAIVES. Cerimonia di inaugurazione, giovedì mattina, per la nuova sede della scuola professionale italiana per la frutti-viticoltura, appena ricavata dall’ex complesso “Ciola”. Per l’occasione è intervenuto anche il vicepresidente della giunta provinciale Christian Tommasini, che si è complimentato per il risultato raggiunto in breve tempo e che ha dato alla scuola, finalmente, una sede degna di questo nome.
 «È una presenza importante per l’economia altoatesina, soprattutto in una fase di difficoltà come quella che stiamo attraversando - ha continuato Tommasini - e sono orgoglioso di poter affermare che, nonostante le difficoltà nel bilancio provinciale, siamo riusciti perlomeno a mantenere invariato il sostegno a vari settori strategici e, tra questi, a scuola e formazione».
 Giuseppe Del Pero, direttore della scuola, a sua volta ha ricordato che, dopo un decennio di precariato che aveva portato la scuola anche a Vadena in alcuni locali del municipio, finalmente c’è una vera sede per la quarantina di ragazzi che la frequentano attualmente.
 La scuola a Laives è coordinata da Ezio Marcadella e la nuova sistemazione logistica appare certamente molto più funzionale e completa di quelle del passato. È vicina anche alla statale 12 e alla fermata degli autobus, aspetto da non sottovalutare se si pensa alla quarantina di studenti che la frequentano, in parte provenienti anche da altre località della provincia. Per la comunità locale, il benvenuto è stato portato dal sindaco Liliana Di Fede. Con ogni probabilità, già il prossimo mese di febbraio potrebbe essere organizzata la “giornata delle porte aperte” per aprire gli spazi alla cittadinanza, così da farsi conoscere meglio. (b.c.)
Alto Adige 22-1-11
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sabato, 22 gennaio 2011



Il Papa: le istituzioni ritrovino i valori etici
Napolitano: la legge è garante del giusto processo. E invita a scongiurare altre tensioni


PAOLO CARLETTI
ROMA. Il Papa che interviene con un duro monito sull’indebolimento dei principi etici, e il cardinale Bagnasco che informa: della vicenda Ruby si occuperà il consiglio della Cei. Le gerarchie ecclesiastiche vogliono smarcarsi da una situazione eccessivamente imbarazzante, il mondo cattolico è in fibrillazione. E’ questo lo scenario che Berlusconi avrebbe sempre voluto evitare.
 Il premier stretto nella tenaglia Santa Sede-Quirinale, dopo che il presidente Napolitano è nuovamente intervenuto ricordando che «nella Costituzione e nella legge possono trovarsi i riferimenti di principio e i canali normativi per far valere insieme le ragioni della legalità e le garanzie del giusto processo». Parole pesanti per un premier che sta puntando tutto proprio sugli attacchi alla magistratura per cercare di delegittimarla agli occhi del suo elettorato. Berlusconi accerchiato insomma, e questo dovrebbe far accendere una spia nel centrodestra: la situazione oggi è la più pesante di sempre. Molti esponenti cattolici ferventi del Pdl se ne stanno accorgendo, visto che dopo le parole del Papa si sono affannati a dichiarare che le parole del Pontefice non si riferivano a Berlusconi. Una difesa strenua, ma che a questo punto pare diventata una missione impossibile. Le parole di Benedetto XVI durante l’udienza col personale della questura di Roma sono infatti arrivate dirette e inequivocabili. Dopo aver denunciato il senso di insicurezza causato dalla «precarietà sociale ed economica», ha aggiunto che essa «è acuita anche da un certo indebolimento della percezione dei principi etici su cui si fonda il diritto e degli atteggiamenti morali personali, che a quegli ordinamenti sempre danno forza. Il nostro mondo - ha aggiunto - è attraversato dall’impressione che il consenso morale venga meno e che, di conseguenza, le strutture alla base della convivenza non riescano più a funzionare in modo pieno».
 Lupi, Giovanardi, Gasparri ed altri del Pdl hanno subito escluso che il Papa si riferisse a Berlusconi, ma l’imbarazzo tra i cattolici del centrodestra cresce di ora in ora. E mentre Famiglia Cristiana ieri esprimeva «angoscia per gli effetti dello scandalo», a chiudere il cerchio ci ha pensato il cardinale Bagnasco: «La vicenda Ruby - ha insolitamente annunciato il presidente dei vescovi - sarà esaminata lunedì prossimo dal consiglio permanente dei vescovi riuniti ad Ancona». Infine l’Osservatore Romano, organo della Santa Sede, oltre a pubblicare le parole di Bertone, rilancia nuovamente l’appello del presidente Napolitano.
 Dal Colle appunto è arrivato l’invito a scongiurare «ulteriori tensioni che possono solo aggravare un turbamento - ha detto Napolitano - largamente avvertito». Il Capo dello Stato ha aggiunto che è indispensabile «un valido equilibrio tra chi è costituzionalmente deputato a esercitare il controllo di legalità e ha l’obbligo di esercitare l’azione penale, e chi è chiamato, nel quadro istituzionale e secondo le regole della Costituzione, a svolgere funzioni di rappresentanza democratica e di governo». Per poi aggiungere che nella nostra Costituzione ci sono tutti i requisiti per la legalità e il giusto processo.
 «Fuori di questo quadro - ha concluso Napolitano - ci sono solo le tentazioni di conflitti costituzionali e di strappi mediatici che non possono condurre, per nessuno, a conclusioni di verità e di giustizia».
Alto Adige 22-1-11
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venerdì, 21 gennaio 2011



la sfida di Alex Langer

Pubblichiamo una parte dell’introduzione di Goffredo Fofi alla nuova edizione di «Il viaggiatore leggero» di Alex Langer, ed. Sellerio.


