mercoledì 18 gennaio 2012

letture 1

domenica, 04 dicembre 2011



Emilio Salgari, la macchina dei sogni senza tempo

ELSA MüLLER
Sono ormai un vinto... Vi saluto spezzando la penna. Così Emilio Salgari, il popolare scrittore di avventure, educatore dei sogni giovanili di generazioni di italiani, prendeva commiato dai suoi lettori, dai familiari e dagli editori, dai quali si sentiva - non sempre a ragione - sfruttato. Lo trovarono in un boschetto alla periferia di Torino, con ventre squarciato secondo l’agghiacciante rituale dell’harakiri giapponese, il 25 aprile 1911. Nella ricorrenza del centenario della morte è uscita finalmente una biografia accuratamente documentata del romanziere, che spazza via fantasie e luoghi comuni ormai consolidati, dal titolo “Emilio Salgari, la macchina dei sogni”; autori Claudio Gallo e Giuseppe Bonomi, docente di storia del fumetto all’università ed ex-bibliotecario alla Civica di Verona il primo, uomo di scuola e studioso di letteratura popolare il secondo, appassionati salgariani entrambi.
 Il libro - particolarmente ricca la parte iniziale, riguardante il periodo veronese del romanziere fino all’età di 30 anni - segue l’evoluzione professionale e personale dello scrittore, mentre sono meno ricchi di notizie riguardanti la vita privata sua e della sua famiglia i capitoli successivi; l’ultimo decennio - foriero della tragedia incombente - è documentato efficacemente dall’abile montaggio della corrispondenza tra l’autore e l’ultimo suo editore, il fiorentino Bemporad. Salgari era entrato a pieno titolo nell’elite degli scrittori italiani pubblicati dall’autore fiorentino, anzi era l’autore di punta, il più amato, il più diffuso e, naturalmente il meglio pagato. I soldi, però non bastavano mai. Sarà che Salgari e la mogli Ida erano pessimi amministratori, ma una famiglia con quattro figli costa, e poi c’era da curare la moglie malata di nervi e sofferente dopo un aborto gemellare e la figlia, malata di tisi. A quanto pare anche la famiglia d’origine della moglie gravava sul bilancio familiare. Povero Salgari, che ambiva a ben altri stili di vita simili a quelli dei suoi eroi, umiliato a dover spiegare alla moglie in convalescenza presso il fratello che “di pane abbiamo speso solo 8,60 lire perchè ne faccio portare due chili ogni due giorni” e” dal calzolaio resta da pagare poco, una miseria E la mamma ha restituito le 7 lire. Ma nonostante tutto, si mangia bene”. Il contrasto più stridente e alla fine insopportabile tra la miseria quotidiana e il sogno, aggravato dalla nevrastenia e da seri disturbi alla vista, l’incubo dell’esaurimento della fantasia, ma soprattutto il trauma per il ricovero della moglie in ospedale psichiatrico tra gli indigenti, perchè il celebre scrittore non aveva i soldi per sistemarla in una casa di cura privata: queste le ragioni con cui finora si tentava di spiegare il tragico gesto del romanziere. I biografi Gallo e Bonomi, invece, propongono un’altra chiave di lettura, quella di un conflitto di coppia, insorto dopo l’esaurimento della carica erotica che in entrambi, lui Leone lei Scorpione, assumeva il carattere di travolgente passione, ma non garantiva a lungo un affiatamento profondo tale da tenere vincolate due vite. Il libro, di piacevole lettura, offre spunti inediti anche per gli studiosi, ma viene appesantito dall’eccessivo carico di note: cento pagine di richiami, frutto di diligenti ricerche, pur interessanti. Su 350 di testo sono troppe, anche perchè difficili da rintracciare, non essendo i capitoli numerati e le note tutte raggruppate in coda. Una revisione - magari inglobando le note più importanti nel testo in una prossima edizione - non guasterebbe.
 Claudio Gallo-Giuseppe Bonomi Emilio Salgari. La macchina dei sogni, BUR, euro 12.
postato da: apritisangia alle ore 08:00 | Permalink | commenti
categoria:letture
martedì, 22 novembre 2011



Biblioteche, più agevole il prestito agli utenti di libri e documenti

BOLZANO. Gli utenti delle biblioteche grazie ad un regolamento congiunto fra biblioteche raggiunto a livello locale, possono accedere agevolmente al prestito delle risorse documentarie della Biblioteca provinciale italiana “Claudia Augusta”, della Biblioteca provinciale tedesca “Dr. Friedrich Tessmann” e della Biblioteca civica di Bolzano “Cesare Battisti” tramite la biblioteca di interesse più vicina. Ed in particolare dalle seguenti realtà: Biblioteca civica di Bressanone, Biblioteca civica di Brunico, Biblioteca centro di sistema per il gruppo linguistico tedesco dell’Oltradige ad Appiano, Biblioteca pubblica di Lana, Biblioteca centro di sistema “Don Bosco” di Laives, Biblioteca comunale di Malles, Biblioteca civica di Merano, Biblioteca in lingua tedesca Bassa Atesina di Egna, Biblioteca “Endidae” di Egna, Biblioteca pubblica di Tures, Biblioteca comprensoriale di Ortisei, Biblioteca centro di sistema “Schlandersburg” di Silandro, Biblioteca civica di Vipiteno, Biblioteca pubblica di Dobbiaco. Le biblioteche dell’Alto Adige puntano a promuovere la circolazione dei libri e media attraverso il potenziamento del prestito interbibliotecario.
Alto Adige 22-11-11
postato da: apritisangia alle ore 10:02 | Permalink | commenti
categoria:letture
domenica, 06 novembre 2011



Percorsi di lettura e incontri con gli autori

BOLZANO. Ultimi giorni per iscriversi al Cantiere delle parole, un progetto che mira a promuovere la lettura ed il rapporto positivo fra giovani e libri. L’iniziativa, giunta alla quarta edizione è organizzata dall’associazione Arciragazzi in collaborazione con il Servizio Giovani in lingua italiana e l’ufficio Biblioteche della ripartizione cultura italiana della Provincia.
 L’iniziativa si struttura in differenti momenti, i percorsi di lettura e gli incontri riservati e pubblici con gli autori, una seconda sezione invece è dedicata alla produzione di una piccola rivista (denominata diario di bordo) che riassume il lavoro svolto nel corso del progetto. In questo senso il cantiere delle Parole offre ai partecipanti sia l’avvicinamento ai classici del novecento, sia l’incontro con autori contemporanei ed emergenti che l’occasione di cimentarsi con un piccola produzione redazionale (diario di bordo) nella logica della “recensione”.
 Con l’aiuto e la guida di un “tutor”, Davide Peterle e Sara Terrin, due giovani professori di lettere, i libri scelti verranno poi discussi e approfonditi dai ragazzi durante alcuni incontri al Centro Pippo che precederanno le conversazioni con gli scrittori presso la Biblioteca Amadori. In questa occasione i giovani potranno sottoporre gli autori a una serie di domande sui libri scelti, sull’esperienza della scrittura. Quest’anno saranno a Bolzano Maria Pia Veladiano, Enrico Brizzi e Grazia Verasani. Informazioni e iscrizioni presso Arci Associazione, via Dolomiti 14, Bolzano, tel. 0471/323648 www.arci-uisp.it
Alto Adige 6-11-11
postato da: apritisangia alle ore 06:56 | Permalink | commenti
categoria:letture
sabato, 05 novembre 2011



A San Giacomo si fa circolare la cultura attraverso lo scambio di libri per bambini

LAIVES. Rimetti in circolo i tuoi libri, quelli che hai letto e vuoi far leggere a qualcun altro, magari per... liberare spazio nella tua libreria. Questo è in sostanza il “bookcrossing”, che ad esempio la biblioteca Don Bosco di Laives pratica da tempo per promuovere la condivisione nella lettura. Adesso però lo scambio di libri, perchè questo è, viene proposto anche al teatro di San Giacomo dove, nel foyer, è stato installato, a cura della Cooperativa teatrale Prometeo, un banco con diversi libri per bambini e ragazzi destinati proprio a chi abbia voglia di prenderli portandone altri. Questo è lo spirito genuino dell’iniziativa, che mette in circolo libri per chiunque e segue l’indicazione di “far circolare” la cultura ovunque capiti, per dare modo ad altri di condividerla. L’allestimento è nel foyer di San Giacomo perché lì la Prometeo tiene un ciclo di spettacoli per ragazzi. (b.c.)
Alto Adige 5-11-11
postato da: apritisangia alle ore 06:19 | Permalink | commenti
categoria:letture, giovani
lunedì, 17 ottobre 2011



I conflitti interiori di Elsa

 BOLZANO. C’è una scrittrice che della sua doppia identità italo-germanica fa giusto vanto e che su questa doppia identità ha costruito la sua fortuna, quantomeno ideale, intellettuale, passionale.
 Fra Catania e Roma, città della sua prima parte di vita, e Monaco sua residenza da quarant’anni, Ada Zapperi Zucker ha scelto anche l’Alto Adige come ponte e come incontro di due culture. A Bressanone va almeno due volte al mese per tenere gettonatissime lezioni di canto lirico, docente anche di personaggi in carriera come Gemma Bertagnolli.
 Ora pubblica il suo terzo romanzo, «Le inquietudini della Sora Elsa» (ed. Tabula Fati). Non è ambientato in Alto Adige ma allinea sei racconti dedicati agli anni della seconda Guerra mondiale, soprattutto alla tragedia nazista e dunque a un tema che «passa» inevitabilmente per l’Alto Adige.
 «Il mio romanzo precedente - spiega l’autrice - “Il silenzio”, ha avuto tre ristampe.
 E questa nuova raccolta di racconti, «Le inquietudini della Sora Elsa»?
 
Questo è un libro molto problematico, perché mette in gioco - come giustamente mi ha fatto notare chi lo ha letto finora - la mia duplice anima: italiana e tedesca. Io vivo da quarant’anni in Germania quindi è chiaro che c’è questa capacità di entrare nella mentalità dei tedeschi.
 Si tratta di racconti ambientati fra il 1943 e il 1944 ma anche dopo. Mi muovo dentro i conflitti interiori provocati dall’aver vissuto gli anni della Seconda guerra mondiale: i protagonisti sono germanici, austriaci e italiani, affrontano problemi che negli anni successivi alla guerra e fino ad oggi coinvolgono realmente ed emotivamente le persone che hanno vissuto quel periodo. Chi ha subito e chi è stato protagonista negativo. Le persone che tacciono, che non trovano le parole, ad esempio: quella che io chiamo «la generazione del silenzio», che in un primo momento avevo scelto come titolo del libro.
 Ma in Germania si è elaborato il lutto del nazismo. O no?
 
In Germania fino agli anni Settanta si taceva, anche in casa. Poi, mentre in Italia si tentava la rivoluzione del Sessantotto, i giovani germanici hanno detto basta: basta tacere, rielaboriamo quel lutto e dissipiamo quelle ombre che gli adulti non sanno affrontare. E hanno detto ai genitori: parlate, dite che cosa è successo.
 Lo spunto del libro?
 
Difficile trovare una motivazione unica e unitaria. Il primo racconto ad esempio si svolge a Roma, durante il periodo dell’occupazione nazista, e quindi posso dire che il palazzo del quale parlo è quello in cui abitavo io da bambina. Le storie sono inventate ma le persone sono vere. La sora Elsa del titolo era davvero la portinaia del mio palazzo, ma i fatti sono solo ispirati alla realtà. Come mai un tema così «serio» per una raccolta di racconti? Era un tema che mi interessava da sempre e su quello ho scritto vari racconti in periodi diversi. Quando me ne sono ritrovati parecchi, ho deciso di metterli assieme e farne un libro, con un filo rosso che li lega: quello dell’elaborazione di un dolore interno, di un senso da dare ad anni così difficili.
 La cosa che mi interessa veramente, più della scrittura, è la storia del Ventesimo secolo.
 Io leggo solo libri storici e più ne leggo più mi vengono idee in testa.
 Una delle storie più dure da leggere, per il contenuto, è il terzo racconto, una lettera, il punto di vista di un tedesco nazista. Cosa pensa un ex nazista cinquant’anni dopo: cosa è successo in gioventù, come si è distrutto per sempre la vita.

Incontro con l’autrice

BOLZANO. Alle sede biblioteca provinciale italiana «Claudia Augusta», in in via Mendola 5 viene presentato alle 18 il volume “Le inquietudini della sora Elsa e altri racconti” di Ada Zapperi Zucker.
 Il libro riporta storie di vite comuni, ma emblematiche, di protagonisti silenziosi del periodo del nazionalsocialismo in Germania. Sono brevi memorie, per quanto romanzate, di quella che Ada Zapperi Zucker definisce “La generazione del silenzio”. Ci saranno l’autrice, che nell’occasione spiegherà da dove ricava le ispirazioni per la sua opera letteraria, e Maurizia Mazzotta Spitaler. L’appumtamento con la scrittrice prevede anche la lettura di brani tratti dal testo della scrittrice a cura di Lorenzo Merlini.

Alto Adige 17-10-11
postato da: apritisangia alle ore 07:00 | Permalink | commenti
categoria:letture
mercoledì, 12 ottobre 2011



«Bolzano scomparsa», la città di un tempo tra cronache e curiosità

Continua la fortunata serie sulla «Bolzano scomparsa», iniziata nel 2009 dal giornalista Ettore Frangipane e proseguita con cadenza annuale. Ora siamo al terzo volume. Si tratta di articoli scritti dall’autore per la stampa quotidiana locale, relativi a fatti ed avvenimenti, personaggi e curiosità che hanno animato il capoluogo altoatesino soprattutto nella prima metà del Novecento. Un periodo legato all’espansione ed alla trasformazione di Bolzano che ne hanno costruito l’odierna essenza.
 L’Istituto delle Marcelline? All’origine non era che il Kurhaus, destinato ai villeggianti, deboli di petto, che venivano a svernare a Gries. Il liceo “Carducci”? Tre soli studenti per la sua prima classe, nel 1922. La Rai di Bolzano? Si chiamava Eiar ed iniziò a trasmettere nel 1928 dalla sua sede in via della Mostra (che allora era intitolata al Principe di Piemonte). Il più vecchio esercizio di Bolzano? Indubbiamente la farmacia “Aquila Nera”, oltre settecento anni di storia. E le scalate di Emilio Comici, e le recite di Ugo Bologna, e i concerti di Carlo Maria Giulini, e la fine solitaria a Gries di Liubov’, la figlia del grande Fiodor Dostojewskij. Anche quest’anno appare nelle librerie, ed ora anche nelle maggiori edicole, l’ultimo impegno del giornalista Ettore Frangipane, giunto alla terza puntata della serie “Bolzano Scomparsa”. Frangipane, quarant’anni alla Rai, servizi da inviato sportivo da tutto il mondo (11 Olimpiadi), segue ora questa nuova via che lo porta a scavare nelle cronache della Bolzano che fu, facendo riemergere storie, fatti, curiosità, personaggi. Ha sfogliato e sfoglia i giornali bolzanini degli Asburgo (“Bozner Zeitung”, “der Tiroler”, “Tiroler Tagblatt”), dei Savoia e del fascismo (“La Provincia di Bolzano”), sotto il nazismo (“Bozner Tagblatt”), fino a sfociare nel dopoguerra, quando uscì (maggio 1945) l’“Alto Adige”, quotidiano del Comitato nazionale di Liberazione, anticamera alla Repubblica.
 Come è nata, dopo tanto sport, quest’idea delle vecchie cronache?
 «C’è un nesso, con lo sport. La Provincia m’aveva proposto una mostra sullo sport altoatesino, da aprire alla Trevi. La allestii nel 2001 e scrissi un libro: “Solo per Sport”. Per documentarmi iniziai a sfogliare giornali dell’Ottocento e del primo Novecento, li trovai interessantissimi, ed iniziai ad interessarmi alle cronache del passato».
 Cosa si apprende dai giornali di una volta?
 «Come era Bolzano, come si viveva, i problemi di una comunità ben lontana dagli standard e dal modo di vivere di oggi. Sotto gli Asburgo allignava l’antisemitismo, la diffidenza nei confronti dei non-cattolici in generale. E poi le condanne a morte irrogate dal tribunale speciale nazista in una graziosa villetta di Gries, le fucilazioni, qui, proprio a Bolzano. Durante la prima guerra mondiale s’è fatta letteralmente la fame».
 Dal passato ci può giungere un messaggio? E, nel caso, di che genere?
 «Senz’altro. S’impara molto, e anzitutto che il “buon tempo andato” non esiste. Le condizioni di vita nel passato erano di gran lunga peggiori delle nostre, sotto tutti i profili. Alle volte si rimpiange il passato perché non se ne ha conoscenza. Ma oggi si vive meglio».
 La nuova opera di Ettore Frangipane, sponsorizzata dalla Habitat, dalla Cassa di Risparmio e dall’Agenzia assicurazioni Potenza, sarà presentata giovedì 20 ottobre alle 20.45 al Circolo Cittadino.

 “Bolzano Scomparsa 3”, edizioni Curcu & Genovese, 2011, 14 euro.
Alto Adige 12-10-11

Molte informazioni nel sito: http://www.bolzano-scomparsa.it/

postato da: apritisangia alle ore 07:21 | Permalink | commenti
categoria:letture
giovedì, 29 settembre 2011



«Leggere in città», lo spazio urbano si riempie di libri  

BOLZANO. Dopo due anni di successi nella promozione di spazi per favorire il piacere della lettura in Austria e Germania, “Leggere in città” approda anche a Bolzano, in piazza Walther, da oggi al 2 ottobre. Dalle 9 alle 22 lo spazio urbano si riempirà di comode poltrone e librerie all’aperto ma, soprattutto, di circa 3000 libri a disposizione di chiunque.
 Oggi con inizio alle ore 19.30, è in calendario il momento clou della manifestazione libraria: il noto scrittore Stefano Benni leggerà alcune pagine dal suo ultimo libro “La traccia dell’angelo”. L’ingresso è ovviamente gratuito e in caso di pioggia la serata sarà ospitata presso la Sala di rappresentanza del municipio. «L’obiettivo di “Leggere in città” è quello di avvicinare al piacere della lettura il maggior numero possibile di persone regalando in questa vita, oggi così frenetica, momenti di quiete in cui abbandonarsi al fascino dei libri. Nel cuore della vita di tutti i giorni, nel cuore della città, nel cuore di tutti noi, tutto il santo giorno” spiega Sebastian Mettler, direttore del Laboratorio di Innovazione e ideatore del progetto. L’appuntamento con la lettura, in realtà, non è nulla di organizzato, ma un momento lasciato a sé. Il salotto creato nello spazio urbano invita semplicemente ad accomodarsi, a prendere in mano un libro e a godersi in tranquillità questo momento. Crea le condizioni per apprezzare il piacere della lettura, per vivere questi preziosi istanti. È come regalare del tempo per leggere. Senza pressioni, ma coinvolgendo in profondità. Seguendo l’idea di Sebastian Mettler: “Leggere non porta solo il mondo nella tua testa. Leggere è un mondo nella tua testa”.
Alto Adige 29-9-11
postato da: apritisangia alle ore 06:22 | Permalink | commenti (1)
categoria:letture
venerdì, 12 agosto 2011



Rileggiamo Rigoni Stern

ANDREA MONTALI
BRUNICO. La rassegna “Incontri con l’autore” che durante l’estate in corso ha portato a Brunico, tra gli altri, Beppe Severgnini e Gian Antonio Stella, propone questa sera un evento che si discosta dalla rodata formula conferenza-confronto con lo scrittore: in programma una lettura recitata (e musicata) basata su vita e opere di uno dei maggiori testimoni del Novecento: Mario Rigoni Stern. L’appuntamento è per le ore 21 alla “Casa Pacher”. Organizza l’associazione Il Telaio. Uno spettacolo teatrale, quindi, che verrà ripreso in autunno in altre piazze altoatesine e che ripercorre la vita dell’ autore de “Il sergente nella neve” attraverso uno scrupoloso lavoro bibliografico e biografico. La costruzione della pièce, frutto del lavoro della compagnia “Eos”, è minimale: regia e selezione dei testi di Lorenzo Merlini, letture degli attori Mara Da Roit e Pierpaolo Dalla Vecchia e musicazioni del pianista Emanuele Zottino; il tutto, impreziosito da proiezioni di immagini (la maggior parte inedite, messe a disposizione dalla stessa famiglia Rigoni). Una formula già sperimentata con successo l’anno passato, quando la compagnia (composta da artisti di Bolzano e San Giacomo di Laives) ha approfondito la vicenda di Ida Dalser, prima moglie di Benito Mussolini. I punti di congiunzione tra lo spettacolo precedente e quello sull’autore di Asiago non si riducono esclusivamente alla struttura formale: invero, si rivelano soprattuto nella complessità dello studio storiografico, volto a diffondere esperienze e testimonianze che rischiano di essere corrose dall’oblio. “I passi di Mario Rigoni Stern” segue una cronologia legata alla data di pubblicazione dei libri: in questo modo, le due tematiche cardine dell’opera omnia di Rigoni (l’umana atrocità della guerra, le regole armoniche e a volte crudeli della natura) trovano lo stesso spazio scenico ed emotivo. Non solo “Il sergente nella neve”, quindi: ma anche “Il bosco degli Urogalli”, “Quota Albania”, “Ritorno sul Don”, e tutte le altre opere, fino all’ultima intitolata “Stagioni”. «La selezione dei passi da mettere in scena mi ha occupato tre mesi in cui, giorno e notte, ho studiato gli scritti dell’autore - racconta il regista Lorenzo Merlini -: la produzione letteraria di Rigoni Stern non solo è vasta, ma anche densissima di significati, ed è stato complesso trovare un filo rosso che non escludesse nulla».
 Una nota di menzione alle musiche originali di Zottino: mai invadenti, accompagnano la parola scritta con reverenza e pacatezza.
Alto Adige 12-8-11
postato da: apritisangia alle ore 07:25 | Permalink | commenti
categoria:letture, musica danza teatro cinema
mercoledì, 10 agosto 2011



"I passi di Mario Rigoni Stern" il gruppo teatrale Eos rilegge Rigoni Stern

MAURIZIO DI GIANGIACOMO
BRUNICO. Sarà Mario Rigoni Stern il grande protagonista della serata organizzata venerdì alla Casa Michael Pacher di Brunico dall’associazione culturale “Il Telaio”. Il grande scrittore asiaghese rivivrà nelle letture espressive del gruppo teatrale Eos di Bolzano.
“I passi di Mario Rigoni Stern - Letture espressive tratte dalla letteratura di Mario Rigoni Stern” è il titolo del nuovo spettacolo messo in scena dal gruppo teatrale Eos di Bolzano, dopo lo straordinario successo riscosso l’anno scorso con “Ida Dalser, la moglie di Mussolini”. La formula è più o meno la stessa: i testi ridotti dal regista Lorenzo Merlini, le voci, davvero coinvolgenti, di Mara Da Roit e Pierpaolo Dalla Vecchia e le musiche composte ed eseguite al pianoforte da Emanuele Zottino. La differenza, ovviamente, la fa il fatto che le letture sono tratte dai libri dell’autore asiaghese scomparso il 16 giugno 2008, come i famosissimi “Il sergente nella neve”, “Il bosco degli urogalli”, “Ritorno sul Don” e tanti, tanti altri. Ma anche dalla qualità delle immagini che verranno proiettate sullo sfondo del palcoscenico: fotografie in buona misura originali ed inedite, avute proprio dalla famiglia Rigoni Stern, cui il gruppo teatrale Eos è legato anche in virtù del coinvolgimento nella giuria del premio letterario intitolato alla memoria del grande narratore veneto.
«Il soggetto è rappresentato dal meglio della letteratura di Mario Rigoni Stern - spiega la stessa Mara Da Roit -, proposto a mo’ di omaggio all’autore, in una sorta di lungo cammino fra i boschi, la neve, la natura in senso lato, il paese natio: temi fondamentali, da lui vissuti in prima persona. E poi, immancabili, i ricordi di guerra, a cominciare da quelli fissati nel suo grande classico, “Il sergente nella neve”. Il risultato è un unico racconto che raccoglie lo spazio di una vita, composto di venti tracce, lasciate dalla scrittore nell’intento di non far perdere il ricordo di sapori e momenti altrimenti destinati a dissolversi nella memoria».
L’appuntamento con “I passi di Mario Rigoni Stern” è per venerdì alle 21, alla Casa Michael Pacher di Brunico. L’ingresso è libero.
Alto Adige 10-8-11
postato da: apritisangia alle ore 13:35 | Permalink | commenti
categoria:letture, musica danza teatro cinema
lunedì, 08 agosto 2011



Gli appassionati di poesia e narrativa possono iscriversi al premio cittadino

BOLZANO. I cultori locali della poesia e della narrativa possono dare spazio alla propria passione: infatti l’associazione Ascolto Giovani e la Fondazione Upad hanno varato la nuova edizione del “Premio poesia e narrativa Città di Bolzano”, con due sezioni distinte. Per la sezione poesia è stato scelto come tema “Echi della mia città”, invito a trovare ispirazione dal luogo nel quale si vive, esprimendosi in poesia. Per la sezione narrativa torna il “Romanzo in 6 parole”: la sfida sarà creare un componimento di sole 6 parole. I lavori vanno consegnati entro giovedì 20 ottobre alle ore 12, in forma anonima (allegata dovrà essere consegnata una busta sigillata con i riferimenti dell’autore e 5 copie della poesia o del componimento narrativo). L’iscrizione costa 15 euro quale contributo alle spese di organizzazione. La cerimonia di assegnazione del premio si terrà venerdì 11 novembre nella sede Upad, in via Firenze 51, a cui rivolgersi per altre informazioni.
Alto Adige 8-8-11
postato da: apritisangia alle ore 06:26 | Permalink | commenti
categoria:letture
domenica, 07 agosto 2011



Un libro sul «Gran Canyon» altoatesino

 ALDINO. Si intitola «La gola del Bletterbach - Storie nella roccia» il libro presentato ieri al museo di scienze naturali. Contiene informazioni scientifiche ma anche itinerari utili agli escursionisti. La gola del Bletterbach, ai piedi del Corno Bianco, tra Aldino e Redagno, è lunga 8 Km e profonda 400 metri. Il corso del fiume, circa 18 mila anni fa, scavando nella roccia formò la gola che oggi è nota come «Gran Canyon dell’Alto Adige». È un monumento naturale di grande rilevanza dal punto di vista scientifico. In questa zona sono stati scoperti fossili e tracce di dinosauri risalenti al periodo compreso tra 299 e 251 milioni di anni fa. Grazie a questi ritrovamenti, il canyon da oltre 60 anni è al centro di vari studi. I due aspetti del Bletterbach, quello scientifico e quello escursionistico, sono affrontati in un libro, che costituisce l’esito della pluriennale collaborazione tra il Geoparc e i due musei di scienze della regione. Il volume è curato dai paleontologi Marco Avanzini ed Evelyn Kustatscher. Gli autori, con spiegazioni semplici e comprensibili, accompagnano passo per passo il lettore attraverso il canyon fornendo informazioni sullo stato attuale delle conoscenze scientifiche. Il libro redatto in tre lingue (italiano, tedesco ed inglese) è edito da Geoparc Bletterbach ed è in vendita a 9 euro e 90 centesimi.
Alto Adige 5-8-11
postato da: apritisangia alle ore 20:07 | Permalink | commenti
categoria:letture, conca atesina
giovedì, 04 agosto 2011



Leggende ladine: alla riscoperta del mito

G. VON METZ SCHIANO

«Non saremo mai abbastanza grati a Karl Felix Wolff per aver salvato la memoria ladina prima dell’apocalisse della grande guerra. Senza il suo lavoro, ciò che restava della tradizione orale delle popolazioni delle valli dolomitiche sarebbe andato irrimediabilmente perduto». La meranese Ulrike Kindl, docente di Lingua e letteratura tedesca all’Università Ca’ Foscari di Venezia, probabilmente la maggior esperta al mondo di saghe e leggende ladine, non ha dubbi nell’attribuire a Wolff tutti i suoi meriti, anche se non perde occasione per sottolineare che nello trascrivere le storie dei «Monti pallidi», l’autore bolzanino ha agito in un clima nibelungico che c’entra poco o nulla.
 La professoressa Kindl (come d’altra parte lo stesso Wolff) ha subìto sin da bambina il fascino di questi racconti. «All’inizio fu lo stupore - dice - l’incanto di sentirsi raccontare le storie della buona notte, perché tutti i bambini amano addormentarsi cullati dalla voce di una fata che crea il ponte verso il mondo dei sogni. Poi, crescendo, capii che quelle storie arcane non erano fiabe, e ancora dopo, quando, ormai adulta, sulle medesime storie si accese la curiosità della studiosa, compresi la vera dimensione del fascinoso racconto avuto in dono tanti anni fa». Le leggende ladine, precisa la professoressa Kindl, «cantano il mistero delle origini, narrano il tempo prima del tempo, parlano del divenire della storia: sono miti, sono il gesto rituale che trasforma il mondo in esperienza culturale, sono la chiave che schiude vie sotterranee che legano l’oggi al passato per capire come si è formato il presente». I miti, dice ancora la Kindl, «non raccontano nulla di reale, la loro essenza è l’immagine che l’uomo si fa del mondo per partire all’avventura».
 La perenne dicotomia tra gli straordinari meriti storico-culturali di Karl Felix Wolff e i risvolti manipolatori della sua opera, ha vissuto una rinfrescata in occasione del seminario su «Le vie della conoscenza tra montagne e acque», svoltosi nell’ultima settimana di luglio a Chiusa per iniziativa dell’Associazione internazionale di Ricerca Elémire Zolla.
 Karl Felix Wolff, nato a nel 1879 a Karlstadt, l’odierna Karlovac in Croazia, ha legato indissolubilmente il proprio nome al salvataggio e al recupero delle antiche leggende ladine. Il padre, Johann Wolff, era un ufficiale dell’artiglieria austriaca, la madre, Lucilla von Busetti, discendeva da una nobile famiglia della Val di Non. Quando Karl Felix aveva poco più di due anni la sua famiglia si trasferì a Bolzano, dove una bambinaia fassana gli raccontò alcune mirabolanti fiabe che lo portarono a dedicare la propria vita alla ricerca del maggior numero possibile di storie rimaste nella memoria delle popolazioni dolomitiche. Nel metterle per iscritto (il frutto del suo lavoro, edito per la prima volta nel 1908, si trova soprattutto nella famosa raccolta dei «Monti pallidi») non seguì però un metodo scientifico, ma si lasciò condizionare dai propri personali sentimenti che lo portarono ad accentuare le componenti tedesco-medievali di quella grande epopea. Wolff moriì a Bolzano nel 1966.
 Ulrike Kindl, autrice di numerosi e fondamentali testi di analisi dell’opera di Wolff e del patrimonio della tradizione ladina, è perentoria: «La cultura ladina e le sue sue leggende addensatesi nell’Età del bronzo non provengono dal mondo celtico, ma da quello mediterraneo». Proprio per questo la Kindl sta fornendo la parte di approfondimento antropologico a una nuova versione delle saghe ladine, opera del poeta e saggista Nicola Dal Falco, anch’egli prodotto di un crogiolo etnico (nato a Roma da madre tedesca e padre meridionale con ascendenze mitteleuropee, ora di casa a Lucca). Tenendo presente questa nuova prospettiva, Dal Falco ha riscritto le storie di Dolasilla e di Ey de Net, di Spina de Mul e della Dea avvoltoio, dei salvàns e del Vögl da la Velme, di Odolghes e del regno sotterraneo di Aurona, uno dei personaggi principali del regno dei Fanes. Del libro - la cui stesura è seguita con grande interesse da Leander Moroder, direttore dell’Istitut Ladin, Micura de Rü - è stata presentata in anteprima un’edizione d’arte (ed. Ampersand, Verona) al seminario chiusano su Zolla. Stampato da Alessandro Zanella nella sua casa-stamperia di Santa Lucia ai Monti vicino a Peschiera del Garda, il volume si intitola proprio «Aurona» e in omaggio al mondo da cui trae origine offre una copertina in rame. «Il regno dei Fanes - dice Dal Falco - si trova al bivio di ogni sentiero, di ogni crinale o parete, nord, sud, est, ovest, entro il cerchio magico dei Monti pallidi. Questa via, che conduce alla vecchia città di Contrìn, nel regno di Aurona, tra i salvàns, le anguane, in riva al Lago della promessa e, volando, fino all’Isola bianca, fa parte di una geografia sacra, di una geografia della rivelazione. Pur avendo un’origine, non sta nel tempo, perché descrive un dramma divino che come ogni dramma divino ha bisogno di una scena terrena. Perciò, non troveremo mai le mura di Contrìn, solo le tracce di chi l’immaginò troppo splendente d’oro».
Alto Adige 4-8-11
postato da: apritisangia alle ore 09:10 | Permalink | commenti
categoria:letture
mercoledì, 01 giugno 2011



Van der Kwast, vive qui il superscrittore olandese

Esce oggi la versione italiana del romanzo “Mama Tandoori” dello scrittore olandese Ernest van der Kwast, un best seller che in Olanda è stato proclamato libro dell’anno vendendo 50 mila copie. L’autore vive da anni in Alto Adige, a San Genesio.
Ernest van der Kwast è nato il 1º gennaio del 1981 a Bombay, ma vive a San Genesio. Nel 2004 ha rinunciato a una promettente carriera da lanciatore del disco per pubblicare il suo primo romanzo, sotto pseudonimo. L’acclamatissimo “Mama Tandoori” (tradotto in italiano da Alessandra Liberati per Special Books) è il suo quarto libro. Libro che prossimamente verrà presentato dall’autore nella speciale cornice del Museion, anche se ancora la data deve essere definita. «È il libro più spassoso e appassionante di quest’anno. Chi si stesse domandando dove è nascosto il Salman Rushdie, o l’Aravind Adiga, olandese, legga Mama Tandoori e avrà una risposta»: così ha scritto di questo libro Hermann Koch. E ancora: «Un romanzo straordinario che parla di personaggi straordinari. E ciò che colpisce è che gli riesce straordinariamente bene» ha scritto il critico del giornale olandese De Telegraaf.
“Mama Tandoori”, dice lo slogan scelto per il lancio in Italia, «è una commedia divertentissima su una mamma che, per fortuna, non è la vostra!».
La trama? Ernest ha quasi trent’anni: è un normale ragazzo olandese di origini indiane. Ma la sua vita nasconde un dettaglio imbarazzante: la temibile mamma Veena...
Alto Adige 1-6-11
postato da: apritisangia alle ore 18:58 | Permalink | commenti
categoria:letture
domenica, 15 maggio 2011



Feltrinelli ed Espresso scoprono nuovi scrittori

Una nuova preziosa opportunità per aspiranti scrittori: l’editore Feltrinelli e il Grupo L’Espresso lanciano il concorso “ilmioesordio” riservato ai migliori romanzi inediti. La valutazione delle opere sarà a cura della Scuola di scrittura Holden, fondata e diretta dal notot scrittore Alessandro Baricco.
Il romanzo vincitore sarà pubblicato da Giangiacomo Feltrinelli Editore. Dunque un viaggio nella letteratura d’esordio guidato dalle competenze di Scuola Holden, aperto al contributo di lettori curiosi e competenti, che potranno leggere e valutare le opere in concorso.
In gara i romanzi inediti di ogni genere letterario scritti dagli autori su www.ilmiolibro.it, sito di autopubblicazione (self publishing) del Gruppo Editoriale L’Espresso: dalla narrativa ai romanzi storici, dalla fantascienza all’avventura, dai gialli ai thriller a molto altro ancora.
Saranno inoltre premiate l’opera più creativa (Premio ilmiolibro - Scuola Holden) e l’opera con l’incipit più bello (Premio community ilmiolibro-lafeltrinelli.it). Dal 12 maggio fino al 31 luglio gli autori possono iscrivere il proprio romanzo al concorso. Il 1º settembre saranno resi noti i titoli che passano alle semifinali, mentre il 3 ottobre saranno proclamati i trenta finalisti.
Nel corso del mese di ottobre Giangiacomo Feltrinelli Editore sceglierà il romanzo da pubblicare, e Scuola Holden sceglierà il vincitore del premio creatività. Il premio per il miglior incipit sarà attribuito dai lettori, che ad ottobre voteranno sui siti www.ilmiolibro.it e www.lafeltrinelli.it gli incipit più belli tra le opere in concorso. I vincitori saranno resi noti il 31 ottobre sul sito ilmiolibro.it. I premi? Primo premio consiste nella pubblicazione per i tipi di Giangiacomo Feltrinelli Editore; Premio creatività ilmiolibro - Scuola Holden: il vincitore verrà invitato a partecipare a Esor-dire, ormai consolidato progetto di scouting della Scuola Holden; Premio ilmiolibro.it - lafeltrinelli.it per il miglior incipit: Stampa dell’opera e buono per acquisto di libri.
Tutti i 30 finalisti riceveranno una recensione professionale della propria opera a cura di Scuola Holden.
Ilmiolibro.it è il sito del Gruppo Editoriale l’Espresso nato per dare agli scrittori la possibilità di creare, stampare e vendere il proprio libro in autonomia e in modo semplice ed economico. L’autore sceglie il formato e il tipo di rilegatura, realizza la copertina e inserisce il file del proprio libro. Può ordinare quante copie vuole, anche una sola (al prezzo di pochi euro) e poi decidere di vendere il libro attraverso il sito e nel circuito laFeltrinelli. A tre anni dalla nascita, il sito conta oltre centomila iscritti e sono più di 13.000 le opere pubblicate sul sito tra narrativa, didattica, saggistica e poesia.
Alto Adige 15-5-11
postato da: apritisangia alle ore 06:47 | Permalink | commenti
categoria:letture
lunedì, 09 maggio 2011



Zapperi, inquietudini italiane e tedesche all’ombra del nazismo

Nata a Catania, Ada Zapperi Zucker vive da molti anni in Germania. Si è diplomata alla Musickhochschule di Vienna. Cantante lirica, ha svolto la sua carriera prevalentemente all’estero. Insegna canto lirico anche in Alto Adige (tra le sue allieve anche Gemma Bertagnolli). Ha collaborato al Dizionario Biografico degli Italiani dell’Istituto Treccani. Ha pubblicato tre romanzi. Il primo, «La scuola delle catacombe» (ed. Il Filo) era ambientato in Alto Adige ed è arrivato alla quarta ristampa. Il secondo, «Il silenzio» (ed. Travenbooks) era ambientato fra le Dolomiti, snodandosi fra il Trentino e l’Alto Adige. Ora questo «Le inquietudini della Sora Elsa» (ed. Tabula Fati).

di Fabio Zamboni
C’è una scrittrice che della sua doppia identità italo-germanica fa giusto vanto e che su questa doppia identità ha costruito la sua fortuna, quantomeno ideale, intellettuale, passionale. Fra Catania e Roma, città della sua prima parte di vita, e Monaco sua residenza da quarant’anni, Ada Zapperi Zucker ha scelto anche l’Alto Adige come ponte e come incontro di due culture. A Bressanone viene almeno due volte al mese per tenere gettonatissime lezioni di canto lirico, docente anche di personaggi in carriera come Gemma Bertagnolli. Ora pubblica il suo terzo romanzo, «Le inquietudini della Sora Elsa» (ed. Tabula Fati). Non è ambientato in Alto Adige ma allinea sei racconti dedicati agli anni della seconda Guerra mondiale, soprattutto alla tragedia nazista e dunque a un tema che «passa» inevitabilmente per l’Alto Adige. Ce ne parla l’autrice stessa, che il 12 maggio presenterà il volume alla Fiera del Libro di Torino e a ottobre alla Biblioteca provinciale di Bolzano. «Il mio romanzo precedente, “Il silenzio”, è arrivato alla terza ristampa - racconta - ed è finalista al Premio Chianti. Si deciderà nei prossimi giorni ma sono già felice così: 323 persone che leggono veramente il tuo libro per giudicarlo sono una delle più belle soddisfazioni per un autore».
E questa nuova raccolta di racconti, «Le inquietudini della Sora Elsa»?
Questo è un libro molto problematico, perché mette in gioco - come giustamente mi ha fatto notare chi lo ha letto finora - la mia duplice anima: italiana e tedesca. Io vivo da quarant’anni in Germania quindi è chiaro che c’è questa capacità di entrare nella mentalità dei tedeschi. Si tratta di racconti ambientati fra il ’43-44 ma anche dopo. Mi muovo dentro i conflitti interiori provocati dall’aver vissuto gli anni della Seconda guerra mondiale: i protagonisti sono germanici, austriaci e italiani, affrontano problemi che negli anni successivi alla guerra e fino ad oggi coinvolgono realmente ed emotivamente le persone che hanno vissuto quel periodo. Chi ha subito e chi è stato protagonista negativo. Le persone che tacciono, che non trovano le parole, ad esempio: quella che io chiamo «la generazione del silenzio», che in un primo momento avevo scelto come titolo del libro.
Ma in Germania si è elaborato il lutto del nazismo. O no?
In Germania fino agli anni Settanta si taceva, anche in casa. Poi, mentre in Italia si tentava la rivoluzione del Sessantotto, i giovani germanici hanno detto basta: basta tacere, rielaboriamo quel lutto e dissipiamo quelle ombre che gli adulti non sanno affrontare. E hanno detto ai genitori: parlate, dite che cosa è successo.
Lo spunto del libro?
Difficile trovare una motivazione unica e unitaria. Il primo racconto ad esempio si svolge a Roma, durante il periodo dell’occupazione nazista, e quindi posso dire che il palazzo del quale parlo è quello in cui abitavo io da bambina. Le storie sono inventate ma le persone sono vere. La sora Elsa del titolo era davvero la portinaia del mio palazzo, ma i fatti sono solo ispirati alla realtà.
Come mai un tema così «serio» per una raccolta di racconti?
Era un tema che mi interessava da sempre e su quello ho scritto vari racconti in periodi diversi. Quando me ne sono ritrovati parecchi, ho deciso di metterli assieme e farne un libro, con un filo rosso che li lega: quello dell’elaborazione di un dolore interno, di un senso da dare ad anni così difficili. La cosa che mi interessa veramenmte, più della scrittura, è la storia del Ventesimo secolo. Io leggo solo libri storici e più ne leggo più mi vengono idee in testa. Una delle storie più dure da leggere, per il contenuto, è il terzo racconto, una lettera, il punto di vista di un tedesco nazista. Cosa pensa un ex nazista cinquant’anni dopo: cosa è successo in gioventù, come si è distrutto la vita.
L’Alto Adige appare anche in questo romanzo come nei precedenti?
Poco: in una storia, in quella in cui figura anche l’attentato di via Rasella che colpì i 30 soldati nazisti che erano tutti sudtirolesi. Ma un po’ tutte le storie sono a cavallo fra il mondo tedesco e quello italiano, e dunque il lettore altoatesino può trovare molti spunti d’interesse.
Nuovo libro, nuovo editore.
Ho partecipato a un concorso a Livorno, dov’ero finalista con «Il silenzio». Lì ho conosciuto la responsabile della casa editrice Tabula Fati che ha comperato il mio romanzo, l’ha letto e mi ha subito chiesto se avevo qualcosa di nuovo da pubblicare. E così siamo arrivati a questo libro. Che fino a quel punto era un manoscritto che tenevo nel cassetto e che non mi decidevo a tirare fuori. E che subito, ancora prima di essere pubblicato, come manoscritto insomma, ha vinto il premio Elsa Morante dedicato appunto ai manoscritti. Il mio libro tocca dei temi storici che nella letteratura non sono comuni. Dunque il senso del mio scrivere è anche quello di informare su dati storici che non tutti conoscono. Come quelli sulle storie della scuola delle catacombe in Alto Adige, nel mio primo libro.
Alto Adige 9-5-11
postato da: apritisangia alle ore 05:51 | Permalink | commenti
categoria:letture
domenica, 08 maggio 2011



Il nucleare dietro l’angolo

Carne da da reattore: è la vita di una dei tanti operai a contratto nelle centrali nucleari francesi. O almeno così la racconta l’esordio letterario della Filhol che in Francia è stata una rivelazione e il cui libro è stato premiato come migliore opera prima. Figlia di una generazione (l’autrice è nata nel 1965) che ha subito lo choc di Chernobyl (25 anni fa), Fihlol narra con grande abilità, con una scrittura secca e clinica, la quotidianità di uno di questi operai, Yann. Un uomo alle prese con un Moloch che ha bisogno ogni giorno di un pezzetto dell’esistenza di chi assicura il suo finanziamento e la sua produttività. Perché questo è il prezzo da pagare per assicurarsi uno sviluppo sempre maggiore dove l’equilibrio nel rapporto uomo-natura ha un’asticella ogni volta più alta. Una logica di mercato che governa una professione solo in apparenza diversa dalle altre. Yann e i suoi compagni sono una confraternita di lavoratori nomadi, precari, cresciuti all’ombra della catastrofe in Ucraina e uniti dalla consapevolezza del pericolo, dalla minaccia dell’irradiazione e della sovraesposizione. “Visto dall’esterno - racconta Yann - nulla di inquietante. I pennacchi di vapore s’innalzano al di sopra delle torri refrigeranti e i centocinquanta ettari su cui si stendono gli impianti appaiono come un luogo tranquillo. Sotto controllo. Ma sotto?”. E’ la domanda che tutti si fanno, dietro una calma ingannevole: il motore imballato del sistema, e gli uomini che dovrebbero pilotare la macchina, mantenuti sotto pressione artificialmente - incalza Yann - si incrinano a loro volta. Fin dove? Qual è il punto di rottura?. La centrale è appunto fredda, impenetrabile, indistruttibile nella sua coerenza scientifica: un corpo dal cemento grigio nel quale Yann e i suoi colleghi si aggirano alle prese con una ossessiva e ripetuta meccanicità di comportamenti. Da un romanzo che è già un caso all’attualità. Già: come conoscere davvero il nucleare con il referendum del 12 e 13 giugno alle porte e il disastro di Fukushima in corso? Su questo tema ecco due volumetti che affrontano il tema dell’energia atomica con la forma del libro intervista. A parlare, grandi nomi della scena italiana, pronti a spiegare i pro e i contro. Cinque autorevoli personaggi del mondo scientifico e politico (Fulco Pratesi del Wwf, i professori di fisica matematica Gianni Mattioli e Massimo Scalia, il verde Angelo Bonelli e il docente di chimica Vincenzo Balzani) dicono no. Dall’altra il sottosegretario allo Sviluppo Economico Stefano Saglia, l’ad di Enel Fulvio Conti, Umberto Minopoli di Ansaldo Nucleare, l’oncologo Umberto Tirelli e Chicco Testa dicono sì.

Elisabeth Filhol La centrale
Fazi editore, pagg. 125, 12 euro

Flaminia Festuccia
Perché sì e perché no al nucleare
Armando editore, due volumi
pagg. 95 e pagg. 80,   8 euro ciascuno
postato da: apritisangia alle ore 07:11 | Permalink | commenti
categoria:ambiente, letture, salute
lunedì, 25 aprile 2011



Il Salgari nascosto.  A cent'anni dalla morte un omaggio all'autore di Sandokan.  

Sono passati cento anni da quando Emilio Salgari, il maggiore scrittore d’avventura della letteratura italiana, si tolse la vita nei boschi. Il percorso inquieto della sua esistenza e la fine suicida sembrano essere i temi principali delle pubblicazioni uscite in libreria per il centenario della sua scomparsa. Ma non tutto si riduce alle sue vicende biografiche. Tra ristampe, saggi e documentari, c’è anche la possibilità di scoprire un Salgari nascosto, molto più sfaccettato di quello rappresentato finora. Ecco una breve rassegna di titoli per comprendere un po’ più a fondo la grandezza e la complessità del creatore di Sandokan. 
Lunedì, 25 Aprile 2011
di Ferdinando Cutugno - Lettera43

E.SALGARI... LA VITA


Il "Capitano" Emilio Salgari

Emilio Salgari nacque a Verona il 21 agosto del 1862 da una famiglia di modesti commercianti; nel 1878 si iscrisse al Regio Istituto Tecnico e Nautico "P.Sarpi" di Venezia, ma senza ottenere la licenza. Come "uomo di mare" compì solo alcuni viaggi di addestramento a bordo di una nave scuola e successivamente un viaggio (probabilmente in qualità di passeggero) sul mercantile "Italia Una", che per tre mesi navigò su e giù per l'Adriatico, toccando la costa dalmata e spingendosi fino al porto di Brindisi; ma il Capitano Salgari non smise mai di credere e narrare le sue avventure.

Nel 1883 inizia a collaborare con il giornale "La Nuova Arena", della sua città Verona, sulle cui pagine apparve a puntate il suo primo romanzo, "Tay-See", stampato successivamente (dopo aver subito varie modifiche alla trama) con il titolo "La Rosa del Dong-Giang"; nell'ottobre dello stesso anno escono le prime puntate di "La Tigre della Malesia". Inizia così la sua fortunata e tormentata carriera di scrittore che annovera al suo attivo circa ottanta romanzi e un numero ancora imprecisato di avventure e racconti.
Nel 1889 il suicidio del padre: primo di un'impressionante catena formata dallo stesso scrittore nel 1911, dal figlio Romero nel 1931 a 33 anni, dal figlio Omar, testimone e interprete della leggenda paterna, nel 1963. Nel 1892 si sposa con Ida Peruzzi (che il marito chiamerà affettuosamente per tutta la vita "Aida", come l'eroina di Verdi): un matrimonio, questo, a suo modo riuscito (ma la moglie morirà internata in manicomio); nello stesso anno la famiglia Salgari, ampliatasi con la nascita della piccola Fatima (la primogenita, seguiranno poi tre maschietti: Nadir nel 1894, Romero nel 1898 e Omar nel 1900), si trasferisce a Torino, dove lavora per l'editore Speirani, casa editrice per ragazzi; nel 1898 l'editore Donath lo convince a trasferirsi a Genova ed è qui che stringe amicizia con Giuseppe "Pipein" Gamba che sarà il suo primo grande illustratore. Sono anni buoni, interrotti da un nuovo trasferimento a Torino, nel 1900. Le condizioni della famiglia si fanno precarie, nonostante l'incessante lavoro per mantenere un rispettabile decoro borghese; rompe il contratto con Donath e passa a Bemporad (per cui, dal 1907 al 1911 scrive 19 romanzi). Il successo, specialmente tra i ragazzi, continua, diversi titoli raggiungono le 100.000 copie, anche se la critica ignora la sua produzione. Il collasso nervoso e il ricovero della moglie sono il colpo di grazia per un uomo stremato. Scrive tre lettere, ai figli, agli editori, ai direttori dei giornali torinesi e si toglie la vita il 25 aprile 1911. La sua opera tuttavia è rimasta viva a nutrire con tutto il suo fascino la fantasia di generazioni di ragazzi e non.

"Ai miei editori: A voi che vi siete arricchiti con la mia pelle mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria od anche più, chiedo solo che per compenso dei guadagni che io vi ho dato pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna.
- Emilio Salgari"


La famiglia Salgari al completo. Ida "Aida", Emilio, e i figli Omar, Nadir, Romero e Fatima.

Fonte: http://www.emiliosalgari.it/biografia.html Per conoscere la bibliografia andare al link: http://bepi1949.altervista.org/salgariproject/salgariop.htm
postato da: apritisangia alle ore 20:51 | Permalink |
categoria:letture
lunedì, 11 aprile 2011



Il libro di memorie “Italijanska” viene presentato oggi alla C.Augusta

BOLZANO. «Italijanska», quasi un “Diario di guerra” d’una ragazza molto, molto spaesata nel 1944/45, è il titolo del libro di memorie scritte giorno per giorno da Maria Anna Rold nei campi di lavoro dove è stata internata e dove altre prigioniere russe la chiamavano con l’appellativo “Italijanska”. Nata a Milano, la signora Rold ha vissuto per anni a Bolzano, emigrata nel “Reich” per lavorare, era stata internata succesivamente nei campi di lavoro.
Il libro “Italijanska” con le sue memorie di quel periodo sarà presentato oggi a partire dalle ore 18 nella Biblioteca provinciale italiana “Claudia Augusta” in via Mendola 5. Interverranno Eugen Galasso, la figlia della signora Rold, Barbara Ritter, la direttrice della Biblioteca, Valeria Trevisan, che farà una breve introduzione, seguirà la lettura di stralci del diario da parte di Paola Soccio. Tra il pubblico ci sarà anche la scrittrice del diario, Maria Anna Rold. Ingresso libero.
Alto Adige 11-4-11
postato da: apritisangia alle ore 03:59 | Permalink | commenti
categoria:letture
lunedì, 21 marzo 2011



Gesualdi a Bolzano il mio romanzo per salvare l’acqua

BOLZANO. Francesco Gesualdi, fondatore del Centro Nuovo Modello di Sviluppo di Pisa e curatore della famosa “Guida al consumo critico”, sarà ospite del progetto “Madre Terra” del Teatro Cristallo e della Caritas diocesana domani sera alle ore 20.30 in sala don Lino Giuliani, al II Piano del Centro culturale Cristallo. A Bolzano presenterà il suo ultimo romanzo “Il mercante d’acqua” e discuterà, in un dibattito aperto al pubblico, moderato da Francesco Comina, sul tema: “Acqua: merce o diritto?”. Gli abbiamo chiesto di rispondere a qualche domanda.
Gesualdi, da sempre lei è a favore di un nuovo modo di pensare e di agire ed è anche concretamente e tenacemente attaccato alla realtà. Perché questa volta ha voluto scrivere un romanzo di narrativa “Il mercante d’acqua”?
Ho scelto di cimentarmi col genere del romanzo piuttosto che con la saggistica perché mi sono reso conto che c’è un grande pubblico più pigro, che non è così propenso a leggere i trattati ma che è sensibile a certe tematiche e che in qualche modo può essere attirato e sensibilizzato attraverso un altro genere letterario.
Dal punto di vista letterario, lei ha variato la forma, quindi, ma non la sostanza dei suoi contenuti: qual è l’obiettivo finale?
L’interesse è sempre lo stesso: l’evoluzione della società e l’obiettivo finale è di cercare di indurre il cambiamento nella stessa. Ciò è realizzabile solo se c’è un vasto numero di persone desidera veramente e fortemente cambiare.
Lei è stato un allievo di don Milani: la sua scelta di scrivere è un tentativo pedagogico per cambiare qualcosa?
Purtroppo è così. Noi abbiamo eletto un governo che sta cercando di sfasciare tutto ciò che è bene comune. Perché viene votato un governo così? Per me rimane un grande punto interrogativo. Ci siamo illusi che l’imprenditore di turno che ha fatto la sua fortuna riesca - con gli stessi metodi - a fare la fortuna di tutti... E’ passato il concetto che il bene privato vale più del pubblico: il privato vende, quindi ci si trae profitto.
A proposito di privatizzazione: parliamo dell’acqua. C’è stata una forte mobilitazione dal basso per raccogliere le firme necessarie per il referendum. Qual è la prossima sfida?
Innanzitutto quella di raggiungere il quorum: se non riusciamo a fare in modo che si rechino alle urne la metà più uno degli elettori non ce l’avremo fatta. Il dramma è che in questo ambito le persone sono state lasciate sole: gli schieramenti politici sono abbastanza compatti nel non volere che queste richieste passino. Le ragioni sono diverse, ma a livello politico non c’è nessuno che si batta veramente per evitare la privatizzazione. La spinta deve avvenire dal basso, dalla gente e l’importante è non demoralizzarsi. (f.la.)
Alto Adige 21-3-11
postato da: apritisangia alle ore 03:57 | Permalink | commenti
categoria:ambiente, letture
domenica, 27 febbraio 2011



Il futuro della rivista Il Cristallo è online

Il futuro del Cristallo è online» afferma Claudio Nolet, direttore del periodico dall’inconfondibile copertina bianca e lucida, fondato più di mezzo secolo fa dal professor Giuseppe Negri. Era il 1958 quando l’allora presidente del «Centro di Cultura dell’Alto Adige» diede vita a una rivista di varia umanità con la collaborazione di personalità di spicco della cultura italiana come Stelio Danese, Giulio Debiasi, Giuseppe Farias, Carlo Lazzerini, Renato Maturi, Claudio Nolet, Luigi Serravalli e Pier Luigi Siena. «Per una rivista di cultura, superare i 50 anni di esistenza è un traguardo ragguardevole», afferma oggi Nolet.
 Qual è la «varia umanità» cui fa riferimento «Il Cristallo»?
 
Edizione dopo edizione, l’intento del Cristallo è stato di dare voce alle espressioni culturali del gruppo linguistico italiano, di fare conoscere i problemi e le peculiarità di questa provincia di confine, attraverso riflessioni e approfondimenti storici, filosofici, sociali e artistici. In questo senso, la longevità del nostro periodico può valere come testimonianza del percorso culturale compiuto dalla nostra comunità.
 Le edizioni degli ultimi tre anni sono ora consultabili online (www.altoadigecultura.org): a cosa è dovuta questa scelta?
 
Vorrei cercare di aumentare la diffusione del nostro lavoro: vincolato alla sola edizione cartacea, la rivista rischia di morire. Internet è un mezzo fondamentale, la rete può essere un veicolo eccellente di diffusione culturale. Vorrei coinvolgere dei giovani disposti a mettersi in gioco e a rischiare, per continuare a pubblicare «Il Cristallo» online.
 Rischiare?
 
Sì, rischiare. Bisogna avere il coraggio di trasformare questa rivista, mantenendo sempre alta la qualità degli interventi pubblicati. Il linguaggio della rete è inevitabilmente differente da quello della carta stampata, soprattutto se parliamo di un periodico di studio e approfondimento. È affascinante, cambiano i generi letterari, viviamo in un’epoca di trasformazioni radicali.
 Qualche anticipazione sul prossimo numero?
 
Parliamo di libri che affrontano la questione etnica e ospitiamo interessanti saggi di letteratura, come quello del bolzanino Davide De Maglie, dedicato a Mario Tobino. Proseguiamo inoltre la nostra collaborazione con Franco Zangrilli, che insegna all’università di New York, grazie a un contributo su «Canale Mussolini», il romanzo di Antonio Pennacchi che ha vinto il Premio Strega. (b.g.)
postato da: apritisangia alle ore 07:19 | Permalink | commenti
categoria:letture
mercoledì, 23 febbraio 2011



«Ad alta voce»: quando la letteratura incontra il sociale

Fare incontrare la letteratura con il mondo del sociale. Suscitare interesse su storie spesso relegate ai margini grazie alla forza comunicativa della narrazione. Questi, in sintesi, gli obiettivi del progetto «Stille Post - Ad alta voce».
 Il progetto è stato promosso dall’assessorato provinciale alle Politiche sociali e realizzato con la collaborazione della casa editrice Alphabeta e del Kvw.
 Letteratura, si diceva. In questo caso, racconti. Il formato scelto per la distribuzione è stato quello di snelli libretti, impreziositi da lavori grafici a cui hanno partecipato persone in situazione di disagio che lavorano in laboratori protetti. Dieci gli scrittori che hanno dato il loro contributo: Sepp Mall, Fabio Marcotto, Anne Marie Pircher, Manuel Maini, Helene Flöss, Sandro Ottoni, Birgit Unterholzner, Paolo Valente, Kurt Lanthaler e Brunamaria Dal Lago Veneri. I temi trattati spaziano da storie di vita di clochard, malati psichici, a quelli della quotidianità di una ragazza che affronta i problemi dell’adolescenza. Uno spettro di indagine ampio che, ad oggi, ha portato alla distribuzione di ben 100 mila libretti in luoghi pubblici e nelle scuole della provincia.
 Ieri - alla presenza dell’assessore competente Richard Theiner e di alcuni rappresentanti dei soggetti coinvolti - si è fatto il punto sui risultati dell’iniziativa e sono stati resi noti i progetti correlati che saranno realizzati. Con un salto temporale a ritroso di pochi giorni, è doveroso citare la trasposizione teatrale del racconto «Schwarz und weiss» di Anne Marie Pircher, messo in scena il 17 febbraio al Theater in der Altstadt di Merano. Nella primavera di quest’anno i dieci racconti saranno trasmessi dalla sede radiofonica Rai di Bolzano. Le letture diverranno poi un audiolibro che verrà distribuito a tutte le persone ipovedenti o con difficoltà di lettura in Alto Adige. Inoltre domani, alla Biblioteca civica di Bolzano (ore 18), Kurt Lanthaler e Brunamaria Dallago Veneri presenteranno i loro racconti. L’incontro si ripeterà venerdì 25 febbraio alla Biblioteca civica di Merano (ore 20.30). E in autunno tutti i racconti della collana verranno raccolti in due antologie, una in lingua tedesca e una in lingua italiana. Anche le antologie saranno pubblicate da Alphabeta. (a.m.)
Alto Adige 23-2-11
postato da: apritisangia alle ore 07:01 | Permalink | commenti
categoria:letture, sociale
mercoledì, 16 febbraio 2011



Melandri: l’Alto Adige si racconti

BARBARA GAMBINO
È passato quasi un anno dalla pubblicazione di «Eva dorme», il romanzo della scrittrice e sceneggiatrice romana Francesca Melandri pubblicato da Mondadori e ambientato in Alto Adige, un affresco vivido del nostro recente passato che prende corpo attraverso il racconto di un amore impossibile. Un romanzo d’esordio che si è rivelato un successo editoriale: giunto alla quinta ristampa a primavera arriveranno l’edizione in paperback e l’eBook. E dal 28 febbraio anche il pubblico tedesco potrà conoscere Eva Huber, l’infelice storia d’amore tra sua madre Gerda e il carabiniere calabrese Vito e ripercorrere la tormentata storia dell’Alto Adige dal 1919 ai giorni nostri: uscirà infatti «Eva schläft» per le edizioni Blessing Verlag / Random House di Monaco.
 Nel suo romanzo ha affrontato uno scorcio di storia ancora poco frequentato. Com’è stato accolto dal pubblico?
 
Non so quanti lettori del Trentino-Alto Adige di tutti i gruppi linguistici mi hanno ringraziato per aver raccontato questa storia. Molti hanno espresso la convinzione che solo una persona non nata in regione avrebbe potuto raccontare una storia del genere senza alcun rancore. Un aspetto cui non avevo mai pensato mentre scrivevo: perché mai avrei dovuto scrivere con rancore? Credo che l’elemento che ha colpito più favorevolmente i lettori sudtirolesi sia stato proprio questo: l’equanimità.
 Quali sono state le reazioni fuori dalla nostra regione?
 
Presentare il romanzo in altre regioni, dal Piemonte alla Calabria, mi ha permesso di percepire direttamente quale sia il rapporto tra l’Alto Adige e il resto del Paese. Un’esperienza molto interessante, che mi ha confermato come la gran parte dei nostri connazionali ignori completamente i fatti storici che ho trattato. Del resto è stata proprio la convinzione che la storia di questa provincia fosse sconosciuta ai più che mi ha portato a scrivere il libro, la constatazione che l’Alto Adige non fa ancora parte dell’identità collettiva italiana. Ho ricevuto molti messaggi anche da parte di ex-militari che all’epoca erano di servizio in Alto Adige: mi esprimevano il sollievo di vedere finalmente raccontata anche la storia della «loro» guerra, dei loro morti.
 Raccontare le storie parallele di Gerda Huber e Vito Anania può aiutare a recuperare un frammento di identità nazionale?
 
Io intendo l’identità come una consapevolezza di sé dinamica e non chiusa o statica. Un racconto collettivo condiviso. Mi farebbe piacere quindi se il mio libro desse un contributo a un lavoro di narrazione storica partecipata non solo da parte di tutti gli altoatesini, ma anche degli italiani che in Alto Adige hanno trascorso magari solo una parte della loro esistenza.
 Ultimamente in Alto Adige si parla molto di identità. Che ne penserebbe la quarantenne Eva, emancipata e poliglotta, protagonista e io narrante del romanzo, della mancata partecipazione da parte dell’Alto Adige alle celebrazioni dei 150 anni dell’Italia unita?
 
Eva, come molti della nostra generazione, si è lasciata la storia conflittuale alle spalle e vorrebbe andare oltre, guardare avanti. Troverebbe questa presa di posizione riduttiva. Siamo in una società multietnica e l’Alto Adige, anche per vocazione geografica, ne è un esempio lampante.
 Cosa intende per riduttiva?
 
Intendiamoci: quando il presidente della giunta provinciale afferma che il 17 marzo l’Alto Adige non ha nulla da festeggiare, dal punto di vista storico non possiamo dargli torto. Ma l’accento in questo caso non dovrebbe essere posto sul termine «festeggiamento». Il 17 marzo poteva essere un’occasione per celebrare il percorso comune intrapreso insieme, non importa se sin dal 1861 o meno, per riflettere e condividere con gli altri la storia di ogni singolo lembo di terra che fa parte dell’Italia, per capire dove, da dove e come ci siamo arrivati.
 L’identità condivisa...
 
Proprio così. Il fatto che il Sudtirolo non partecipi alla mostra sulle Regioni d’Italia è un’occasione persa. Ha perso l’opportunità di raccontarsi e di raccontare le sua travagliata storia al resto d’Italia. Pensi che grande occasione avrebbe avuto di far sapere agli italiani dei soprusi del fascismo, le Opzioni, Castel Firmiano, la convivenza... Mi sono sempre chiesta come mai le vicende dell’Alto Adige fossero ignote agli italiani. Ora comincio anche a chiedermi cosa abbia fatto sinora l’Alto Adige per far conoscere la propria storia. Anche farsi conoscere è un atto di responsabilità, di maturità collettiva.
 Anche il suo prossimo romanzo sarà ambientato tra le Alpi?
 
No, anche se uno dei personaggi è sudtirolese. È ambientato nel 1979, negli Anni di piombo. Mi occupo del terrorismo dal punto di vista umano: l’eredità di dolore che esso ha provocato.
Alto Adige 16-2-11
postato da: apritisangia alle ore 05:18 | Permalink | commenti
categoria:letture
martedì, 01 febbraio 2011



La vita di Jenny il socialdemocratico sudtirolese per caso

È la storia, quella personale, quella di una terra controversa, al centro dell’autobiografia di Egmont Jenny, raccolta da Lucio Giudiceandrea e pubblicata da Raetia («L’intruso», 216 pagine) all’indomani della scomparsa, lo scorso dicembre, dell’anomalo uomo politico sudtirolese. «Il danno maggiore - scrive Jenny - che i regimi fascisti hanno causato a noi giovani è stato quello di averci imposto l’ideale nazionalista come punto di riferimento di ogni iniziativa politica».
 Ciò, secondo Jenny, «significava subordinare il comportamento del singolo cittadino alla sua appartenenza etnica. Ho cominciato a capire l’assurdità di una simile concezione durante la guerra, l’ho approfondita durante il mio soggiorno a Vienna, quando mi sono reso conto che il Tirolo storico plurilingue era parte integrante di un impero multinazionale, nel quale l’appartenenza etnica era un aspetto secondario della comunità. Oggi constato che coloro che si ergono a difensori e rappresentanti di un Tirolo tedesco ignorano e falsificano la storia».
 Non occorre condividere tutti i suoi giudizi per apprezzare la lucidità con la quale Egmont Jenny, il socialdemocratico progressista, ripercorre le tappe della sua vita e con questo i periodi storici che fanno dell’Alto Adige ciò che esso oggi è. Dagli anni Venti alle Opzioni, dalla Guerra agli anni Cinquanta, dal Pacchetto al disagio degli italiani. Un zigzagare coerente nel tempo e nello spazio: dal Vorarlberg a Lana, da Milano all’Emilia, da Vienna a Roma e a Bolzano. Jenny infatti nacque nel Vorarlberg nel 1924 da madre lombarda e padre di quello stesso Land, si trasferì giovanissimo in Alto Adige (a Lana), si trasferì in Germania con le Opzioni, studiò in Italia (a Bologna) e in Austria prima di tornare a vivere a Bolzano. È morto lo scorso dicembre a 86 anni.
 Chiediamo a Giudiceandrea come è avvenuto l’incontro con questo personaggio estromesso e dimenticato dalle cronache ufficiali. «Quando uscì il libro in tedesco di Jenny (“Bekenntnis zum Fortschritt. Mein Weg zur Sozialdemokratie”, ed. Raetia) rimasi colpito da questo fatto: Jenny aveva una madre italiana, che lo ha profondamente influenzato. Tuttavia in quel suo racconto, le radici “italiane” e in generale questa parte della sua educazione e formazione non mi sembravano trattate con l’attenzione che meritavano. Mi sembrava anzi che Jenny si fosse disfatto troppo sbrigativamente di questa sua origine “interetnica”. Più o meno questo gli scrissi. Dopo di che fu lui a contattarmi e a propormi di fare un libro anche in italiano, che non fosse però la semplice traduzione di quello tedesco, ma che fosse calibrato fin da principio per il lettore italiano».
 Cosa emerge dal suo modo di raccontarsi? «Mi ha colpito - spiega Giudiceandrea - la sua onestà intellettuale, il suo disincanto, la sua capacità di ridere, anche di se stesso. In fondo Jenny era uno “sconfitto”: la sua battaglia per la socialdemocrazia è sostanzialmente fallita. Jenny aveva compreso i propri errori, le ragioni strutturali di quel fallimento, i meriti che nonostante tutto la Svp, suo avversario storico, ha avuto. Ma non ha rinunciato alle sue critiche al sistema di potere del partito dominante, che anzi ripete con convinzione e con abbondanza di argomenti».
 Egmont Jenny, proprio a causa della sua origine e natura eterogenea, ha qualcosa che lo rende lo specchio di una realtà, quella altoatesina, che appare monolitica o multiforme a seconda di come la si osservi. Come lo si può definire, Jenny: un’anomalia nel sistema Sudtirolo oppure un distillato di sudtirolesità? «Beh, Jenny era un “intruso” - dice Giudiceandrea nel senso che non c’entrava molto con il Sudtirolo: madre lombarda, padre vorarlberghese, la sua famiglia si stabilì qui per caso. E solo “per caso” Jenny divenne un sudtirolese. Senz’altro non un sudtirolese tipico, come li vuole la tradizione (o il pregiudizio). Era cosmopolita, parlava più lingue (il francese, oltre al tedesco e all’italiano), aveva vissuto e lavorato all’estero, conosceva la storia, viaggiava... Era in un certo senso un’anomalia del sistema, un dissidente, ma un dissidente sui generis. Per esempio: era in completo disaccordo con Langer e il langherismo perché sostanzialmente non vedeva nulla di male nella dichiarazione di appartenenza al gruppo linguistico e non condannava il censimento etnico. Era autonomista fino al punto di dire che l’autonomia è una forma blanda di autodeterminazione; ma avrebbe voluto che questa autonomia si desse da fare per coinvolgere anche gli italiani e per recuperare un buon rapporto con il Trentino. Dato che è sempre rimasto un osservatore attento degli avvenimenti politici e sociali, non ha risparmiato critiche neppure all’Italia e al Sudtirolo di oggi. Le sue note sull’Italia (verso la fine del volume) mi sembrano severe, ma molto lucide».
 Severo ma ottimista, almeno rispetto all’Alto Adige: una terra di cui Egmont Jenny sottolinea difetti e carenze, ma nella quale vede anche i segni di una evoluzione (almeno potenzialmente) positiva.

Scomparso lo scorso 19 dicembre, Egmont Jenny nacque a Rankweil nel 1924. Figlio di una maestra lombarda e di un farmacista del Vorarlberg, pochi anni dopo la nascita si trasferì a Lana. Le Opzioni del 1939 divisero anche la sua famiglia: la madre restò italiana, il padre scelse la cittadinanza tedesca. Egmont lo seguì, ma il suo entusiasmo nazionalistico si spense ben presto nel clima tetro dell’Austria nazista e nella tragedia della guerra. Iniziò gli studi di medicina a Bologna, li proseguì nel dopoguerra a Innsbruck e li terminò a Vienna, dove assolvse il suo apprendistato. Nel 1956 si stabilì a Bolzano, lavorandovi per oltre trent’anni come urologo. Alla politica si dedicò attivamente a partire dagli anni Sessanta. Prima nella Svp, successivamente fondando il un «Partito per il progresso», la Südtiroler Fortschrittspartei. Per due legislature, nel 1964 e nel 1973, venne eletto in Consiglio provinciale, avventura che terminò nel 1978. Da osservatore distaccato ma interessato continuò a seguire gli avvenimenti politici e sociali dell’Alto Adige.