di Goffredo Fofi
Se si dovesse chiudere in una formula ciò che Alex Langer ci ha insegnato, essa non potrebbe che essere: piantare la carità nella politica. Proprio piantare, non inserire, trasferire, insediare. E cioè farle metter radici, farla crescere, difenderne la forza, la possibilità di ridare alla politica il valore della responsabilità di uno e di tutti verso “la cosa pubblica”, il “bene comune”, verso una solidarietà tra gli umani e tra loro e le altre creature secondo il progetto o sogno di chi “tutti in sé confederati estima/ gli uomini, e tutti abbraccia/ con vero amor, porgendo/ valida e pronta ed aspettando aita/ negli ultimi perigli e nelle angosce/ della guerra comun.”
 Dico carità nel preciso senso evangelico, poiché Alex era un cristiano, dei non molti che cercavano di attenersi agli insegnamenti evangelici che era possibile conoscere in quegli anni nel “movimento” (e oggi sono ancora di meno) e non, come tanti di noi che gli fummo contemporanei e amici, di fragilissime convinzioni “marxiste” oppure, al meglio, mossi confusamente da una visione solo etica del cristianesimo. La “diversità” di Alex, la sua superiorità sui suoi amici e compagni, gli veniva anche da una storia famigliare più ricca, a cavallo tra lingue e culture, tra Germania e Italia e tra ebraismo e cattolicesimo, ma nessuno vide mai in questo il marchio del privilegio, poiché essa era caratterizzata in lui da una convinzione di umiltà reale e non esibita, non appariscente, dalla propensione all’ascolto degli altri, di tutti, dalla libertà dei collegamenti e dalla scelta di “far da ponte” (...).
 Il progetto semplicissimo e immenso di far da ponte tra le parti in lotta, che ad Alex costò infine la vita, è fallito e continua a fallire in un mondo dove le incomprensioni permangono e prosperano gli odi, sollecitati dai diversi poteri e dal peso dei torti ricevuti e fatti, di una memoria di gruppo che, invece che rendere aperti, rende più chiusi alle ragioni degli altri. Poiché troppa memoria può uccidere alla pari della (nostra, italiana) assenza di memoria. E tuttavia il messaggio di Langer è stato fino all’ultimo chiaro: se anche c’è chi cade, chi non regge più il peso della storia e della solitudine (...), bisogna imparare dall’esperienza quel che se ne può ricavare, e andare avanti. Non perché “si spera”, ma perché “si ama”: e la “carità” è allora il centro di tutto, come voleva san Paolo - più della speranza e più della fede.
 Alex Langer ha svolto una funzione di ponte in due direzioni prioritarie: quella di accostare popoli e fazioni, di attutirne lo scontro e di promuoverne l’incontro, e quella dell’apertura a un rapporto nuovo tra l’uomo e il suo ambiente naturale. E se nel primo caso, quello più determinato dalle pesanti contingenze della storia (per Alex, la guerra interna alla ex Jugoslavia), si trattava di far da ponte ma anche da intercapedine, da camera d’aria dove potesse esprimersi un dialogo assai difficile, nel secondo si trattava piuttosto di additare nuovi territori all’azione politica responsabile, allargandone il significato da città a contesto, da polis a natura.
 Se sul fronte della pace e della convivenza tra umani di diversa etnia o religione o parte politica Alex è stato un continuatore, egli è stato su quel secondo fronte un precursore, uno dei più persuasi pionieri dell’indispensabilità di una visione ecologica dell’agire politico. Ha visto tra i primi l’arrivo della novità, come lo Zaccheo del Vangelo che si portò nel luogo più avanzato del suo villaggio e nel suo punto più alto per poter vedere per primo l’arrivo del Messia, e cioè della Novità, ed è stato confortato in questo dalla sua conoscenza e vicinanza a uno dei pochi veri profeti dello scorso secolo, il prete e filosofo che si faceva chiamare Ivan Illich. Tra l’antico e l’eterno del messaggio cristiano e la verde novità dell’ecologia, tra le esigenze della pace (gli uomini) e quelle dell’armonia (degli uomini con la natura) tra loro fittamente intrecciate, sempre più interdipendenti, Langer si è mosso quotidianamente, attento al presente ma cosciente del passato e straordinariamente aperto al futuro, al possibile e al doveroso dei compiti della politica (della militanza, della persuasione). Contro il gioco chiuso del potere. E contro i ricatti paralleli di un’impazienza non meditata e di una lentezza non ipocrita: nell’avvicendarsi che appartiene alla storia delle fasi di stasi e di quelle di febbre, occorre prepararsi nella stasi per saper meglio muoversi nella furia che, prima o poi, si scatenerà. Anche se il nostro ritmo e tempo non sono quelli del potere e del capitale, della violenza che essi propongono o provocano, dobbiamo però conoscerli, studiarli, contrastarli. L’azione soffre di aver trascurato il pensiero, quando i suoi tempi si accelerano, e un pensiero senza azione serve a poco, cambia poco. Si tratta allora di agire su un doppio binario secondo modalità difficili da gestire, che esigono ponderatezza e prontezza (...).
 Dopo la secca sconfitta dei movimenti del dopo guerra mondiale, nel mondo di fantascienza realizzata e di nuova barbarie, di nuovi sistemi di dominio attuati (tra consumo e consenso) nei paesi ricchi, che in questo mortuario progetto sono riusciti a coinvolgere quelli poveri ma anche, a volte, a irritarli fino a provocare la loro risposta più tradizionale e micidiale, quella del fondamentalismo identitario e religioso, la sfida di Alex è stata infine quella di molti, ma più lucida e vissuta con più radicale generosità, è stata quella di non-accettare lo stato delle cose, di non darlo per scontato cercando e trovando al suo interno il proprio spazio, bensì di metterlo in discussione fattivamente: con la rivolta, se necessario di pochi ma in funzione del tutti. Con maggiore comprensione da parte sua delle contraddizioni, della complessità dei problemi, e si è trattato per lui di viverle, le contraddizioni, secondo il filo rosso della propria coscienza e delle proprie convinzioni morali. Viverle, le contraddizioni - anche le nostre di complici e di oppressi allo stesso tempo - analizzandole senza paraocchi, e tentando di superarle nel fare, nel “ben fare” (...).
 Si è trattato insomma per Alex Langer e per pochi altri come lui, e si tratta per noi oggi, di superare la diffidenza antica e nuovissima per la politica, di continuare o ricominciare occuparci della “cosa pubblica” con lo sguardo antico e nuovissimo di una vocazione insieme profondamente cristiana e limpidamente laica, e con la coscienza chiara dell’obbligo di superare i nostri limiti, di abbandonare le nostre acquiescenze, di abbattere i nostri luoghi comuni ridefinendo la politica a partire dagli obblighi di ciascuno, a partire dal gruppo (le minoranze eticamente determinate) e dal singolo, chiedendo a noi stessi il massimo, ma del possibile. (...). Il sentiero di cresta su cui Alex si è mosso (e l’immagine gli si addice, uomo di montagna e di confine) è stato, spinto fin quasi all’estremo, il più esemplare ed educativo di tutti quelli percorsi dalla sua generazione, il più aperto al confronto con le contraddizioni della politica e anche il più autenticamente, coerentemente, lucidamente drammatico e vero. Di questo gli siamo grati, perché è anche a partire dalle riflessioni sulla sua scelta finale che si può ancora ricominciare, nella coscienza delle difficoltà e dei limiti delle nostre possibili scelte, della precarietà e fragilità della nostra condizione di uomini, dell’immane peso della storia ma anche della necessità di reagire e di dare un senso alla brutalità o al torpore della nostra vita con scelte degne, nobili, responsabili e chiare oggi più che mai.
Alto Adige 21-1-11
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categoria:cultura
giovedì, 20 gennaio 2011



La scuola di potatura sbarca a Laimburg

VADENA. La Scuola italiana di potatura della vite, itinerante e unica nel suo genere a livello internazionale, ha scelto l’Alto Adige fra le sue sedi e dal 9 all’11 febbraio prossimi terrà i suoi corsi presso la Scuola professionale per la frutti-viti-orti- e floricoltura di Laibmurg e presso l’Istituto sperimentale di Laimburg.
 Istituita dai due tecnici friulani Marco Simonit e Pier Paolo Sirch, dopo oltre 20 anni di lavoro sperimentale nei vigneti, é un centro di formazione permanente.
 Una scuola itinerante, con sedi nelle 8 grandi regioni del vino italiane, aperta a viticoltori e non, le cui lezioni si articolano in due fasi: 20 ore in inverno, con la parte teorica e la parte pratica in vigna per gli interventi sul legno in fase di potatura. Altre 12 ore in tarda primavera, per la gestione del verde.
 In ciascuna regione la Scuola - avviata lo scorso anno e consolidata nel 2011 - collabora con prestigiose università ed istituti di ricerca legati al mondo della vite, interessati al Metodo Simonit e Sirch di potatura soffice: in Alto Adige l’Istituto sperimentale di Laimburg, che ospiterà i corsi, organizzati anche con la collaborazione della Scuola professionale e dell’associazione ex Alunni.
 «Riteniamo che la ricerca sia il futuro - spiega Marco Simonit - perciò, oltre ad aprire le Scuole, stiamo investendo molto in questo settore e stiamo allacciando rapporti con importanti istituti e università affinché il nostro lavoro sia studiato e monitorato. Non siamo gelosi del nostro metodo, anzi desideriamo che il mondo scientifico lo studi. Siamo partiti oltre 20 anni fa dall’osservazione delle antiche vigne».
 Tra i vantaggi di questo metodo la riduzione dei costi in vigna con la diminuzione delle ore di potatura (dal 30 al 50%) e, soprattutto, piante più sane e longeve che danno uve, e quindi vini, di qualità superiore. Per informazioni e iscrizioni: www.simonitesirch.it e mail: preparatoriuva@preparatoriuva.it, Tel. 0432.752417. (da.fo.)
Alto Adige 20-1-11
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categoria:cultura, conca atesina
giovedì, 20 gennaio 2011