Alto Adige 1-2-11
postato da: apritisangia alle ore 05:58 | Permalink | commenti
categoria:letture
lunedì, 24 gennaio 2011



La vita di Ernesta Bittanti: la moglie di Battisti contro le leggi razziali

STEFANO FAIT
L’accusa di antisemitismo è ormai talmente inflazionata da risultare irritante e controproducente. Eppure, proprio quando si sarebbe tentati di dire che l’antisemitismo sia un ricordo del passato, utile solo a fini polemici, arriva una pubblicazione molto opportuna e tempestiva, curata dalla Fondazione Museo storico del Trentino. Si tratta di «Ernesta Bittanti e le leggi razziali del 1938». La Bittanti fu moglie di Cesare Battisti. Autrice del libro è Beatrice Primerano, laurea in giurisprudenza col massimo dei voti con una tesi dallo stesso titolo. Il libro sarà presentato oggi alle 18 presso la biblioteca Claudia Augusta di Bolzano (via Mendola 5), alla presenza dell’autrice, di Lionello Bertoldi dell’Anpi, e degli storici Vincenzo Calì, Andrea Felis e Diego Quaglioni. Il volume è tempestivo perché le violazioni israeliane del diritto internazionale stanno alienando ogni residua simpatia nell’opinione pubblica internazionale. È opportuno perché decine di milioni di fondamentalisti cristiani, in ossequio ad un’interpretazione letterale dell’Apocalisse di Giovanni, sono allo stesso tempo ardentemente sionisti e virulentemente antisemiti, convinti che l’unica opzione israeliana per evitare un secondo olocausto siano il ravvedimento e la conversione al cristianesimo. Per questo finanziano ed appoggiano la politica israeliana nei Territori Occupati: il controllo ebraico su Gerusalemme è il segno dell’imminenza del Secondo Avvento. Dobbiamo dunque chiederci che cosa ne sarà degli Ebrei, come faceva Ernesta Bittanti dopo la promulgazione delle leggi razziali fasciste? Sì, dobbiamo chiedercelo, perché l’inibizione di un vero dibattito su quel che sta avvenendo nei Territori Occupati produce una crescente pressione psicologica nell’opinione pubblica internazionale, che rischia di spezzare la corda della tolleranza con conseguenze potenzialmente catastrofiche per gli Ebrei di tutto il pianeta.
Il volume, che comprende uno scritto, il «diario» della Bittanti e numerose lettere di encomio e gratitudine di Ebrei italiani, ci riporta alla quotidianità dell’applicazione delle leggi, ci strappa al comodo torpore delle remote astrazioni: il Fascista, l’Ebreo, il Giusto, l’Indifferente. Qui c’è una donna vera, in carne ed ossa, che lotta contro l’iniquità, che patrocina e mantiene i contatti con altre persone in carne ed ossa, vittime di un odio razziale costruito a tavolino da Mussolini per ragioni di bieco realismo politico ed opportunismo personale, ma perfettamente integrato nella logica fascista, come il ratto in una discarica. Una donna che si dimostra più che all’altezza del marito defunto, che rifiuta i vantaggi della beatificazione laica di Battisti per riaffermare la verità e la giustizia, il buon senso profanato dal mercimonio di un regime sostenuto dal servilismo dei molti e dallo sconfinato narcisismo di una minoranza di fanatici. La «pecora matta», come l’apostrofava l’infame Telesio Interlandi, direttore della «Difesa della razza», esprime nel diario un illuminante giudizio su un incontro avuto con Isa Sarfatti, moglie di Carlo Foà: «Ho avuto la visita di un’ebrea (fascista, col marito, della prima ora) - redattrice, quasi direttrice di “Gerarchia” [la rivista ufficiale del fascismo, ndr]. Il marito, un esimio scienziato, dimesso dall’università. Sono alla vigilia della partenza per l’America. Non mi ispira pietà. Avrei voluto rammentarle, ma non lo feci, le vittime della sua ideologia fascista e, di questa, i principi perfettamente in regola colla persecuzione ebraica».
Alto Adige 24-1-11
postato da: apritisangia alle ore 04:32 | Permalink | commenti
categoria:letture
sabato, 22 gennaio 2011


Massacro di Srebrenica

Srebrenica: rialzarsi dopo la strage

Sarà presentato lunedì alle 18, presso la sede della Fondazione Langer in via Bottai 5 a Bolzano, il documentario e il libro «Hotel Bosnia» di Alessandro De Lisi e Fulvio Gervasoni: entrambi gli autori saranno presenti per un incontro intitolato «Vivere Srebrenica».
 «Nel nostro girovagare in Bosnia Erzegovina - raccontano i due autori - abbiamo incrociato il prezioso lavoro svolto negli ultimi anni, tra Zenica, Tuzla e Srebrenica, da alcuni esponenti della Filca-Cisl della Lombardia. Ne è nata un’amicizia e una collaborazione con il progetto “Adopt Srebrenica” promosso da Tuzlanska Amcia e dalla Fondazione Langer». I campi scuola realizzati dalla Filca-Cisl in Bosnia Erzegovina, a Zenica, nei pressi di Sarajevo, a Tuzla e a Srebrenica sono stati lo strumento per aprire un dialogo sui bisogni del territorio. Dopo queste esperienze è stato deciso di ristrutturare la scuola comunale di Srebrenica, città teatro di un massacro da non dimenticare. «Hotel Bosnia» è il titolo del libro e del dvd che documentano questa esperienza. La strage di Srebrenica ebbe luogo nel luglio del 1995, quando le milizie serbo-bosniache guidate da Mladic massacrarono - senza che i caschi blu dell’Onu intervenissero - tra 8000 e 10 mila abitanti della città. L’iniziativa che sarà presentata lunedì a Bolzano vuole essere lo spunto di riflessione sul tempo presente e sulla possibilità di interventi futuri. Alessandro de Lisi, giornalista e autore di teatro, da anni è impegnato nella lotta contro la mafia e la tutela della memoria dei protagonisti «periferici» del Novecento. È consulente di gestione dei beni culturali.

Alto Adige 22-1-11
postato da: apritisangia alle ore 07:42 | Permalink | commenti
categoria:letture
martedì, 04 gennaio 2011



La matematica è divertente

Se la vita è gioco, figurarsi la matematica: parola di Giorgio Odifreddi che firma la prefazione di un libro che ha la chiara intenzione di mostrare “il lato divertente” di una materia che a molti ricorda tempi difficili della loro vita scolastica. “Se la matematica viene presentata su un ristretto percorso tecnico, chiuso e sterilizzato, di regole e calcoli, inevitabilmente diventa - scrive Peiretti - noiosa e alienante”. E invece, a scorrere il fascino discreto dei giochi inventati dai matematici di tutti i tempi - nel libro ne sono proposti circa 200 - ci si ricrede e si può persino arrivare a pensare che forse la disciplina non è così ostica come si è creduto e che, spogliandosi dei pregiudizi e delle rigidità di un’educazione male impartita, effettivamente ci si diverte.
 Le pagine ricche di rompicapi, problemi, esercizi e teoremi portano il lettore ad arrovellarsi su temi che difficilmente hanno come prima risposta quella buona. E quindi per questo ancora più intriganti. Del resto, il gioco matematico è un’invenzione antica: dagli egizi in poi è stato uno sport radicato e non solo a livello più alto ma anche negli strati più popolari. Si va dal gioco del filetto, nato all’ombra delle Piramidi ed ancora in voga oggi, fino al gioco della vita elaborato da uno dei maggiori matematici viventi, John Horton Conway, padre degli automi cellulari. Protagonisti del libro sono personaggi come Pitagora, Archimede, Eulero, Moebius, Feynman, Penrose per i quali la matematica è “stata anche un gioco che, a sua volta, è diventato matematica”. Ma anche, Lewis Carroll, Sam Loyd, Henry Dudeney e Martin Gardner che con i loro enigmi hanno consentito di “avvicinare ragionamenti in cui la matematica è nascosta dietro le quinte”: logica, intuizione e così via. E siccome di giochi si parla, eccone uno. In un gioco a quiz sono proposte ad un concorrente tre buste chiuse: in una c’è un milione di euro, nelle altre due solo mille euro. Il concorrente ne sceglie una e resta in attesa. Il presentatore del quiz ne apre un’altra che non contiene il milione di euro, ma offre al concorrente di cambiare la busta scelta con la sua. Il concorrente deve accettare?
 Insomma: “dicono che sia il più bel gioco inventato dall’ uomo. Eppure molti non la conoscono (e la temono). E allora diciamolo forte e chiaro: la matematica è divertente, e anche facilmente accessibile. Quando Alessandro Magno chiese al suo istitutore Menecmo di indicargli la strada per impararla, questi rispose: «Non esiste una via regia per la matematica». Secondo Federico Peiretti invece esiste, ed è il gioco.

Federico Peiretti
Il matematico si diverte
Longanesi, 328 pagg., 18 euro
postato da: apritisangia alle ore 05:30 | Permalink | commenti (1)
categoria:letture
lunedì, 27 dicembre 2010



«Mayr-Nusser esempio per la fede. La politica non c’entra»

MARCO RIZZA
La figura «esemplare» di Josef Mayr-Nusser, l’antinazista morto nel 1944 durante il viaggio di trasferimento al campo di Dachau, dove doveva essere imprigionato per non avere prestato giuramento a Hitler, «non si evidenzia per una sua scelta politica, ma per la sua qualità di uomo semplice, padre di famiglia, che si è preoccupato del suo prossimo attraverso le attività con i giovani, come membro della San Vincenzo, come cristiano durante la prigionia». Al termine dell’anno dedicato al martire antinazista, la Diocesi torna a prendere posizione sul tema che da tempo in Alto Adige divide storici e analisti: quanto l’esempio di Mayr-Nusser è «solo» quello di un martire cristiano, e quanto invece anche quello di un militante antinazista? Qual è il rapporto tra il processo di beatificazione che lo vede protagonista e il peso politico della sua vicenda? Le parole di monsignor Golser sono chiare: «Mayr-Nusser non si evidenzia per una sua scelta politica». L’intervento del vescovo si è tenuto ieri in Duomo, al termine della messa in occasione della festa della Santa Famiglia. Dopo la celebrazione eucaristica Golser ha presentato il nuovo libro che raccoglie per la prima volta tutti gli scritti di Mayr-Nusser. Tra l’altro proprio oggi Mayr-Nusser avrebbe compiuto 100 anni: era nato infatti il 27 dicembre 1910 al Nusserhof ai Piani di Bolzano. Curato da don Josef Innerhofer, padre postulatore del processo diocesano di beatificazione, il libro si intitola «Josef Mary-Nusser. Discorsi, articoli e lettere di un martire dei nostri tempi» (bilingue, 316 pagine, edizioni Weger, 10 euro). Mayr-Nusser, ha detto il vescovo, «può essere considerato testimone di Cristo non soltanto nel martirio, ma in tutta la sua vita che è un esempio di fede matura, di coscienza cristiana ben formata, un esempio per le famiglie cristiane». Dagli scritti pubblicati nel nuovo libro, ha proseguito, «si evince in maniera chiara come Josef Mayr si sia distinto soprattutto per il suo impegno a sacrificarsi per i giovani, per il suo esemplare stile di vita cristiana e per la sua sequela a Cristo che l’ha condotto fino alla morte».
 Nei mesi scorsi il dibattito su Mayr-Nusser ha ripreso vigore dopo un incontro pubblico organizzato dal Katholisches Forum, e nel quale sono emerse le due posizioni: di chi rivendica il «no» di Mayr-Nusser come atto di un martire della fede ispirato solo da Cristo, e di chi invece lo legge come frutto (anche) di una coscienza politica attivamente antinazista.
 Per quanto riguarda il processo di beatificazione, la parte di competenza della Diocesi si è conclusa nel 2007; ora la Congregazione delle Cause dei Santi, in Vaticano, costituirà un apposito Collegio per valutare il dossier e dichiarare se Mayr-Nusser sia stato un martire cattolico. Al momento non si hanno certezze sulla tempistica ma secondo il postulatore «il fatto che sia iniziato il lavoro a Roma è un segnale secondo me positivo sull’esito finale».
  Alto adige 27-12-10
postato da: apritisangia alle ore 06:19 | Permalink | commenti (1)
categoria:letture
mercoledì, 08 dicembre 2010
PRESENTAZIONE DEL LIBRO MITTELEUROPA

Lunedi 13 Dicembre 2010 alle ore 18.00

MITTELEUROPA
mito, letteratura, filosofia
di Massimo Libardi e Fernando Orlandi
con gli autori e la partecipazione di
Christoph Von Hartungen e Andrea Felis
postato da: apritisangia alle ore 18:17 | Permalink | commenti
categoria:letture
mercoledì, 08 dicembre 2010



Latouche: lo sviluppo ci ucciderà

FRANCESCO COMINA
O si cambia radicalmente il modello di convivenza umana o sarà il suicidio globale. Il grande sociologo ed economista francese Serge Latouche ha le idee sempre più chiare. Una ventina d’anni fa scrisse «Il pianeta dei naufraghi», che gli diede fama mondiale. Immaginava la nave dello sviluppo incagliata fra i fiordi alla deriva come il Titanic. La nave affonda mentre l’orchestra continua a suonare. Gli unici che si salvano sono coloro che abbandonano le danze e tentano una disperata fuga. Oggi la sua visione è peggiorata. Siamo, dice Latouche, alla soglia della sesta estinzione della specie ma si continua a predicare la religione dello sviluppo e della crescita economica senza accorgersi del suicidio annunciato.
 Serge Latouche sarà a Bolzano mercoledì su invito del Centro per la Pace del Comune, per una conferenza sul tema «L’economia del dono» dialogando con Antonio Mazzucato, missionario bolzanino fra i pigmei (appuntamento alle 18, Sala di rappresentanza del Comune). Oggi invece sarà a Trento (ore 20.30 in Sala Depero, palazzo della Provincia), mentre domani sarà a Predazzo.
 Serge Latouche, non è la prima volta che viene in Trentino Alto Adige.
 
Ci torno sempre volentieri. Sono terre che amo molto. Mi piace la montagna, mi affascinano le Dolomiti. In tutta la regione, sia in Trentino che in Alto Adige ci sono molte persone impegnate in una decrescita serena. Mi sono fatto una idea in questi anni, ossia che la gente di montagna è più abituata alla sobrietà e dunque è più facile che parta da qui il nuovo modello che auspichiamo, un modello che rompa definitivamente con l’idea della società dei consumi e dello sviluppo.
 Lei non ama molto la definizione che le appiccicano di «padre della decrescita», anzi ultimamente non usa più questo termine preferendo la parola «a-crescita».
 
L’idea della decrescita viene da lontano. Altri maestri già dagli anni Sessanta si sono soffermati sulla necessità di uscire dal paradigma della crescita, dei consumi, dello sviluppo. Penso a Ivan Illich, André Gorz, Francois Pertant, Cornelius Castoriadis. Io ho solo ripreso quelli intuizioni dandogli una formulazione più organica e strutturata. Il termine decrescita continua ad avere una sua importante funzione, è entrato nel vocabolario di molte persone e credo sia una parola appropriata. Tendo ultimamente ad usare il termine a-crescita prendendo la stessa radice di a-teismo perché secondo me si tratta di rifiutare la religione della crescita, del progresso e dello sviluppo.
 Lei non vuol nemmeno sentire parlare di sviluppo sostenibile. Come mai?
 
Perché è un ossimoro inventato dagli ideologi dello sviluppo. Questi strateghi hanno aggiunto l’aggettivo sostenibile per farci accettare meglio lo sviluppo. Ma non esiste uno sviluppo sostenibile! Lo sviluppo è sviluppo. La crisi ecologica che abbiamo sotto gli occhi è la conseguenza della crescita economica. Siccome i tecnocrati della crescita non vogliono uscire dal modello dominante hanno inventato questo ossimoro ingannatore che mette assieme una parola positiva (sostenibile) e una parola tossica (sviluppo).
 Decrescere significa anche rallentare?
 
Mi piace molto il libro del mio amico Ivan Illich, morto qualche anno fa, dal titolo «Elogio della bicicletta». La bicicletta, che è molto utilizzata in Alto Adige e che anch’io uso spesso a Parigi, è proprio l’emblema di una società che rallenta, che non inquina, che rompe la logica della velocità espansiva e compulsiva dello sviluppo. Sono contento di venire nella terra dove è nato e ha vissuto Alexander Langer, un maestro che ci ha insegnato a vivere con altri parametri, secondo il motto «lentius, profundius, suavius» contrario a quello olimpico della velocità, della forza e dell’altezza. Decrescere significa anche rallentare. Langer l’aveva capito molto bene.
 Lei ha scritto che la società dei consumi è anche la società dei rifiuti. Quello che sta accadendo a Napoli sembra confermare la sua tesi.
 
Napoli è solo la testa dell’iceberg. È ovvio che una società dei consumi diventa una società dei rifiuti, i quali crescono in maniera esponenziale rispetto al consumo. Più un Paese si sviluppa e più genera rifiuti. Ma il problema è mondiale. Napoli è il simbolo di una follia. E le soluzioni tecniche, come gli inceneritori, anche quelli più sofisticati di seconda e terza generazione non risolvono il problema, perché c’è sempre un margine di inquinamento e di impatto ambientale. In questi giorni è iniziato in Francia un processo per una contaminazione di diossina da parte di alcuni inceneritori del nord 10 anni fa. Sono aumentati i tumori, è stato trovato un forte inquinamento nei campi, nel latte, nei formaggi. Qui sono in ballo vite umane, non si può scherzare e far finta di nulla. Se rimaniamo dentro il quadro della società dello sviluppo non risolveremo mai questo problema che è mondiale.
 Intanto si rilancia sul nucleare...
 
Altra follia dello sviluppo. Siccome le risorse petrolifere stanno esaurendosi, ci attacchiamo al nucleare. Il prossimo anno si celebrano i 25 anni del disastro di Chernobyl. Fu una apocalisse fortunata perché soltanto per un miracolo il reattore non esplose e allora si che sarebbe stata la distruzione totale. L’umanità dimentica in fretta. Molti fisici ci dicono che i rischi ci sono anche se la tecnologia è avanzata e soltanto l’idea che ci possa essere il rischio di una apocalisse atomica dovrebbe essere sufficiente per dire di no al nucleare e pensare davvero a risorse energetiche alternative e ad energie rinnovabili. La strada maestra è la rottura col modello, l’inversione di marcia, l’a-crescita.
Alto Adige 6-12-10
postato da: apritisangia alle ore 15:24 | Permalink | commenti
categoria:letture, sociale
mercoledì, 08 dicembre 2010



Claudio Magris: un libro in tutte le lingue e poi Capodanno altoatesino

Un letterato a tutto campo. Scrittore, saggista, critico e germanista italiano di fama internazionale, Claudio Magris ha scritto libri di enorme successo e ha contribuito con numerosi studi a diffondere la conoscenza della cultura mitteleuropea. Classe 1939, Magris è nato a Trieste, dove tutt’ora insegna all’Università, oltre a essere visiting professor in molti atenei europei e nordamericani. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti nazionali ed internazionali. Tra le sue opere: Danubio (1986, tradotto in 17 lingue), Illazioni su una sciabola (1984), Un altro mare (1991), Le voci (1995), La mostra (2001), Alla cieca (2005), ma anche Microcosmi, Lontano da dove, Utopia e disincanto.

di Gabriela Preda
Pubblichiamo la seconda parte dell’intervista a Claudio Magris, scrittore e saggista, una delle figure più importanti della cultura europea contemporanea; la prima parte dell’intervista - nella quale Magris parlava in particolare di Europa, del tema delle frontiere, della sua idea di scrittura - è stata pubblicata domenica scorsa.
 Professor Magris, dal 1994 al 1996 sedeva tra i banchi del Parlamento a Roma. È vero che ha dichiarato che la politica non è qualcosa per animi sensibili e che non ricoprirebbe più un incarico simile? Come è stata l’avventura politica per lei?
 
Con quella frase intendevo dire esattamente il contrario di quello che, mi sembra, presuppone la domanda. Con quella frase intendevo manifestare la più viva riprovazione, direi quasi disprezzo, per alcuni scrittori o intellettuali che, dopo essersi dedicati per un certo periodo alla politica attiva e specifica, si sono ritirati dichiarandosi «delusi» alla politica. La politica non esiste per solleticare le nostre «animucce» sensibili, per illuderci o deluderci; politica significa libertà o oppressione, lavoro o miseria, scuole e ospedali che funzionano o no, vita delle famiglie e così via. Tutto questo è infinitamente più importante dell’animuccia sensibile di chiunque, fosse pure un grande poeta. Naturalmente, ognuno ha i suoi doni e non a tutti è dato dare il proprio contributo alla politica in un modo esplicito, sedendo in Parlamento o in un Consiglio comunale o regionale e così via. Per quel che mi riguarda, pur avendo fatto il senatore - scelta che ho fatto assolutamente per dovere, con il sentimento che in quel momento non potevo fare altro, e assolutamente non per piacere, perché contraria alla mia natura - so benissimo che il piccolissimo contributo che posso dare alla lotta politica passa molto di più attraverso la scrittura, interventi etico-politici sui giornali e così via, che non in un’esplicita milizia politica. Ma questo non ha nulla a che vedere con la «delusione» - ignobile parola- ricevuta dalla politica. Si può, si deve contestare una determinata politica, una degenerazione della politica, come quella cui stiamo assistendo oggi, ma col senso oggettivo dei problemi tanto più importanti di noi e non col senso di una nostra narcisistica sensibilità ferita.
 Torniamo al Magris scrittore. Recentemente ha presentato in Canada la traduzione inglese del suo ultimo libro, «Alla cieca». Come è stato accolto dal pubblico nordamericano? Che rapporti ha in genere con i suoi traduttori?
 
Il libro viene accolto bene, ma è troppo presto per trarne un bilancio definitivo e non so se le cose andranno così bene come è avvenuto in Francia, in Spagna, in Scandinava e in tanti, veramente tanti altri paesi. Con i traduttori ho un rapporto intensissimo; li incontro, ci scambiamo lettere (l’epistolario con i traduttori consiste in un migliaio di pagine circa...). Il traduttore è veramente un co-autore del testo, cosa di cui spesso in Italia ci si dimentica; la traduzione è la prima forma di critica letteraria, mette subito in evidenza i punti forti e i punti deboli di un libro. In genere, oltre a rispondere a tutte le esigenze di chiarimento e a fornire anche ai traduttori molti riferimenti per risparmiare loro tempo nel loro duro lavoro, li esorto a essere autonomi, e a non aver paura dell’infedeltà; soprattutto a non voler spiegare, a non voler rendere più facili le cose. La vita non è facile e non lo è neppure il racconto della vita, in cui c’è sempre il rischio dell’incomprensione, ma che va affrontato, senza pretendere di eliminarlo a priori. La cosa si fa particolarmente interessante con le traduzioni per così dire transculturali, quando un libro viene tradotto non solo in un’altra lingua, ma nella lingua di una cultura molto lontana e diversa, come il cinese, il giapponese e così via. Quello che conta soprattutto, in una traduzione, è la musica, il ritmo, il fluire.
 «Credo che l’unico modo di parlare, di raccontare qualcosa della propria esperienza sia parlare di altri»: così scriveva nel libro «Tra il Danubio e il mare». Nel caso di «Alla cieca» questo diventa un monologo di molti io. Parliamo di una forma nuova? In più, il suo stile intreccia in seguito suggestioni e citazioni letterarie di varie provenienze ed epoche con cenni storici e ponderate riflessioni etiche ed esistenziali in genere. Trae ispirazione da diversi generi epici?
 
Non credo che il monologo di molti io sia per me una forma nuova. In fondo, c’è già in «Danubio», in cui il protagonista, pur essendo un individuo determinato, è anche un po’, come il fiume, lo specchio di tutti i destini che incontra sul suo cammino, dei paesaggi nei quali si riflette il suo volto e che si riflettono nei suoi sguardi e così via. Io credo che noi siamo essenzialmente il nostro incontro con gli altri, il modo in cui sentiamo la vita e gli altri. La ringrazio molto per quell’aggettivo, «epici». Sì, l’epica è quella a cui aspiro. E, in genere, non è un caso che i miei libri siano difficilmente definibili dal punto di vista dei generi letterari, perché in qualche modo li trasgrediscono. Ma li trasgrediscono perché anche la vita non è un genere puro, bensì impuro. Nella stessa giornata, noi siamo lirici se osserviamo il colore di un tramonto con una malinconia nel cuore, siamo saggistici se discutiamo con un amico di politica o di cultura o di altre cose, siamo epici se raccontiamo a qualcuno qualcosa che ci è successo o che è successo a qualcuno che conosciamo e così via. E la letteratura rispecchia appunto questa mescolanza, questa feconda impurità della vita.
 Tornando al volume «Alla Cieca», uno dei tanti coprotagonisti del libro nascosti dietro l’io monologante dice: «Ho voluto mettere a posto il mondo anziché trovarvi riparo, e questo il mondo non lo perdona». Questo è del resto uno dei motivi di tutti i suoi personaggi. Parliamo di un grido d’allarme o semplicemente di una costatazione?
 
Quando si scrive un racconto, non si hanno degli specifici fini; non si vuole lanciare un grido di allarme né semplicemente una constatazione. Si racconta qualcosa che ci sembra significativo o che speriamo possa essere significativo anche per il destino degli altri. In questo senso, quella frase intende mettere a fuoco la terribile difficoltà in cui si trova, nella vita collettiva o nella grande storia come nella piccola vita individuale, chi non si accontenta delle cose così come sono, ma cerca di migliorarle, di riparare a qualche torto, provocando così delle inevitabili difficoltà, che gli altri non gli perdonano. È il destino del giusto, che è spesso il subire la persecuzione.
 Ha qualche nuovo progetto editoriale o cinematografico in vista?
 
Un vago, ancora confuso e incerto progetto narrativo, che non è chiaro nemmeno a me. Per il cinema, Giorgio Pressburger ha appena finito di realizzare un film, con una sceneggiatura di mio figlio Paolo e sua, tratto, o meglio liberamente ispirato al mio «Lei dunque capirà».
 Per concludere, professor Magris: ha previsto qualche visita in Alto Adige a breve?
 
I soliti giorni fra Natale e Capodanno e oltre Capodanno che, da più quarant’anni passo ad Anterselva, Antholz Mittertal...
Alto Adige 5-12-10
postato da: apritisangia alle ore 15:17 | Permalink | commenti
categoria:letture

mercoledì, 01 giugno 2011



Van der Kwast, vive qui il superscrittore olandese

Esce oggi la versione italiana del romanzo “Mama Tandoori” dello scrittore olandese Ernest van der Kwast, un best seller che in Olanda è stato proclamato libro dell’anno vendendo 50 mila copie. L’autore vive da anni in Alto Adige, a San Genesio.
Ernest van der Kwast è nato il 1º gennaio del 1981 a Bombay, ma vive a San Genesio. Nel 2004 ha rinunciato a una promettente carriera da lanciatore del disco per pubblicare il suo primo romanzo, sotto pseudonimo. L’acclamatissimo “Mama Tandoori” (tradotto in italiano da Alessandra Liberati per Special Books) è il suo quarto libro. Libro che prossimamente verrà presentato dall’autore nella speciale cornice del Museion, anche se ancora la data deve essere definita. «È il libro più spassoso e appassionante di quest’anno. Chi si stesse domandando dove è nascosto il Salman Rushdie, o l’Aravind Adiga, olandese, legga Mama Tandoori e avrà una risposta»: così ha scritto di questo libro Hermann Koch. E ancora: «Un romanzo straordinario che parla di personaggi straordinari. E ciò che colpisce è che gli riesce straordinariamente bene» ha scritto il critico del giornale olandese De Telegraaf.
“Mama Tandoori”, dice lo slogan scelto per il lancio in Italia, «è una commedia divertentissima su una mamma che, per fortuna, non è la vostra!».
La trama? Ernest ha quasi trent’anni: è un normale ragazzo olandese di origini indiane. Ma la sua vita nasconde un dettaglio imbarazzante: la temibile mamma Veena...
Alto Adige 1-6-11
postato da: apritisangia alle ore 18:58 | Permalink | commenti
categoria:letture
domenica, 15 maggio 2011



Feltrinelli ed Espresso scoprono nuovi scrittori

Una nuova preziosa opportunità per aspiranti scrittori: l’editore Feltrinelli e il Grupo L’Espresso lanciano il concorso “ilmioesordio” riservato ai migliori romanzi inediti. La valutazione delle opere sarà a cura della Scuola di scrittura Holden, fondata e diretta dal notot scrittore Alessandro Baricco.
Il romanzo vincitore sarà pubblicato da Giangiacomo Feltrinelli Editore. Dunque un viaggio nella letteratura d’esordio guidato dalle competenze di Scuola Holden, aperto al contributo di lettori curiosi e competenti, che potranno leggere e valutare le opere in concorso.
In gara i romanzi inediti di ogni genere letterario scritti dagli autori su www.ilmiolibro.it, sito di autopubblicazione (self publishing) del Gruppo Editoriale L’Espresso: dalla narrativa ai romanzi storici, dalla fantascienza all’avventura, dai gialli ai thriller a molto altro ancora.
Saranno inoltre premiate l’opera più creativa (Premio ilmiolibro - Scuola Holden) e l’opera con l’incipit più bello (Premio community ilmiolibro-lafeltrinelli.it). Dal 12 maggio fino al 31 luglio gli autori possono iscrivere il proprio romanzo al concorso. Il 1º settembre saranno resi noti i titoli che passano alle semifinali, mentre il 3 ottobre saranno proclamati i trenta finalisti.
Nel corso del mese di ottobre Giangiacomo Feltrinelli Editore sceglierà il romanzo da pubblicare, e Scuola Holden sceglierà il vincitore del premio creatività. Il premio per il miglior incipit sarà attribuito dai lettori, che ad ottobre voteranno sui siti www.ilmiolibro.it e www.lafeltrinelli.it gli incipit più belli tra le opere in concorso. I vincitori saranno resi noti il 31 ottobre sul sito ilmiolibro.it. I premi? Primo premio consiste nella pubblicazione per i tipi di Giangiacomo Feltrinelli Editore; Premio creatività ilmiolibro - Scuola Holden: il vincitore verrà invitato a partecipare a Esor-dire, ormai consolidato progetto di scouting della Scuola Holden; Premio ilmiolibro.it - lafeltrinelli.it per il miglior incipit: Stampa dell’opera e buono per acquisto di libri.
Tutti i 30 finalisti riceveranno una recensione professionale della propria opera a cura di Scuola Holden.
Ilmiolibro.it è il sito del Gruppo Editoriale l’Espresso nato per dare agli scrittori la possibilità di creare, stampare e vendere il proprio libro in autonomia e in modo semplice ed economico. L’autore sceglie il formato e il tipo di rilegatura, realizza la copertina e inserisce il file del proprio libro. Può ordinare quante copie vuole, anche una sola (al prezzo di pochi euro) e poi decidere di vendere il libro attraverso il sito e nel circuito laFeltrinelli. A tre anni dalla nascita, il sito conta oltre centomila iscritti e sono più di 13.000 le opere pubblicate sul sito tra narrativa, didattica, saggistica e poesia.
Alto Adige 15-5-11
postato da: apritisangia alle ore 06:47 | Permalink | commenti
categoria:letture
lunedì, 09 maggio 2011



Zapperi, inquietudini italiane e tedesche all’ombra del nazismo

Nata a Catania, Ada Zapperi Zucker vive da molti anni in Germania. Si è diplomata alla Musickhochschule di Vienna. Cantante lirica, ha svolto la sua carriera prevalentemente all’estero. Insegna canto lirico anche in Alto Adige (tra le sue allieve anche Gemma Bertagnolli). Ha collaborato al Dizionario Biografico degli Italiani dell’Istituto Treccani. Ha pubblicato tre romanzi. Il primo, «La scuola delle catacombe» (ed. Il Filo) era ambientato in Alto Adige ed è arrivato alla quarta ristampa. Il secondo, «Il silenzio» (ed. Travenbooks) era ambientato fra le Dolomiti, snodandosi fra il Trentino e l’Alto Adige. Ora questo «Le inquietudini della Sora Elsa» (ed. Tabula Fati).

di Fabio Zamboni
C’è una scrittrice che della sua doppia identità italo-germanica fa giusto vanto e che su questa doppia identità ha costruito la sua fortuna, quantomeno ideale, intellettuale, passionale. Fra Catania e Roma, città della sua prima parte di vita, e Monaco sua residenza da quarant’anni, Ada Zapperi Zucker ha scelto anche l’Alto Adige come ponte e come incontro di due culture. A Bressanone viene almeno due volte al mese per tenere gettonatissime lezioni di canto lirico, docente anche di personaggi in carriera come Gemma Bertagnolli. Ora pubblica il suo terzo romanzo, «Le inquietudini della Sora Elsa» (ed. Tabula Fati). Non è ambientato in Alto Adige ma allinea sei racconti dedicati agli anni della seconda Guerra mondiale, soprattutto alla tragedia nazista e dunque a un tema che «passa» inevitabilmente per l’Alto Adige. Ce ne parla l’autrice stessa, che il 12 maggio presenterà il volume alla Fiera del Libro di Torino e a ottobre alla Biblioteca provinciale di Bolzano. «Il mio romanzo precedente, “Il silenzio”, è arrivato alla terza ristampa - racconta - ed è finalista al Premio Chianti. Si deciderà nei prossimi giorni ma sono già felice così: 323 persone che leggono veramente il tuo libro per giudicarlo sono una delle più belle soddisfazioni per un autore».
E questa nuova raccolta di racconti, «Le inquietudini della Sora Elsa»?
Questo è un libro molto problematico, perché mette in gioco - come giustamente mi ha fatto notare chi lo ha letto finora - la mia duplice anima: italiana e tedesca. Io vivo da quarant’anni in Germania quindi è chiaro che c’è questa capacità di entrare nella mentalità dei tedeschi. Si tratta di racconti ambientati fra il ’43-44 ma anche dopo. Mi muovo dentro i conflitti interiori provocati dall’aver vissuto gli anni della Seconda guerra mondiale: i protagonisti sono germanici, austriaci e italiani, affrontano problemi che negli anni successivi alla guerra e fino ad oggi coinvolgono realmente ed emotivamente le persone che hanno vissuto quel periodo. Chi ha subito e chi è stato protagonista negativo. Le persone che tacciono, che non trovano le parole, ad esempio: quella che io chiamo «la generazione del silenzio», che in un primo momento avevo scelto come titolo del libro.
Ma in Germania si è elaborato il lutto del nazismo. O no?
In Germania fino agli anni Settanta si taceva, anche in casa. Poi, mentre in Italia si tentava la rivoluzione del Sessantotto, i giovani germanici hanno detto basta: basta tacere, rielaboriamo quel lutto e dissipiamo quelle ombre che gli adulti non sanno affrontare. E hanno detto ai genitori: parlate, dite che cosa è successo.
Lo spunto del libro?
Difficile trovare una motivazione unica e unitaria. Il primo racconto ad esempio si svolge a Roma, durante il periodo dell’occupazione nazista, e quindi posso dire che il palazzo del quale parlo è quello in cui abitavo io da bambina. Le storie sono inventate ma le persone sono vere. La sora Elsa del titolo era davvero la portinaia del mio palazzo, ma i fatti sono solo ispirati alla realtà.
Come mai un tema così «serio» per una raccolta di racconti?
Era un tema che mi interessava da sempre e su quello ho scritto vari racconti in periodi diversi. Quando me ne sono ritrovati parecchi, ho deciso di metterli assieme e farne un libro, con un filo rosso che li lega: quello dell’elaborazione di un dolore interno, di un senso da dare ad anni così difficili. La cosa che mi interessa veramenmte, più della scrittura, è la storia del Ventesimo secolo. Io leggo solo libri storici e più ne leggo più mi vengono idee in testa. Una delle storie più dure da leggere, per il contenuto, è il terzo racconto, una lettera, il punto di vista di un tedesco nazista. Cosa pensa un ex nazista cinquant’anni dopo: cosa è successo in gioventù, come si è distrutto la vita.
L’Alto Adige appare anche in questo romanzo come nei precedenti?
Poco: in una storia, in quella in cui figura anche l’attentato di via Rasella che colpì i 30 soldati nazisti che erano tutti sudtirolesi. Ma un po’ tutte le storie sono a cavallo fra il mondo tedesco e quello italiano, e dunque il lettore altoatesino può trovare molti spunti d’interesse.
Nuovo libro, nuovo editore.
Ho partecipato a un concorso a Livorno, dov’ero finalista con «Il silenzio». Lì ho conosciuto la responsabile della casa editrice Tabula Fati che ha comperato il mio romanzo, l’ha letto e mi ha subito chiesto se avevo qualcosa di nuovo da pubblicare. E così siamo arrivati a questo libro. Che fino a quel punto era un manoscritto che tenevo nel cassetto e che non mi decidevo a tirare fuori. E che subito, ancora prima di essere pubblicato, come manoscritto insomma, ha vinto il premio Elsa Morante dedicato appunto ai manoscritti. Il mio libro tocca dei temi storici che nella letteratura non sono comuni. Dunque il senso del mio scrivere è anche quello di informare su dati storici che non tutti conoscono. Come quelli sulle storie della scuola delle catacombe in Alto Adige, nel mio primo libro.
Alto Adige 9-5-11
postato da: apritisangia alle ore 05:51 | Permalink | commenti
categoria:letture
domenica, 08 maggio 2011



Il nucleare dietro l’angolo

Carne da da reattore: è la vita di una dei tanti operai a contratto nelle centrali nucleari francesi. O almeno così la racconta l’esordio letterario della Filhol che in Francia è stata una rivelazione e il cui libro è stato premiato come migliore opera prima. Figlia di una generazione (l’autrice è nata nel 1965) che ha subito lo choc di Chernobyl (25 anni fa), Fihlol narra con grande abilità, con una scrittura secca e clinica, la quotidianità di uno di questi operai, Yann. Un uomo alle prese con un Moloch che ha bisogno ogni giorno di un pezzetto dell’esistenza di chi assicura il suo finanziamento e la sua produttività. Perché questo è il prezzo da pagare per assicurarsi uno sviluppo sempre maggiore dove l’equilibrio nel rapporto uomo-natura ha un’asticella ogni volta più alta. Una logica di mercato che governa una professione solo in apparenza diversa dalle altre. Yann e i suoi compagni sono una confraternita di lavoratori nomadi, precari, cresciuti all’ombra della catastrofe in Ucraina e uniti dalla consapevolezza del pericolo, dalla minaccia dell’irradiazione e della sovraesposizione. “Visto dall’esterno - racconta Yann - nulla di inquietante. I pennacchi di vapore s’innalzano al di sopra delle torri refrigeranti e i centocinquanta ettari su cui si stendono gli impianti appaiono come un luogo tranquillo. Sotto controllo. Ma sotto?”. E’ la domanda che tutti si fanno, dietro una calma ingannevole: il motore imballato del sistema, e gli uomini che dovrebbero pilotare la macchina, mantenuti sotto pressione artificialmente - incalza Yann - si incrinano a loro volta. Fin dove? Qual è il punto di rottura?. La centrale è appunto fredda, impenetrabile, indistruttibile nella sua coerenza scientifica: un corpo dal cemento grigio nel quale Yann e i suoi colleghi si aggirano alle prese con una ossessiva e ripetuta meccanicità di comportamenti. Da un romanzo che è già un caso all’attualità. Già: come conoscere davvero il nucleare con il referendum del 12 e 13 giugno alle porte e il disastro di Fukushima in corso? Su questo tema ecco due volumetti che affrontano il tema dell’energia atomica con la forma del libro intervista. A parlare, grandi nomi della scena italiana, pronti a spiegare i pro e i contro. Cinque autorevoli personaggi del mondo scientifico e politico (Fulco Pratesi del Wwf, i professori di fisica matematica Gianni Mattioli e Massimo Scalia, il verde Angelo Bonelli e il docente di chimica Vincenzo Balzani) dicono no. Dall’altra il sottosegretario allo Sviluppo Economico Stefano Saglia, l’ad di Enel Fulvio Conti, Umberto Minopoli di Ansaldo Nucleare, l’oncologo Umberto Tirelli e Chicco Testa dicono sì.

Elisabeth Filhol La centrale
Fazi editore, pagg. 125, 12 euro

Flaminia Festuccia
Perché sì e perché no al nucleare
Armando editore, due volumi
pagg. 95 e pagg. 80,   8 euro ciascuno
postato da: apritisangia alle ore 07:11 | Permalink | commenti
categoria:ambiente, letture, salute
lunedì, 25 aprile 2011



Il Salgari nascosto.  A cent'anni dalla morte un omaggio all'autore di Sandokan.  

Sono passati cento anni da quando Emilio Salgari, il maggiore scrittore d’avventura della letteratura italiana, si tolse la vita nei boschi. Il percorso inquieto della sua esistenza e la fine suicida sembrano essere i temi principali delle pubblicazioni uscite in libreria per il centenario della sua scomparsa. Ma non tutto si riduce alle sue vicende biografiche. Tra ristampe, saggi e documentari, c’è anche la possibilità di scoprire un Salgari nascosto, molto più sfaccettato di quello rappresentato finora. Ecco una breve rassegna di titoli per comprendere un po’ più a fondo la grandezza e la complessità del creatore di Sandokan. 
Lunedì, 25 Aprile 2011
di Ferdinando Cutugno - Lettera43

E.SALGARI... LA VITA


Il "Capitano" Emilio Salgari

Emilio Salgari nacque a Verona il 21 agosto del 1862 da una famiglia di modesti commercianti; nel 1878 si iscrisse al Regio Istituto Tecnico e Nautico "P.Sarpi" di Venezia, ma senza ottenere la licenza. Come "uomo di mare" compì solo alcuni viaggi di addestramento a bordo di una nave scuola e successivamente un viaggio (probabilmente in qualità di passeggero) sul mercantile "Italia Una", che per tre mesi navigò su e giù per l'Adriatico, toccando la costa dalmata e spingendosi fino al porto di Brindisi; ma il Capitano Salgari non smise mai di credere e narrare le sue avventure.

Nel 1883 inizia a collaborare con il giornale "La Nuova Arena", della sua città Verona, sulle cui pagine apparve a puntate il suo primo romanzo, "Tay-See", stampato successivamente (dopo aver subito varie modifiche alla trama) con il titolo "La Rosa del Dong-Giang"; nell'ottobre dello stesso anno escono le prime puntate di "La Tigre della Malesia". Inizia così la sua fortunata e tormentata carriera di scrittore che annovera al suo attivo circa ottanta romanzi e un numero ancora imprecisato di avventure e racconti.
Nel 1889 il suicidio del padre: primo di un'impressionante catena formata dallo stesso scrittore nel 1911, dal figlio Romero nel 1931 a 33 anni, dal figlio Omar, testimone e interprete della leggenda paterna, nel 1963. Nel 1892 si sposa con Ida Peruzzi (che il marito chiamerà affettuosamente per tutta la vita "Aida", come l'eroina di Verdi): un matrimonio, questo, a suo modo riuscito (ma la moglie morirà internata in manicomio); nello stesso anno la famiglia Salgari, ampliatasi con la nascita della piccola Fatima (la primogenita, seguiranno poi tre maschietti: Nadir nel 1894, Romero nel 1898 e Omar nel 1900), si trasferisce a Torino, dove lavora per l'editore Speirani, casa editrice per ragazzi; nel 1898 l'editore Donath lo convince a trasferirsi a Genova ed è qui che stringe amicizia con Giuseppe "Pipein" Gamba che sarà il suo primo grande illustratore. Sono anni buoni, interrotti da un nuovo trasferimento a Torino, nel 1900. Le condizioni della famiglia si fanno precarie, nonostante l'incessante lavoro per mantenere un rispettabile decoro borghese; rompe il contratto con Donath e passa a Bemporad (per cui, dal 1907 al 1911 scrive 19 romanzi). Il successo, specialmente tra i ragazzi, continua, diversi titoli raggiungono le 100.000 copie, anche se la critica ignora la sua produzione. Il collasso nervoso e il ricovero della moglie sono il colpo di grazia per un uomo stremato. Scrive tre lettere, ai figli, agli editori, ai direttori dei giornali torinesi e si toglie la vita il 25 aprile 1911. La sua opera tuttavia è rimasta viva a nutrire con tutto il suo fascino la fantasia di generazioni di ragazzi e non.

"Ai miei editori: A voi che vi siete arricchiti con la mia pelle mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria od anche più, chiedo solo che per compenso dei guadagni che io vi ho dato pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna.
- Emilio Salgari"


La famiglia Salgari al completo. Ida "Aida", Emilio, e i figli Omar, Nadir, Romero e Fatima.

Fonte: http://www.emiliosalgari.it/biografia.html Per conoscere la bibliografia andare al link: http://bepi1949.altervista.org/salgariproject/salgariop.htm
postato da: apritisangia alle ore 20:51 | Permalink |
categoria:letture
lunedì, 11 aprile 2011



Il libro di memorie “Italijanska” viene presentato oggi alla C.Augusta

BOLZANO. «Italijanska», quasi un “Diario di guerra” d’una ragazza molto, molto spaesata nel 1944/45, è il titolo del libro di memorie scritte giorno per giorno da Maria Anna Rold nei campi di lavoro dove è stata internata e dove altre prigioniere russe la chiamavano con l’appellativo “Italijanska”. Nata a Milano, la signora Rold ha vissuto per anni a Bolzano, emigrata nel “Reich” per lavorare, era stata internata succesivamente nei campi di lavoro.
Il libro “Italijanska” con le sue memorie di quel periodo sarà presentato oggi a partire dalle ore 18 nella Biblioteca provinciale italiana “Claudia Augusta” in via Mendola 5. Interverranno Eugen Galasso, la figlia della signora Rold, Barbara Ritter, la direttrice della Biblioteca, Valeria Trevisan, che farà una breve introduzione, seguirà la lettura di stralci del diario da parte di Paola Soccio. Tra il pubblico ci sarà anche la scrittrice del diario, Maria Anna Rold. Ingresso libero.
Alto Adige 11-4-11
postato da: apritisangia alle ore 03:59 | Permalink | commenti
categoria:letture
lunedì, 21 marzo 2011



Gesualdi a Bolzano il mio romanzo per salvare l’acqua

BOLZANO. Francesco Gesualdi, fondatore del Centro Nuovo Modello di Sviluppo di Pisa e curatore della famosa “Guida al consumo critico”, sarà ospite del progetto “Madre Terra” del Teatro Cristallo e della Caritas diocesana domani sera alle ore 20.30 in sala don Lino Giuliani, al II Piano del Centro culturale Cristallo. A Bolzano presenterà il suo ultimo romanzo “Il mercante d’acqua” e discuterà, in un dibattito aperto al pubblico, moderato da Francesco Comina, sul tema: “Acqua: merce o diritto?”. Gli abbiamo chiesto di rispondere a qualche domanda.
Gesualdi, da sempre lei è a favore di un nuovo modo di pensare e di agire ed è anche concretamente e tenacemente attaccato alla realtà. Perché questa volta ha voluto scrivere un romanzo di narrativa “Il mercante d’acqua”?
Ho scelto di cimentarmi col genere del romanzo piuttosto che con la saggistica perché mi sono reso conto che c’è un grande pubblico più pigro, che non è così propenso a leggere i trattati ma che è sensibile a certe tematiche e che in qualche modo può essere attirato e sensibilizzato attraverso un altro genere letterario.
Dal punto di vista letterario, lei ha variato la forma, quindi, ma non la sostanza dei suoi contenuti: qual è l’obiettivo finale?
L’interesse è sempre lo stesso: l’evoluzione della società e l’obiettivo finale è di cercare di indurre il cambiamento nella stessa. Ciò è realizzabile solo se c’è un vasto numero di persone desidera veramente e fortemente cambiare.
Lei è stato un allievo di don Milani: la sua scelta di scrivere è un tentativo pedagogico per cambiare qualcosa?
Purtroppo è così. Noi abbiamo eletto un governo che sta cercando di sfasciare tutto ciò che è bene comune. Perché viene votato un governo così? Per me rimane un grande punto interrogativo. Ci siamo illusi che l’imprenditore di turno che ha fatto la sua fortuna riesca - con gli stessi metodi - a fare la fortuna di tutti... E’ passato il concetto che il bene privato vale più del pubblico: il privato vende, quindi ci si trae profitto.
A proposito di privatizzazione: parliamo dell’acqua. C’è stata una forte mobilitazione dal basso per raccogliere le firme necessarie per il referendum. Qual è la prossima sfida?
Innanzitutto quella di raggiungere il quorum: se non riusciamo a fare in modo che si rechino alle urne la metà più uno degli elettori non ce l’avremo fatta. Il dramma è che in questo ambito le persone sono state lasciate sole: gli schieramenti politici sono abbastanza compatti nel non volere che queste richieste passino. Le ragioni sono diverse, ma a livello politico non c’è nessuno che si batta veramente per evitare la privatizzazione. La spinta deve avvenire dal basso, dalla gente e l’importante è non demoralizzarsi. (f.la.)
Alto Adige 21-3-11
postato da: apritisangia alle ore 03:57 | Permalink | commenti
categoria:ambiente, letture
domenica, 27 febbraio 2011



Il futuro della rivista Il Cristallo è online

Il futuro del Cristallo è online» afferma Claudio Nolet, direttore del periodico dall’inconfondibile copertina bianca e lucida, fondato più di mezzo secolo fa dal professor Giuseppe Negri. Era il 1958 quando l’allora presidente del «Centro di Cultura dell’Alto Adige» diede vita a una rivista di varia umanità con la collaborazione di personalità di spicco della cultura italiana come Stelio Danese, Giulio Debiasi, Giuseppe Farias, Carlo Lazzerini, Renato Maturi, Claudio Nolet, Luigi Serravalli e Pier Luigi Siena. «Per una rivista di cultura, superare i 50 anni di esistenza è un traguardo ragguardevole», afferma oggi Nolet.
 Qual è la «varia umanità» cui fa riferimento «Il Cristallo»?
 
Edizione dopo edizione, l’intento del Cristallo è stato di dare voce alle espressioni culturali del gruppo linguistico italiano, di fare conoscere i problemi e le peculiarità di questa provincia di confine, attraverso riflessioni e approfondimenti storici, filosofici, sociali e artistici. In questo senso, la longevità del nostro periodico può valere come testimonianza del percorso culturale compiuto dalla nostra comunità.
 Le edizioni degli ultimi tre anni sono ora consultabili online (www.altoadigecultura.org): a cosa è dovuta questa scelta?
 
Vorrei cercare di aumentare la diffusione del nostro lavoro: vincolato alla sola edizione cartacea, la rivista rischia di morire. Internet è un mezzo fondamentale, la rete può essere un veicolo eccellente di diffusione culturale. Vorrei coinvolgere dei giovani disposti a mettersi in gioco e a rischiare, per continuare a pubblicare «Il Cristallo» online.
 Rischiare?
 
Sì, rischiare. Bisogna avere il coraggio di trasformare questa rivista, mantenendo sempre alta la qualità degli interventi pubblicati. Il linguaggio della rete è inevitabilmente differente da quello della carta stampata, soprattutto se parliamo di un periodico di studio e approfondimento. È affascinante, cambiano i generi letterari, viviamo in un’epoca di trasformazioni radicali.
 Qualche anticipazione sul prossimo numero?
 
Parliamo di libri che affrontano la questione etnica e ospitiamo interessanti saggi di letteratura, come quello del bolzanino Davide De Maglie, dedicato a Mario Tobino. Proseguiamo inoltre la nostra collaborazione con Franco Zangrilli, che insegna all’università di New York, grazie a un contributo su «Canale Mussolini», il romanzo di Antonio Pennacchi che ha vinto il Premio Strega. (b.g.)
postato da: apritisangia alle ore 07:19 | Permalink | commenti
categoria:letture
mercoledì, 23 febbraio 2011



«Ad alta voce»: quando la letteratura incontra il sociale

Fare incontrare la letteratura con il mondo del sociale. Suscitare interesse su storie spesso relegate ai margini grazie alla forza comunicativa della narrazione. Questi, in sintesi, gli obiettivi del progetto «Stille Post - Ad alta voce».
 Il progetto è stato promosso dall’assessorato provinciale alle Politiche sociali e realizzato con la collaborazione della casa editrice Alphabeta e del Kvw.
 Letteratura, si diceva. In questo caso, racconti. Il formato scelto per la distribuzione è stato quello di snelli libretti, impreziositi da lavori grafici a cui hanno partecipato persone in situazione di disagio che lavorano in laboratori protetti. Dieci gli scrittori che hanno dato il loro contributo: Sepp Mall, Fabio Marcotto, Anne Marie Pircher, Manuel Maini, Helene Flöss, Sandro Ottoni, Birgit Unterholzner, Paolo Valente, Kurt Lanthaler e Brunamaria Dal Lago Veneri. I temi trattati spaziano da storie di vita di clochard, malati psichici, a quelli della quotidianità di una ragazza che affronta i problemi dell’adolescenza. Uno spettro di indagine ampio che, ad oggi, ha portato alla distribuzione di ben 100 mila libretti in luoghi pubblici e nelle scuole della provincia.
 Ieri - alla presenza dell’assessore competente Richard Theiner e di alcuni rappresentanti dei soggetti coinvolti - si è fatto il punto sui risultati dell’iniziativa e sono stati resi noti i progetti correlati che saranno realizzati. Con un salto temporale a ritroso di pochi giorni, è doveroso citare la trasposizione teatrale del racconto «Schwarz und weiss» di Anne Marie Pircher, messo in scena il 17 febbraio al Theater in der Altstadt di Merano. Nella primavera di quest’anno i dieci racconti saranno trasmessi dalla sede radiofonica Rai di Bolzano. Le letture diverranno poi un audiolibro che verrà distribuito a tutte le persone ipovedenti o con difficoltà di lettura in Alto Adige. Inoltre domani, alla Biblioteca civica di Bolzano (ore 18), Kurt Lanthaler e Brunamaria Dallago Veneri presenteranno i loro racconti. L’incontro si ripeterà venerdì 25 febbraio alla Biblioteca civica di Merano (ore 20.30). E in autunno tutti i racconti della collana verranno raccolti in due antologie, una in lingua tedesca e una in lingua italiana. Anche le antologie saranno pubblicate da Alphabeta. (a.m.)
Alto Adige 23-2-11
postato da: apritisangia alle ore 07:01 | Permalink | commenti
categoria:letture, sociale
mercoledì, 16 febbraio 2011



Melandri: l’Alto Adige si racconti

BARBARA GAMBINO
È passato quasi un anno dalla pubblicazione di «Eva dorme», il romanzo della scrittrice e sceneggiatrice romana Francesca Melandri pubblicato da Mondadori e ambientato in Alto Adige, un affresco vivido del nostro recente passato che prende corpo attraverso il racconto di un amore impossibile. Un romanzo d’esordio che si è rivelato un successo editoriale: giunto alla quinta ristampa a primavera arriveranno l’edizione in paperback e l’eBook. E dal 28 febbraio anche il pubblico tedesco potrà conoscere Eva Huber, l’infelice storia d’amore tra sua madre Gerda e il carabiniere calabrese Vito e ripercorrere la tormentata storia dell’Alto Adige dal 1919 ai giorni nostri: uscirà infatti «Eva schläft» per le edizioni Blessing Verlag / Random House di Monaco.
 Nel suo romanzo ha affrontato uno scorcio di storia ancora poco frequentato. Com’è stato accolto dal pubblico?
 
Non so quanti lettori del Trentino-Alto Adige di tutti i gruppi linguistici mi hanno ringraziato per aver raccontato questa storia. Molti hanno espresso la convinzione che solo una persona non nata in regione avrebbe potuto raccontare una storia del genere senza alcun rancore. Un aspetto cui non avevo mai pensato mentre scrivevo: perché mai avrei dovuto scrivere con rancore? Credo che l’elemento che ha colpito più favorevolmente i lettori sudtirolesi sia stato proprio questo: l’equanimità.
 Quali sono state le reazioni fuori dalla nostra regione?
 
Presentare il romanzo in altre regioni, dal Piemonte alla Calabria, mi ha permesso di percepire direttamente quale sia il rapporto tra l’Alto Adige e il resto del Paese. Un’esperienza molto interessante, che mi ha confermato come la gran parte dei nostri connazionali ignori completamente i fatti storici che ho trattato. Del resto è stata proprio la convinzione che la storia di questa provincia fosse sconosciuta ai più che mi ha portato a scrivere il libro, la constatazione che l’Alto Adige non fa ancora parte dell’identità collettiva italiana. Ho ricevuto molti messaggi anche da parte di ex-militari che all’epoca erano di servizio in Alto Adige: mi esprimevano il sollievo di vedere finalmente raccontata anche la storia della «loro» guerra, dei loro morti.
 Raccontare le storie parallele di Gerda Huber e Vito Anania può aiutare a recuperare un frammento di identità nazionale?
 
Io intendo l’identità come una consapevolezza di sé dinamica e non chiusa o statica. Un racconto collettivo condiviso. Mi farebbe piacere quindi se il mio libro desse un contributo a un lavoro di narrazione storica partecipata non solo da parte di tutti gli altoatesini, ma anche degli italiani che in Alto Adige hanno trascorso magari solo una parte della loro esistenza.
 Ultimamente in Alto Adige si parla molto di identità. Che ne penserebbe la quarantenne Eva, emancipata e poliglotta, protagonista e io narrante del romanzo, della mancata partecipazione da parte dell’Alto Adige alle celebrazioni dei 150 anni dell’Italia unita?
 
Eva, come molti della nostra generazione, si è lasciata la storia conflittuale alle spalle e vorrebbe andare oltre, guardare avanti. Troverebbe questa presa di posizione riduttiva. Siamo in una società multietnica e l’Alto Adige, anche per vocazione geografica, ne è un esempio lampante.
 Cosa intende per riduttiva?
 
Intendiamoci: quando il presidente della giunta provinciale afferma che il 17 marzo l’Alto Adige non ha nulla da festeggiare, dal punto di vista storico non possiamo dargli torto. Ma l’accento in questo caso non dovrebbe essere posto sul termine «festeggiamento». Il 17 marzo poteva essere un’occasione per celebrare il percorso comune intrapreso insieme, non importa se sin dal 1861 o meno, per riflettere e condividere con gli altri la storia di ogni singolo lembo di terra che fa parte dell’Italia, per capire dove, da dove e come ci siamo arrivati.
 L’identità condivisa...
 
Proprio così. Il fatto che il Sudtirolo non partecipi alla mostra sulle Regioni d’Italia è un’occasione persa. Ha perso l’opportunità di raccontarsi e di raccontare le sua travagliata storia al resto d’Italia. Pensi che grande occasione avrebbe avuto di far sapere agli italiani dei soprusi del fascismo, le Opzioni, Castel Firmiano, la convivenza... Mi sono sempre chiesta come mai le vicende dell’Alto Adige fossero ignote agli italiani. Ora comincio anche a chiedermi cosa abbia fatto sinora l’Alto Adige per far conoscere la propria storia. Anche farsi conoscere è un atto di responsabilità, di maturità collettiva.
 Anche il suo prossimo romanzo sarà ambientato tra le Alpi?
 
No, anche se uno dei personaggi è sudtirolese. È ambientato nel 1979, negli Anni di piombo. Mi occupo del terrorismo dal punto di vista umano: l’eredità di dolore che esso ha provocato.
Alto Adige 16-2-11
postato da: apritisangia alle ore 05:18 | Permalink | commenti
categoria:letture
martedì, 01 febbraio 2011



La vita di Jenny il socialdemocratico sudtirolese per caso

È la storia, quella personale, quella di una terra controversa, al centro dell’autobiografia di Egmont Jenny, raccolta da Lucio Giudiceandrea e pubblicata da Raetia («L’intruso», 216 pagine) all’indomani della scomparsa, lo scorso dicembre, dell’anomalo uomo politico sudtirolese. «Il danno maggiore - scrive Jenny - che i regimi fascisti hanno causato a noi giovani è stato quello di averci imposto l’ideale nazionalista come punto di riferimento di ogni iniziativa politica».
 Ciò, secondo Jenny, «significava subordinare il comportamento del singolo cittadino alla sua appartenenza etnica. Ho cominciato a capire l’assurdità di una simile concezione durante la guerra, l’ho approfondita durante il mio soggiorno a Vienna, quando mi sono reso conto che il Tirolo storico plurilingue era parte integrante di un impero multinazionale, nel quale l’appartenenza etnica era un aspetto secondario della comunità. Oggi constato che coloro che si ergono a difensori e rappresentanti di un Tirolo tedesco ignorano e falsificano la storia».
 Non occorre condividere tutti i suoi giudizi per apprezzare la lucidità con la quale Egmont Jenny, il socialdemocratico progressista, ripercorre le tappe della sua vita e con questo i periodi storici che fanno dell’Alto Adige ciò che esso oggi è. Dagli anni Venti alle Opzioni, dalla Guerra agli anni Cinquanta, dal Pacchetto al disagio degli italiani. Un zigzagare coerente nel tempo e nello spazio: dal Vorarlberg a Lana, da Milano all’Emilia, da Vienna a Roma e a Bolzano. Jenny infatti nacque nel Vorarlberg nel 1924 da madre lombarda e padre di quello stesso Land, si trasferì giovanissimo in Alto Adige (a Lana), si trasferì in Germania con le Opzioni, studiò in Italia (a Bologna) e in Austria prima di tornare a vivere a Bolzano. È morto lo scorso dicembre a 86 anni.
 Chiediamo a Giudiceandrea come è avvenuto l’incontro con questo personaggio estromesso e dimenticato dalle cronache ufficiali. «Quando uscì il libro in tedesco di Jenny (“Bekenntnis zum Fortschritt. Mein Weg zur Sozialdemokratie”, ed. Raetia) rimasi colpito da questo fatto: Jenny aveva una madre italiana, che lo ha profondamente influenzato. Tuttavia in quel suo racconto, le radici “italiane” e in generale questa parte della sua educazione e formazione non mi sembravano trattate con l’attenzione che meritavano. Mi sembrava anzi che Jenny si fosse disfatto troppo sbrigativamente di questa sua origine “interetnica”. Più o meno questo gli scrissi. Dopo di che fu lui a contattarmi e a propormi di fare un libro anche in italiano, che non fosse però la semplice traduzione di quello tedesco, ma che fosse calibrato fin da principio per il lettore italiano».
 Cosa emerge dal suo modo di raccontarsi? «Mi ha colpito - spiega Giudiceandrea - la sua onestà intellettuale, il suo disincanto, la sua capacità di ridere, anche di se stesso. In fondo Jenny era uno “sconfitto”: la sua battaglia per la socialdemocrazia è sostanzialmente fallita. Jenny aveva compreso i propri errori, le ragioni strutturali di quel fallimento, i meriti che nonostante tutto la Svp, suo avversario storico, ha avuto. Ma non ha rinunciato alle sue critiche al sistema di potere del partito dominante, che anzi ripete con convinzione e con abbondanza di argomenti».
 Egmont Jenny, proprio a causa della sua origine e natura eterogenea, ha qualcosa che lo rende lo specchio di una realtà, quella altoatesina, che appare monolitica o multiforme a seconda di come la si osservi. Come lo si può definire, Jenny: un’anomalia nel sistema Sudtirolo oppure un distillato di sudtirolesità? «Beh, Jenny era un “intruso” - dice Giudiceandrea nel senso che non c’entrava molto con il Sudtirolo: madre lombarda, padre vorarlberghese, la sua famiglia si stabilì qui per caso. E solo “per caso” Jenny divenne un sudtirolese. Senz’altro non un sudtirolese tipico, come li vuole la tradizione (o il pregiudizio). Era cosmopolita, parlava più lingue (il francese, oltre al tedesco e all’italiano), aveva vissuto e lavorato all’estero, conosceva la storia, viaggiava... Era in un certo senso un’anomalia del sistema, un dissidente, ma un dissidente sui generis. Per esempio: era in completo disaccordo con Langer e il langherismo perché sostanzialmente non vedeva nulla di male nella dichiarazione di appartenenza al gruppo linguistico e non condannava il censimento etnico. Era autonomista fino al punto di dire che l’autonomia è una forma blanda di autodeterminazione; ma avrebbe voluto che questa autonomia si desse da fare per coinvolgere anche gli italiani e per recuperare un buon rapporto con il Trentino. Dato che è sempre rimasto un osservatore attento degli avvenimenti politici e sociali, non ha risparmiato critiche neppure all’Italia e al Sudtirolo di oggi. Le sue note sull’Italia (verso la fine del volume) mi sembrano severe, ma molto lucide».
 Severo ma ottimista, almeno rispetto all’Alto Adige: una terra di cui Egmont Jenny sottolinea difetti e carenze, ma nella quale vede anche i segni di una evoluzione (almeno potenzialmente) positiva.

Scomparso lo scorso 19 dicembre, Egmont Jenny nacque a Rankweil nel 1924. Figlio di una maestra lombarda e di un farmacista del Vorarlberg, pochi anni dopo la nascita si trasferì a Lana. Le Opzioni del 1939 divisero anche la sua famiglia: la madre restò italiana, il padre scelse la cittadinanza tedesca. Egmont lo seguì, ma il suo entusiasmo nazionalistico si spense ben presto nel clima tetro dell’Austria nazista e nella tragedia della guerra. Iniziò gli studi di medicina a Bologna, li proseguì nel dopoguerra a Innsbruck e li terminò a Vienna, dove assolvse il suo apprendistato. Nel 1956 si stabilì a Bolzano, lavorandovi per oltre trent’anni come urologo. Alla politica si dedicò attivamente a partire dagli anni Sessanta. Prima nella Svp, successivamente fondando il un «Partito per il progresso», la Südtiroler Fortschrittspartei. Per due legislature, nel 1964 e nel 1973, venne eletto in Consiglio provinciale, avventura che terminò nel 1978. Da osservatore distaccato ma interessato continuò a seguire gli avvenimenti politici e sociali dell’Alto Adige.

Alto Adige 1-2-11
postato da: apritisangia alle ore 05:58 | Permalink | commenti
categoria:letture
lunedì, 24 gennaio 2011



La vita di Ernesta Bittanti: la moglie di Battisti contro le leggi razziali

STEFANO FAIT
L’accusa di antisemitismo è ormai talmente inflazionata da risultare irritante e controproducente. Eppure, proprio quando si sarebbe tentati di dire che l’antisemitismo sia un ricordo del passato, utile solo a fini polemici, arriva una pubblicazione molto opportuna e tempestiva, curata dalla Fondazione Museo storico del Trentino. Si tratta di «Ernesta Bittanti e le leggi razziali del 1938». La Bittanti fu moglie di Cesare Battisti. Autrice del libro è Beatrice Primerano, laurea in giurisprudenza col massimo dei voti con una tesi dallo stesso titolo. Il libro sarà presentato oggi alle 18 presso la biblioteca Claudia Augusta di Bolzano (via Mendola 5), alla presenza dell’autrice, di Lionello Bertoldi dell’Anpi, e degli storici Vincenzo Calì, Andrea Felis e Diego Quaglioni. Il volume è tempestivo perché le violazioni israeliane del diritto internazionale stanno alienando ogni residua simpatia nell’opinione pubblica internazionale. È opportuno perché decine di milioni di fondamentalisti cristiani, in ossequio ad un’interpretazione letterale dell’Apocalisse di Giovanni, sono allo stesso tempo ardentemente sionisti e virulentemente antisemiti, convinti che l’unica opzione israeliana per evitare un secondo olocausto siano il ravvedimento e la conversione al cristianesimo. Per questo finanziano ed appoggiano la politica israeliana nei Territori Occupati: il controllo ebraico su Gerusalemme è il segno dell’imminenza del Secondo Avvento. Dobbiamo dunque chiederci che cosa ne sarà degli Ebrei, come faceva Ernesta Bittanti dopo la promulgazione delle leggi razziali fasciste? Sì, dobbiamo chiedercelo, perché l’inibizione di un vero dibattito su quel che sta avvenendo nei Territori Occupati produce una crescente pressione psicologica nell’opinione pubblica internazionale, che rischia di spezzare la corda della tolleranza con conseguenze potenzialmente catastrofiche per gli Ebrei di tutto il pianeta.
Il volume, che comprende uno scritto, il «diario» della Bittanti e numerose lettere di encomio e gratitudine di Ebrei italiani, ci riporta alla quotidianità dell’applicazione delle leggi, ci strappa al comodo torpore delle remote astrazioni: il Fascista, l’Ebreo, il Giusto, l’Indifferente. Qui c’è una donna vera, in carne ed ossa, che lotta contro l’iniquità, che patrocina e mantiene i contatti con altre persone in carne ed ossa, vittime di un odio razziale costruito a tavolino da Mussolini per ragioni di bieco realismo politico ed opportunismo personale, ma perfettamente integrato nella logica fascista, come il ratto in una discarica. Una donna che si dimostra più che all’altezza del marito defunto, che rifiuta i vantaggi della beatificazione laica di Battisti per riaffermare la verità e la giustizia, il buon senso profanato dal mercimonio di un regime sostenuto dal servilismo dei molti e dallo sconfinato narcisismo di una minoranza di fanatici. La «pecora matta», come l’apostrofava l’infame Telesio Interlandi, direttore della «Difesa della razza», esprime nel diario un illuminante giudizio su un incontro avuto con Isa Sarfatti, moglie di Carlo Foà: «Ho avuto la visita di un’ebrea (fascista, col marito, della prima ora) - redattrice, quasi direttrice di “Gerarchia” [la rivista ufficiale del fascismo, ndr]. Il marito, un esimio scienziato, dimesso dall’università. Sono alla vigilia della partenza per l’America. Non mi ispira pietà. Avrei voluto rammentarle, ma non lo feci, le vittime della sua ideologia fascista e, di questa, i principi perfettamente in regola colla persecuzione ebraica».
Alto Adige 24-1-11
postato da: apritisangia alle ore 04:32 | Permalink | commenti
categoria:letture
sabato, 22 gennaio 2011


Massacro di Srebrenica

Srebrenica: rialzarsi dopo la strage

Sarà presentato lunedì alle 18, presso la sede della Fondazione Langer in via Bottai 5 a Bolzano, il documentario e il libro «Hotel Bosnia» di Alessandro De Lisi e Fulvio Gervasoni: entrambi gli autori saranno presenti per un incontro intitolato «Vivere Srebrenica».
 «Nel nostro girovagare in Bosnia Erzegovina - raccontano i due autori - abbiamo incrociato il prezioso lavoro svolto negli ultimi anni, tra Zenica, Tuzla e Srebrenica, da alcuni esponenti della Filca-Cisl della Lombardia. Ne è nata un’amicizia e una collaborazione con il progetto “Adopt Srebrenica” promosso da Tuzlanska Amcia e dalla Fondazione Langer». I campi scuola realizzati dalla Filca-Cisl in Bosnia Erzegovina, a Zenica, nei pressi di Sarajevo, a Tuzla e a Srebrenica sono stati lo strumento per aprire un dialogo sui bisogni del territorio. Dopo queste esperienze è stato deciso di ristrutturare la scuola comunale di Srebrenica, città teatro di un massacro da non dimenticare. «Hotel Bosnia» è il titolo del libro e del dvd che documentano questa esperienza. La strage di Srebrenica ebbe luogo nel luglio del 1995, quando le milizie serbo-bosniache guidate da Mladic massacrarono - senza che i caschi blu dell’Onu intervenissero - tra 8000 e 10 mila abitanti della città. L’iniziativa che sarà presentata lunedì a Bolzano vuole essere lo spunto di riflessione sul tempo presente e sulla possibilità di interventi futuri. Alessandro de Lisi, giornalista e autore di teatro, da anni è impegnato nella lotta contro la mafia e la tutela della memoria dei protagonisti «periferici» del Novecento. È consulente di gestione dei beni culturali.

Alto Adige 22-1-11
postato da: apritisangia alle ore 07:42 | Permalink | commenti
categoria:letture
martedì, 04 gennaio 2011



La matematica è divertente

Se la vita è gioco, figurarsi la matematica: parola di Giorgio Odifreddi che firma la prefazione di un libro che ha la chiara intenzione di mostrare “il lato divertente” di una materia che a molti ricorda tempi difficili della loro vita scolastica. “Se la matematica viene presentata su un ristretto percorso tecnico, chiuso e sterilizzato, di regole e calcoli, inevitabilmente diventa - scrive Peiretti - noiosa e alienante”. E invece, a scorrere il fascino discreto dei giochi inventati dai matematici di tutti i tempi - nel libro ne sono proposti circa 200 - ci si ricrede e si può persino arrivare a pensare che forse la disciplina non è così ostica come si è creduto e che, spogliandosi dei pregiudizi e delle rigidità di un’educazione male impartita, effettivamente ci si diverte.
 Le pagine ricche di rompicapi, problemi, esercizi e teoremi portano il lettore ad arrovellarsi su temi che difficilmente hanno come prima risposta quella buona. E quindi per questo ancora più intriganti. Del resto, il gioco matematico è un’invenzione antica: dagli egizi in poi è stato uno sport radicato e non solo a livello più alto ma anche negli strati più popolari. Si va dal gioco del filetto, nato all’ombra delle Piramidi ed ancora in voga oggi, fino al gioco della vita elaborato da uno dei maggiori matematici viventi, John Horton Conway, padre degli automi cellulari. Protagonisti del libro sono personaggi come Pitagora, Archimede, Eulero, Moebius, Feynman, Penrose per i quali la matematica è “stata anche un gioco che, a sua volta, è diventato matematica”. Ma anche, Lewis Carroll, Sam Loyd, Henry Dudeney e Martin Gardner che con i loro enigmi hanno consentito di “avvicinare ragionamenti in cui la matematica è nascosta dietro le quinte”: logica, intuizione e così via. E siccome di giochi si parla, eccone uno. In un gioco a quiz sono proposte ad un concorrente tre buste chiuse: in una c’è un milione di euro, nelle altre due solo mille euro. Il concorrente ne sceglie una e resta in attesa. Il presentatore del quiz ne apre un’altra che non contiene il milione di euro, ma offre al concorrente di cambiare la busta scelta con la sua. Il concorrente deve accettare?
 Insomma: “dicono che sia il più bel gioco inventato dall’ uomo. Eppure molti non la conoscono (e la temono). E allora diciamolo forte e chiaro: la matematica è divertente, e anche facilmente accessibile. Quando Alessandro Magno chiese al suo istitutore Menecmo di indicargli la strada per impararla, questi rispose: «Non esiste una via regia per la matematica». Secondo Federico Peiretti invece esiste, ed è il gioco.

Federico Peiretti
Il matematico si diverte
Longanesi, 328 pagg., 18 euro
postato da: apritisangia alle ore 05:30 | Permalink | commenti (1)
categoria:letture
lunedì, 27 dicembre 2010



«Mayr-Nusser esempio per la fede. La politica non c’entra»

MARCO RIZZA
La figura «esemplare» di Josef Mayr-Nusser, l’antinazista morto nel 1944 durante il viaggio di trasferimento al campo di Dachau, dove doveva essere imprigionato per non avere prestato giuramento a Hitler, «non si evidenzia per una sua scelta politica, ma per la sua qualità di uomo semplice, padre di famiglia, che si è preoccupato del suo prossimo attraverso le attività con i giovani, come membro della San Vincenzo, come cristiano durante la prigionia». Al termine dell’anno dedicato al martire antinazista, la Diocesi torna a prendere posizione sul tema che da tempo in Alto Adige divide storici e analisti: quanto l’esempio di Mayr-Nusser è «solo» quello di un martire cristiano, e quanto invece anche quello di un militante antinazista? Qual è il rapporto tra il processo di beatificazione che lo vede protagonista e il peso politico della sua vicenda? Le parole di monsignor Golser sono chiare: «Mayr-Nusser non si evidenzia per una sua scelta politica». L’intervento del vescovo si è tenuto ieri in Duomo, al termine della messa in occasione della festa della Santa Famiglia. Dopo la celebrazione eucaristica Golser ha presentato il nuovo libro che raccoglie per la prima volta tutti gli scritti di Mayr-Nusser. Tra l’altro proprio oggi Mayr-Nusser avrebbe compiuto 100 anni: era nato infatti il 27 dicembre 1910 al Nusserhof ai Piani di Bolzano. Curato da don Josef Innerhofer, padre postulatore del processo diocesano di beatificazione, il libro si intitola «Josef Mary-Nusser. Discorsi, articoli e lettere di un martire dei nostri tempi» (bilingue, 316 pagine, edizioni Weger, 10 euro). Mayr-Nusser, ha detto il vescovo, «può essere considerato testimone di Cristo non soltanto nel martirio, ma in tutta la sua vita che è un esempio di fede matura, di coscienza cristiana ben formata, un esempio per le famiglie cristiane». Dagli scritti pubblicati nel nuovo libro, ha proseguito, «si evince in maniera chiara come Josef Mayr si sia distinto soprattutto per il suo impegno a sacrificarsi per i giovani, per il suo esemplare stile di vita cristiana e per la sua sequela a Cristo che l’ha condotto fino alla morte».
 Nei mesi scorsi il dibattito su Mayr-Nusser ha ripreso vigore dopo un incontro pubblico organizzato dal Katholisches Forum, e nel quale sono emerse le due posizioni: di chi rivendica il «no» di Mayr-Nusser come atto di un martire della fede ispirato solo da Cristo, e di chi invece lo legge come frutto (anche) di una coscienza politica attivamente antinazista.
 Per quanto riguarda il processo di beatificazione, la parte di competenza della Diocesi si è conclusa nel 2007; ora la Congregazione delle Cause dei Santi, in Vaticano, costituirà un apposito Collegio per valutare il dossier e dichiarare se Mayr-Nusser sia stato un martire cattolico. Al momento non si hanno certezze sulla tempistica ma secondo il postulatore «il fatto che sia iniziato il lavoro a Roma è un segnale secondo me positivo sull’esito finale».
  Alto adige 27-12-10
postato da: apritisangia alle ore 06:19 | Permalink | commenti (1)
categoria:letture
mercoledì, 08 dicembre 2010
PRESENTAZIONE DEL LIBRO MITTELEUROPA

Lunedi 13 Dicembre 2010 alle ore 18.00

MITTELEUROPA
mito, letteratura, filosofia
di Massimo Libardi e Fernando Orlandi
con gli autori e la partecipazione di
Christoph Von Hartungen e Andrea Felis
postato da: apritisangia alle ore 18:17 | Permalink | commenti
categoria:letture
mercoledì, 08 dicembre 2010



Latouche: lo sviluppo ci ucciderà

FRANCESCO COMINA
O si cambia radicalmente il modello di convivenza umana o sarà il suicidio globale. Il grande sociologo ed economista francese Serge Latouche ha le idee sempre più chiare. Una ventina d’anni fa scrisse «Il pianeta dei naufraghi», che gli diede fama mondiale. Immaginava la nave dello sviluppo incagliata fra i fiordi alla deriva come il Titanic. La nave affonda mentre l’orchestra continua a suonare. Gli unici che si salvano sono coloro che abbandonano le danze e tentano una disperata fuga. Oggi la sua visione è peggiorata. Siamo, dice Latouche, alla soglia della sesta estinzione della specie ma si continua a predicare la religione dello sviluppo e della crescita economica senza accorgersi del suicidio annunciato.
 Serge Latouche sarà a Bolzano mercoledì su invito del Centro per la Pace del Comune, per una conferenza sul tema «L’economia del dono» dialogando con Antonio Mazzucato, missionario bolzanino fra i pigmei (appuntamento alle 18, Sala di rappresentanza del Comune). Oggi invece sarà a Trento (ore 20.30 in Sala Depero, palazzo della Provincia), mentre domani sarà a Predazzo.
 Serge Latouche, non è la prima volta che viene in Trentino Alto Adige.
 