I ragazzi: dateci la scuola bilingue

ALAN CONTI
BOLZANO. «Entro il 2020 non vogliamo più vedere la divisione tra scuola italiana e tedesca, ma una sola istituzione educativa per tutti». E’ un’affermazione netta quella che arriva dai giovani protagonisti del progetto “Liberamente”, organizzato dal dipartimento provinciale della cultura italiana. Presentato ieri il manifesto programmatico elaborato in un anno di lavoro da ragazzi tra i 16 e 25 anni dei due gruppi linguistici. Tutti i settori della società e delle politica altoatesina vengono toccati da un documento che si prefigura il territorio del futuro e chiede la stessa considerazione dell’omologo presentato da Assoimprenditori nei giorni scorsi. Sulla questione, comunque, si esprime anche il rettore della Lub Walter Lorenz che ammette come in ateneo «si formino insegnanti per la scuola primaria in un’ottica che prevede un possibile sviluppo bilingue del sistema altoatesino».
 E’ l’istruzione, dunque, il settore dove il manifesto giovanile esprime posizioni forti: «Guardare in avanti - le parole di Jacob Mureda e Daniel Benelli - significa cercare di superare le divisioni che ci sono attualmente e orientarsi verso una scuola che sia realmente paritetica e senza troppi steccati». L’assessore alla scuola Christian Tommasini è promotore del progetto “Liberamente” e annuisce alle richieste dei ragazzi: «Abbiamo tenuto conto delle loro richieste quando si è trattato di discutere sullo scambio di docenti. Le nostre scelte nel promuovere una sezione di potenziamento linguistico in tutte le primarie, e in futuro alle medie, sono figlie di queste riflessioni». Il mondo scolastico italiano, insomma, apre le porte alle proposte della sua stessa utenza. «Il dialogo tra tutte le componenti - precisa la sovrintendente Nicoletta Minnei - è molto importante e stiamo dimostrando con i fatti che teniamo conto delle loro richieste, coniugandole con una necessaria visione tecnica». La riflessione sulla scuola dei ragazzi, comunque, non si ferma alla sezione bilingue. «Necessario - si legge nel manifesto - aumentare i contatti tra l’università e le scuole superiori, contare su insegnanti retribuiti e motivati e utilizzare di più le nuove tecnologie». Proprio sul rapporto con gli atenei prende la parola il rettore della Lub Walter Lorenz: «I contatti delle nostre facoltà con i vari indirizzi delle scuole superiori sono proficui e mirano alla creazione di progetti comuni che possano garantire una certa continuità tra i gradi d’istruzione. Le stesse Intendenze sono interlocutori regolari per le nostre attività». La Lub, però, con scienze della formazione primaria è anche la fabbrica di insegnanti che potrebbero trovarsi a fare i conti con l’aumentare delle sezioni bilingui. «Stiamo guardando con attenzione - continua Lorenz - a quanto accade nel mondo italiano. Evidente come i due corsi, italiano e tedesco, rimangano al momento divisi, ma è naturale che un ateneo con le nostre caratteristiche si debba far trovare pronto alla spinta plurilingue della società. Proprio in quest’ottica attiviamo precisi corsi di potenziamento che compenetrino i due gruppi linguistici. Non solo, da quando è stata abolita la scuola di specializzazione all’insegnamento Siss tutte le nostre facoltà diventano potenzialmente generatrici di docenti per la secondaria e, come sappiamo, si tratta di corsi naturalmente plurilingui, adatti a fornire personale adeguato a tale esigenza».
 Al centro dell’attenzione, però, sono proprie le convinzioni dei ragazzi. «Siamo consapevoli - le parole di Sharoom Torres, Shadi Davoodi ed Eleonora Daino - che strutturare una scuola comune ai due gruppi linguistici non è certo una passeggiata, ma vale la pena di provare. Non possiamo nasconderci che le lingue sono armi da spendere nel mondo del lavoro, evidente che dobbiamo insistere perché siano il più precise possibili». C’è, però, quel nodo importante chiamato “identità”. «La chiave - spiegano Gianluca Iocolano e Maria Laura Moschella - è cominciare a considerarci europei senza radicalizzare l’estrazione nazionale».

«Più attenzione a cultura e tecnologie»

BOLZANO. Il manifesto elaborato dai ragazzi di “Liberamente” non tocca solo il mondo della scuola, ma fornisce spunti sull’immagine dell’Alto Adige del futuro che hanno i nostri giovani. Un messaggio forte inviato alle amministrazioni. Molteplici, quindi, gli ambiti toccati, a cominciare dalla cultura. «Si chiede - si legge nel documento - un incentivo alle attività culturali bilingui e la riscoperta delle piazze, sia in senso fisico sia in senso metaforico come luogo di confronto e discussione. Va posto un freno, inoltre, ai tagli scolastici e alla cultura in generale».
 Tema caro alle nuove generazioni sono le tecnologie d’avanguardia e qui l’Alto Adige ha forse qualche posizione da recuperare. «Ci vogliono più incentivi nel loro uso, ma anche più trasparenza con l’informazione diretta on-line delle attività istituzionali, con cui si deve poter interagire. Chiediamo, oltretutto, l’educazione all’uso dei nuovi sistemi fin dalle elementari e la connessione minima a internet per Costituzione come avviene in Finlandia. Spazio, infine, alle dichiarazioni dei redditi in rete. Troppo spesso, infatti, la nostra provincia paga il prezzo del digital divide, delle aziende monopoliste e di una classe politica non qualificata sull’argomento».
 Molto diretti i desiderata sulla classe politica e relativi all’etica pubblica: «E’ necessaria più meritocrazia, l’abbassamento dell’età degli amministratori e il cessare di raccomandazioni, clientelismo ed evasione fiscale».
 Il manifesto, dunque, tocca svariati ambiti della politica provinciale ed è l’assessore Christian Tommasini ad aprire le porte della giunta alla richieste dei giovani. «Avranno un loro ufficio con cui potremmo relazionarsi, ma sono certo che sia da parte del presidente che degli altri assessori ci sia la massima disponibilità ad aprire un dialogo anche con loro», chiude l’assessore.         (a.c.)
Alto adige 20-1-11
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martedì, 18 gennaio 2011



Agraria, giovedì l’inaugurazione


LAIVES. Giovedì 20 gennaio alle 9 avrà luogo l’inaugurazione della nuova sede appena occupata dalla Scuola professionale italiana per la frutti - viticoltura a Laives. Per l’occasione saranno presenti anche il vicepresidente della giunta provinciale Christian Tommasini e le autorità comunali. Non si tratterà comunque ancora della “giornata delle porte aperte”, che con ogni probabilità avrà luogo in febbraio, ma per ora solo l’inaugurazione della sede appena ricavata nel complesso dell’ex “Ciola”, alla periferia sud della città. La scuola si è trasferita di recente dopo anni di permanenza nei locali messi a disposizione dal Comune di Vadena e questo cambio ha portato finalmente una sistemazione logisticamente molto più funzionale, moderna e spaziosa per la scuola agraria. Si tratta ad ogni modo di una destinazione ancora provvisoria, perché appena possibile l’istituto dovrebbe trasferirsi definitivamente a Laimburg, dove si prevede di costruire la nuova sede nei pressi di quella per studenti di lingua tedesca. Alla Scuola professionale italiana per la frutti-viticoltura fanno riferimento decine di giovani provenienti da tutta la provincia.
Alto Adige 18-1-11
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martedì, 18 gennaio 2011