Ci torno sempre volentieri. Sono terre che amo molto. Mi piace la montagna, mi affascinano le Dolomiti. In tutta la regione, sia in Trentino che in Alto Adige ci sono molte persone impegnate in una decrescita serena. Mi sono fatto una idea in questi anni, ossia che la gente di montagna è più abituata alla sobrietà e dunque è più facile che parta da qui il nuovo modello che auspichiamo, un modello che rompa definitivamente con l’idea della società dei consumi e dello sviluppo.
 Lei non ama molto la definizione che le appiccicano di «padre della decrescita», anzi ultimamente non usa più questo termine preferendo la parola «a-crescita».
 
L’idea della decrescita viene da lontano. Altri maestri già dagli anni Sessanta si sono soffermati sulla necessità di uscire dal paradigma della crescita, dei consumi, dello sviluppo. Penso a Ivan Illich, André Gorz, Francois Pertant, Cornelius Castoriadis. Io ho solo ripreso quelli intuizioni dandogli una formulazione più organica e strutturata. Il termine decrescita continua ad avere una sua importante funzione, è entrato nel vocabolario di molte persone e credo sia una parola appropriata. Tendo ultimamente ad usare il termine a-crescita prendendo la stessa radice di a-teismo perché secondo me si tratta di rifiutare la religione della crescita, del progresso e dello sviluppo.
 Lei non vuol nemmeno sentire parlare di sviluppo sostenibile. Come mai?
 
Perché è un ossimoro inventato dagli ideologi dello sviluppo. Questi strateghi hanno aggiunto l’aggettivo sostenibile per farci accettare meglio lo sviluppo. Ma non esiste uno sviluppo sostenibile! Lo sviluppo è sviluppo. La crisi ecologica che abbiamo sotto gli occhi è la conseguenza della crescita economica. Siccome i tecnocrati della crescita non vogliono uscire dal modello dominante hanno inventato questo ossimoro ingannatore che mette assieme una parola positiva (sostenibile) e una parola tossica (sviluppo).
 Decrescere significa anche rallentare?
 
Mi piace molto il libro del mio amico Ivan Illich, morto qualche anno fa, dal titolo «Elogio della bicicletta». La bicicletta, che è molto utilizzata in Alto Adige e che anch’io uso spesso a Parigi, è proprio l’emblema di una società che rallenta, che non inquina, che rompe la logica della velocità espansiva e compulsiva dello sviluppo. Sono contento di venire nella terra dove è nato e ha vissuto Alexander Langer, un maestro che ci ha insegnato a vivere con altri parametri, secondo il motto «lentius, profundius, suavius» contrario a quello olimpico della velocità, della forza e dell’altezza. Decrescere significa anche rallentare. Langer l’aveva capito molto bene.
 Lei ha scritto che la società dei consumi è anche la società dei rifiuti. Quello che sta accadendo a Napoli sembra confermare la sua tesi.
 
Napoli è solo la testa dell’iceberg. È ovvio che una società dei consumi diventa una società dei rifiuti, i quali crescono in maniera esponenziale rispetto al consumo. Più un Paese si sviluppa e più genera rifiuti. Ma il problema è mondiale. Napoli è il simbolo di una follia. E le soluzioni tecniche, come gli inceneritori, anche quelli più sofisticati di seconda e terza generazione non risolvono il problema, perché c’è sempre un margine di inquinamento e di impatto ambientale. In questi giorni è iniziato in Francia un processo per una contaminazione di diossina da parte di alcuni inceneritori del nord 10 anni fa. Sono aumentati i tumori, è stato trovato un forte inquinamento nei campi, nel latte, nei formaggi. Qui sono in ballo vite umane, non si può scherzare e far finta di nulla. Se rimaniamo dentro il quadro della società dello sviluppo non risolveremo mai questo problema che è mondiale.
 Intanto si rilancia sul nucleare...
 
Altra follia dello sviluppo. Siccome le risorse petrolifere stanno esaurendosi, ci attacchiamo al nucleare. Il prossimo anno si celebrano i 25 anni del disastro di Chernobyl. Fu una apocalisse fortunata perché soltanto per un miracolo il reattore non esplose e allora si che sarebbe stata la distruzione totale. L’umanità dimentica in fretta. Molti fisici ci dicono che i rischi ci sono anche se la tecnologia è avanzata e soltanto l’idea che ci possa essere il rischio di una apocalisse atomica dovrebbe essere sufficiente per dire di no al nucleare e pensare davvero a risorse energetiche alternative e ad energie rinnovabili. La strada maestra è la rottura col modello, l’inversione di marcia, l’a-crescita.
Alto Adige 6-12-10
postato da: apritisangia alle ore 15:24 | Permalink | commenti
categoria:letture, sociale
mercoledì, 08 dicembre 2010



Claudio Magris: un libro in tutte le lingue e poi Capodanno altoatesino

Un letterato a tutto campo. Scrittore, saggista, critico e germanista italiano di fama internazionale, Claudio Magris ha scritto libri di enorme successo e ha contribuito con numerosi studi a diffondere la conoscenza della cultura mitteleuropea. Classe 1939, Magris è nato a Trieste, dove tutt’ora insegna all’Università, oltre a essere visiting professor in molti atenei europei e nordamericani. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti nazionali ed internazionali. Tra le sue opere: Danubio (1986, tradotto in 17 lingue), Illazioni su una sciabola (1984), Un altro mare (1991), Le voci (1995), La mostra (2001), Alla cieca (2005), ma anche Microcosmi, Lontano da dove, Utopia e disincanto.

di Gabriela Preda
Pubblichiamo la seconda parte dell’intervista a Claudio Magris, scrittore e saggista, una delle figure più importanti della cultura europea contemporanea; la prima parte dell’intervista - nella quale Magris parlava in particolare di Europa, del tema delle frontiere, della sua idea di scrittura - è stata pubblicata domenica scorsa.
 Professor Magris, dal 1994 al 1996 sedeva tra i banchi del Parlamento a Roma. È vero che ha dichiarato che la politica non è qualcosa per animi sensibili e che non ricoprirebbe più un incarico simile? Come è stata l’avventura politica per lei?
 
Con quella frase intendevo dire esattamente il contrario di quello che, mi sembra, presuppone la domanda. Con quella frase intendevo manifestare la più viva riprovazione, direi quasi disprezzo, per alcuni scrittori o intellettuali che, dopo essersi dedicati per un certo periodo alla politica attiva e specifica, si sono ritirati dichiarandosi «delusi» alla politica. La politica non esiste per solleticare le nostre «animucce» sensibili, per illuderci o deluderci; politica significa libertà o oppressione, lavoro o miseria, scuole e ospedali che funzionano o no, vita delle famiglie e così via. Tutto questo è infinitamente più importante dell’animuccia sensibile di chiunque, fosse pure un grande poeta. Naturalmente, ognuno ha i suoi doni e non a tutti è dato dare il proprio contributo alla politica in un modo esplicito, sedendo in Parlamento o in un Consiglio comunale o regionale e così via. Per quel che mi riguarda, pur avendo fatto il senatore - scelta che ho fatto assolutamente per dovere, con il sentimento che in quel momento non potevo fare altro, e assolutamente non per piacere, perché contraria alla mia natura - so benissimo che il piccolissimo contributo che posso dare alla lotta politica passa molto di più attraverso la scrittura, interventi etico-politici sui giornali e così via, che non in un’esplicita milizia politica. Ma questo non ha nulla a che vedere con la «delusione» - ignobile parola- ricevuta dalla politica. Si può, si deve contestare una determinata politica, una degenerazione della politica, come quella cui stiamo assistendo oggi, ma col senso oggettivo dei problemi tanto più importanti di noi e non col senso di una nostra narcisistica sensibilità ferita.
 Torniamo al Magris scrittore. Recentemente ha presentato in Canada la traduzione inglese del suo ultimo libro, «Alla cieca». Come è stato accolto dal pubblico nordamericano? Che rapporti ha in genere con i suoi traduttori?
 
Il libro viene accolto bene, ma è troppo presto per trarne un bilancio definitivo e non so se le cose andranno così bene come è avvenuto in Francia, in Spagna, in Scandinava e in tanti, veramente tanti altri paesi. Con i traduttori ho un rapporto intensissimo; li incontro, ci scambiamo lettere (l’epistolario con i traduttori consiste in un migliaio di pagine circa...). Il traduttore è veramente un co-autore del testo, cosa di cui spesso in Italia ci si dimentica; la traduzione è la prima forma di critica letteraria, mette subito in evidenza i punti forti e i punti deboli di un libro. In genere, oltre a rispondere a tutte le esigenze di chiarimento e a fornire anche ai traduttori molti riferimenti per risparmiare loro tempo nel loro duro lavoro, li esorto a essere autonomi, e a non aver paura dell’infedeltà; soprattutto a non voler spiegare, a non voler rendere più facili le cose. La vita non è facile e non lo è neppure il racconto della vita, in cui c’è sempre il rischio dell’incomprensione, ma che va affrontato, senza pretendere di eliminarlo a priori. La cosa si fa particolarmente interessante con le traduzioni per così dire transculturali, quando un libro viene tradotto non solo in un’altra lingua, ma nella lingua di una cultura molto lontana e diversa, come il cinese, il giapponese e così via. Quello che conta soprattutto, in una traduzione, è la musica, il ritmo, il fluire.
 «Credo che l’unico modo di parlare, di raccontare qualcosa della propria esperienza sia parlare di altri»: così scriveva nel libro «Tra il Danubio e il mare». Nel caso di «Alla cieca» questo diventa un monologo di molti io. Parliamo di una forma nuova? In più, il suo stile intreccia in seguito suggestioni e citazioni letterarie di varie provenienze ed epoche con cenni storici e ponderate riflessioni etiche ed esistenziali in genere. Trae ispirazione da diversi generi epici?
 
Non credo che il monologo di molti io sia per me una forma nuova. In fondo, c’è già in «Danubio», in cui il protagonista, pur essendo un individuo determinato, è anche un po’, come il fiume, lo specchio di tutti i destini che incontra sul suo cammino, dei paesaggi nei quali si riflette il suo volto e che si riflettono nei suoi sguardi e così via. Io credo che noi siamo essenzialmente il nostro incontro con gli altri, il modo in cui sentiamo la vita e gli altri. La ringrazio molto per quell’aggettivo, «epici». Sì, l’epica è quella a cui aspiro. E, in genere, non è un caso che i miei libri siano difficilmente definibili dal punto di vista dei generi letterari, perché in qualche modo li trasgrediscono. Ma li trasgrediscono perché anche la vita non è un genere puro, bensì impuro. Nella stessa giornata, noi siamo lirici se osserviamo il colore di un tramonto con una malinconia nel cuore, siamo saggistici se discutiamo con un amico di politica o di cultura o di altre cose, siamo epici se raccontiamo a qualcuno qualcosa che ci è successo o che è successo a qualcuno che conosciamo e così via. E la letteratura rispecchia appunto questa mescolanza, questa feconda impurità della vita.
 Tornando al volume «Alla Cieca», uno dei tanti coprotagonisti del libro nascosti dietro l’io monologante dice: «Ho voluto mettere a posto il mondo anziché trovarvi riparo, e questo il mondo non lo perdona». Questo è del resto uno dei motivi di tutti i suoi personaggi. Parliamo di un grido d’allarme o semplicemente di una costatazione?
 
Quando si scrive un racconto, non si hanno degli specifici fini; non si vuole lanciare un grido di allarme né semplicemente una constatazione. Si racconta qualcosa che ci sembra significativo o che speriamo possa essere significativo anche per il destino degli altri. In questo senso, quella frase intende mettere a fuoco la terribile difficoltà in cui si trova, nella vita collettiva o nella grande storia come nella piccola vita individuale, chi non si accontenta delle cose così come sono, ma cerca di migliorarle, di riparare a qualche torto, provocando così delle inevitabili difficoltà, che gli altri non gli perdonano. È il destino del giusto, che è spesso il subire la persecuzione.
 Ha qualche nuovo progetto editoriale o cinematografico in vista?
 
Un vago, ancora confuso e incerto progetto narrativo, che non è chiaro nemmeno a me. Per il cinema, Giorgio Pressburger ha appena finito di realizzare un film, con una sceneggiatura di mio figlio Paolo e sua, tratto, o meglio liberamente ispirato al mio «Lei dunque capirà».
 Per concludere, professor Magris: ha previsto qualche visita in Alto Adige a breve?
 
I soliti giorni fra Natale e Capodanno e oltre Capodanno che, da più quarant’anni passo ad Anterselva, Antholz Mittertal...
Alto Adige 5-12-10
postato da: apritisangia alle ore 15:17 | Permalink | commenti
categoria:letture
domenica, 28 novembre 2010



«La letteratura si tuffi nel caos della vita»
Europa, libri, frontiere: parla lo scrittore


GABRIELA PREDA
Claudio Magris, uno dei più profondi scrittori e saggisti contemporanei, noto protagonista della cultura italiana ed europea, parla in questa intervista all’Alto Adige di storia, dell’Italia di oggi, di letteratura.
 Professor Magris, in «Utopia e disincanto» lei scriveva che la storia ci coglie sempre impreparati, mentre noi non facciamo che seguirla, rincorrerla. A che punto siamo oggi? C’è chi parla della fine di un sistema... Del resto, negli ultimi anni, si è ritrovato anche lei tra le voci italiane più critiche sui temi della giustizia, dei diritti e del loro «stravolgimento». Un giudizio sulla situazione attuale?
 
Non sono in grado - e credo non lo sia nessuno - di fare pronostici o profezie su quello che accadrà non dico nei prossimi anni, ma nemmeno nei prossimi mesi. Certamente la situazione attuale dell’Italia è disastrosa, indecente e grottesca; sembra caduta perfino l’ipocrisia, cosa certo detestabile, ma pur sempre, come è stato detto, «omaggio del vizio alla virtù», in quanto presuppone almeno la consapevolezza delle cose che non si devono fare e di quelle che si devono fare. La giustizia, i diritti, alcune insostenibili vicende pacchiane... C’è l’idea che una certa fase della cosiddetta Seconda Repubblica stia finendo ma, ripeto, non sono in grado di fare alcun pronostico.
 Che idea si è fatto sulle sorti dell’Europa? Le ricorda qualcosa della «Mitteleuropa internazionale oggi idealizzata quale armonia di popoli diversi» che descriveva nel suo libro «Danubio»?
 
La cosiddetta Mitteleuropa fa parte del nostro passato, è uno dei tanti tentativi, in parte riusciti e in parte falliti, in parte positivi in parte negativi, di realizzare una compagine in qualche modo sovranazionale. In questo senso, può darci grandi insegnamenti, ma come ogni esperienza storica del passato, e non certo quale modello da imitare, il che sarebbe ridicolo. In questo senso, ha assai ben poco a vedere col problema odierno di una costruzione di una Europa autenticamente unita. Anche il mio «Danubio», in fondo, attraversa la Mitteleuropa, ma non certo per nostalgia della Mitteleuropa (per carità!), né per proporla quale modello né per viverla quale immagine privilegiata dell’universo. È un libro più europeo che non mitteleuropeo.
 È d’accordo con chi sostiene che in Europa siamo troppo autoreferenziali o che non ci conosciamo bene neanche tra di noi? Che ruolo ha lo scrittore nella società di oggi?
 
Certamente non ci conosciamo bene e fin qui pazienza, anche se è grave. Ben peggiori sono le livide chiusure, non solo e non tanto nazionali quanto regionali, provinciali, comunali e via di seguito, i ringhiosi micronazionalismi locali che alzano il ponte levatoio per sbarrare l’ingresso al vicino e impedire il contatto con qualsiasi altro. Mai come oggi la conoscenza reciproca è stata ed è necessaria. Certo, se, come fa il nostro Ministro, si incomincia a mandare a casa i lettori di madrelingua straniera, che creano una delle premesse per la reciproca conoscenza ossia la conoscenza delle lingue, siamo ben messi... Quanto agli scrittori, non hanno nessun dovere particolare e bisogna smettere di credere che gli scrittori, anche grandi, la sappiano più lunga o siano spiritualmente sempre più elevati degli altri. Alcuni fra i più grandi scrittori del Novecento, che continuiamo ad amare perché comprendiamo l’itinerario che li ha portati a quelle aberrazioni ma che non potremo certo scegliere come guide, sono stati fascisti, nazisti, stalinisti. Si potrebbero fare tanti esempi. Lo scrittore ha certo una grande funzione perché, nella sua opera, non predica, non formula né enuncia programmi, non proclama che bisogna essere europei o democratici e così via, ma mostra concretamente - raccontando le vicende e il destino di singoli e concreti uomini e donne, delle loro passioni e delle loro incertezze e delle loro ambiguità - cosa significhi essere liberi o schiavi, aperti all’incontro con gli altri o chiusi e così via.
 Cos’è per Claudio Magris la scrittura?
 
Per rispondere a questa domanda occorrerebbe un libro intero; inoltre la risposta varierebbe, credo, da un giorno all’altro. La scrittura è insieme doganiere e passeur; trasgressione di confini per avventurarsi in dimensioni ignote e scoperta o addirittura costruzione di nuove frontiere, di nuove dimensioni, di nuovi modi di accettare o di incontrare l’altro. Si scrive per tante ragioni; credo soprattutto, almeno nel mio caso, per fedeltà; per lottare contro l’oblio, nell’illusione di poter strappare qualcosa alla cancellazione inesorabile operata dal tempo; si scrive soprattutto per amore; altre volte per protesta, per ribellione; talora per far ordine talora per disfare l’ordine precedente. Io ho l’impressione che scrivere significhi sempre trascrivere qualcosa che è sempre più importante di noi. La vita è originale, come diceva Svevo, più originale di quello che possono inventare gli scrittori, anche grandi; la verità, diceva Melville, è più bizzarra della finzione.
 Generalizzando, quali sono a suo avviso i maggiori pregi / difetti della letteratura contemporanea?
 
Impossibile rispondere a questa domanda, perché non esiste una letteratura contemporanea, ma esistono - su scala mondiale, ma anche su quella nazionale - tante letterature, autori, opere, tendenze diverse. In generale, un appunto che forse mi sentirei di fare alla letteratura occidentale è di aver abbandonato quel sentimento, fatto proprio ed espresso dalla più grande letteratura novecentesca (mi riferisco soprattutto alla narrativa) della disgregazione del mondo e della necessità di cercare il suo significato che sembra sparito, di riedificare il suo ordine che sembra infranto, senza civettare con quel disordine, ma nemmeno senza illudersi di poter restaurare tranquillamente un mondo ordinato, armonioso. Non si può più narrare in modo ordinato e armonioso; bisogna tuffarsi nel caos, nei gorghi, nel naufragio del mondo e della storia per cercare di trovarne un senso. Il civettuolo Postmoderno, che ci ammannisce tanti romanzi in cui alla fine tutto va a finire bene o comunque in buoni sentimenti, ha dimenticato la terribile lezione del Moderno, si è illuso che la ferita del Moderno, tuttora viva e bruciante, sia stata sanata.
 Lei ha cominciato a scrivere narrativa con «Illazioni sulla sciabola», un racconto... di terra, poi ha seguito il corso di un fiume con «Danubio», poi è arrivato a «Un altro mare», e così via. Quale «rotta» ha seguito?
 
Anche qui, una domanda che esigerebbe un intero libro per una risposta esauriente. Quando incomincio a scrivere qualcosa, non solo un libro ma anche un articolo (a meno che non si tratti di un articolo con un tema specifico) non so mai che cosa mi accingo a scrivere, che cosa scriverò. Non so mai, insomma, quale sarà il vero tema di ciò che scriverò, se riuscirò a portarlo alla fine (cosa di cui sono sempre incerto, ovviamente), perché il tema esplicito, quello magari indicato in un titolo, non è mai necessariamente quello vero. Così come un poeta può scrivere una poesia su un fiore ma per parlare, in realtà, non di quel fiore di cui pur descrive colori e profumi, ma della persona amata, così anche un romanzo e un saggio possono parlare di una cosa per raccontarne invece un’altra. Dovrei fare qui un elenco di tanti miei temi: il tema ricorrente dell’odissea, della fuga con o senza ritorno; dell’ordine e del disordine; del conflitto fra il «buon combattimento» morale, per citare San Paolo, e l’oscuro segreto impulso alla diserzione; di un tema centrale come da un lato l’importanza della ricerca dell’autenticità, di vivere la vita vera, e dall’altro il pericolo di illudersi di aver già raggiunto questa autenticità, di vivere la vita vera, condannandoci così a una vita tanto più falsa quanto più s’illude di essere autentica. Questo vale per la vita individuale come anche per la vita collettiva. È un tema che mi ha ossessionato sempre.
 Che autori/libri consiglierebbe ai nostri lettori? Una volta per esempio ha scritto che la Bibbia «è, insieme alla tragedia greca, il più grande sguardo gettato nell’abisso della vita ed è una linfa e radice essenziale dell’universalità umana e della nostra civiltà»...
 
Impossibile rispondere. Accanto all’esempio che lei ha fatto direi l’Odissea, il libro dei libri, che ci parla ancora del nostro presente e forse di quello che ancora deve accadere. Ulisse che si fa legare sull’albero della nave ma con le orecchie aperte per sentire il canto delle sirene che invece i suoi marinai con le orecchie tappate non possono udire è già il borghese che si cautela con l’assicurazione Casco, all-risks; è già quasi un personaggio sveviano. E Omero è molto meno conservatore di Joyce, perché l’Ulisse di quest’ultimo alla fine della sua giornata torna a casa, torna agli affetti e ai valori di sempre, profanati, insozzati e messi in difficoltà durante il giorno ma mai cancellati dal suo cuore; torna nella sua Itaca. Mentre l’Ulisse omerico - non occorre aspettare quello dantesco - dopo essere ritornato, dopo aver fatto l’amore con Penelope, le dice che dovrà ripartire...
 Essere nato in un luogo di confine l’ha in qualche modo reso più sensibile a temi della pluralità, delle frontiere, del bilinguismo, delle identità composte?
 
Sì, credo di sì, e l’ho anche raccontato, parlando della curiosa esperienza da ragazzino, quando vedevo quella frontiera vicinissima a casa mia che allora era la Cortina di Ferro, dietro la quale c’era un territorio contemporaneamente sconosciuto e misterioso (il mondo dell’Est, il mondo di Stalin in cui non si poteva entrare, almeno sino alla rottura fra Tito e Stalin) e familiare, perché erano le terre che erano state italiane sino alla fine della seconda guerra mondiale e che conoscevo bene perché vi ero stato più volte. Ma non credo affatto che sia necessario nascere o crescere in una cosiddetta città di frontiera per essere più sensibili a questi temi. Inoltre oggi le frontiere sono altre e io provo un po’ di vergogna quando parlo di quelle frontiere di un tempo mentre ignoro le invisibili frontiere che, all’intero della mia stessa città, Trieste, dividono il mondo dove abito io e il mondo in cui abitano i miei nuovi concittadini, i cinesi, i senegalesi e così via...
Alto Adige 28-11-10
postato da: apritisangia alle ore 07:27 | Permalink | commenti
categoria:cultura, letture
lunedì, 22 novembre 2010

           
Georges Simenon                                              Alda Merini

Due libri formidabili

Dai dieci romanzi di Simenon ai versi e alle prose di Alda Merini


Non fatevi trarre in inganno dai prezzi. Sembrano alti e certamente questi sono libri che costano più dell’ultimo Bruno Vespa. Ma valgono cento volte tanto. Così, nessun dubbio: ecco un libro splendido che - nel rapporto qualità e prezzo, ma anche in quantità (raccoglie ben dieci romanzi) - non teme confronti. Porta la firma di quello che è uno dei più grandi narratori del secolo che ci siamo lasciato alle spalle. Nel 2003, in occasione del centenario della nascita dello scrittore, la prestigiosa collana della Pleiade francese apriva le porte all’opera di Georges Simenon: due volumi radunavano 21 romanzi scelti fra i migliori della sua produzione. Al primo dei due, apparso da Adelphi nel 2004, fa ora seguito questo, che accoglie alcuni dei titoli più significativi (e celebri) degli anni che vanno dal 1948 al 1989. La serie si apre con un capolavoro indiscusso: La neve era sporca, storia dell’iniziazione alla vita e all’amore di un giovane uomo, in una città occupata dai nazisti dove tutt è tradimento, rancore, doppio gioco. Al periodo americano appartengono La morte di Belle e L’orologiaio di Everton, splendidi esempi della ineguagliata capacità di Simenon di scrutare a fondo quello che lui stesso amava definire l’uomo nudo. Seguono Il presidente (tagliente apologo sul potere) e Il treno. A chiudere il volume, due romanzi non ancora presenti nel catalogo Adelphi: L’angioletto (che Simenon prediligeva) e Il gatto. Accanto a questi, tre inchieste del commissario Maigret. Imperdibile.
 Altrettanto imperdibile l’omaggio che Mondadori fa ad Alda Merini, la poetessa scomparsa poco più di un anno fa, con l’antologia Il suono dell’ ombra (una frase da lei scritta durante il primo suo internamento). Nell’ampia introduzione di Ambrogio Borsani compaiono - tra lettere, testimonianze e ricordi - i luoghi che han caratterizzato la vita di Alda Merini a Milano: dall’abitazione dove nasce nel 1931, passando per gli anni del ricovero all’ ospedale psichiatrico fino al ritorno sui canali del Naviglio. Il volume riunisce opere comprese tra il 1953 ed il 2009: si va dalle raccolte di poesia degli inizi fino agli scritti recenti. Ci sono inoltre componimenti rari o poco noti, le prose autobiografiche che narrano i due lustri passati dalla scrittrice negli ospedali psichiatrici; troviamo, infine, i suoi racconti e le sonate liriche, oltre ad una sezione dedicata agli aforismi. Tutta la meraviglia della sua arte poetica la si ritrova qui, intatta. (c.ma.)

Georges Simenon
Romanzi - Volume II
Adelphi, 1836 pagg., 65 euro

Alda Merini
Il suono dell’ombra
Mondadori, 1042 pagg., 38 euro

Alto Adige 22-11-10
postato da: apritisangia alle ore 14:19 | Permalink | commenti
categoria:letture
venerdì, 19 novembre 2010



Lo scrittore Sartori «Su Internet salviamo i testi di qualità»

Lo scrittore trentino Giacomo Sartori ha presentato ieri a Bolzano la sua raccolta di racconti «Autismi». Autore anche di tre romanzi, tutti tradotti in francese (Sartori vive molti mesi all’anno a Parigi), lo scrittore è anche redattore del blog letterario Nazione Indiana, e ha di recente collaborato al primo numero di «Alfabeta», la nuova rivista letteraria cui partecipa anche Umberto Eco. Ma è soprattutto di Nazione Indiana e di letteratura su internet che abbiamo parlato in questa intervista.
 Nazione Indiana è uno dei blog letterari italiani più frequentati. La settimana scorsa Sartori insieme ad altri due autori del sito - Evelina Santangelo e Massimo Rizzante - era ancora a Bolzano nell’ambito di «Spaziolib(e)ro». Ieri ha presentato alla «Claudia Augusta» il suo nuovo libro. «Il blog - racconta - esiste dal 2003. Nel 2005 qualche redattore mi mi ha proposto di collaborare. Per alcuni anni ho esitato e ho partecipato solo da esterno, mandando pezzi che poi loro «postavano» sul blog. Infine sono entrato in maniera “organica” e proprio per Nazione Indiana ho scritto questi “Autismi” che ora ho pubblicato in volume.
 Come è composto il nucleo del blog?
 
Siamo una ventina di scrittori molto diversi l’uno dall’altro, e questo è uno degli elementi più interessanti di Nazione Indiana. Mi sembra una cosa molto bella soprattutto per l’Italia, dove di solito prevalgono le risse e i piccoli campanilismi. Da noi si va da Saviano a Biondillo, ci sono poeti sperimentali e professori universitari come Franco Buffoni o Massimo Rizzante... Una grande ricchezza.
 Il rapporto tra letteratura e Internet è complesso. Da un lato c’è la possibilità di divulgare opere di qualità a un pubblico enorme e in maniera spesso gratuita, per non parlare della possibilità di trovare testi rari; dall’altro però in rete entra di tutto...
 
In realtà è il paesaggio letterario nel suo complesso che sta cambiando, in Italia e non solo. I blog letterari sono solo un aspetto di questo cambiamento. La narrativa sta diventando sempre più commerciale, il mondo editoriale è ormai un’industria vera e propria e quindi Internet può essere uno strumento prezioso per valorizzare la qualità indipendentemente dal ritorno economico di una pubblicazione. Noi lo facciamo sulla narrativa e la poesia. Abbiamo il ruolo che una volta svolgevano le riviste letterarie, oggi quasi tutte in difficoltà. Poi, certo, c’è il rischio della ghettizzazione: ma direi che rispetto allo stato di salute del panorama letterario complessivo, alla concentrazione di poteri di editori che sono anche distributori, è un rischio che vale la pena correre.
 Il «controllo di qualità» è molto difficile in rete, dove ognuno può aprire un blog e pubblicare ciò che gli pare...
 
I media in sè sono neutri e dentro ci si trovano cose buone e meno buone. Noi siamo un gruppo di 20 persone che si è preso l’impegno - gratuito... - di individuare il meglio. È vero che non è sempre così, ci sono siti di ogni tipo, blog che dileggiano Beckett ed esaltano il primo che passa: ma questa è la nostra società, non Internet.
 Il vostro sistema come funziona?
 
Non esiste un vero «comitato editoriale»: ogni redattore si assume la responsabilità di quello che pubblica. Però siamo in costante contatto con una mailing list e quindi lo scambio di opinioni è continuo. Inoltre esiste un «retrobottega» al quale possiamo accedere solo noi e nel quale leggiamo in anteprima cosa uscirà in futuro. Nei casi delicati c’è una consultazione più ampia sull’opportunità della pubblicazione, ma normalmente non serve. L’assenza di un «comitato editoriale» a volte può essere un limite ma in realtà è la vera risorsa del blog perché ne garantisce la ricchezza evitando le tipiche parrocchiette italiane.
Alto Adige 19-11-10

anche: http://www.nazioneindiana.com/2010/01/20/autismi-17-la-mia-patria/
postato da: apritisangia alle ore 07:12 | Permalink | commenti
categoria:letture
lunedì, 15 novembre 2010



Biblioteca on-line  ma niente italiano

BOLZANO. La biblioteca provinciale Tessmann ha lanciato il nuovo servizio di digitalizzazione dei documenti e prestito on-line “Biblio 24”. Un’iniziativa salutata con entusiasmo e l’orgoglio dei pionieri: un’offerta simile, infatti, rappresenta una novità per l’Italia ma, purtroppo, non per l’italiano. Nel catalogo disponibile, infatti, non v’è traccia di documenti nella lingua di Dante, con buona pace degli studenti di lingua italiana. A farsi portavoce dello scontento studentesco è Sara D’Elia che racconta la sua esperienza. «Mi sono recata alla Tessmann - spiega - perché ho provato attraverso il sito a cercare qualche rivista italiana, ma non riuscita a trovare nulla. Ero sorpresa, ma dagli uffici della biblioteca mi hanno confermato che non esiste alcun tipo di disponibilità nella nostra lingua». Ovviamente la mancanza riguarda solo l’apparato elettronico perché, paradossalmente, nel catalogo cartaceo i documenti in italiano esistono eccome. «Certo, si possono trovare diversi testi - continua D’Elia - e questo rende ancora più fastidiosa quella che non esito a definire una discriminazione in un terra plurilingue come la nostra». In sede di presentazione, però, non era stato fatto alcun cenno alla mancanza «e nemmeno sul sito è possibile trovare una sola riga che specifichi e avverta della mancanza di libri, riviste o supporti in italiano. Si mettono bene in evidenza i 7.000 articoli in offerta, ma nulla che giustifichi un’assenza grande come una casa. Non solo, nemmeno in ladino è possibile scovare nulla: solo tedesco». La speranza, però, è che in futuro la situazione possa essere raddrizzata: «No - ribadisce D’Elia - perché dagli uffici della biblioteca mi hanno fatto sapere che non c’è in programma alcun tipo di digitalizzazione italiana, semplicemente perché si sono affidati a un servizio tedesco. Non mi sembra che si possa trattare di un impedimento serio e accettabile, soprattutto considerando che le Tessmann non è una raccolta privata, ma una biblioteca provinciale e quindi, presumo, finanziata con soldi pubblici». La struttura di via Diaz, infatti, riceve una quota di finanziamento annuale stanziata dalla Giunta Provinciale e nel decreto del presidente emanato il 24 gennaio 2000 si trova una precisazione in evidente contrasto con il servizio “Biblio24” che specifica per la Tessmann “compiti precisi nel raccogliere scritti e opere di autori altoatesini, della storia e della cultura del territorio con particolare riferimento agli scritti in lingua italiana”. Il piano annuale di finanziamento delle biblioteche pubbliche emanato dalla Provincia per il 2009, comunque, prevedeva un importo complessivo di 5,3 milioni di euro, con 3 milioni per il personale e investimenti per 1,4 milioni di euro. Dalla biblioteca, però, nessun commento, salvo una conferma «sulla mancanza di documenti digitali in italiani offerti dal servizio su internet». Dalla Fondazione Carispa, sponsor del servizio spiegano che: «I documenti sono tutti in tedesco perché si appoggiano su una piattaforma tedesca e non esiste un omologo Italiano». (a.c.)
Alto Adige 15-11-10
postato da: apritisangia alle ore 14:41 | Permalink | commenti
categoria:cultura, letture, provincia di bolzano
lunedì, 15 novembre 2010



L’inno di Sepúlveda ai ribelli

Per la seconda visita a Bolzano (in due anni) di Luis Sepúlveda, diverse centinaia di persone entusiaste hanno assiepato in ogni spazio disponibile l’aula magna della Libera Università. L’autore cileno ha dialogato con il collega e amico scrittore napoletano Bruno Arpaia: ha parlato dei diversi ma intrecciati binari della letteratura e degli ideali, della politica e della cronaca. All’inizio il saluto con Franz Thaler.
 Il nuovo libro di Sepúlveda «Ritratto di gruppo con assenza» si è rivelato una chiave di lettura straordinaria nel ripercorrere l’esperienza dello scrittore cileno (invitato a Bolzano dal Centro Pace del Comune). Si tratta di una galleria di personaggi che hanno segnato la sua vita errabonda, permeata di ideali, in parte nostalgica ma anche e sempre aperta a cambiamenti e virate. Così i momenti più intensi nella mattinata alla Lub sono coincisi con il racconto degli aneddoti che incorniciano gli incontri fissati nel libro. Tra essi molte storie di sconfitte e marginalità, ritratti di ribelli sognatori e fuggitivi, eroi e/o antieroi. Tutti resi attraverso uno stile appassionato ma controllato, che ha il dono di raccontare in maniera concisa ed efficace, evocando i fatti con pochissimi tratti.
 Tra essi l’incontro con un vecchio eremita andino in mezzo all’Amazzonia ecuadoreña - che più di 10 anni dopo suscitò allo scrittore il romanzo «Il vecchio che leggeva romanzi d’amore» - la conoscenza del resistente al nazismo Franz Thaler incontrato proprio a Bolzano nel 2008, e persino la storia un cane. Con quest’ultimo aneddotto, davvero paradigmatico per capire il personaggio Sepúlveda, si è significativamente concluso dialogo con Arpaia, prima che moltissimi presenti si mettessero in coda per farsi autografare l’ultimo libro dello scrittore.
 Quella del cane Eduard è la storia vera di un davvero molto particolare, che venne raccontata a Sepúlveda da suo figlio attraverso un rap in tedesco: «Papà, sembra una tua storia!». In origine il cane si chiamava Kim ed svolgeva controlli antidroga all’aeroporto di Berlino, il tutto fino a quando i suoi colleghi umani si accorsero che l’animale aveva incredibilimente un occhio di riguardo, evitando deliberatamente di segnalarli, nei confronti di giovani «contestatori» abbigliati come hippy o punk. Il cane venne per questo degradato, espulso dalla polizia e segregato in un canile, prima di venire riadottato proprio da un gruppo di giovani «creativi» berlinesi del quartiere di Kreuzberg. Oggi il cane ai ragazzi non segnala più droga ma piuttosto la presenza della polizia, avendo assunto il nuovo compito - così recita il rap - di «angelo della nostra piccola libertà». E oggi è diventato anche uno dei protagonisti del nuovo libro dello scrittore cileno.
Alto Adige 14-11-10
postato da: apritisangia alle ore 14:24 | Permalink | commenti
categoria:letture
sabato, 13 novembre 2010



Le case editrici locali presentano libri e autori

Spazioli(b)ero dedica un ampio spazio anche ad alcune tra le principali case editrici altoatesine, che saranno presenti con i loro stand e presenteranno anche alcuni libri con la partecipazione degli autori. Alle 11 casa editrice Raetia: «Miti etnici, maschere e identità» con Carlo Romeo, Stefano Fait e Mauro Fattor, incontro con gli autori. Alle 12 casa editrice Praxis 3: «Silvius Magnago. Il Patriarca» di Claudio Calabrese, incontro con l’autore e letture di Lorenzo Merlini. Alle 15 casa editrice Athesia: «Dolci Dolomiti» di Heinrich Gasteiger, Gerhard Wieser e Helmut Bachmann, incontro con gli autori e degustazione di dolci tipici. Alle 16 casa editrice Curcu & Genovese: «Fauna Alpina» di Sandro Zanghellini e Arturo Rossi, incontro con gli autori e proiezione d’immagini, interviene Alberto Folgheraiter. Alle 17 casa editrice Folio: «Lungo i confini dell’Alto Adige» di Luisa Righi e Stefan Wallisch, Incontro con gli autori e proiezione d’immagini. Alle 20.30 casa editrice Alpha Beta: «Ho letto il tuo diario» di Andrea Montali, incontro con l’autore.
Alto Adige 13-11-10
postato da: apritisangia alle ore 06:39 | Permalink | commenti
categoria:letture
venerdì, 12 novembre 2010

SABATO 13 novembre alle ore 11.00 lo scrittore cileno LUIS SEPULVEDA torna a Bolzano.