Meno latino, più tecnologia: è la riforma

DAVIDE PASQUALI
BOLZANO. Allo scientifico Torricelli si sacrificherà un poco il latino per dare spazio all’informatica. Al liceo artistico Pascoli arriveranno le arti figurative. Al De’ Medici verrà avviato il liceo delle scienze umane ad opzione economico-sociale. Al Rainerum arriverà la robotica. E al Galilei la meccatronica. Anzi, l’Iti Galilei muterà nome, diventando Itt. Ma a cambiare denominazione sarà la maggior parte degli istituti. Sono sono alcune delle innumerevoli novità introdotte dalla riforma della scuola superiore varata a dicembre dalla giunta provinciale per adeguarsi alle linee guida imposte a livello nazionale dal ministro Mariastella Gelmini. Entreranno in vigore il prossimo settembre per chi inizierà le scuole superiori, ossia per i 7.000 ragazzi italiani ladini e tedeschi che attualmente stanno frequentando la terza media. Una scelta difficile e impegnativa, quella delle superiori. Già di solito, figurarsi ora, con scuole che cambiano nome, corsi in più, specializzazioni che vengono a cadere, indirizzi differenti, poco o tanto, dal passato. Per non perdere l’orientamento, istituti, intendenza e assessorato provinciale all’istruzione si sono rimboccati le maniche. Tre i progetti portanti: una fiera specializzata che si terrà dal 17 al 20 febbraio; un sito internet di raccordo dove sono contenuti tutti i piani dell’offerta formativa di ciascun istituto provinciale di tutte e tre le lingue; infine, iniziative di vario genere nelle scuole: giornate delle porte aperte, possibilità di assistere alle lezioni, incontri personalizzati con i referenti per l’orientamento. Lo sforzo messo in campo sarà notevole, perché i timori non mancano. Ci sono scuole, soprattutto i licei, per le quali non cambierà molto. Per altre le novità saranno numerose, non solo per gli studenti, ma pure per docenti e dirigenti.
 Sintetizzare tutto in poche righe è semplicemente improponibile, ma cominciamo dal punto fermo: dubbi, titubanze e quant’altro troveranno un momento di chiarimento dal 17 al 20 febbraio, alla terza fiera Futurum. La prima edizione, nel 2007, e la seconda, nel 2009, erano risultate utili. Quella del 2011 sarà fondamentale: saranno presenti con uno stand tutti gli istituti di istruzione secondaria superiore della provincia. Per chi preferisse invece fare da solo, si può consultare il sito internet di recente lanciato dall’intendenza: www.riformascolastica.bz.it.
 Ma i dirigenti consigliano soprattutto la visita ai vari istituti. Calogero Arcieri (Galilei): «Non ci saranno novità eclatanti, ma l’istruzione chimica passerà dalla professionale all’istituto tecnico, con opzioni biotecnologie ambientali o sanitarie. Punteremo anche su informatica e telecomunicazioni. Il liceo scientifico con opzione scienze applicate avrà una piccola curvatura informatica. Potrei continuare a lungo, ma do un consiglio: anche se non avete un’idea chiara fa lo stesso, ma indirizzatevi su qualcosa che stimola la vostra curiosità, con la quale vi identificate, anche se in maniera confusa. L’interesse è fondamentale». Laura Canal (Pascoli): «Avremo un secondo indirizzo artistico: oltre alla grafica, le arti figurative. Il fiore all’occhiello sarà l’opzione economico-sociale: una solida preparazione culturale di base, declinata dopo il biennio comune in diversi progetti specialistici». Diego Gottardi (vice al Torricelli): «Una novità sarà il liceo scientifico con indirizzo scienze applicate: non ci sarà il latino, sostituito dall’informatica; la matematica diventerà più laboratoriale. In assoluto, si tratta comunque di adeguamenti, nulla di sconvolgente. Consiglio però di approfittare delle tante opzioni offerte: si può frequentare una mattinata di lezione prenotando presso la segreteria del liceo». Renzo Roncat (De’ Medici): «Abbiamo appena terminato di elaborare il piano dell’offerta formativa: si tratta di una ventina di pagine, difficilmente sintetizzabili. Per il nostro istituto l’anno prossimo i cambiamenti saranno importanti. Ragazzi e famiglie ci facciano visita, sarà molto più fruttuoso». Chi tocca con mano, è più difficile rimanga poi deluso.
Alto Adige 18-1-11
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domenica, 16 gennaio 2011



La svolta della scuola «Insegnare in tedesco matematica e storia»

DAVIDE PASQUALI
BOLZANO. «Il plurilinguismo non si dovrebbe vedere come un problema, bensì come una chanche, di cui dovrebbe godere una quota di persone più ampia possibile. Soprattutto, a ben vedere, il plurilinguismo non è solo il futuro a cui dobbiamo tendere perché ce lo chiede l’Ue. Lo dimostra la presenza, nelle classi elementari altoatesine, di una quota di bambini non di madre lingua italiana che mediamente si attesta attorno al venti o trenta per cento. Il plurilinguismo non è il futuro, ma è il presente». Lo sostiene la linguista Stefania Cavagnoli, coordinatrice scientifica dei progetti di potenziamento linguistico del tedesco attualmente in atto presso le scuole elementari bolzanine Manzoni, Chini e Longon. A lei il compito di illustrare lo stato dell’arte riguardo alla scuola trilingue, al termine dei primi percorsi sperimentali, che il prossimo giugno porteranno le prime quinte «potenziate» all’esame di licenza elementare e poi alle medie trilingui.
 «Prima di tutto mi urge una precisazione», chiarisce. «Il plurilinguismo non funziona ovunque e comunque. Non si tratta di una panacea oppure di un programma standardizzato da applicarsi tout court, in ogni momento e luogo. Soprattutto, viene percepito in maniera alquanto differente a seconda dell’area di riferimento. Questo vale pure nelle regioni bilingui: in val d’Aosta lo si vive in maniera differente rispetto alla Catalogna o allo stesso Alto Adige. In provincia di Bolzano, giustamente, sono state introdotte delle garanzie costituzionali, le quali devono essere rispettate per tutelare l’identità culturale dei gruppi etnici. Ma, lo dico da linguista, fermandosi qui e non guardando oltre, il rischio è di fossilizzarsi».
 Non guardandosi attorno, non aprendo gli occhi, si rischia di non comprendere la realtà contigente.
 
«Esatto: il plurilinguismo è un fenomeno totalmente diffuso. C’è già di fatto, non solo in Alto Adige. Vivo in Trentino e insegno all’università di Macerata. Conosco entrambe le realtà: ormai alle scuole elementari e medie gli alunni non sono più solo monolingui. La scuola stessa non è più monolingue».
 Il plurilinguismo esiste di fatto pure in Alto Adige, ma è vivo e vegeto anche altrove: si insegna così in molte parti del mondo.
 
«L’insegnamento veicolare di discipline curricolari, come ad esempio la matematica in L2, esiste da decenni. In Alto Adige sembra si tratti di una novità, ma non è così: nei paesi anglosassoni, per esempio, si insegna matematica in L2, che non è la lingua straniera, ma la seconda lingua degli alunni. L’insegnamento veicolare è una realtà consolidata anche in Germania, dove si è affermato negli anni Settanta, allorquando il Paese si è dovuto confrontare con l’afflusso di figli degli immigrati turchi e italiani».
 Una realtà consolidata, apportatrice di indubbi vantaggi e quindi da esportare anche in Alto Adige?
 
«Con tutte le dovute cautele e tutele, direi di sì. Tanto più che l’Europa unita ci impone di essere plurilingui. Perché mai, allora, iniziare a vent’anni facendo fatica, quando si può cominciare da piccoli con sforzi molto minori? Gli esperti di linguistica, di psicologia e di didattica sono tutti assolutamente concordi: il plurilinguismo ci fa bene».
 Di sicuro ha fatto bene alle elementari Manzoni. L’impressione, da osservatori esterni, è però questa: classi elitarie, per pochi fortunati. Con genitori colti, di mentalità aperta».
 
«Più che elitarie direi privilegiate, con genitori che si spendono molto. Ma le condizioni non sono state queste da subito: l’attuale quinta prima venne formata, monolingue italiana con una quota di bimbi figli di migranti. Solo dopo si decise di far partire il potenziamento. I genitori si sono fidati, ma non avevano scelto questa sezione apposta. Idem è accaduto per l’attuale quinta delle Chini, ai Piani, dove ci sono alunni di madrelingua ceca, spagnola eccetera».
 È cambiato qualcosa?
 
«In parte sì: per accedere alla sezione sperimentale delle Manzoni si richiedono competenze: bimbi provenienti da famiglie plurilingui o che abbiano frequentato l’asilo in lingua tedesca».
 Alcune materie insegnate in L2, anche ai profani appaiono come il frutto di scelte coraggiose, perché si tratta di discipline forti, fondamentali.
 