Sarà all'Auditorium dell'UNIVERSITA' (ingresso da Piazza Sernesi) per un incontro aperto a tutti gli interessati, organizzato dal Centro Pace di Bolzano in collaborazione con la Libera Università di Bolzano.

Mi permetto di segnalarvi questo bellissimo appunamento, per il caso in cui non ne foste ancora a conoscenza.

Sarà bello incontrarci là, se ci sarete anche voi...
Vi mando un caro saluto


mara
postato da: apritisangia alle ore 16:20 | Permalink | commenti
categoria:letture
venerdì, 12 novembre 2010


I giovani di Montali tra Bolzano, Berlino e gli Oasis

Uno spacciatore che vuole cambiare vita. Due giullari di rosso vestiti. Un capotreno colto e pazzo. Sono alcuni dei protagonisti di «Ho letto il tuo diario», il romanzo di Andrea Montali che sarà presentato oggi alle 20.30 alla Libera Università.
 Un romanzo che parla di giovani (bolzanini) che stanno per diventare adulti (ma sempre bolzanini), o che forse lo sono già diventati e decidono di prenderne atto. Ma anche una storia sulla scoperta della cultura sudtirolese di lingua tedesca, troppo spesso poco conosciuta dai giovani altoatesini nonostante abbia prodotto anche in anni recenti due giganti come Norbert Kaser e Alex Langer. E, ancora, un racconto fantastico con giullari che compaiono e scompaiono; un gruppo di spacciatori che (si dice) avrebbero rifornito di droga leggera addirittura Woodstock, prima di finire a Bolzano in vista del concerto degli Oasis; un capotreno pazzo, colto e bilingue; uno «zio» che riceve nel suo ufficio alle sei di mattina ed esaudisce più o meno tutti i desideri dei questuanti. Andrea Montali, giovane scrittore bolzanino, ha pubblicato per le edizioni Alpha Beta «Ho letto il tuo diario», e presenterà il libro - insieme al giornalista dell’Alto Adige Marco Rizza - questa sera alle 20.30 nella sala A101 della Libera Università di Bolzano (ingresso libero). Il libro riprende alcuni dei personaggi già comparsi in precedenti racconti di Montale ma ne sviluppa le storie in nuove direzioni, in uno scenario che oltre a Bolzano comprende anche le città di Innsbruck e Berlino.
Alto Adige 12-11-10
postato da: apritisangia alle ore 07:08 | Permalink | commenti
categoria:letture
giovedì, 11 novembre 2010



 «La nostra speranza sono i giovani» Sepulveda a Bolzano

LUCA STICCOTTI
Giornalista, regista, poeta, scrittore, guardia del corpo, guerrigliero, perseguitato politico, antropologo, autotrasportatore, ecologista militante, dissidente per vocazione. Non si può certo dire che Luis Sepulveda sia uno scrittore tradizionale: l’attività letteraria dell’autore cileno si è sviluppata nelle pieghe di una vita avventurosa che l’ha portato a vivere in quasi tutti i paesi dell’America Latina e in numerosi altri luoghi. L’ultimo libro che Sepulveda ha scritto, pubblicato da Guanda, si intitola “Ritratto di gruppo con assenza” ed evoca proprio un serie di incontri che lo scrittore ha avuto negli ultimi anni, tra cui quello con il resistente al nazismo Franz Thaler avvenuto nel 2008.
 Tra venerdì e sabato Sepulveda sarà in regione per due incontri che si annunciano affollati. Lo abbiamo raggiunto al telefono, per anticipare ai nostri lettori alcuni dei temi di cui lo scrittore parlerà, sollecitato dal collega italiano Bruno Arpaia.
 Luis, Sepulveda, che ricordo ha dell’incontro con Franz Thaler?
 
Nei suoi confronti provo un sentimento di profonda riconoscenza ed ammirazione.
 Lei si è occupato a lungo del tema della paura dell’uomo d’oggi. È solo mantenendo un basso profilo che portremo affrontare un futuro nel quale è crollato il mito dell’eterno progresso?
 
Oggi si sta imponendo una vera e propria cultura della rassegnazione che conduce spesso, appunto, alla paura. Siamo portati a pensare che il nostro posto di lavoro, e quindi la nostra tranquillità economica se non addirittura la nostra stessa vita, siano in pericolo. Questa condizione ci provoca paura e insicurezza, legate ad un sistema economico ingiusto che mette in pericolo tante conquiste civili, come la garanzia del posto di lavoro. Con questo non voglio dire che non vi sia in giro molta gente coraggiosa, in grado di dire no alle ingiustizie e di fare qualcosa per contrastare questa situazione.
 Nel suo ultimo libro Lei racconta molte storie di bambini e ragazzi che non vogliono più sognare, ma cercano invece di fuggire, se non addirittura di morire. Secondo Lei i giovani sono ormai solo vittime consapevoli di un futuro senza futuro, oppure comunque portatori di speranza?
 
Senz’altro i giovani ci danno una grande speranza, che in loro è connaturata. Il problema è che il mondo degli adulti fa di tutto per frustrare questa loro spinta esprimendo un enorme egoismo. Ma io penso che i giovani siano la forza più grande che abbiamo per salvare il nostro futuro.
 Lei ha raccontato il suo lungo esilio, il suo pellegrinaggio per il mondo e i suoi incontri con altri esuli. Oggi delle masse di esiliati l’Europa ha paura...
 
Spesso ci dimentichiamo che l’esilio è parte della storia dell’umanità: da sempre le persone si sono mosse dal loro luogo d’origine proprio perché là non avevano la possibilità di sopravvivere. L’Italia è un paese che ha un’enorme storia di emigrazione e non la deve dimenticare.

Sabato all’università, ospite del Centro per la pace  

Luis Sepulveda torna in regione dopo due anni per presentare il suo nuovo libro intitolato “Ritratto di gruppo con assenza”. Un evento da non perdere. Sepulveda è uno degli scrittori più famosi al mondo, autore di romanzi divenuti oramai dei classici della letteratura come “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore” o la favola “La gabbianella e il gatto che le insegnò a volare”, ma è anche un acuto e spietato osservatore del mondo d’oggi. Domani venerdì 12 novembre alle ore 20:30 Sepulveda parlerà a Trento all’Auditorium Santa Chiara nell’ambito dei “Dialoghi Internazionali. Se vuoi la pace prepara la pace”. A fargli da alter ego sarà lo scrittore napoletano Bruno Arpaia.
 Sabato 13 Sepulveda sarà invece a Bolzano, alle ore 11, nuovamente ospite dell’aula magna della Libera Università di Bolzano. Entrambi gli eventi sono stati organizzati dal Centro per la pace del Comune di Bolzano, con la collaborazione della LUB e della Provincia di Trento. L’ultimo lavoro di Sepulveda è un album di ricordi che hanno segnato la sua intensa vita negli spostamenti dal Cile al Nicaragua, dalla Germania alla Spagna.

Alto Adige 11-11-10
postato da: apritisangia alle ore 06:55 | Permalink | commenti
categoria:letture
venerdì, 05 novembre 2010


"Il forte di Fortezza: tra storia e istruzioni per l'uso"

Presentazione della tesi di Dario Massimo

Lunedì 8 novembre 2010 alle ore 18
con l'autore Dario Massimo
Umberto Tecchiati, Presidente di Italia Nostra - Bolzano

Alla Biblioteca Provinciale Italiana - Italienische Landesbibliothek
"Claudia Augusta"
postato da: apritisangia alle ore 05:53 | Permalink | commenti
categoria:letture
venerdì, 05 novembre 2010



Casanova, libro e mostra sul soggiorno bolzanino

BOLZANO. Tutto è nato da una lettera, per la precisione nove righe scritte da Georg Anton von Menz nel 1756. E da un brevissimo soggiorno, solo sei giorni, di Giacomo Casanova a Bolzano. Da queste lievi tracce sono nati una lunga mostra a Palazzo Mercantile Bolzano, che sarà inaugurata lunedì 8 novembre e chiuderà alla fine di ottobre del 2011, e un libro presentato ieri e curato dalla Camera di Commercio, che si intitola appunto “Giacomo Casanova a Bolzano”. Il libro contiene illustrazioni dei quadri e dei disegni esposti alla mostra e narra il curioso episodio che lega il grande seduttore alla nostra città.
 Casanova riuscì a scappare, nella notte tra il 31 ottobre e il primo novembre del 1756 dalla terribile prigione veneziana dei Piombi, dove era stato incarcerato non si sa bene per cosa. Di peccati, veniali e forse anche mortali, Casanova, come tutti sanno, ne aveva da scontare parecchi, inseguito da mariti gelosi e debitori. Di certo si sa che riuscì a fuggire, passando dalla cella alle soffitte attraverso un buco praticato nel muro. La sua prima meta era Monaco di Baviera, ma prima si fermò a Bolzano, semplicemente perchè era senza vestiti. Arrivò a Bolzano alle 7 del mattino del 1º novembre 1756. Del suo soggiorno nella nostra città si sa poco. Probabilmente se ne stette chiuso per quei sei giorni alla locanda Al Sole. Da lì ne usciva solo per comprare stoffe e fare le prove dei vestiti (a Bolzano in quel periodo c’erano 24 sartorie registrate all’Ordine dell’Arte). A Bolzano già tutti ormai conoscevano le gesta del libertino e viaggiatore veneziano. “In Tirolo e in Lombardia, al mattino dopo la messa e di sera nelle osterie, si narrava già la storia della sua fuga” si legge sul libro. E dalla sua autobiografia: “Da Pergine passai a Trento, e di là a Bolzano dove, trovandomi ormai quasi completamente sfornito di denaro, mentre molto me ne occorreva per vestirmi e per acquistare biancheria e per tirare avanti, mi presentai a un vecchio banchiere chiamato Mench, il quale mise a mia disposizione un uomo fidato che mandai a Venezia con una lettera per il signor Bragadin”.
 Tale Bragadin doveva essere molto noto e stimato anche qui, perchè Menz prestò i soldi a Casanova. Il quale ancora scrive nella sua autobiografia: “Il negoziante Mench mi raccomandò un buon albergo, dove io trascorsi, senza muovermi dal letto, i sei giorni che il messaggero impiegò fra andata ritorno. Egli tornò con una lettera di cambio di cento zecchini, tratta sul medesimo Mench”. Questo documento, conservato nel fondo della ditta Menz, fa parte della mostra allestita a Palazzo Mercantile, insieme a antiche monete e carte da gioco, l’insegna della locanda Al Sole dove soggiornò Casanova e il registro da lui firmato e quadri i pittori che da Bolzano sono partiti, o passati: Johann Gerog Platzer che nacque ad Appiano all’inizio del Settecento, al veneziano Francesco Guardi e Francesco Maria Narici.
Alto Adige 5-11-10
postato da: apritisangia alle ore 05:35 | Permalink | commenti
categoria:letture
lunedì, 01 novembre 2010



Il cimitero di Praga
Il falsificatore della storia
A trent’anni dall’uscita de “Il nome della rosa” ecco l’atteso ritorno di Umberto Eco

Simone Simonini, un cinico falsario, a cui il nonno ha lasciato in eredità l’avversione per gli ebrei, abile inventore di verbali e dossier, primo fra tutti quello sul progetto ebraico per la conquista del mondo, è il protagonista e unico personaggio di fantasia del nuovo romanzo di Umberto Eco che arriva in libreria a trent’anni dall’uscita de Il nome della rosa. In oltre cinquecento pagine lungo il XIX secolo, tra Torino, Palermo e Parigi, il romanzo, con immagini illustrate come nei feuilletons di stile ottocentesco, ci porta avanti e indietro nel tempo attraverso i diari di Simone Simonini e i personaggi, veramente esistiti, che si incontrano nel corso della storia. Cavour e la spedizione dei Mille in Sicilia, Ippolito Nievo, un Garibaldi artritico e Sigmund Freud definito dal falsario “un mediconzolo” che chiama Froide (”credo si scriva cosi” dice), “un bugiardo anche in quanto ebreo” che consiglia l’uso terapeutico della cocaina “meravigliosa per infondere fiducia nei depressi, sollevare lo spirito, rendere attivi e ottimisti”. Fra intrighi spionistici, servizi segreti, peccatori, gesuiti e massoni, carbonari e mazziniani, le stragi nella Parigi della Comune troviamo anche una satanista isterica, un abate che muore due volte, ma al centro della storia è la graduale falsificazione conosciuta come I protocolli dei Savi Anziani di Sion che ispirerà a Hitler i campi di sterminio. Simonini immagina un raduno notturno dei rabbini curvi e incappucciati nel cimitero israelitico di Praga “che siccome non poteva espandersi al di fuori del perimetro permesso aveva sovrapposto le sue tombe, così da coprire forse centomila cadaveri”. Il falso documento, concepito come una deposizione orale di un testimone di quella tremenda notte, getta una luce inquietante sul tempo in cui viviamo, raccontando le pieghe più segrete e inconfessabili della politica nell’Ottocento. Così, come spiega lo stesso Eco nelle “Inutili precisazioni erudite” alla fine del libro: “Ripensandoci bene, anche Simone Simonini, benchè effetto di un collage, per cui gli sono state attribuite cose fatte in realtà da persone diverse, è in qualche modo esistito. Anzi, a dirla tutta, egli è ancora tra noi”. Tutti gli altri personaggi, tranne qualche figura di contorno, sono realmente esistiti “e hanno fatto e detto le cose che fanno e dicono in questo romanzo”. Come per tutti i libri di Eco anche questo un viaggio di particolare intensità nel tempo e nell’animo umano che non si può compiere con leggerezza, se si vuole davvero entrare nelle pieghe di falsi e protocolli di questo eroe nero costruttore d’odio, non ancora scomparso.
Umberto Eco
Alto Adige 1-11-10

postato da: apritisangia alle ore 06:46 | Permalink | commenti
categoria:letture

domenica, 31 ottobre 2010



«Anche voi foste stranieri»

FRANCESCA LAZZARO
Torna a Bolzano il percorso Madre Terra a cura del Teatro Cristallo e della Caritas diocesana sulle tematiche dell’immigrazione. Ad inaugurare quest’anno il ciclo di iniziative sarà don Antonio Sciortino, direttore di Famiglia Cristiana, che presenterà, giovedì 4 novembre alle ore 20.30 al Cristallo - ingresso libero -, il suo ultimo libro «Anche voi foste stranieri», edito da Laterza.
 Don Antonio Sciortino, come nasce l’idea di scrivere questo libro? Sotto quale urgenza?
 
L’urgenza è nota: il tema dell’immigrazione è vivo, c’è un dibattito fortissimo e il Paese si è spaccato in due, così come la stessa comunità ecclesiale. L’idea non è stata mia perché io scrivo abitualmente di questi temi su “Famiglia Cristiana”, ma è stato un editore laico come Laterza che, avendo visto i reportage sul settimanale, è venuto a chiedermi di scrivere un libro e ho accettato volentieri.
 Nel suo libro divide l’Italia in due: da una parte c’è chi si batte contro l’immigrazione mosso da sentimenti di chiusura totale e dall’altra chi invece coglie l’immigrazione come un’opportunità. Ci può fare due esempi concreti di questo Paese scisso?
 
Questo Paese mi pare davvero spaccato perché c’è chi non vuole vedere il fenomeno e mette la testa sotto la sabbia, facendo la “politica dello struzzo”. C’è poi invece l’Italia che nota il problema ma vede questa presenza come un’opportunità. Gli esempi di chi non vuole affrontare il problema credo che siano alcuni movimenti politici che l’osteggiano in tutti i modi. Di esempi positivi di integrazione ce ne sono tanti ma purtroppo i media ne parlano pochissimo. Ne cito uno che è una sorta di laboratorio, “Mazara del Vallo” con la sua numerosa comunità maghrebina che vive insieme alla comunità locale, lavorando negli stessi pescherecci. Lì c’è la Fondazione di San Vito che fa un’opera eccellente di interculturalità, aiutando gli abitanti a capire e scoprire le tradizioni diverse dalle nostre.
 Parliamo della “chiusura”: il rischio xenofobia, come lei stesso sostiene, è altissimo. Quali sono i meccanismi che inducono una città, una comunità a chiudersi in se stessa?
 
Io credo che sia la paura. In un momento di crisi le ansie vengono accentuate: la paura per la crisi economica fa sì che non si voglia dividere ciò che si ha con gli altri, siano essi stranieri o italiani, di per sé non importa, ma la diffidenza si nota di più nei confronti degli immigrati. E poi in un momento di crisi di “pensiero”, si trova sempre un capro espiatorio su cui scaricare le inefficienze e il malessere di un Paese. E’ un atteggiamento che non va assecondato: alimentare il senso di insicurezza, nonché i luoghi comuni sugli stranieri, non aiuta ad andare lontano.
 A proposito dei sentimenti di xenofobia che sono di tanti italiani, è della settimana scorsa l’omicidio della donna romena, Maricica Hahaianu da parte di Alessio Burtone e degli squallidi cori di incitamento che ne hanno accompagnato l’arresto. Da dove nasce quest’odio e, soprattutto, crede che sia possibile, una volta innestato, fermarlo in qualche modo?
 
Bisogna farlo. In questo io credo che i mezzi di informazione abbiano una grave responsabilità sia in senso positivo che negativo. Quando alimentano le paure, gli stereotipi o quando enfatizzano i reati dove i protagonisti sono gli stranieri, non fanno un’opera di crescita della democrazia di questo Paese. Bisognerebbe che i media ricercassero davvero la verità e i fatti, senza enfatizzare le insicurezze. Il fenomeno degli stranieri in mezzo a noi va raccontato in tutte le sue sfaccettature; non bisognerebbe ignorare che gli stranieri sono “una scomodità” come dice don Nozza della Caritas, ma sono “anche una risorsa”. Per un Paese come il nostro, che ha il tasso di natalità più basso del mondo, dobbiamo considerare gli immigrati anche come una risorsa demografica, oltre che economica.
 C’è un’Italia che aiuta l’altro e che si impegna gratuitamente per il prossimo ma non fa notizia. E’ veramente minoritaria questa parte di popolazione? Come potrebbe contare di più nel dibattito pubblico sui costi/benefici dell’immigrazione?
 
Girando per l’Italia ho scoperto un’Italia solidale e ci sono tante esperienze che lo dimostrano. Anche nelle regioni più xenofobe paradossalmente ci sono anche realtà della massima apertura e accoglienza verso gli stranieri. Certo è che fa più notizia chi fa “chiasso”, tanto più che molti giornali preferiscono gli aspetti negativi rispetto a quelli positivi. L’Italia deve programmare il suo futuro non a prescindere dagli stranieri, ma a partire dagli stranieri.
Alto Adige 31-10-10
postato da: apritisangia alle ore 05:51 | Permalink | commenti
categoria:letture
venerdì, 29 ottobre 2010



 «Biblio24» libri e riviste si leggono direttamente sul pc

BOLZANO. Per andare in biblioteca a studiare adesso non sarà più necessario recarsi in... biblioteca. È stato presentato ieri, presso la Fondazione Cassa di Risparmio, il nuovo servizio «Biblio24» realizzato dalla biblioteca provinciale Tessmann. Il sistema consente, connettendosi al sito www.biblio24.it o a www.tessmann.it, di scaricare libri, audio, video, riviste e giornali in formato digitale senza alcun costo aggiuntivo. L’unico passaggio formale è quello di registrarsi con un proprio account e una password personale. La library del servizio comprende 7.000 supporti elettronici.
 Questo patrimonio è composto da supporti in buona parte compatibili con lettori di e-book, smartphone e, naturalmente, con un programma che legga i file Pdf, generalmente «Acrobat Reader», sul proprio pc. Il documento scelto dall’utente viene quindi scaricato e rimane a disposizione per un determinato lasso del tempo scaduto il quale il file viene ripreso dalla biblioteca con il vantaggio, quindi, di non rischiare di incorrere in eventuali ritardi e conseguenti more. I destinatari dell’iniziativa sono in particolar modo gli studenti o i giovani in età scolare, solitamente abituati alla consultazione di documentazione elettronica, ma anche chi è impossibilitato a recarsi fisicamente negli spazi della biblioteca. Chiaramente il sistema sul web slega completamente il servizio bibliotecario dalla sua sede e permette, potenzialmente, l’accesso alla raccolta da qualsiasi punto del mondo che possieda un allacciamento a internet. Per effettuare l’account, comunque, è necessario essere possessori della tessera della biblioteca.
 Soddisfatto dell’iniziativa il presidente delle Fondazione Carispa Gerhard Brandstätter. «Si tratta - ha detto - di un’offerta molto interessante per tutta la società e uno sguardo verso il futuro. Era importante esserci come supporto». L’assessore alla cultura tedesca Sabine Kasslatter-Mur concorda: «La tecnologia ha cambiato il nostro modo di approcciarci al lavoro e allo studio, quindi è giusto che anche gli studenti possano sfruttare appieno questo potenziale. La biblioteca provinciale si è presa l’onere di fare da apripista in un servizio gratuito che speriamo possa avere una diffusione capillare sul territorio. Il libro classico in pericolo? Non credo, anzi, sono convinta che tutto questo contribuisca a una maggiore diffusione anche dei volumi cartacei». Il presidente della Tessmann Georg Mühlberger inquadra lo sviluppo in una scia filosofica della biblioteca «che fin dalla fondazione si è presa il compito di essere al fianco di studenti e lavoratori. Con questo sistema ci siamo sempre: 7 giorni su 7, 24 ore su 24». Lo sviluppo tecnico di Biblio24 è stato seguito da Johannes Andresen: «Già esistono delle iniziative simili, come quella coordinata da Google - ha dichiarato -, ma noi puntiamo a coprire un settore su cui la multinazionale americana non arriva. Mi riferisco per esempio ai quotidiani storici della nostra provincia. In connessione con una biblioteca, comunque, siamo tra i primi in Italia a realizzare un simile servizio e il processo di digitalizzazione continua a svilupparsi con grande entusiasmo».
Alto Adige 29-10-10
postato da: apritisangia alle ore 06:23 | Permalink | commenti
categoria:letture
domenica, 24 ottobre 2010



Polo bibliotecario bilingue a Ora

MASSIMILIANO BONA
ORA. Dall’estate prossima le due biblioteche, quella italiana e quella tedesca, saranno per la prima volta sotto lo stesso tetto. Ci sarà un solo bancone per i prestiti, ma i patrimoni librari resteranno separati.
 Sono anche queste prove pratiche di convivenza in una realtà, come quella della Bassa Atesina, dove l’interetnicità è comunque di casa e la Volkspartei soffre non poco la vitalità delle liste civiche. «La cultura - sottolinea il vicesindaco Claudio Mutinelli di Insieme/Miteinander - è universale e questa è stata una delle scelte più lungimiranti, anche sotto il profilo dei costi, degli ultimi 10 anni del Comune di Ora. È un sogno che si avvera e sono convinto che nel medio periodo sarà possibile arrivare anche ad un archivio e ad una catalogazione unica dei testi».
 Nei giorni scorsi c’è stato l’atteso sopralluogo, per fare il punto sui lavori, al quale hanno partecipato la giunta e i direttivi delle due biblioteche. La parola d’ordine è integrazione, come testimoniano del resto le proficue riunioni tenutesi nell’ultimo periodo. I previsti interventi al nuovo polo bibliotecario - che ospiterà anche il centro Elki e una microstruttura per l’infanzia - avevano subito una battuta d’arresto perché era andato deserto l’appalto per la realizzazione della facciata. «L’importo a base d’asta - spiega il sindaco Roland Pichler - era di mezzo milione di euro, ma siamo dovuti salire a 560 mila per attirare l’interesse delle aziende del settore». Ad aggiudicarsi i lavori è stata la Pro Metal di Roveré della Luna, che realizzerà una struttura in metallo e vetro, che assomiglierà al foyer dell’aula magna. Il completamento di questo lotto dei lavori è fondamentale per il rispetto della tabella di marcia, perchè solo quando saranno ultimate le facciate potranno iniziare a lavorare gli altri artgiani. A breve pertanto saranno eseguiti l’impianto idraulico, quello elettrico e il tetto e a seguire sarà la volta dei pavimenti e dell’arredamento.
 Non ci sono problemi - come sottolinea il sindaco Pichler - per il finanziamento. I fondi, fatta eccezione per i mobili, sono infatti già integralmente garantiti da contributi. «In linea di massima - prosegue il sindaco - dovremmo riuscire a rispettare la prevista data di consegna, ovvero il luglio 2011. Il nuovo polo bibliotecario è destinato a diventare un motivo di vanto per il nostro Comune».
 La gestione dei libri, come detto, resterà separata, in quanto i sistemi di catalogazione sono diversi e unificarli sarebbe stato eccessivamente problematico. Sabrina Toso della biblioteca italiana si aspetta molto «dalla collaborazione a livello di promozione della lettura, soprattutto per quanto attiene le generazioni più giovani. Con due biblioteche sotto lo stesso tetto sarà più facile invitare le persone a leggere libri anche nell’altra lingua. Un neo? La soluzione ideale, alla luce dell’unificazione delle due strutture, sarebbe che entrambe le biblioteche fossero comunali. La Dante Alieghieri, seppur riconosciuta dalla Provincia, è una biblioteca di circolo». Soddisfatta anche Martine Mittermair della biblioteca tedesca. «Il punto dei prestiti in comune è importante, perché l’obiettivo non è lavorare affiancati, ma collaborare realmente».
 Sul fronte personale invece il Comune ha pubblicato il bando per coprire un posto da bibliotecario di settimo livello.
Alto Adige 24-10-10
postato da: apritisangia alle ore 07:46 | Permalink | commenti
categoria:cultura, letture, conca atesina
sabato, 23 ottobre 2010



Biblioteche storiche: censiti 500 mila libri in tutta la provincia

G. VONMETZ SCHIANO
Il progetto di maggior impegno e di più ampio respiro tra quelli finanziati dalla Fondazione Cassa di Risparmio è quello denominato Cbs (Censimento delle Biblioteche Storiche). Sono 14 anni che il lavoro sta procedendo in tutta la provincia e ora sono stati raggiunti e superati i 500 mila volumi censiti. L’avvenimento è stato sottolineato ieri con un evento intitolato «Eredità e innovazione» nella sala Agostiniana dell’Abbazia di Novacella, alla presenza del vicario generale Matzneller e del presidente della Fondazione Brandstätter. Il progetto di censimento del patrimonio librario viene portato avanti in accordo con la Diocesi. Dell’organizzazione e della direzione è incaricato padre Bruno Klammer, presidente di Bibliogamma Onlus.
 Attualmente vengono censite prevalentemente biblioteche di strutture ecclesiastiche (Convento di Novacella, Vinzentinum di Bressanone, Convento dell’Ordine Teutonico di Lana, Convento degli Eucaristini di Bolzano, Decanato della val Badia) ma significativamente il primo dei sette volumi monografici dedicati a questa impresa riguarda il lavoro svolto alla biblioteca del Museo Civico di Merano. Scopo del Cbs è preservare dalla liquidazione il patrimonio di libri storici della provincia, così da renderlo accessibile al pubblico ed alla ricerca scientifica. Il livello assoluto e l’importanza mondiale dell’operazione sono dimostrati dal fatto ben il 15% dei contatti con il sito dell’archivio (www.ehb.it) è opera di studenti o ricercatori statunitensi. Attualmente sono coinvolti nel progetto Cbs dieci tra collaboratrici e collaboratori (biblioteconomi, filologi, storici, teologi ecc.) in cinque diverse postazioni sul territorio altoatesino.
Alto Adige 23-10-10
postato da: apritisangia alle ore 07:47 | Permalink | commenti
categoria:letture
sabato, 23 ottobre 2010



Oggi la Biblioteca civica apre a famiglie e bimbi e presenta la nuova sala

BOLZANO. Oggi si tiene per la seconda volta la «Giornata delle Biblioteche» organizzata dal Bibliotheksverband Südtirol, alla quale partecipano anche le biblioteche italiane. Molte le iniziative in tutta la provincia: porte aperte, colazioni letterarie, incontri con autori e tanti altri appuntamenti. Particolarmente ricco il programma della Biblioteca civica «Battisti» di Bolzano.
 Quella che per tutti i bolzanini è semplicemente «la civica» ha ampiamente superato gli 80 anni di storia e ha un patrimonio di oltre 260.000 libri in italiano, tedesco e altre lingue. I suoi libri sono in grandissima parte depositati in magazzino e quindi sono accessibili al pubblico solo attraverso il catalogo che, comunque, è comodamente consultabile online anche da casa. Per oggi la biblioteca invita i lettori a visitare la sala lettura rinovata nelle sue funzioni e a vedere, sfogliare, toccare, leggere e prendere in prestito i libri che di solito sono conservati nel magazzino. Da oggi per altro la sala grande avrà una nuova disposizione e si potranno trovare le novità ed i libri più interessanti, su alcune particolari tematiche. A disposizione libri di narrativa contemporanea, per bambini e ragazzi e per i loro genitori che cercano consigli e spunti sul difficile lavoro educativo, musica e cinema per giovani ed appassionati, arte per godere delle bellezze del passato, viaggi e turismo dove poter consultare facilmente guide e trovare gli itinerari più adatti alle singole esigenze, escursioni e tempo libero per avere in biblioteca l’occasione di incontrare spunti ed idee per passare bene le proprie ore libere, hobby e bricolage con proposte per lavori manuali, piccole riparazioni, cucina e sport. Gran parte dei libri che verranno esposti, resteranno poi definitivamente negli scaffali della sala lettura, in modo che tutti possano vederli, sfogliarli, e decidere se leggerli. Inoltre sempre da oggi la sala avrà anche una postazione reference fissa con un bibliotecario a disposizione del pubblico per domande, informazioni e ricerche.
 E ancora: oggi alle 10 «caffè in biblioteca» mentre il pomeriggio - dalle 15 - sarà dedicato soprattutto ai più piccoli, con un laboratorio dove i bambini, aiutati dall’illustratrice Eleonora Cumer, potranno realizzare i loro libri illustrati. Alle 16 merenda per tutti.
 Come detto, oggi tante altre biblioteche altoatesine organizzano manifestazioni ed eventi. A Bolzano, oltre alla civica, bisogna registrare almeno due novità che sono state annunciate proprio in occasione di questa «Giornata». La prima riguarda la biblioteca della Lub, che da oggi aggiunge al catalogo informatico della rete scientifica anche la biblioteca dell’istituto di cultura ladina «Micurà de Rü» (oltre alle altre istituzioni già presenti come Eurac, Museion, Claudiana, Studio teologico-accademico, ecc). L’altra riguarda la biblioteca provinciale tedesca Tessmann che dal 28 ottobre metterà a disposizione degli utenti e-book e periodici da scaricare gratis online dal sito www.biblio24.it.
Alto Adige 23-10-10
postato da: apritisangia alle ore 07:41 | Permalink | commenti
categoria:letture
venerdì, 22 ottobre 2010



Sepúlveda racconta Franz Thaler

FRANCESCO COMINA
È un grande uomo. Lo ricorderò nei miei libri». Era commosso il grande scrittore cileno Luis Sepúlveda, uno dei narratori più amati al mondo, dopo la giornata passata a casa di Franz Thaler a Sarentino nel marzo del 2008. Fu una giornata intensa. Il fotografo argentino Daniel Mordzinski, fece numerosi scatti. La moglie di Sepúlveda Carmen Yanez, poetessa cilena torturata a Villa Grimaldi dai militari di Pinochet, sentiva una vicinanza straordinaria con l’uomo che sfidò le Ss e finì a Dachau: «Conosciamo la violenza della dittatura - disse - condividiamo il medesimo sogno di pace e di fratellanza». Thaler sorrideva, come sempre, con il suo bicchiere di vino rosso in mano e la sigaretta accesa. Abbracciava tutti e tentava di parlare il suo stentato italiano.
 Sono passati due anni e Luis Sepúlveda ha mantenuto fede alla promessa. Nel suo nuovo e attesissimo libro, «Ritratto di gruppo con assenza» (Guanda) in uscita nelle librerie di tutta Italia, tratteggia anche la figura di Franz Thaler.
 Sepulveda verrà in regione a presentare il suo libro il 12 e 13 novembre su invito del Centro per la Pace. Venerdì 12 alle ore 20.30 parlerà all’Auditorium Santa Chiara di Trento intervistato dallo scrittore napoletano Bruno Arpaia nell’ambito dei «Dialoghi internazionali: se vuoi la pace prepara la pace» organizzati da Centro per la Pace e Provincia di Trento. Sabato 13 novembre alle ore 11 il dialogo pubblico fra Sepúlveda e Arpaia si terrà nella Libera Università di Bolzano con la presenza del presidente Konrad Bergmeister e del rettore Walter Lorenz.
 Il capitolo in cui si parla di Thaler si intitola «Alchimia della luce, del rispetto e del miracolo». Sepúlveda racconta la maestria del fotografo Daniel Mordzinski, la sua capacità di cogliere l’attimo migliore per imprimere sulla carta brandelli di vita in un incontro di luci e di ombre. Mordzinski - le cui foto accompagneranno anche il prossimo romanzo dell’autore cileno, «Ultime notizie dal Sud», di cui Sepúlveda sta finendo di correggere le bozze - ha seguito Sepúlveda in tutti i suoi viaggi nel mondo, ha raccolto migliaia di fotografie che col tempo ampliano la mostra dedicata allo scrittore: «Non ho mai conosciuto un fotografo rispettoso come Daniel Mordzinski - scrive Sepúlveda -. Ha lo strano dono di rendersi invisibile, trasparente, quasi incorporeo, finché qualcuno non domanda: ma dov’è Daniel? E allora lui appare da dietro e dice: ho un’idea...».
 Disse proprio così a Sarentino nella bottega di Franz Thaler: «Mettetevi intorno alla stufa che faccio qualche scatto». Ecco come lo ricorda Sepúlveda: «In un paesino tirolese - si legge nel libro a pagina 91 - lo aspettava Franz Thaler, eroe novantenne sopravvissuto ai campi di concentramento, antifascista ieri, oggi e domani, che si guadagna la vita incidendo splendide miniature sul metallo. Certo quell’uomo invitava a scattare fotografie epiche alla luce di ciò che raccontava con estrema umiltà: aveva fatto la cosa giusta al momento giusto. La macchina fotografica di Daniel si fissò sulle sue mani di uomo giusto perché l’essenziale della storia era là, e sulla stufa a legna che riscaldava quella piccola casa tirolese, emanando un calore generoso e necessario».
 Franz Thaler mostrò a Sepúlveda gli oggetti del suo artigianato: portachiavi in pelle, incisioni su cinture, cappelli, ricami di grembiuli. Sorrideva e fumava. Ad un certo punto il gatto di Thaler saltò sulle spalle di Sepúlveda e la scena venne immortalata. Tutti risero pensando alla «Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare» il racconto più famoso di Sepulveda divenuto anche un cartone animato di successo.
 Si andò tutti a mangiare in un tipico ristorante di Sarentino: Franz con il suo cappello tirolese, Daniel con la sua macchina sempre pronta a colpire, Carmen emozionata, quasi in lacrime e Sepúlveda con il suo sigaro e solito volto pieno di misteri. Ma prima di entrare nel Gasthof (Sepúlveda che ha vissuto vent’anni in Germania e parla bene il tedesco) si avvicinò a Thaler e gli mise una mano sulla spalla conversando per qualche minuto.
 «La vita è piena di storie» scrive nel suo libro. Le storie di Sepúlveda sono infinite e misteriose. Nel libro c’è un po’ tutto: il Cile del grande sogno socialista di Allende, il circolo musicale della cantante Violeta Parra e dei suo figli, le brigate muraliste che accendevano Santiago di mille colori e tante utopie, i ricordi degli amici del Gap (Grupos de amigos personales de Salvador Allende), gli eroi fragili che difesero il presidente fino all’ultimo disperato tentativo di resistenza che culminò con il suicidio al palazzo de la Moneda prima che venisse bombardato, l’incubo del golpe con l’esilio dello scrittore durato fino al 1990 e la partecipazione alla guerriglia in Nicaragua con i combattenti della Brigada Internacional Simòn Bolivar. E poi ci sono i tanti amici e maestri incontrati, da Ryszard Kapuscinski a Mario Benedetti a Neruda.
 E fra tutte queste celebrità internazionali anche il sudtirolese Franz Thaler, sopravvissuto a Dachau, antinazista «oggi e domani».