«Si è trattato sicuramente di scelte coraggiose, perché “politicamente” volute dagli insegnanti per dimostrare la bontà del metodo veicolare. Alle Chini si è privilegiato l’insegnamento della storia in tedesco. Una scelta non da poco in una terra come l’Alto Adige, atta a stimolare non solo il plurilinguismo ma pure il pluriculturalismo, i diversi punti di vista».
 Sfruttando non solo tematiche differenti, ma pure diversi approcci didattici. Più pragmatico e localista quello della scuola tedesca, più teorico e generalista quello italiano.
 
«Proprio così. Ed è un metodo che funziona, anche alle Manzoni dirette da Mirca Passarella, dove si insegna la matematica parzialmente in tedesco. O alle Longon, dove si è addirittura andati oltre: tutta la matematica viene insegnata esclusivamente in lingua tedesca. A parlare sono le prove Invalsi: in matematica la sezione potenziata ha evidenziato i risultati migliori dell’intero istituto. Lo sostengono i neurolinguisti: l’insegnamento veicolare non potenzia solo le lingue ma anche le competenze. Aiuta a capire meglio, a confrontarsi».
 Il progetto dell’assessore Tommasini - almeno una sezione bilingue in tute le elementari e medie - da tecnico è condivisibile?
 
«Come cittadina e come mamma dico di sì; da linguista, ovviamente, l’idea mi entusiasma. Ma servono delle precisazioni: anche se i genitori assaltano le scuole dove si fa il potenziamento, ciò non è sufficiente per avviare su due piedi progetti ovunque. Si devono formare innazitutto insegnati preparati ad hoc. E comunque il team di docenti coinvolti dev’essere necessariamente convinto; la dirigenza scolastica deve supportare fattivamente; il tutto senza che manchi un forte convincimento da parte dei genitori. Manzoni, Chini e Longon lo dimostrano».
 Però, la prima fase di sperimentazione si avvia verso la conclusione, e il know how non manca.
 
«In effetti ci si sta avviando verso il consolidamento, a cui potrà seguire l’ampliamnento dell’offerta, adattando la didattica alle varie scuole. Nell’ambito del potenziamento linguistico c’è di mezzo l’autonomia del singolo istituto, differente da tutti gli altri. Si dovrà quindi studiare una cornice generale, dentro la quale dovrà agire la singola scuola, con il supporto di consulenti esterni. Questo tipo di sperimentazioni necessita di frequenti incontri di monitoraggio con gli insegnanti, visite mensili in classe, riadattamenti dei percorsi a seconda delle esigenze, delle proposte e dei risultati. Non tutti i metodi funzionano o sono esportabili».
 Ci fornisca un esempio.
 
«Le Chini, un esempio per così dire partito dal basso. A proporre e avviare il progetto di potenziamento sono state le insegnanti: serie, preparate, impegnate e convinte. Sono state aiutate dall’allora ispettore provinciale di L2, che ha concesso un aumento delle ore di lezione. E non dimentichiamo la lungimiranza del dirigente Clamer, cui si è aggiunto il sostegno dei genitori, che più volte hanno scritto all’intendenza e all’assessorato per perorare la loro causa: ogni anno a giugno non si sapeva se a settembre si sarebbe ripartiti. Eppure non è bastato: è costato anche molta fatica. E ovviamente questo preciso modello non è direttamente esportabile così, altrove».
 Ma se si allarga il progetto alle altre scuole, non si parte proprio da zero...
 
«Il know how è diffuso, anche sul territorio. Ho seguito progetti anche a Egna e nella Bassa Atesina, dove l’offerta si è via via ampliata senza particolari ostacoli».
Alto Adige 16-1-11
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venerdì, 14 gennaio 2011



Lub, parte ingegneria meccanica

MIRCO MARCHIODI
BOLZANO. Ora è ufficiale: partirà questo autunno il nuovo corso di laurea triennale in ingegneria meccanica. Ad annunciarlo è il vicepresidente della Libera università di Bolzano Pietro Borgo, che sta seguendo il progetto in prima persona e già pensa al futuro: «Il prossimo passo - anticipa il general manager dell’Iveco - sarà quello di creare un corso di laurea magistrale biennale in meccanica ed energetica».
 L’OFFERTA ESISTENTE. A Bolzano esiste già il corso di laurea in ingegneria logistica e della produzione. «Sta funzionando molto bene - spiega Borgo - e quest’anno conta 36 iscritti, in gran parte altoatesini. Gli studenti del primo anno sono raddoppiati e dai nostri sondaggi emerge chiaramente che chi termina questo corso di laurea trova lavoro subito». Quello in ingegneria logistica è un corso di laurea che Borgo definisce «professionalizzante, nel senso che porta ad un ingresso immediato in azienda, in particolare come figura che gestisce i processi produttivi all’interno delle imprese, non solo quelle industriali ma anche quelle medio-piccole». Ora la Lub pensa ad un corso di laurea di tipo diverso che, così Borgo, «più che professionalizzante sarà propedeutico».
 IL NUOVO CORSO. Cosa significa? «Vuol dire - spiega il vicepresidente della Lub - che il triennio offrirà una formazione di base, che dovrà poi essere approfondita in un biennio successivo». È questo il progetto del nuovo corso di laurea in ingegneria meccanica e industriale. «Il corso - continua Borgo - sarà incentrato sulle materie di base del vecchio triennio iniziale di ingegneria, dalla matematica alla fisica. Sarà un corso molto pratico, e stiamo valutando anche la possibilità di affiancarlo ad uno stage aziendale. Sarebbe un’opportunità importante sia per i giovani sia per le imprese».
 LA SPECIALIZZAZIONE. Il corso in ingegneria meccanica non sarà sostitutivo, ma aggiuntivo a quello di ingegneria logistica e potrebbe portare con sè un’ulteriore novità, che però non partirà da subito. «L’idea - dice Borgo - è quella di completare l’offerta formativa con una laurea magistrale in meccanica ed energetica. Anche questo biennio di specializzazione sarà orientato alla pratica e alle esigenze industriali». Per intendersi: quando si parlerà di energia eolica non si discuterà tanto di impatto ambientale quanto di come costruire le pale. Anche in questo caso sarà strettissimo il rapporto con le aziende: la stessa Iveco, Leitner, Microtec, Salewa, Microgate, TechnoAlpin. La richiesta di ingegneri è fortissima: «È il profilo professionale - certifica il presidente di Assoimprenditori Stefan Pan - più ricercato dalle nostre imprese». Lo stesso vale per le aziende più piccole, come afferma il presidente della Cna Claudio Corrarati: «Non troviamo giovani specializzati nelle materie tecniche».
 I LAUREATI. Borgo è convinto che il nuovo corso di laurea porterà vantaggi a tutti i livelli. In termini di offerta formativa, «perché si tratta di un corso che non esiste né a Trento né a Insbruck». Ma anche per gli sbocchi professionali: «Chi deciderà di scegliere questo corso di laurea si assumerà un impegno importante, ma posso garantire che troverà lavoro ancora prima di laurearsi». Ma a cosa potranno ambire i nuovi laureati in ingeneria meccanica? «Innanzitutto - risponde Borgo - penso che da questa facoltà usciranno i ricercatori del futuro polo tecnologico e questo significa che l’università darà un contributo decisivo a livello di innovazione e ricerca. Oltre che negli enti di ricerca, chi terminerà questo corso di laurea potrà lavorare nei reparti di ricerca e sviluppo delle aziende e, più in generale, nei reparti produttivo, commerciale, di controllo qualità o di assistenza tecnica delle imprese hi-tech». Insomma, sintetizza Borgo, «si tratta della figura professionale ideale per il nostro territorio». Il vicepresidente della Lub sottolinea l’importanza del plurilinguismo e in particolare del tedesco («perché la Germania sta facendo tantissimo a livello di innovazione»), ma soprattutto le possibilità di crescita professionale: «Abbiamo bisogno di personale locale per stabilizzare il management delle nostre aziende. I laureati di questo corso saranno sicuramente tra i dirigenti di domani».
Alto Adige 14-1-11
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giovedì, 13 gennaio 2011



Il Tirolo e la paura di Garibaldi

MARCO RIZZA
Centocinquanta anni fa - il 17 marzo 1861 - veniva proclamato il Regno d’Italia e lo scorso 7 gennaio, a Reggio Emilia, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha dato il via alle celebrazioni (la nascita dello Stato unitario sarà al centro di decine e decine di eventi in tutto il Paese per tutto l’anno, e anche in Alto Adige si sta allestendo un programma di manifestazioni a livello istituzionale). La velocità con cui si passò dall’alleanza tra Regno di Sardegna e Francia del 1859 (dopo gli accordi di Plombieres), la cosiddetta seconda guerra di indipendenza dello stesso anno e la proclamazione del Regno d’Italia appena due anni dopo suscitò stupore in tutta Europa. Ma come fu vissuta quella vicenda qui, in quello che oggi è l’Alto Adige ma allora era ancora Tirolo comprendente anche il Trentino? Che reazioni ci furono tra la popolazione e nella classe dirigente? «Sintetizzando sommariamente - risponde lo storico inglese Laurence Cole - possiamo dire che il Tirolo tedesco era prevalentemente conservatore, e quindi vedeva negativamente l’unità d’Italia: per paura di un’invasione territoriale, perché era vista come un movimento portatore di instabilità sociale e perché lo si viveva come una minaccia alla Chiesa: la breccia di Porta Pia del 1870 sarà un vero scandalo, tanto che in Tirolo qualcuno penserà di offrire ospitalità al Papa... D’altra parte però c’era una minoranza di liberali che verso l’unità d’Italia aveva atteggiamenti più ambivalenti, non nascondendo una certa ammirazione per la nascita di una nuova nazione».
 Il professor Laurence Cole insegna Storia moderna europea presso la East Anglia University, in Inghilterra, ma nell’ultimo semestre è stato visiting professor all’università di Trento (da dove è ripartito proprio ieri). I suoi studi si concentrano sulla monarchia asburgica e sulla storia italiana e tedesca tra Otto e Novecento. L’eco della nascita dello stato unitario italiano, spiega, «deve essere compresa nell’ambito di un processo che non inizia nel ’60-61 ma molto prima. La guerra del 1848-49 venne vissuta dall’opinione pubblica tirolese come un attacco diretto all’Austria: all’iniziò regnò molta confusione e le successive vittorie di Radetsky generarono un sentimento di trionfo nella borghesia e nei ceti dirigenti. È in questo clima che va inquadrata anche la ricezione degli eventi successivi».
 I fatti del ’59-61 quindi suscitano forti emozioni anche in Tirolo: per lo più negative. «I conservatori - prosegue Cole - rifiutavano l’idea di un’Italia unita. Mazzini e Garibaldi e l’intero movimento nazionale vengono visti dai ceti dirigenti conservatori come rivoluzionari che avrebbero destabilizzato l’ordine costituito e portato l’anarchia. Era ancora vivo il ricordo degli anni Novanta del Settecento e poi dell’epoca napoleonica... Inoltre quel movimento viene visto come un attacco alla Chiesa, cui il popolo era molto legato». Come detto, invece, l’atteggiamento dei liberali è più ambivalente: «Alla paura del distacco del Trentino - dice Cole - tra i liberali si aggiunge una certa consapevolezza della necessità di dare più diritti al Trentino. Inoltre non possono non riconoscere la legittimità del principio di nazione che si sta affermando in Italia. Anzi: quel processo di unificazione dà impulso a chi vorrebbe maggiore unità anche nella Confederazione Germanica. Da questo punto di vista c’era una certa “invidia” per quello che stava succedendo in Italia. Infatti si aprirà un vivace dibattito sulla riforma della Confederazione Germanica. Inoltre va detto che dopo la sconfitta contro Francia e Piemonte, in Austria inizia un processo di modernizzazione della monarchia che piace ai liberali: insomma indirettamente l’unità d’Italia porta vantaggi anche a loro».
 Questa differenza di reazioni tra conservatori e liberali nel Tirolo «tedesco» si riscontra anche nelle composite reazioni che si verificano nel Tirolo «italiano», ossia in Trentino. Qui, afferma Cole, «negli anni intorno al 1861 c’è un movimento nazionale che guarda con simpatia a quanto succede in Italia: al di là di una generale simpatia verso una figura come quella di Garibaldi, alcuni pensano addirittura all’annessione, ma la maggioranza sa benissimo che l’Austria non cederebbe mai e che quindi bisognerà puntare semmai ad aumentare l’autonomia. Questo sarà il tema politico dominante in tutti gli anni Sessanta. Dopo il 1866 e soprattutto il 1870 però la situazione si complica perché i conservatori e i cattolici iniziano a prendere le distanze dai liberali: per i primi infatti - che rappresentano il primo nucleo di quello che più avanti diventerà il partito popolare trentino - l’Austria e la monarchia asburgica (verso la quale c’è sostanziale rispetto) si pone sempre più come difensore della Chiesa, mentre per i liberali Porta Pia è il compimento dell’Unità italiana. Col passare degli anni, e la mancata concessione dell’autonomia al Trentino, sempre più persone guarderanno con simpatia all’Italia: ma si tratterà più di un’attrazione culturale che non politica, e l’irredentismo non sarà così sviluppato come a Trieste».

«Gli italiani? Briganti ma affascinanti»

L’unificazione italiana «fece un grande effetto» tra la popolazione tirolese «perché era la prima volta che si vedeva nascere così in fretta uno Stato-nazione così grande, e perché in quegli anni si stava discutendo di una qualche forma di unità anche tra gli Stati autonomi del Deutscher Bund». E siccome la nuova Italia «era uno Stato liberale, laico (quindi inteso come anti-Papa) e per di più nemico», l’atteggiamento «fu per lo più molto negativo». Sulle reazioni tirolesi alla nascita del regno d’Italia abbiamo intervistato Hans Heiss, storico dell’Archivio storico provinciale e docente all’Università di Innsbruck, che ha da poco tenuto la conferenza inaugurale del 2011 della Società di studi trentini di Scienze storiche proprio su questo tema. Aggiunge Heiss: «La ricezione del “carattere nazionale” italiano fu abbastanza ambigua. La tendenza prevalente era quella di dare credito agli stereotipi dei giornali d’allora, secondo i quali l’Italia era una terra di briganti, e per di più individualista e dinamica: ossia l’esatto contrario del comunitarismo cattolico austriaco. D’altra parte però proprio per queste caratteristiche l’Italia esercitava anche un certo fascino... Inoltre gli scambi commerciali con le città italiane erano frequenti». A pesare era soprattutto l’enorme influenza della Chiesa, ostile all’unità italiana: «Nel nostro territorio i principi-vescovi erano espressione di un fortissimo conservatorismo ed erano molto popolari. Una figura come quella di Vinzenz Gasser veniva considerata come un misto tra il capo della chiesa locale e il Landeshauptmann. E il giovane Stato italiano aveva già occupato alcuni territori del Papa, patrimonium Petri...».
 Anche in Trentino la componente cattolica era forte, ma c’era anche dell’altro. «A una minoranza attiva e colta che puntava all’annessione in Italia si affiancava una maggioranza che puntava piuttosto all’autonomia, e intanto otteneva preziose concessioni, infrastrutture, sostegni... Un po’ come fa oggi la Svp con Roma: minaccia l’autodeterminazione per avere in cambio la delega sull’energia...». (m.r.)