L’esiliato e il Dableiber
Luis Sepúlveda, cileno, è nato nel 1949. Ha iniziato molto giovane a scrivere racconti. Di formazione marxista, arrestato e torturato dopo il golpe di Pinochet, fu poi condannato all’esilio e visse in diversi Paesi sudamericani, prima di trasferirsi negli anni Ottanta in Germania. È stato un militante di Greenpeace. Vive in Spagna. È autore di romanzi tradotti in tutto il mondo; il suo primo grande successo internazionale è stato «Il vecchio che leggeva romanzi d’amore».
 Franz Thaler, sarentinese, nato nel 1925, Dableiber, è stato internato dai nazisti a Dachau dopo essersi rifiutato di arruolarsi nella Wehrmacht. Ha pubblicato con Raetia «Dimenticare mai».
Alto Adige 22-10-10
postato da: apritisangia alle ore 07:18 | Permalink | commenti
categoria:cultura, letture
mercoledì, 20 ottobre 2010


Mauro Corona racconta la fine apocalittica del nostro mondo storto

CARLO MARTINELLI
Volete bene a Mauro Corona? Avete letto tutti e quindici i libri che ha finora scritto? Allora tenetevi forte. Perché il volo della martora sembra davvero finito: l’hanno bella che fucilata e mangiata. Le voci del bosco si sono spente. Persino il cuculo sembra non cantare più. Di aspro e dolce non v’è più nulla, da queste parti: tutto è buio, metallico, mortifero. E i fantasmi di pietra - stiamo citando a man bassa i titoli dei suoi libri, lo si è capito - sembrano agnellini al confronto di quel che ci sta per capitare.
Sissignori. L’apocalisse è dietro l’angolo e ve la racconta proprio lui, lo scultore scrittore alpinista polemista (e chi più ne ha più ne aggiunga: abbiamo pure rischiato di ritrovarcelo all’Isola dei famosi, ma il nostro si è fermato in tempo e di questo gli va dato atto) di Erto. O di Ripido, se volete, visto che tra le pagine della sua più recente fatica, un ruolo non secondario hanno i decespugliatori che gli abitanti di Ripido hanno acquistato in gran numero. Il risultato? Rumori insopportabili e inquinamento nell’aria. Ma tutto questo succedeva nel mondo storto e ora - presto, prestissimo - proprio il mondo storto, avido e incapace di capire la natura, dimentico degli antichi mestieri e della saggezza degli antenati, sta per finire.
Come? Semplice: non c’è più carburante. Si fermeranno le macchine e non funzionerà più il riscaldamento. Il freddo avvolgerà le città e le campagne. La gente morirà di freddo e di fame, in gran numero (Corona ipotizza che in pochi mesi la catastrofe tecnologica si porti via i tre quarti dell’umanità), gli uomini e le donne che si salvano (anziani e bambini, i più deboli, cadono come mosche) ci riescono mangiando altri uomini e altre donne. Insomma, cannibali del mondo storto.
Sì, è un pugno nello stomaco quello che Mauro Corona assesta ai suoi (molti) lettori. Nel suo «La fine del mondo storto» - questo il titolo dell’apocalittico romanzo appena pubblicato da Mondadori -, Corona non ha dubbi. Gli esseri umani sono avidi, ciechi, egoisti. Schiavi di un progresso tecnologico senza senso. Gli uomini non sanno più usare le mani, scrive Corona, e quando il primo, terribile inverno senza carburante li trasformerà in disperati che bruciano tutto quel che trovano (porte, letti, mobili, libri, quadri, crocifissi, alberi) pur di scaldarsi, li si misurerà nelle loro tristi capacità. Con quelle mani, ruggisce Corona, gli uomini moderni hanno solo saputo ticchettare sui pc (ma la fine dell’energia è anche la fine di tutti gli schermi, di ogni telefonino, di tutte le tv) e masturbarsi. Stop. C’è una rabbia devastante nel libro che Corona ci consegna. Ricchi, giornalisti, scrittori subiscono la peggior fine. La sede della Mondadori, la sua attuale casa editrice, diventa stalla per buoi, mucche e pecore. Se ci sarà salvezza verrà dalla montagna, da qualche contadino saggio che insegna ai sopravvissuti i rudimenti della coltivazione e dell’allevamento. Forse non tutto è perduto. Forse...

«L’uomo? L’unico essere a estinguersi per imbecillità»
Centossessanta pagine, 12 capitoli divisi in due quaderni: è una sorta di diario ultimativo quello che Mauro Corona (classe 1950) ha stipato ne «La fine del mondo storto» (Mondadori, 18 euro). Lo ha fatto con una furia iconoclasta solo in parte prevedibile. Certo l’uomo è avvezzo a scatti, invettive, solenni arrabbiature che però, finora, erano sembrate temperate da una umanità generosa e dalla pacificazione sempre assicurata dalla «sua» Madre Natura. Ed invece: «L’uomo sarà l’unico essere vivente ad autoestinguersi per imbecillità». Parola di Mauro Corona, apocalittico senza pietà. Lascia senza fiato, la lettura. Qua e là, a dirla tutta, le pagine sembrano attraversate da una certa fretta, quasi dall’urgenza di consegnare il manoscritto. E un certo schematismo manicheo - Corona da tempo si è messo dalla parte dei buoni: il che gli ha pure portato bene, evidentemente - rende meno efficace e non sempre credibile il suo grido rabbioso. Però questo mondo storto - quello di adesso, ora e qui - esiste, vivaddio. Meglio saperlo, a evitare i guai peggiori che il lettore troverà disseminati in ogni dove nel romanzo. (c.ma.)
Alto Adige 20-10-10
postato da: apritisangia alle ore 05:53 | Permalink | commenti
categoria:letture
martedì, 19 ottobre 2010


Martire, nazista, antieroe Le mille vite di Hofer nel corso della storia

MARCO RIZZA
Un martire cattolico o un mito da decostruire? Un patriottico o un contadino «con il rosario in una mano e la bottiglia nell’altra»? Un protonazista o il simbolo dei Dableiber? Insomma: quanti vestiti sono stati fatti indossare ad Andreas Hofer dal 1810? Pepi Feichtinger e Luis Benedikter hanno raccolto nel libro «Hofers fünf Hüte» i testi originali di due secoli di storiografia hoferiana divisi in cinque sezioni: i cinque «travestimenti» di cui Hofer è stato involontario protagonista. Ogni epoca ne ha fatto il «suo» eroe, a volte contraddicendo l’interpretazione precedente.
 Racconta Pepi Feichtinger che i primi a fare di Hofer il proprio eroe sono stati i cattolici: «In quest’epoca - dice - i testi più significativi sono forse quelli di Beda Weber, monaco benedettino a Monte Maria e insegnante al liceo meranese che oggi porta il suo nome. Weber negli anni Venti ne fa un martire della fede e della religione: quindi non come politico, cosa che in effetti Hofer non era, quanto come eroe cristiano conservatore. Va anche ricordato che il Tirolo era stato da poco riannesso all’Austria e il clima non era dei migliori: gli Asburgo non si fidavano dei tirolesi e Metternich guardava con sospetto Hofer in quanto eroe popolare». In pochi anni però l’atteggiamento cambia: «Vienna capisce che grazie al mito di Hofer si sarebbe potuto legare il Tirolo: nascono gli Schützen come “associazione” e da allora i tirolesi resteranno tra i sudditi più fedeli agli Asburgo». Sono le fondamenta per la mitologia di Hofer padre dell’Heimat: l’iconografia che vive ancora oggi. Alla fine dell’Ottocento Hofer indossa però un altro cappello: il cilindro della borghesia. «È l’epoca dei liberali - prosegue Feichtinger -, che guardano quella retorica con scetticismo. Come Josef Streiter, giurista, anticlericale, sindaco di Bolzano. Il suo ritratto di Hofer è fortemente sarcastico: “abituato fin da giovane a prendere come oracoli le parole dei sacerdoti...”, dice, e aggiunge: “Aveva il rosario in una mano e nell’altra la bottiglia”. Ma la rappresentatività dei liberali era limitata. Quello che si fa strada, invece, è un nuovo nazionalismo». Eccoci così al terzo cappello di Hofer: quello dei Kaiserjäger. «Dal 1890 fino al 1914 - dice Feichtinger - i nazionalisti ne fanno un eroe tedesco: cosa per altro assurda perché Hofer era un patriota della val Passiria, al massimo tirolese, ma certamente non tedesco...». La guerra finisce, il Tirolo viene diviso, e Hofer indossa il quarto cappello: un elmetto. Prima diventa un eroe dei nazionalisti antifascisti. Poi viene fatto proprio dall’ideologia nazista: è il caso del conte Bossi-Fedrigotti, per citare un caso. Ma, proprio a testimonianza della tesi di fondo del libro, anche gli antifascisti militanti si ispirano ad Andreas Hofer, tanto da assumere il suo stesso nome per l’organizzazione clandestina che mettono in piedi (è il gruppo di Volgger, Egarter, Mayr-Nusser ecc). Nel volume viene riportato un testo di Egarter che, citando la vita di Hofer, si schiera coi Dableiber: e infatti anche questi ultimi si richiamavano a Hofer, come testimonia per esempio Maria Veronika Rubatscher. Nel Dopoguerra arriva il quinto «cappello», che sintetizza un atteggiamento ancora una volta doppio: «Da un lato col ritorno del nazionalismo degli anni ’50 Hofer si trasforma di nuovo nell’eroe della Heimat tirolese, il modello conservatore che arriva fino a Eva Klotz oggi: una rivistazione che, per esempio, trasforma i soldati che hanno ucciso Hofer da napoleonici in italiani tout court...». Ma dall’altro cresce in Alto Adige anche una generazione di giovani per i quali Hofer è il simbolo del passato da contestare: è la generazione dei Kaser, degli Zoderer, e dei nuovi storici che rivisitano in chiave scientifica quella figura così controversa. E così l’eroe viene profanato - restando pur sempre un eroe. Tornando alla domanda iniziale: chi era il vero Hofer? «Un brav’uomo - dice Feichtinger -, un patriota, un cattolico. Non un politico e sicuramente non un genio militare. Forse è stato sopravvalutato, ma era un uomo che aveva qualcosa da dire».
Alto Adige 19-10-10
postato da: apritisangia alle ore 12:58 | Permalink | commenti
categoria:letture
domenica, 17 ottobre 2010


Parte il progetto «Lo scrigno dei libri»

 Domani alle 11, nella sala al secondo piano del municipio di Laives, presente il sindaco, verrà presentato il progetto «Lo scrigno dei libri».

postato da: apritisangia alle ore 08:28 | Permalink | commenti
categoria:cultura, letture
sabato, 16 ottobre 2010








Alto Adige, terra di confini violati

Nel volume di Wallisch e Righi tante vicende ai margini della storia ufficiale: dai «bambini svevi» ai ladini fassani

ANDREA MONTALI

Trenta itinerari da percorrere con lo zaino in spalla, o da leggere e immaginare comodamente sdraiati sul divano di casa. «Lungo i confini dell’Alto Adige», volume edito dai tipi della Folio, è una pubblicazione atipica, di difficile collocazione. Densa di storie e immagini, può essere fruita come una guida escursionistica sui luoghi della memoria, oppure come un prezioso raccoglitore di vicende che la storiografia ufficiale ha dimenticato. Il primo confine a essere percorso e superato dai due autori, i coniugi Luisa Righi e Stefan Wallisch, è quindi quello editoriale. «Il filo rosso che lega i trenta capitoli-escursioni è quello del confine, inteso in un’accezione ampia, volta a raccogliere ed includere testimonianze riguardanti tutto il territorio altoatesino - racconta Righi - ma quello che ci interessava veramente, erano le vite delle persone che di questi luoghi hanno segnato la storia».

Il lavoro di ricerca e stesura dei due autori (entrambi giornalisti), durato quasi due anni, riesce a scandagliare la complessità e varietà del territorio e della popolazione altoatesina, spiegando e superando le divisioni politiche, etnico-linguistiche e territoriali. Con la forza insita della storia, svincolata da faziosità e revisionismo. «Una delle vicende che più mi ha colpito - racconta Stefan Wallisch - è quella dell’esodo dei profughi ebrei dall’Europa centro-orientale verso la Palestina: oltre cinquemila persone lasciarono l’Austria attraverso il Passo dei Tauri, a 2633 metri di quota, per poi scendere in valle Aurina: un fatto di enorme rilievo storico, che pochi rammentano». Era il 1947. Il passo del Brennero e quello di Resia erano controllati dagli Alleati che, su pressione dell’Inghilterra, cercavano di bloccare l’enorme flusso di persone verso la «Terra promessa» (al periodo la Palestina era sotto mandato inglese). Dal Krimmler Tauernhaus, rifugio locato nella Achental, primo avamposto dei profughi, alla pensioncina Gasthof Kasern di Casere (valle Aurina), le ore di cammino erano dieci. I profughi, fra i quali anche bambini e anziani, erano per la maggior parte sprovvisti dell’adeguata attrezzatura. Erano accompagnati nel cammino da guide alpine ingaggiate dall’organizzazione clandestina ebraica «Bricha», che aveva preparato la fuga minuziosamente. Una di queste guide, Viktor Knopf (morto nel 1998), raccontava che sia la gendarmeria austriaca che i carabinieri, davano una mano a questa gente disperata. Nel dramma, anche la solidarietà aveva varcato i confini.

Un’altra storia particolarmente forte è il drammatico destino dei cosiddetti «bambini svevi»: figli dei contadini poveri della val Venosta, gli «Schwabenkinder» si spostavano (a piedi) in Svevia, dove venivano comprati da abbienti famiglie locali (in veri e propri mercati, chiamati «Kindermarkt») per svolgere i mestieri stagionali di domestici, braccianti o guardiani di bestiame. Questa brutale forma di emigrazione forzata e di sfruttamento, è continuata fino alla seconda metà degli anni Trenta quando, anche su pressione dell’opinione pubblica, è venuta meno.

Nel libro c’è spazio anche per storie più leggere, come quella dei contrabbandieri venostani: popolani che, spinti dalla miseria, importavano dalla vicina Svizzera caffè, tabacco, e saccarina. Alcuni di loro, come l’anziano contadino Alfons Ortler, sono ancora in vita, e senza remore hanno raccontato le loro avventure alla coppia di autori.

Divertenti, anche se intrisi comunque di drammaticità, degli episodi inerenti le vicissitudini degli artisti ladini della val di Fassa (che non è Alto Adige: un altro confine che il libro riesce a superare). Costretti «a spostarsi a lavorare nel Voralberg, in Tirolo, nel Salisburghese, in Stiria, Carinzia e nella Baviera, ma anche in Ungheria, Svizzera e Francia», mantenevano con i familiari una fitta corrispondenza epistolare. Come nel caso del pittore ambulante Franzeleto Bernard di Pera (Pozza di Fassa) che, in una cartolina (riprodotta integralmente nelle pagine del libro), scrisse da Karlsruhe: «Mi ho comperato una berretta alla russa, facio uno spaco bestia!».

«Lungo i confini dell’Alto Adige» è reperibile sia in edizione italiana che tedesca. Nel volume è pubblicata anche un’intervista a Reinhold Messner, che discute proprio di confini. Messner parla anche del Tirolo: «L’antico Tirolo - dice - è stata una realtà tedesca e italiana. Andava da Kufstein fino a Cortina e al lago di Garda, quindi non solo fino a Salorno, come qualcuno vorrebbe far credere cavalcando l’onda germanofila. In questo modo si ignora volutamente un terzo del territorio dell’antico Tirolo». A quasi 20 anni dall’impresa «Attorno al Sudtirolo», in cui assieme a Kammerlander aveva percorso in 41 giorni il confine dell’Alto Adige, Messner analizza anche il suo mutato concetto di «Heimat»: «Ora più che mai mi sento sudtirolese ed europeo, ma anche tirolese. Vedo grandi potenzialità nei territori dell’antico Tirolo che a livello europeo e mondiale si potrebbe posizionare meglio del piccolo Sudtirolo. Per far rinascere l’antico Tirolo non serve il doppio passaporto: è sufficiente collaborare per superare i confini».

Alto Adige 16-10-10

postato da: apritisangia alle ore 17:43 | Permalink | commenti
categoria:letture
domenica, 10 ottobre 2010


«Giorni strani»: Paolo Valente racconta le ansie dei giovani

CARLA SPILLER
E siamo a otto. Per la raccolta «Ad Alta Voce/Stille Post» viene distribuita in questi giorni la quarta e penultima coppia di volumetti di autori sudtirolesi che raccontano il sociale. Gli scrittori coinvolti questa volta sono Paolo Valente con «Giorni strani» e Birgit Unterholzner con «Einen Sommer lang». Paolo Bill Valente, scrittore e giornalista, è nato nel 1966 a Merano dove vive. «Giorni strani» non ha una trama precisa. È strutturato in una serie di riflessioni, di pensieri, azioni anche, della giovane Catia, che insicura e indecisa non meno di coloro che la circondano, s’interroga sulla vita, sul suo futuro, sui suoi desideri.
 Il disorientamento giovanile ha i connotati del disagio sociale. È un fenomeno collettivo o riguarda una minoranza?
 
I giovani non sarebbero disorientati se non vivessero in una società che li costringe all’efficienza, alla prestazione, al successo individuale senza offrire loro delle buone ragioni per vivere. Il disagio sociale è certamente minoritario, ma il disagio esistenziale è un fenomeno collettivo. E non riguarda solo i «figli», ma soprattutto la generazione che li precede, che è spesso incapace di trasmettere loro gli strumenti per scavare dentro di sé, in profondità, e per vedere negli altri una chance anziché un potenziale avversario.
 Nel suo girovagare la protagonista Catia confusamente riflette: «I soldi non danno la felicità... ci sono altri valori, che so, il successo appunto, l’arrivare primi, vincere, l’apparire belli, brillanti e giovani. Emergere nella lotta per la sopravvivenza, senza guardare in faccia nessuno, in questo dolce gioco al massacro che in televisione si chiama Grande Fratello. Ecco, forse la vita sarà la versione non televisiva del Grande Fratello». È questo l’orientamento dei giovani oggi?
 
Zygmunt Bauman considera il Grande Fratello una metafora della «società liquida» in cui «la sola questione su cui valga la pena ragionare è come evitare la prospettiva che sia io l’escluso del prossimo giro di eliminazioni». La vita intesa come lotta per sopravvivere genera ansia, paura dell’altro, oppure superficialità e rassegnazione. Se lo scopo della vita è arrivare primi, allora è chiaro che la maggioranza ne resterà esclusa. Se i valori supremi sono il successo e le ambizioni personali, allora non c’è più posto per solidarietà e responsabilità. Di qui anche il diffuso disimpegno che fa il gioco di chi non vuole vedere attorno a sé persone ma solo consumatori o elettori.
 Cosa si potrebbe fare per trasformare questi «Giorni strani» in giorni felici, gioiosi, propositivi?
 
Alex Langer all’ossessione per la velocità proponeva di rispondere col motto «lentius, profundius, suavius». Recuperare cioè un ritmo più umano, imparare a scendere in profondità, adottare nelle relazioni con gli altri e con l’ambiente un atteggiamento non offensivo e competitivo. Prendersi il tempo per informarsi, per studiare le situazioni, per incontrare gli altri, per stare in silenzio, per mettersi in ascolto.
Alto Adige 10-10-10
postato da: apritisangia alle ore 07:43 | Permalink | commenti
categoria:letture
domenica, 10 ottobre 2010



Uno storico rilegge il mito di Hofer «Ingenuo e insicuro»

STEFANO FAIT
Chi ha incastrato Andreas Hofer? È stato abilmente manipolato per servire gli obiettivi della Casa D’Austria, che l’ha poi sacrificato sull’altare dell’armistizio? È stato vittima di una subdola macchinazione congegnata allo scopo di liberarsi di un gruppo di contadini facinorosi ed indipendentisti, da sempre ostili al centralismo imperiale asburgico? È un sospetto legittimo, per quanto impossibile da corroborare, che può sfiorare il lettore di «Andreas Hofer (1767-1810). Dalle fonti alla storia», uno studio sapiente e circostanziato degli scritti del patriota tirolese (680 documenti tra lettere, appunti ed atti), a opera di un ricercatore brissinese dell’Università di Innsbruck, Andreas Oberhofer. Pubblicato dalla Fondazione Museo Storico del Trentino e curato da Rodolfo Taiani e Valentina Bergonzi, il testo tratteggia la figura di un uomo semplice, di buon cuore, modesto e di grande abnegazione, di discreta cultura (parlava trentino, veneziano, tirolese e tedesco, sapeva leggere e se la cavava con la scrittura), generalmente sollecito nei confronti degli altri, anche dei nemici, certamente non una testa calda e con un temperamento tutt’altro che brutale.
 Un uomo che, in altre circostanze, avrebbe optato per il motto «vivi e lascia vivere» e gioito di ciò che la vita gli avrebbe riservato, apprezzando il buon cibo, il buon bere e la buona compagnia. Ma era anche un uomo ingenuo, vulnerabile, superstizioso, estremamente insicuro, impulsivo, tormentato dall’insicurezza economica, non particolarmente coraggioso; una personalità facilmente manipolabile che «non aveva il minimo orgoglio e lasciava che gli altri gli dessero consigli e istruzioni», che «deve sempre porsi dalla parte di chi, del suo entourage, lo mette in buona luce», cosicché «chi sapeva colpire il suo cuore aveva gioco facile». Oberhofer precisa che «la domanda sulle vere cause politiche, storiche e non ultimo umane della grandiosa carriera di Hofer continua a non trovare risposte soddisfacenti», ma qualche indizio è rintracciabile nella messe di riferimenti e documenti che l’autore ci mette a disposizione.
 C’è, ad esempio, il motivo del «re perduto» che un giorno, durante una congiuntura disperata, dovrà tornare dal suo popolo per riscattarlo. Lo si riscontra in tutto il mondo - Gesù il Cristo, Re Artù, Barbarossa (Kyffhäuser), Quetzalcoatl, Viracocha, il Mahdi, il «Mashiach» (Messia) - e lo rievoca il segretario di Hofer. Oberhofer dubita che il taverniere della Passiria potesse conoscere questo ciclo di leggende ed è in effetti curioso che qualcuno che «fu trascinato dagli eventi ad assumere il ruolo di capo degli insorti» abbia poi deciso di adottare questo archetipo così evocativo e sofisticato, che fa il paio con quello, altrettanto ipnotico, del Popolo Eletto tirolese, paragonato ad Israele.
 Il 2 novembre 1809, quando le cose volgevano al peggio, Hofer invia due delegati per trattare la resa e chiedere perdono, ma pochi giorni dopo si contraddice, lanciando un appello che incita la popolazione a una rivolta permanente e suicida. A chi lo interroga, l’oste risponde: «Sono sopraggiunti dei mascalzoni da Bressanone che mi hanno obbligato a lanciare un nuovo appello al popolo. A lungo ho opposto resistenza, ma dovevo farlo altrimenti mi avrebbero ucciso». Lo storico austriaco osserva che le sue missive diventano progressivamente confuse e che è lecito supporre che alcune lettere e atti gli siano stati estorti e altri falsificati.
 Così c’è un Hofer che predica la clemenza e la compassione verso i prigionieri, e un Hofer che esorta al linciaggio di chi, tra gli stessi tirolesi, «non si adopera per la nostra giusta causa» e perciò «non va risparmiato, giacché il nostro agire è cristiano». C’è un Hofer che invoca la giustizia sociale e l’uguaglianza, ma poi scrive: «Combattiamo solo per Dio e per la fede, non per il paese e la gente». C’è un Hofer che raccomanda di rispettare gli ebrei e un Hofer che li discrimina. E Oberhofer suggerisce che questi proclami vessatori «possono essere stati prodotti del tutto liberamente dai consiglieri». E dunque? Abbiamo forse celebrato il bicentenario di un incolpevole burattino, vittima della più bieca Realpolitik? La questione rimane aperta.

   All’Archivio Provinciale
Carta storica del dopo-rivolta

 Una carta storica del Regno di Baviera, risalente al 1810, è stata consegnata all’Archivio provinciale da Florian Gamper, un privato di Collalbo. Christine Roilo, direttrice dell’Archivio, si è detta riconoscente per la donazione. La carta storica fotografa la situazione politica nel Tirolo bavarese dopo la fallita rivolta del 1809: la parte a nord (compresi Brerssanone e Merano) erano rimasti alla Baviera, la parte sud con Bolzano e l’antico territorio trentino erano entrati a far parte dal 1810, come «Dipartimento dell’Alto Adige», del Regno napoleonico in Italia (fino al 1813). Il bacino di Lienz e l’Alta Pusteria fino a San Candido erano invece compresi nelle Province illiriche che ebbero breve durata.
postato da: apritisangia alle ore 07:41 | Permalink | commenti
categoria:letture
venerdì, 08 ottobre 2010

Nobel per la Letteratura 2010, premiato Mario Vargas Llosa.

E' la notizia che tutti gli scrittori sognano di ricevere, ma nessuno saprebbe dire che tipo di reazione si possa avere nel sentire la fatidica parola: Nobel. Lo scrittore peruviano Mario Vargas Llosa quando ha appreso che l'Accademia reale di Svezia ha deciso di assegnargli il Premio Nobel per la Letteratura 201 non ci ha creduto. "Pensavo fosse uno scherzo" ha detto "Non pensavo di essere fra i candidati".
Negli ultimi due anni l'ambito riconoscimento ha illuminato la carriera di autori non molto conosciuti dal grande pubblico, mentre quest'anno la scelta ricaduta su Vargas Llosa senza dubbio premia l'ampio seguito e la grande notorietà che questi possiede in tutto il mondo. Stando a quanto scrive l'Accademia di Stoccolma, il Nobel è stato assegnato proprio allo scrittore 74enne "per la sua cartografia delle strutture del potere e la sua acuta immagine della resistenza, ribellione e sconfitta dell'individuo".Un premio, questo che "costituisce un riconoscimento per la letteratura sudamericana e per la lingua spagnola", così come lo stesso Vargas Llosa ha affermato ai microfoni di una radio colombiana. Nato nel 1936 ad Arquipa, ha cominciato ad affacciarsi sulla scena letteraria verso la fine degli Anni Cinquanta, caratterizzando da subito la sua opera di scrittore con un sentito impegno politico, il quale lo ha portato anche a candidarsi alla presidenza del Perù. Fra le sue opere più celebri si ricordano Conversazione nella Catedral, La casa verde e Avventure della ragazza cattiva, anche se il suo libro più importante è considerato da molti La città e i cani (1963).Lo scrittore peruviano ha saputo la notizia mentre si trovava a New York. "Ero sveglio, lavoravo dalle cinque del mattino - spiega - quando ha squillato il telefono. Patricia (sua moglie, ndr) ha risposto e mi ha detto, ha chiamato un signore che parlava inglese ma è caduta la linea ".Rispetto a molti altri intellettuali del suo Paese come Gabriel Garcia Marquez e Isabel Allende, entrambi sicuramente di idee legati ad una tradizione politica di sinistra, Vargas Llosa non ha mai nascosto la sua cultura di destra. Per Dario Fo consegnare a Vargas Llosa il Nobel per la Letteratura 2010 è stata "una scelta meditata e seria". Il Nobel per la Letteratura 1997 ha poi aggiunto: "Ho letto alcuni suoi libri su indicazione di Sartre che lo considerava un ottimo scrittore. In quegli anni ho apprezzato in particolare la sua capacità di descrivere la lotta di classe nel suo paese: argomenti molto delicati che hanno messo a nudo le debolezze di un popolo in grave difficoltà".
(Fonte IGN)




http://www.newnotizie.it/2010/10/07/nobel-per-la-letteratura-2010-premiato-mario-vargas-llosa/
postato da: apritisangia alle ore 06:14 | Permalink | commenti
categoria:letture
lunedì, 20 settembre 2010



Per Massimo Gezzi «l’Italia è diventata un Paese ridicolo»

Vista dall’estero l’Italia è un paese ridicolo”: non usa mezzi termini Massimo Gezzi, uno dei più promettenti giovani protagonisti sulla scena letteraria italiana, a margine del suo sbarco nel Nordest alla Fiera del Libro Pordenonelegge. Poeta e docente di Letteratura italiana all’Università di Berna, Gezzi (1976, nato a Sant’Elpidio a Mare) è apprezzato dalla critica soprattutto perché nelle sue poesie attinge dal passato e dalla tradizione per operare una comunicazione nel presente, ma specialmente nel futuro. Ha pubblicato “Il mare a destra” (Edizioni Atelier, 2004) e “L’attimo dopo” (Sossella, Roma 2009).
 Il poeta è stato insignito di numerosi riconoscimenti tra i quali il Premio Internazionale Montale 2002 o il Premio Cetonaverde Poesia Giovani 2009. Nell’intervista all’“ Alto Adige” confessa: “Spero di non essere stato troppo negativo, ma ho cercato di dire la verità”. Attualmente insegna in una università straniera.
 Ci racconti un po’ come si vede all’estero l’Italia di oggi e la letteratura italiana contemporanea.
 
L’Italia si vede molto male. E’ un Paese piuttosto ridicolo, visto da fuori. Ma, devo aggiungere, anche visto da dentro. Molti svizzeri ci giudicano fondamentalmente dei razzisti, violenti, prepotenti (e non hanno tutti i torti). Sulla letteratura, non saprei rispondere. Conservo sempre l’ottica italiana.
 Torniamo allora alla poesia. Lei ha scritto recentemente “Io con la poesia vorrei fare mattoni”. Ma che cosa si è immaginato scrivendo questi versi?
 
Non mi sono immaginato nulla di particolare, a dire il vero. Ho cercato di dire le poche verità che mi è sembrato di riconoscere nella mia esperienza di uomo. Il verso che lei cita significa che a volte spero che i versi, le poesie, possano essere qualcosa di solido, di vero, anche di umile e concreto, se vuole. Proprio come un mattone. Che la poesia insomma possa incidere più di quello che riesce a fare ora. Tutto questo avviene molto raramente. Ecco perché scrivo “vorrei”, e non “voglio”...
 Quindi chi fa il poeta oggigiorno è una specie di fine osservatore della realtà che ci circonda. Proviamo a fare l’identikit...
 Il poeta è un uomo come tutti gli altri. Con i problemi e le difficoltà di tutti gli uomini e tutte le donne. Non ha nessun privilegio e nessuna riconoscibilità.
 Oltre a costruire magari “mattoni con la poesia”, come scriveva lei stesso...
 
La poesia non dà messaggi e non ha alcun ruolo. Al limite, può provare a resistere al delirio di idiozia e di insignificanza in cui siamo quotidianamente immersi. Può anche provare a ridare significato e peso alla parola e alla lingua. Una pratica igienica e salutare, dunque.
 Parliamo invece dei suoi ultimi scritti e dei loro “fili conduttori” (“L’attimo dopo”, editore Sossella, Roma 2009). La sua prima raccolta di successo, “Il mare a destra”, rioperava la mimesi del quotidiano...
 “L’attimo dopo” è un libro sul doloroso passaggio del tempo e sull’impossibilità di riconoscere uno spazio come proprio spazio vitale. Un libro sul presente “liquido”, direbbe Bauman, e sui danni che questa liquidità arreca a chi ci sta immerso. Fino a qualche anno fa sospettavo che la liquidità, la mancanza di legami stabili e di un centro, fosse un privilegio. Ora comincio a temere che sia una condanna da cui salvarsi, se possibile.
 Progetti futuri? Ci dobbiamo aspettare ad un cambio di marcia?
 Vorrei scrivere dei racconti. E ricominciare a scrivere qualche verso. Sì, spero in un cambio di marcia. Non mi piacerebbe rifare quello che ho già fatto. L’attimo dopo è un libro un po’ astratto: mi piacerebbe tornare a indagare una dimensione umana, comunitaria, anche in senso politico. Ma non sono sicuro di riuscirci.
 Trae ispirazione da diversi generi epici o da qualche autore?
 
Da molti poeti e scrittori. Amo molto Leopardi, Montale, Sereni, Cattafi, Porta... Tra gli stranieri Stevens, Bishop, Simic, Strand... Moltissimi narratori. Proust, Virginia Woolf, Stevenson, Kafka, Joyce... Tra gli italiani Landolfi, Morante, Pavese. Molti altri, sicuramente.
 Che libro consiglierebbe, ai nostri lettori?
 
Un romanzo: “2666” di Roberto Bolaño. E almeno due poeti, uno italiano e una straniera: Guido Mazzoni (I mondi, Donzelli) e Anne Carson, canadese, tradotta da Antonella Anedda.
 Infine: un sogno nel cassetto?
 
I cassetti sono vuoti. Vorrei riempirli di realtà, di affetti e di concretezza. Mai più di sogni.
Alto Adige 19-9-10
postato da: apritisangia alle ore 07:17 | Permalink | commenti
categoria:letture
lunedì, 13 settembre 2010



Profetica baracca nel lager

Fu anche campione di pallanuoto nella Vienna degli anni Trenta e capace di dedicare una meravigliosa ballata a Matthias Sindelar, il grande calciatore austriaco morto in circostanze misteriose nel 1938, ebreo, inviso ai nazisti. Soprattutto fu romanziere di talento e pensatore fuori dagli schemi. Oggi Friedrich Torberg esce oggi dall’oblio grazie alla riscoperta del suo profetico capolavoro. Questo suo libro “ha un finale tra i più incredibili e brillanti dell’intera letteratura del XX secolo” ebbe a dire Erich Maria Remarque. Oggi questo libro - si legge d’un fiato e non si dimentica più, garantito -, uscito per la prima volta nel 1943 negli Stati Uniti ritorna grazie all’editore Zandonai di Rovereto e alla cura di Haim Baharier.
 Torberg scappò da Praga all’indomani dell’Anchluss, nel 1938. Con lui non c’erano la madre e la sorella, che moriranno ad Auschwitz nel 1941. Il loro tragico destino lo indusse con straordinaria, inaudita precocità ad affrontare i temi della persecuzione antiebraica. Mia è la vendetta è la storia di una baracca di ebrei in un lager olandese. Qui il comandante del campo, Wagenseil, sceglie una alla volta, una vittima dopo l’altra: la tortura e la convince a suicidarsi per scegliere il dolore minore. Nella baracca si accende così un dibattito serrato tra due gruppi opposti: chi pensa che sia opportuno reagire e chi dice che no, la vendetta va lasciata a Dio e che bisogna saper accettare il proprio destino, qualunque esso sia.
 Con una chiaroveggenza assoluta, Torberg scriverà un capolavoro portando alle conseguenze più estreme il dramma della non resistenza ebraica e il tema della legittima difesa. Torberg scrive nel 1941: quindi non è un sopravvissuto, anzi, non può sapere che cosa avviene nei lager. Per questo il suo libro appare ancora più inquietante, ancora più importante. Intuisce ed immagina, basandosi su descrizioni e racconti che solo sporadicamente riuscivano allora a trapelare. Il protagonista del libro è sul molo del New Jersey e invano aspetta dall’Europa gli ex compagni di baracca sapendo bene che non arriveranno mai. Sì, Torberg è un grande autore. Perché un oblio così lungo? Risponde chi ha curato il libro, Haim Baharier: “Semplice. Torberg fu un apolide intellettuale, non aveva padrini, era politicamente scorretto, inviso alla sinistra perché odiava Brecht e perché amico degli americani, inviso alla destra perché era ebreo e chiedeva giustizia per gli ebrei austriaci. Nessuno aveva interesse per lui perché non faceva comodo a nessuno. E così lo dimenticarono”. Ora non più, forse.
Alto Adige 13-9-10

Friedrich Torberg Mia è la vendetta Zandonai, 84 pagg., 11 euro
postato da: apritisangia alle ore 06:51 | Permalink | commenti
categoria:letture
lunedì, 06 settembre 2010



I tascabili sono diventati Beat

Correva il 1965, 27 aprile. Quel giorno arrivò nelle edicole di tutta Italia il primo numero di una nuova collana di libri tascabili, gli Oscar Mondadori. Era Addio alle armi di Hemingway. L’editoria italiana non sarebbe più stata la stessa. Qualcosa fa credere che il settembre di quest’anno potrebbe significare qualcosa di altrettanto importante. Arriva infatti nelle librerie Beat, la Biblioteca degli Editori Associati di Tascabili, che raccoglie i tesori delle case editrici letterarie e indipendenti italiane in edizioni economiche inedite. Cinque nuovi titoli ogni due mesi. Una sfida al mercato editoriale che nasce dalla fiducia nei lettori che hanno sempre sostenuto l’editoria di qualità.
 Lo si sa. Negli ultimi anni numerosi grandi successi letterari e commerciali sono nati da case editrici indipendenti che hanno raggiunto un vasto pubblico con edizioni eleganti, innovative, particolarmente attente alla cura del testo, alle traduzioni, alla qualità della produzione. Grazie alla capacità di intuire le novità, di cercare in territori inconsueti, di rischiare in nome del piacere di pubblicare un bel libro, le classifiche dei bestseller hanno visto una quantità sempre maggiore di romanzi e saggi che provengono da editori che fanno del proprio mestiere una sfida al tempo stesso culturale e imprenditoriale.
 Questi successi hanno già trovato un numero molto consistente di lettori, ma possiedono un potenziale ancora maggiore. Riuniti insieme in edizioni paperback di qualità, con una grafica di richiamo universale, potranno raggiungere un pubblico ancora più vasto e contribuire ad accrescere in maniera rilevante il mercato dell’editoria letteraria.
 L’ambizione della Beat, a partire da una sigla ovviamente evocativa, è quella di diventare, con l’aiuto dei librai e dei lettori, e per la qualità dei titoli che raccoglierà nel corso del tempo, la più importante linea economica dell’editoria indipendente, e certamente uno dei principali editori di tascabili letterari.
 Ecco i primi cinque titoli, tutti in vendita a 9 euro.