Alto Adige 13-1-11
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martedì, 11 gennaio 2011



Sezioni bilingui, la Svp si spacca

DAVIDE PASQUALI
BOLZANO. Una sezione plurilingue in ogni scuola elementare e media italiana. La proposta di ampliamento a tutti gli istituti provinciali della sperimentazione bi- e trilingue, avanzata dall’assessore alla scuola italiana Christian Tommasini, comincia a far discutere animatamente e si palesano le prime - immaginabili e assolutamente prevedibili - difficoltà. Intanto il mondo tedesco e la Svp si spaccano: «So che Durnwalder non è d’accordo, ma sarebbe ora di capire che i tempi sono cambiati. L’idea di Tommasini mi trova assolutamente favorevole», dichiara il consigliere provinciale Svp Veronika Stirner Brantsch, smentito però dall’intendente scolastico Peter Höllrigl e dall’assessore provinciale Sabina Kasslatter Mur: «La scuola tedesca non può e non vuole adeguarsi».
 Secondo i sindacati, seppur fattibile alle elementari, il potenziamento del tedesco alle scuole medie sarà molto più complicato da attuare, soprattutto per la mancanza di personale docente all’altezza. E numerosi sono anche i timori per la presunta perdita di posti di lavoro fra i docenti di lingua italiana a favore dei colleghi tedeschi, impegnati in un surplus di ore. «Questo - sostiene il segretario provinciale Flc-Cgil Stefano Fidenti - non significa che non se ne possa discutere, anzi. Ma si dovranno affrontare molti temi e superare tanti ostacoli. Il progetto potrebbe anche funzionare, ma non dovunque, non per tutti. Come la mettiamo, per esempio, con gli alunni in difficoltà già in sezioni normali? In una bilingue rischierebbero di rimanere ancora più indietro». C’è però da dire che nelle sezioni plurilingui pare si stia verificando un travaso di studenti mistilingui. «Se così fosse, aumentando gli alunni nelle scuole italiane, non si perderebbero posti di lavoro. Il massimo sarebbe ovviamente se esistesse reciprocità fra le due metà del cielo: dovrebbero partire con la sperimentazione anche nelle scuole tedesche». Ma l’intendente Höllrigl spegne ogni entusiasmo: «Non riesco a comprendere il senso di questi slogan politici sulla scuola bilingue e nemmeno gli appelli dei genitori mistilingui di Mixling affinché ci adeguiamo. Il nostro sistema educativo funziona, dalle elementari alle superiori. Stiamo portando i nostri alunni a livello europeo. Come si fa a essere così certi che il nostro sistema non va, mentre l’altro funziona? Noi andiamo avanti per la nostra strada». Gli fa eco l’assessore Kasslatter: «In giunta abbiamo chiesto lumi a Tommasini. Qui si sta equivocando: non c’è nessuna scuola bilingue in partenza. La scuola italiana può potenziare le ore di tedesco, ma è sbagliato chiamarla scuola plurilingue. Me lo ha ribadito anche Tommasini, al quale abbiamo chiesto di fornire i risultati di queste sperimentazioni in atto. Voglio proprio vedere se sono così buone come si sostiene sui giornali, perché io devo preoccuparmi di formare al meglio gli studenti di lingua tedesca». Anche se il metodo sperimentale italiano si rivelasse davvero buono, però, «non potremmo permetterci di metterlo in atto da noi: oggi abbiamo già difficoltà a reperire insegnanti di italiano per le 4 o 5 ore di lezione a settimana. Se la scuola italiana, rispettando lo statuto d’autonomia e le norme vigenti, vorrà ampliare la sua offerta in tal senso, lo faccia. Ma non chiamiamola scuola bilingue».
 Di tutt’altro avviso si dice il consigliere provinciale Svp, Veronika Stirner Brantsch. «Sono stata un’insegnante di inglese - spiega - e dopo la mia esperienza tengo molto al fatto che le lingue vengano imparate bene. Motivo per cui vedo positivamente ogni sforzo effettuato in questa direzione. L’idea di Tommasini di portare la sperimentazione in più scuole mi trova quindi favorevole. La si dovrà però valutare di anno in anno, di scuola in scuola, per vedere come va. So che Durnwalder non è tanto favorevole. Strano, perché di solito è di mentalità piuttosto aperta. Ma insomma, capiamo che i tempi sono cambiati! È un compito di noi politici dare a tutti la possibilità di imparare bene la seconda e la terza lingua».
Alto adige 11-1-11
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categoria:cultura
lunedì, 10 gennaio 2011



Sezioni bilingui, la scuola dice «sì»

DAVIDE PASQUALI
BOLZANO. Una sezione plurilingue sarà istituita in tutte le scuole elementari e medie in lingua italiana dell’Alto Adige. La proposta dell’assessorato piace al mondo della scuola: presidi, esperti e genitori. Si dovranno però superare numerose difficoltà: giuridiche, sindacali e soprattutto organizzative.
 La sperimentazione riguardo al potenziamento dell’apprendimento della seconda e della terza lingua ha dato i suoi buoni frutti, tanto che il prossimo anno dalle scuole elementari verrà esportata anche alle scuole medie. Si partirà a Bolzano, dove i ragazzini della quinta elementare della Manzoni passeranno alla prima media della Foscolo. Ma visti i risultati, certificati anche a livello nazionale e internazionale, con L2 ed L3 potenziate senza andare a scapito delle altre materie e delle altre competenze, ora l’assessorato ha deciso di scoprire le carte. Il vicepresidente della giunta provinciale, Christian Tommasini, ha di recente anticipato: «La nostra intenzione è di portare una sezione plurilingue in ogni istituto elementare entro fine legislatura (ossia entro il 2013, ndr) e altrettanto faremo alle scuole medie nella prossima legislatura».
 I genitori mistilingui si dicono entusiasti, perché da sempre predicano l’elevazione a sistema di una sperimentazione in atto ormai da anni, in molti angoli della provincia. Il mondo della scuola è più cauto, e non nasconde le difficoltà. Ma il giudizio generale pare univoco: sarà dura, ma è l’unica strada possibile, pure se il mondo di lingua tedesca continuerà a esternare freddezza.
 Giulio Clamer, dirigente del Bolzano I: «Ogni sforzo per potenziare l’apprendimento della seconda lingua va bene. Soprattutto, bisogna dare le stesse possibilità di apprendimento a tutti. Alle elementari dal punto di vista organizzativo è più semplice, ma si può lavorare bene anche alle scuole medie». Se Tommasini vuole una sezione in tutte le scuole, Clamer va addirittura oltre: «Il prossimo anno potenzieremo le ore di tedesco in tutte le prime della scuola media Dante, da 5 a 7 ore; un primo passo verso la scuola bilingue. Perché non possiamo permettere che ci siano ragazzi più fortunati e altri meno. Anche perché potrebbero nascere delle classi ghetto». Laura Cocciardi, Bolzano Europa 2: «Per ora non abbiamo classi bilingui, ma da anni stiamo potenziando la seconda lingua». Ivan Eccli, Istituto Pedagogico: «Non è tutto così semplice e automatico, ma se genitori e collegi docenti supportano, si potrà fare, eccome. Nella Bassa Atesina funziona. Certo, non tutti i genitori sono sempre entusiasti e qualche docente teme per la possibile riduzione di posti di lavoro, ma i più sono favorevoli». Tanto più che negli anni si sta evidenziando un fenomeno, verificatosi anche alle Manzoni di Bolzano. Le sezioni plurilingui attirano i figli di mistilingui. Che abbandonano la scuola tedesca, in passato considerata migliore per l’apprendimento della lingua, per iscriversi all’italiana. E in tal modo, spiega Eccli, «aumentando il numero di alunni, i posti di lavoro degli insegnanti italiani si mantengono». Perché i timori, inutile nasconderlo, sussistono. Lo chiarisce Giuliano Gobbetti, delle medie Fermi. «Negli anni Ottanta, quando cominciammo a sperimentare, ci fu ostruzionismo. Finimmo addirittura al Tar, ma vincemmo. Oggi la sensibilità è certo aumentata. Ma chissà se siamo davvero pronti. Però si dovranno convocare gli stati generali della scuola, perché gli ostacoli giuridici, sindacali e didattici da affrontare sono numerosi».
Alto Adige 10-1-11
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categoria:cultura, provincia di bolzano
domenica, 09 gennaio 2011



Sezioni bilingui in tutte le elementari

DAVIDE PASQUALI
BOLZANO. «È ora che la scuola plurilingue esca dalla sperimentazione per elevarsi a sistema». Lo dichiara l’assessore Tommasini, anticipando gli stati generali della scuola che si terranno al termine del 2011. «Entro fine legislatura porteremo una sezione plurilingue in tutte le scuole elementari».
 Dunque, l’esperienza della scuola Manzoni verrà elevata a sistema provinciale, volto al potenziamento della seconda lingua e, possibilmente, anche della terza, ossia dell’inglese. Le scuole elementari Manzoni, partite con la sperimentazione nell’anno scolastico 2006/07, a giugno porteranno i primi alunni plurilingui alla licenza elementare. E il prossimo anno, sempre nell’ambito dello stesso istituto comprensivo, il Bolzano VI diretto da Mirca Passarella, partirà la prima sezione plurilingue, alle medie Foscolo. Proprio coi ragazzini plurilingui della sperimentazione effettuata alle elementari. Il sogno nel cassetto, mica tanto segreto, è di portarli a livello di patentino B alla fine delle medie inferiori. Un obiettivo, teoricamente, da fine delle scuole medie superiori.
 L’esempio delle Manzoni, spiega l’assessore provinciale alla scuola italiana, Christian Tommasini, ha funzionato molto bene. «Soprattutto perché la dirigente e i docenti sono stati coraggiosi, e hanno trovato il supporto dei genitori, indispensabile in questo ambito».
 Anche altre sperimentazioni sono partite o stanno per partire, in quasi tutta la provincia. «Abbiamo fatto una disamina della scuola plurilingue o, per meglio dire, della scuola in cui si insegna non tramite l’immersione, ma servendosi dell’uso veicolare della lingua: il monitoraggio effettuato con strumenti di autovalutazione interna alle scuole e all’intendenza, ma anche esterna, come le prove Invalsi e del Goethe Institut, hanno evidenziato che i progetti funzionano, eccome: L2 viene potenziata, senza andare a scapito delle altre competenze».
 E allora Tommasini, che a inizio legislatura, due anni fa, aveva posto come obiettivo lo sviluppo della scuola plurilingue, adesso vuole allungare il passo. «È ora di accelerare, guardando oltre, anche perché non possiamo permetterci che ci siano scuole di serie A e di serie B. Non possiamo pensare che ci siano genitori che pensano: perché mio figlio non può frequentare la scuola bilingue e il suo amichetto sì?».
 Si partirà dal basso, spiega il vicepresidente della giunta provinciale. «Inizieremo dalla scuola dell’infanzia, dove già oggi si sta lavorando moltissimo. Per i bimbi di 5 anni abbiamo introdotto le lezioni gratuite, il cosiddetto approccio ludico al tedesco. I bimbi di 4 anni pagano, ma soltanto piccole quote. Punteremo ancora di più su questi progetti, come ad esempio quello partito a San Giacomo: “Mami und Papi auf Deutsch spielen”. Oltre ai bimbi si coinvolgono anche gli adulti, per generare una sensazione ancora più spiccata di piacevolezza verso la lingua».
 Il potenziamento, però, avverrà soprattutto alle elementari e alle medie. «Lo anticipo ora, anche se i dettagli verranno elaborati dagli stati generali della scuola soltanto verso la fine del 2011. È ora di dichiarare terminata la fase di sperimentazione. Dobbiamo elevare il potenziamento linguistico a sistema. Non dev’essere più un esperimento, bensì un progetto presente nel Pof, il Piano dell’offerta formativa». I problemi non mancano, perché fino ad ora le sperimentazioni hanno riguardato i tali istituti, con le loro peculiarità. «Il sistema Manzoni, per esempio, funziona benissimo lì, ma non può essere elevato a sistema ovunque, così com’è. È anche una questione di risorse: non si possono coinvolgere e immetterre docenti all’infinito». Si dovrà studiare un sistema globale, declinabile poi nelle varie realtà. «Ma siamo già a buon punto. Per esempio, soltanto qualche settimana fa l’Istituto pedagogico ha pubblicato una serie di importanti materiali didattici dedicati al potenziamento della seconda lingua. Ora possediamo competenze e strumenti per organizzare il tutto a livello sistemico». Detto in altre parole, il singolo istitito non dovrà ripartire da zero, come fatto dalle Manzoni. «Ci saranno a disposizione competenze, personale, materiali didattici».
 L’obiettivo, come detto sopra, è quello di portare una sezione multilingue in tutte le scuole elementari. Questo sarà il primo passo, al quale dovranno aggiungersi gli altri. Nella prossima legislatura, «il nostro impegno sarà di portare una sezione plurilingue anche in tutte le scuole medie di lingua italiana della provincia. In tal modo, nel giro di sette o otto anni, si potrebbe arrivare a risultati importanti».
 A questi sforzi a partire dal basso, ossia già dalle scuole materne, potrebbe poi affiancarsi qualcosa di simile anche alle superiori. «Solo per fare un esempio - spiega Tommasini - nelle ultime settimane si sono evidenziate molte lamentele per la soppressione di un’ora di storia al liceo classico Carducci di Bolzano. Abbiamo subito tranquillizzato docenti e studenti: l’autonomia scolastica permette all’istituto di gestire la situazione, reinserendo in orario quell’ora. Ma a questo punto io farei una proposta, che si potrebbe poi allargare anche alle altre scuole: perché non tenere le lezioni in lingua veicolare?». Perché non prendere due piccioni con una fava? «Si potenzierebbe la conoscenza del tedesco, magari studiando la storia del Novencento, e in subordine la storia locale del ’900, proprio in tedesco». L’assessore Tommasini si dice sicuro: «Considerando il tutto, si arriverebbe alla maturità con le conoscenze per superare il patentino A».

«Pure i genitori facciano la loro parte»

 BOLZANO. «Da sola la scuola non può fare tutto. Servono la convinzione e il coinvolgimento attivo dei genitori. Non basta dire: mando mio figlio alla scuola plurilingue ed è tutto risolto». Lo precisa l’assessore Tommasini, spiegando le sue intenzioni per il prossimo futuro. «Come assessorato, col sostegno dell’intendenza scolastica, dell’Istituto pedagogico e degli stati generali della scuola, che si terranno entro la fine dell’anno in corso e saranno incentrati proprio su questo aspetto, abbiamo intenzione di stipulare una sorta di patto con i cittadini, con la società civile, coi dirigenti e i docenti».
 L’assessore, «ossia la politica», si impegnerà formalmente: «Entro la fine di questa legislatura, ossia nel giro di tre anni, istituiremo almeno una sezione con potenziamento del tedesco e dell’inglese alle scuole elementari. Entro la prossima legislatura, istituiremo almeno una sezione bilingue anche alle scuole medie. Ogni istituto avrà almeno una sezione dove, chi vorrà, potrà iscrivere suo figlio o sua figlia. Ci impegneremo poi a potenziare l’insegnamento ludico della seconda lingua sin dalle scuole materne, e poi introdurremo programmi speciali, naturalmente con il consenso dei singoli istituti, anche alle scuole superiori. Il tutto non dimenticando anche il doposcuola, altrettanto fondamentale. Penso per esempio ai centri giovanili, che dovranno essere sempre più bilinbui: l’esempio è l’ex Pippo».
 Però, trattandosi di un patto, «anche la società civile dovrà fare il suo. In questo tipo di progetti il sostegno delle famiglie è fondamentale. Lo vediamo all’asilo di San Giacomo, dove si insegna il tedesco in maniera ludica. C’è un programma che coinvolge anche i genitori: si gioca assieme, parlando tutti nella seconda lingua. Lo stesso si dovrà realizzare a casa: noi faremo la nostra parte al mattino, a scuola. E pure con le attività extrascolastiche, come teatro, sport e via discorrendo». Ma tutto questo serve a poco se poi a casa i bimbi parlano solo in italiano, giocano solo con amici italiani, guardano la tv in italiano, vanno al cinema solo italiano.
 Occorre una rivoluzione culturale. «I genitori conclude Tommasini - anche grazie ai programmi sperimentali, sono molto più sensibili che non in passato. Per cui ci aspettiamo da loro che facciano la loro parte. Noi la nostra, loro la loro. È l’unica strada per poter diventare davvero bilingui».
Alto Adige 9-1-11
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categoria:cultura, provincia di bolzano

1 commento:

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