Tracy Chevalier
La ragazza con l’orecchino
di perla
Edizione originale Neri Pozza

Raymond Carver (nella foto)
Cattedrale
Ed. originale minimum fax

Susan Vreeland
La passione di Artemisia
Edizione originale Neri Pozza

Sandra Cisneros
Caramelo
Edizione originale laNuovafrontiera

Anita Nair
Cuccette per signora
Edizione originale Neri Pozza

Alto Adige 6-9-10

postato da: apritisangia alle ore 17:16 | Permalink | commenti
categoria:letture
domenica, 05 settembre 2010



Andrea Montali racconta spacciatori pentiti e ferrovieri colti

MARCO RIZZA
Un capotreno impazzito che cita Alex Langer, un piccolo spacciatore che vuole fare il colpo della vita prima di - appunto - cambiare vita, una bolzanina che si trasferisce a Berlino col fidanzato pelatore di mele. L’attesa per il concerto a Bolzano degli Oasis. E una mega-festa all’areale ferroviario, che finirà con un altrettanto imponente incendio. Andrea Montali racconta in un nuovo romanzo - romanzo breve, per l’esattezza: si intitola «Ho letto il tuo diario» e uscirà a breve per le edizioni Alpha Beta di Merano - il passaggio dall’età post-adolescenziale (magari trascinata per anni...) alla maturità: ma lo fa evitando la risacca intimista e sfornando invece una miriade di personaggi, nuovi e no.
 Intanto: come nasce questo romanzo?
 
Il plot l’ho scritto molto in fretta, in due settimane nell’estate 2009, costretto a casa da un infortunio. È un racconto polifonico che tratta di un gruppo di 25-30enni che diventano adulti: alcuni dei personaggi sono ripresi dal mio primo libro. Ma è anche il mio sassolino nello stagno rispetto ad alcune situazioni locali... L’ho scritto durante l’anno hoferiano e mi è sembrato divertente sparigliare un po’ le carte: per esempio facendo citare Langer, ma anche Kaser, da un capotreno un po’ pazzo.
 L’ambientazione è tutta bolzanina?
 
Quasi tutta, sì. L’azione si svolge nei tre giorni precedenti il concerto degli Oasis, era il febbraio 2009. Molti personaggi vorrebbero andarci, per motivi diversi, e nessuno ci andrà. Invece finiranno all’areale ferroviario, al quale daranno fuoco dopo una festa. Gli io narranti sono tre. Uno è un piccolo spacciatore («il Generale») che vive in un bilocale di San Giacomo e vuole fare l’ultimo colpo prima di chiudere con la droga. La seconda è una bolzanina che si trasferisce nell’ambiente artistoide di Berlino insieme a un pelatore di mele. Il terzo è Gian, un musicista scapestrato, coinquilino del Generale, che viene sequestrato da un capotreno impazzito mentre è su un treno Brennero-Bolzano.
 Spunti autobiografici?
 
Diciamo che volevo raccontare un momento velocissimo vissuto da me e alcuni miei amici, ma portandolo agli estremi. E in un qualche modo fermandolo, proprio alla soglia del «diventare adulti». Poi le idee possono venire nei modi più diversi, anche ascoltando su Youtube le playlist compilate da sconosciuti...
 Gli autori cui ti sei ispirato?
 
Stavo leggendo le Fiabe Italiane raccolte e raccontate da Calvino. Ma un altro autore cui in questo periodo mi sento molto vicino - anche se all’epoca non lo conoscevo - è Roberto Bolaño. Quando ho portato il romanzo in casa editrice il direttore della narrativa, Reinhard Christanell, mi ha detto: «Leggi “I detective selvaggi”». Aveva ragione. Ora sto leggendo 2666...
 Le citazioni da Langer e Kaser sono solo omaggi?
 
Non è che voglio paragonare due figure così diverse, ma mi sembrava molto divertente (sarà che stavo scrivendo durante l’anno hoferiano...) che un capotreno non altoatesino, uno dei pochissimi personaggi non altoatesini del romanzo, li citasse a memoria a un bolzanino pensando che quest’ultimo li riconoscesse, mentre invece non aveva idea di chi siano stati. Di Kaser in particolare il capotreno cita il «Canto della povertà di idee», una radiografia perfetta del Sudtirolo. E la sua ultima poesia sarà recitata mentre l’areale Fs va in fiamme.

   La scheda
Il primo libro nel 2007

 Andrea Montali è nato a Bolzano nel 1983. Dopo avere pubblicato qualche racconto su riviste pubblica nel marzo 2007 con Travenbooks il suo primo libro, «Anime sole in autobus sovraffollati», raccolta di racconti incentrati sulla vita di un gruppo di amici post-adolescenti. Il libro ha un buon successo e viene ristampato già nel 2008. Montali presenta l’opera in associazioni, biblioteche e locali, spesso accompagnato al piano e ai suoni dal compositore bolzanino Stefano Manca e dal violinista Lorenz Masè. Il loro sodalizio prende il nome di Autobahn. Continua a scrivere racconti. Collabora anche con Marco Bernardi, regista e direttore artistico del Teatro Stabile di Bolzano.
Alto Adige5-9-10
postato da: apritisangia alle ore 06:13 | Permalink | commenti
categoria:letture
martedì, 31 agosto 2010



 Andrea Montali: stasera al Masetti anteprima del nuovo libro

Questa sera alle 19.30 presso circolo Walter Masetti (in via Resia 27) Andrea Montali leggerà in anteprima alcuni brani del suo nuovo romanzo, «Ho letto il tuo diario», in uscita a novembre per la casa editrice Alpha Beta di Merano.
 L’incontro chiude la kermesse «Leggendo e cenando al Firmian»: un’occasione per ascoltare dal vivo autori letterari locali senza rinunciare a una serata conviviale. Quattro gli appuntamenti organizzati in questo mese di agosto: con Dario Ansaloni, Stefano Zangrando, Paolo «Crazy» Carnevale, e appunto Andrea Montali.
 «Ho letto il tuo diario» è un romanzo breve, ambientato soprattutto a Bolzano, sul tema del passaggio all’età adulta e alla maturità. Si intrecciano le storie di un piccolo spacciatore che sta diventando uomo, del suo migliore amico e coinquilino musicante (sequestrato da un capotreno), di due giullari, di una ragazza con il suo fidanzato nuovo, della Compagnia dei Gatti neri (vespisti specializzati nello spaccio internazionale di hashish). Nelle varie storie raccontate dai tre io narranti compaiono anche Alex Langer e Norbert C. Kaser. Tutto si svolge nei tre giorni precedenti il concerto degli Oasis a Bolzano, nel febbraio 2009: ma le avventure si concluderanno tutte in una super-festa all’areale ferroviario.
 Andrea Montali è nato a Bolzano nel 1983. La sua prima opera pubblicata è una raccolta di racconti, «Anime sole in autobus sovraffollati», è uscito nel 2007. Montali collabora anche col Teatro Stabile.
postato da: apritisangia alle ore 07:08 | Permalink | commenti
categoria:letture, giovani
domenica, 29 agosto 2010



Opzioni, un dramma europeo 

MARCO RIZZA
Nel maggio 1945 all’hotel Lago di Braies trovarono accoglienza 133 prigionieri (di 17 nazioni) che a fine aprile le Ss avevano portato in Alto Adige dal campo di Dachau per scambiarli come ostaggi con gli Alleati. Una squadra della Wehrmacht li liberò dalle Ss e li trasportò all’hotel Lago di Braies, dove qualche giorno dopo furono consegnati agli americani. Dal 2007 l’albergo ospita le «ZeitgeschichtTage Pgragser Wildsee», convegni sulla storia contemporanea organizzati da ZeitgeschichtsArchiv Pragser Wildsee, Archivio provinciale, Gedenkstätte Deutscher Widerstand di Berlino e Istituto pedagogico tedesco. Quest’anno il seminario - che prenderà il via domani sera e durerà fino a martedì a pranzo - tratterà il tema delle opzioni. Tra i tanti storici che partecipano c’è anche Giorgio Mezzalira.
 Qual è lo stato dell’arte della ricerca storica sulle opzioni?
 
Si può dire che le conoscenze specifiche siano a buon punto. La ricerca storica ha prodotto studi significativi e ha scavato bene negli archivi, per cui si può dire che non si prevedono nuove scoperte eclatanti. Certo, nuovi documenti continuano ad emergere e aiutano a completare un quadro che di per sé è ben definito. Penso in particolare all’ultima pubblicazione della Fabbrica del Tempo che raccoglie una corposa serie di lettere del periodo delle opzioni, uscita dai fondi d’archivio del Ministero dell’Interno. Si tratta di corrispondenza postale, di persone comuni, che veniva aperta e controllata per ricavarne informazioni. Ne esce un interessante spaccato di come fosse percepito il dramma delle opzioni a livello per così dire popolare e di quali fossero i motivi che stavano alla base della scelta di trasferirsi in Germania. Non ultimo c’è l’interesse di leggere quale fosse l’atteggiamento della popolazione italiana nei confronti delle opzioni. Al convegno del lago di Braies ci sarà poi da seguire tra l’altro la relazione di Leopold Steurer che presenta il capitolo poco conosciuto della reazione della stampa straniera alle opzioni.
 E per quanto riguarda la collocazione del caso altoatesino nel panorama politico dell’epoca?
 
Lo si sta studiando nel contesto più ampio degli spostamenti di popolazioni in Europa nel periodo della seconda guerra mondiale: un tema come si capisce assai importante anche per le implicazioni interpretative delle opzioni in Alto Adige. Posso anticipare che di questo tema e della politica etnica seguita dai regimi nazionalsocialista e fascista sia, a guerra finita, dai governi di paesi esteuropei contro le minoranze italiane e tedesche si occuperà anche il prossimo numero in uscita della rivista «Storia e regione - Geschichte und Region».
 Quali le implicazioni interpretative?
 
Mi riferisco in particolare ad una lettura delle opzioni, peraltro ancora circolante, che le mette prevalentemente in relazione con l’obiettivo dell’Italia fascista di italianizzare la provincia di Bolzano e risolvere una volta per tutte la questione dell’Alto Adige. Che questo corrisponda nessun dubbio. Viste solo così però si rischia di non capire quali fossero gli obiettivi perseguiti dal Terzo Reich con una simile politica di trasferimento di minoranze di lingua tedesca che pure in quegli anni era in corso, si pensi per esempio a quanto successe in Lettonia ed Estonia. Il Terzo Reich aveva l’esigenza da un lato di acquisire popoli tedeschi per giustificare la politica di conquista di nuovi territori, dall’altro quella di aumentare la forza lavoro per le fabbriche e rafforzare l’esercito per la guerra. Insomma, per quanto riguarda le opzioni la resistente immagine della vittima tedesca del carnefice italiano è, almeno sul piano storico, fuorviante, senza contare che si presta ad una lettura strettamente strumentale. Per altro il trasferimento forzato di popolazioni fu un fenomeno frequente sia nell’Europa di quegli anni che nel Dopoguerra: basta pensare ai Paesi dell’est.
 A 70 anni da quei fatti restano ancora tracce nella società sudtirolese della lacerazione sociale e politica avvenuta allora?
 
Credo che sul piano dei rapporti sociali si tratti di una storia superata, non si notano nella società sudtirolese di oggi di atteggiamenti o comportamenti che siano riconducibili a quella frattura. Ci sono stati poi dei passaggi culturalmente importanti che hanno favorito il superamento ed il riconoscimento di un dramma comune. Penso alla grande mostra «Opzion Heimat Opzioni» del 1989, che va detto ha anche aperto gli occhi a tanti concittadini di lingua italiana che di quanto era successo nel 1939 intorno a loro non ne sapevano nulla. Diverso mi pare il discorso se scendiamo a considerare come possa venire letta oggi la lezione storica delle opzioni. Ma è ciò che prima si diceva a proposito del carattere strumentale che può assumere una ricostruzione parziale della storia. Il pericolo c’è e la tentazione di far sì che le tracce lasciate dalla storia abbiano un preciso numero di scarpe e portino a conciliare l’immagine identitaria prevalente è molto forte. Ma il bello degli anniversari per lo storico è anche questo: osservare in controluce come una società si vede attraverso la propria storia.
 Alla tavola rotonda di domani sera parlerete del significato delle opzioni per i tre gruppi linguistici: quale è il peso di quegli eventi per il gruppo italiano?
 
Gli italiani di allora ignorarono quanto si stava compiendo, quanto meno ne furono estranei. Certo, qualcuno di accorgeva della partenza del vicino o del compagno di scuola, ma come ricorda lo storico Carlo Romeo non vi era da parte degli italiani coscienza di quanto stava realmente accadendo, ossia il dramma e il carattere di massa che questo assumeva. E l’informazione non aiutava, il clima ufficiale dell’ottobre 1939 mentre si ultimano i preparativi della macchina per le opzioni, era quello della «serenità operosa». Era questo il titolo con cui il prefetto Mastromattei comunicava attraverso la stampa la definizione dell’accordo per il trasferimento nel Reich.
 Ci furono italiani tra gli optanti?
 
Sul numero degli italiani optanti ci sono stime molto diverse, tra i 6000, i 3000 circa e le centinaia, anche a seconda di come si sono interpretati i dati registrati nei moduli. Premesso che pure i numeri complessivi delle opzioni vanno considerati più per la tendenza che per l’esatta quantità, bisogna tenere presente che quando si parla di italiani optanti si intendono in larghissima maggioranza persone provenienti da famiglie la cui storia si legava ai territori di confine dell’Impero e alla sua mobilità interna, molti più di sentimenti tirolesi-tedeschi che italiani, e molti spinti all’opzione per la crisi economica degli anni ’30.

Pallaver: le lettere dei sudtirolesi e la «tipologia» delle scelte

Si possono rintracciare nelle scelte personali di optanti e Dableiber dei fili conduttori, degli elementi comuni, dei motivi ricorrenti? A queste domande risponde Günther Pallaver, politologo e storico di formazione, che al convegno del lago di Braies presenterà una ricerca proprio su questo argomento. Per altro Pallaver (per conto della società Gaismair) sta curando un libro sulle opzioni, con saggi di storici come Steinacher, von Hartungen, Steurer, Carlo Romeo e altri, che dovrebbe uscire per la Raetia a dicembre. Alla base del suo studio c’è l’analisi di un fondo di lettere - 230 in tutto - che Leopold Steurer ha ritrovato a Roma (erano state intercettate dall’Ovra) e messe a disposizione per questa ricerca: missive scritte da uomini e donne «comuni», che si interrogavano sulla scelta da fare, esprimevano preoccupazioni, chiedevano pareri. «Da queste lettere, ma anche da quelle pubblicate di recente dalla Fabbrica del Tempo - dice Pallaver - è possibile ricavare una tipologia». Cinque le categorie individuate da Pallaver: «non impermeabili tra loro ma anzi spesso intrecciate». «La prima è quella dell’ideologia: il nazismo per gli optanti, l’antinazismo per i Dablaiber. La seconda sono i motivi politici interni ed esterni: per esempio il giudizio sul patto Hitler-Stalin. La terza sono i motivi religiosi: i Dableiber restavano fedeli a una religione che invece in Germania veniva perseguitata. La quarta sono i motivi economici: chi cercava nuove opportunità sceglieva la Germania, chi aveva paura di perdere il proprio status economico restava. Infine i motivi sociopsicologici: chi non aveva legami familiari sceglieva la Germania, chi temeva di perdere la rete sociale in vista della vecchiaia restava».
 Un’altra tipologizzazione tra Dableiber e optanti è rintracciabile nei rispettivi atteggiamenti nei confronti del dibattito di quel periodo sul concetto di Heimat: «Anche qui - dice Pallaver - ci sono quattro categorie: Heimat come territorio, Heimat come dimensione sociale, Heimat come Kulturlandschaft e Heimat come prospettiva per il futuro. Un esempio? Per i Dableiber la Heimat era il luogo delle proprie radici, mentre gli optanti pensavano che la Vaterland fosse un territorio e un concetto più ampio. Allo stesso modo, i Dableiber identificano socialmente la Heimat con la società locale, gli optanti con l’intero popolo germanico». (m.r.)
Alto Adige 28-8-10
postato da: apritisangia alle ore 21:15 | Permalink | commenti
categoria:letture, sociale
giovedì, 12 agosto 2010



Da Fait e Fattor un libro per abbattere i miti etnici

“Contro i miti etnici. Alla ricerca di un Alto Adige diverso”, edito da Raetia.

Gli autori Stefano Fait e Mauro Fattor, quest’ultimo caporedattore del quotidiano Alto Adige, ieri mattina alla libreria Kolibri di Bolzano hanno presentato il loro libro dal titolo “Contro i miti etnici. Alla ricerca di un Alto Adige diverso”, edito da Raetia.
 Si tratta di un volume che affronta un tema (purtroppo sempre?) attuale in Alto Adige, oggi vieppiù “caldo” vista la discussione in corso sui cartelli monolingui in montagna. Tema caldo che, direttamente o indirettamente, parte da una mitizzazione, mentre si dimentica che il presupposto per una pacifica convivenza in Alto Adige «è andare oltre il culturalismo», cosa della quale si sono detti convinti Fait e Fattor, presentando appunto il loro “Contro i miti etnici. Alla ricerca di un Alto Adige diverso”. Nel libro, l’antropologo (nonchè collaboratore del quotidiano Trentino) Fait e il giornalista Fattor presentano «un’analisi corrosiva e spietata degli idoli e dei miti etnici che frenano la società sudtirolese», hanno detto senza mezzi termini ieri da “Kolibri”. «Volk - popolo, Heimat - patria, Kultur - cultura sono concetti da ridefinire per il futuro di questa regione», hanno poi detto gli autori.
 Analizzando senza false diplomazie il proprio lavoro, Mauro Fattor ha detto a chiare lettere che «questo libro probabilmente non piacerà nè ai tedeschi nè agli italiani, e questo - ha aggiunto causticamente - è forse una garanzia». «Il nostro libro - ha quindi aggiunto - è un invito a guardarsi attorno con occhi nuovi, a sollecitare le proprie e altrui riflessioni, a sognare e progettare un angolo di mondo in cui si possa essere liberi, autonomi e responsabili».
 Ma perché la cosiddetta “autonomia migliore del mondo” non appare più in grado di rispondere efficacemente alle sfide della globalizzazione? Perché l’impressione è che in Alto Adige si proceda a tentoni, pensando più alle rendite di posizione che al bene dei cittadini? Sono gli interrogativi ai quali cercano di dare una risposta Fait e Fattor partendo in sostanza da questa tesi: «Tutto questo è causa di un sostanziale fallimento dei processi democratici nelle vallate alpine, e in Alto Adige in particolare... Un deficit di democrazia sostanziale che nulla ha a che vedere con il rispetto della democrazia formale, cioè con il funzionamento delle istituzioni e con il rispetto delle procedure democratiche, dell’esteriorità delle forme della democrazia».
Alto Adige 12-8-10
postato da: apritisangia alle ore 10:16 | Permalink | commenti
categoria:letture
giovedì, 05 agosto 2010



Con Mayr-Nusser, contro Andreas Hofer

MARCO RIZZA
Fabbricazione di feticci. Doping identitario. E ancora: «Le identità personali sono state in parte divorate dai suddetti mostri: l’Etnia, la Tradizione, la Cultura, la Lingua, la Patria... La sopravvivenza di questi mostri dipende dalla quantità di energia che riescono a strappare a chi li venera». Oppure: «Se un laboratorio di convivenza e di dialogo diviene un laboratorio di separazione, di soffocamento delle istanze di chi dissente, dell’indifferenza nei confronti dello status giuridico e sociale dei figli di coppie miste e delle minoranze immigrate che non trovano rappresentanza nell’attuale assetto etnico della Provincia, allora è il momento di affermare che quel che andava bene un tempo ora è una gabbia indegna del Terzo Millennio». C’è un nuovo libro sulla questione altoatesina. Si intitola «Contro i miti etnici», è stato scritto dall’antropologo Stefano Fait e dal giornalista Mauro Fattor per le edizioni Raetia. Il sottotitolo è «Alla ricerca di un Alto Adige diverso» ma potrebbe anche essere, a proposito di feticci e idoli al crepuscolo, «Come si filosofa col martello».
 Ognuno dei due autori scrive una sezione. «Contro i miti etnici» quella di Fait. «L’ideologia tirolese» quella di Fattor. Come si è capito, non si usano giri di parole. La società etnocentrica (sud)tirolese è diventata una «Matrix», una gabbia invisibile e asfissiante, che reprime i diritti individuali a favore del Volk e impedisce lo sviluppo di una democrazia moderna (per tacere dell’autonomia) a favore del perpetuarsi di rigide gerarchie verticali. E tutto questo è il frutto di un processo storico finora inarrestabile che per perpetuarsi deve alimentarsi dei «mostri» come etnia, identità, ecc. Esagerazioni? I due autori non nascondono di volere essere «intellettualmente provocatori, e anche brutali». Il libro è tanto un saggio quanto un pamphlet. «Abbiamo sfoltito moltissimo, siamo andati alla radice del tema, eliminando il resto che pure in una società complessa esiste», spiega Fattor. E nella postfazione il politologo Günther Pallaver chiarisce: «Fattor e Fait scandagliano in modo spietato l’ideologia che sottende all’idea di comunità etnica, utilizzando le armi dell’utopia non tanto come approdo ideologico quanto piuttosto in senso funzionale, come “mezzo di contrasto” per farne risaltare rigidità e contraddizioni». Sintetizzato in una sola immagine: l’identità collettiva rappresentata da Andreas Hofer («diventato un modello nonostante morì per ideali antiliberali, antitetici a quelli su cui si basano le democrazie moderne», dice Fattor) versus l’identità individuale rappresentata da Josef Mayr-Nusser («eroe della libertà, che infatti la società sudtirolese non riesce ad accettare come modello»).
 Il libro nasce da uno studio di Fait: «Mi è sempre sembrato strano - racconta - l’idovere attraversare il mondo per studiare qualche popolo esotico quando qui posso ritrovare le forme della logica tribale, il feticismo, il ritualismo elaborato, l’idolatria, il totemismo, la venerazione della natura e degli antenati, lo spirito del clan, i pellegrinaggi, i percorsi iniziatici dalle sacre denominazioni, l’Arcadia e la Terra Promessa, ecc». Lo studio, presentato a un convegno di etnografia, viene poi ampliato e diventa il volume che ora sbarca in libreria: «Nel libro - prosegue Fait - non ci limitiamo a decostruire sistemi di credenze, convenienti epistemologie del vero, illusioni di scelta, eufemismi, sofismi, trappole semantiche che ottundono la nostra capacità di discernimento. Proponiamo anche di sostituirli con un’ottica senza tempo che, nel mio caso, prende ispirazione da una riflessione di David Grossman: “Rimuovere, volontariamente, ciò che mi difende dall’altro; abbattere quella parete divisoria, per lo più invisibile, che separa me dal prossimo, verso il quale provo un interesse fondamentale, profondo”».
 Tra le pagine del libro - che si confronta anche con ricerche sociologiche e antropologiche internazionali - si aggira lo spettro di Langer. Citato, evocato: diritti individuali, libertà, indipendenza di giudizio. «Certo, Langer ci insegna molto. Il modello attualmente dominante non ci porterà a una società multietnica e aperta - dice Fattor -. Se si vuole fare spiccare il volo alla nostra autonomia bisogna ridefinire l’orizzonte culturale». La Cultura Tradizionale è uno dei «mostri» che sorveglia la gabbia. Ancora Fattor: «Nel libro analizzo i programmi con cui i partiti si sono presentati alle ultime elezioni provinciali. In tutti quelli italiani, da destra a sinistra, la multiculturalità è definita un valore: tutti, senza eccezione. Al contrario, nessuno dei partiti tedeschi ne parla. Nessuno, nemmeno la Svp. Ma questa cosa non nasce oggi, è il frutto di 40 anni di doping identitario e di esasperazione emotiva. L’ideologia tirolese tende a irrigidire sempre più la visione “verticale” della società. Strutture impermeabili ai meccanismi delle democrazie moderne. Cos’altro rappresenta l’udienza dei questuanti del presidente Durnwalder alle 6 del mattino?». Si può uscire dalla gabbia? «Sì, si può. È una questione di scelte. Individuali e politiche. Scegliere se stare con Hofer o con Mayr-Nusser».
Alto Adige 4-8-10
postato da: apritisangia alle ore 05:30 | Permalink | commenti
categoria:letture
sabato, 31 luglio 2010



Ecco l’abbecedario delle minoranze

ROBERTO RINALDI
BOLZANO. Dalla A alla Z. I termini che parlano più ricorrenti che parlano di tutela delle minoranze sono stati pubblicati in un libro in lingua tedesca che ieri pomeriggio è stato presentato all’Eurac di Bolzano. Gabriel Toggenburg, ex collaboratore dell’Istituto diritti delle minoranze e il coordinatore Günther Rautz, sono gli autori de “L’ABC della tutela delle minoranze in Europa” edito da Böhlau Utb di Vienna.
 Gabriel Toggenburg lavora all’Agenzia dei diritti fondamentali dell’uomo a Vienna, una struttura vicina alla Commissione Europea a protezione delle minoranze, contro la xenofobia, la discriminazione, lo studio delle nuove minoranze. Günther Rautz, laureato in Giurisprudenza all’Università di Graz, un dottorato di ricerca sulla tutela delle minoranze sudtirolesi comparate a quelle austriache, spiega nell’intervista i contenuti del libro.
 “Siamo partiti dall’autonomia locale per compararla con altre realtà come le isole Aland in Finlandia, la Catalogna o i Paesi Bassi, con l’intento di far comprendere perché la tutela delle minoranze, funziona bene qui da noi e non da altre parti”.
 Lei sostiene quindi che la nostra realtà può essere d’esempio per altre minoranze da tutelare.
 
“Il nostro istituto si occupa di progetti in Asia sui diritti delle donne, credo religioso, discriminazioni. Siamo impegnati in Tibet dal 1998 con corsi e training. Forniamo strumenti da esportare anche in Kashmir, Sri Lanka, Sud America, con i popoli indigeni in Cile e in Perù. In paesi come quelli dei Balcani, studiando cosa è successo durante la guerra, si possono introdurre strumenti come la proporzionale utilizzata in Alto Adige. L’autonomia è un bene per i popoli a patto che vi sia anche una capacità economica che la sostenga”.
 L’abc delle tutele delle minoranze. Quali sono?
 
“Il libro è il risultato del nostro lavoro ma non in forma accademica. All’Eurac pubblichiamo lavori scientifici, arrivano delegazioni da tutto il mondo per conoscere i nostri progetti. Forniamo loro un contributo educativo e scientifico. Nel testo invece abbiamo analizzato le parole chiavi per spiegare le tutele delle minoranze. Le iniziali di tutti i temi che appartengono alle minoranze tradizionali. La D parla di discriminazione e uguaglianza, la K analizza le migrazioni religiose. La R per parlare dei Rom, dei Retoromanci in Svizzera che appartengono insieme ai ladini e friulani, alla stessa famiglia. Il focus è puntato sul mondo tedesco, austriaco, svizzero, ma anche rivolto ai paesi dell’Est, Slovenia, Danimarca e Svezia. La L del trattato di Lisbona sulla nuova costituzione europea e le nuove esigenze a livello europee. Per questo è nata negli anni ’70, l’Osce, l’organizzazione del Consiglio Europeo per la tutela delle minoranze europee”.
 L’Europa è molto attiva a tutelare le minoranze?
 
“Al Consiglio d’Europa esistono due documenti a riguardo: la convenzione quadro per le minoranze e quello sulle lingue minoritarie. Sono vincolanti per tutti gli stati che fanno parte del Consiglio”.
 Si parla di Euregio.
 
“Si è pensato di trasformare l’Euregio che non ha una base legale in una istituzione pubblica che dovrebbe avere sede a Bolzano. Un passo importante per la cooperazione transnazionale e transfrontaliera. Lo statuto in elaborazione dovrà vedere le tre regioni d’accordo per sottoscriverlo. Si deve discutere di realtà autonome, capaci di sostenersi economicamente. Penso alle autonomie fiscali, alle identità, confini, e competenze”.
 E l’autonomia locale come sta secondo Lei?
 
“Questo è il problema vero in Alto Adige. La conoscenza delle due lingue sta peggiorando e diventa sempre più difficile. Il sistema didattico non è in grado da solo nell’implementare lo studio e l’apprendimento del bilinguismo. Anche in Austria esiste questo problema in certe realtà locali. Classi dove sono presenti tre gruppi linguistici diversi creano problemi didattici. Qui da noi l’insegnamento della seconda lingua è trattato come quello di una lingua straniera, mentre nella società non c’è scambio. La scuola ha un compito importante nella didattica ma c’è anche la famiglia, la vita sociale che dovrebbe occuparsene. Ma non accade”.
Alto Adige 31-7-10


postato da: apritisangia alle ore 07:14 | Permalink | commenti
categoria:cultura, letture
venerdì, 30 luglio 2010



In internet è nato Franz, magazine culturale

CLAUDIO PANTOZZI
Bolzano annuncia la nascita di un nuovo, modernissimo media nel settore della cultura regionale: “Franz”, magazine di approfondimento online, vuole affacciarsi come punto di riferimento per tutti coloro che intendono avvicinarsi in modo critico alle offerte della realtà locale. La rivista, che presenta articoli sia in lingua italiana che in lingua tedesca, si avvale della collaborazione di giornalisti, fotografi ed illustratori professionisti, i quali realizzano i loro contributi gratuitamente, «in cambio di una completa libertà di espressione».
 «“Franz” - sottolinea Anna Quinz, direttrice artistica della rivista insieme a Kunigunde Weissenegger - è un magazine indipendente, libero da esigenze di mercato, in grado di offrire ai suoi collaboratori la possibilità di sviluppare, con articoli volutamente provocatori, dibattiti relativi alle politiche culturali sul territorio».
 La rivista, con cadenza mensile, tratta di volta in volta un tema di discussione nuovo e si pone l’obiettivo di indagare la realtà locale, mettendola a confronto con il panorama internazionale, grazie anche ai contributi di corrispondenti esteri.
 Il magazine è fruibile non solo sul web (www.franzmagazine.com) ma anche, in forma ridotta, attraverso la stampa e distribuzione del formato tascabile, presso i principali locali e centri culturali della regione. Il sito web, oltre la rivista, presenta inoltre un blog aggiornato quotidianamente che, selezionando tra i principali eventi culturali del territorio si propone come una guida alle manifestazioni più interessanti. Numerose le tematiche culturali trattate, dalla musica all’arte, dal cinema al design, dalla letteratura alla moda.
 «L’idea - spiega Anna Quinz - è la creazione di un progetto che interessi non solo intellettuali o addetti ai lavori, ma che sia in grado di avvicinare un pubblico sempre più ampio ai diversi aspetti della cultura. La risposta è stata finora molto positiva con più di 1.500 clic settimanali». Un importante spazio è inoltre dedicato allo shooting fotografico, per il quale è previsto un’area interamente dedicata ai reportage proposti da nomi di spicco della fotografia internazionale. Franz, il cui nome proprio deriva dal desiderio di ottenere un approccio individuale all’interno di un laboratorio di idee, ha avviato diverse collaborazioni con le realtà culturali del territorio. In progetto inoltre collaborazioni con Radio Tandem e con Transart, con cui è previsto un clubbing per l’organizzazione del prossimo Festival.
Alto Adige 30-7-10
postato da: apritisangia alle ore 06:07 | Permalink | commenti
categoria:letture
domenica, 11 luglio 2010



«Stranieri? Lo siamo tutti»

LUCA STICCOTTI
Mercoledì 14 luglio Erri De Luca scenderà per qualche ora dalle sue amate Dolomiti per incontrare il pubblico bolzanino al Cafè Museion. L’appuntamento è promosso dal Centro per la Pace del Comune di Bolzano con la collaborazione dell’Associazione Ermete Lovera. A partire dalle ore 18 Erri De Luca dialogherà con Francesco Comina su un tema intrigante, che incrocia la poesia e di drammi umani, la cronaca e il gusto del racconto. «Sognando la terra promessa» evoca il tema eterno dell’«essere straniero».
Si tratta di un concetto cruciale nella definizione dell’umanità, singolare e plurale, sottoposta di frequente a «strappi» che si esprimono attraverso coordinate geografiche, culturali e linguistiche. Noi in Alto Adige ne sappiamo qualcosa ed è alla nostra memoria, a breve e lungo termine, che De Luca mercoledì rivolgerà le sue sollecitazioni. Intanto siamo riusciti a catturare telefonicamente lo scrittore in una delle brevi pause che si prende durante le sue escursioni e gli abbiamo chiesto qualche anticipazione in merito alle riflessioni che intenderà proporre mercoledì prossimo a coloro che vorranno incontrarlo.
Il titolo dell’incontro è “sognando la terra promessa”. Ma in più di un’occasione Lei in passato ha voluto giocare con quest’ultima parola affermando che, di per sé, quella umana è invece una terra “permessa”, un luogo dove noi siamo solo temporaneamente degli inquilini. Cosa ne pensa Lei del sentimento umano di appartenenza al territorio, un tema così delicato per la realtà altoatesina?
 «Sono nato a Napoli e posso dire di aver abbastanza impressa per questo una sorta di denominazione d’origine controllata. Più che l’appartenenza io credo però che conti di più la provenienza da un luogo. Si proviene da un luogo e da questo derivano il carattere, l’atteggiamento ed anche il sistema nervoso delle persone. L’appartenenza si presta di più invece a pasticci politici. Ad esclusioni di altri oppure a usurpazioni di posti, ecc ecc. L’appartenenza è più fastidiosa. È invece la provenienza ad essere decisiva».
Il tema dello “straniero” recentemente è stato portato al centro dell’attenzione persino i mondiali di calcio. La giovane squadra multietnica della Germania è stata in grado di farsi apprezzare in patria e qualcuno ha letto in questo un segno dei tempi. Ma chi sono di fatto oggi, secondo lei, gli stranieri?
 «Sicuramente non sono gli sportivi, i campioni d’eccellenza. Quelli vanno bene sempre. Quelli che fanno fare bella figura sono sempre bene accetti. Non hanno bisogno di appartenenza e di integrazione, quelli. Gli stranieri in realtà sono tutti quelli che sono ospiti in una terra d’adozione avendo in gran parte spesso perduto irreparabilmente la propria. Stranieri dunque possiamo essere tutti. Tutti possiamo essere messi in condizione di sloggiare dal nostro condominio».
Lei ha detto recentemente che la sua generazione è stata la prima nella storia d’Europa a saltare il turno, non dovendo partire a 20 anni andare a fare la guerra. E questo grazie agli anticorpi inseriti nelle costituzioni europee dopo la seconda guerra mondiale. Poi la guerra è tornata in Europa, ospitata 20 anni fa dai Balcani. Secondo Lei tornerà ancora? La guerra in Europa è ancora vissuta come un’offesa all’uomo, o in questi ultimi anni le cose stanno cambiando?
 «Noi partecipiamo a spedizioni militari all’estero, in un estero abbastanza remoto che non solo non ci minaccia, ma non ci riguarda affatto. La guerra è dunque presente come una voce del bilancio dello stato, come una realtà d’esportazione. Partecipiamo a guerre che non ci riguardano per motivi di rappresentanza estera, di prestigio. La guerra è dunque dannatamente rientrata nel nostro mondo. D’altra parte quelli che sono oggi al potere sono persone che l’hanno solo sentita nominare oppure l’hanno appena sfiorata da bambini, vivendola insomma di striscio. Hanno per questo perduto gli anticorpi e la dignità di quegli anticorpi».
Qual è il suo rapporto con il passato? Che ruolo deve avere nella nostra vita? Penso in particolare agli itinerari tortuosi delle delle persone che ci hanno preceduto, incrociando talvolta casualmente le loro vite, anche solo per un attimo.
 «Nell’intreccio delle vite che ci hanno preceduto possiamo solamente riconoscere deii connotati con cui ci possiamo identificare; forse anche qualche dettaglio, qualche reazione, qualche cifra di coraggio o di resistenza. No, la storia non è maestra di vita, non ci insegna niente. Niente di quello che è successo nel passato ci ha impedito di ripetere gli stessi errori. È solo una buona materia narrativa nella quale ogni tanto ho la fortuna di pescare qualche dettaglio che avevo dimenticato. Io non sono il proprietario della mia memoria, ma quando essa mi concede un frammento, allora quel frammento mi fa venire voglia di raccontare, di tornare in quel tempo, di “convocare” le persone che riguardano quel particolare».
Alto Adige 11-7-10
postato da: apritisangia alle ore 05:18 | Permalink | commenti
categoria:letture
sabato, 10 luglio 2010



Erri de Luca mercoledì sarà a Bolzano

Erri de Luca, uno dei maggiori scrittori italiani, camionista, operaio, autore di romanzi, racconti, poesie, traduzioni di testi biblici, scalatore, viaggiatore, drammaturgo, cantore degli ultimi e degli anonimi, sarà ospite del Centro per la Pace di Bolzano mercoledì 14 luglio per un incontro-aperitivo all’aperto, nella cornice del cafè Museion. Lo scrittore napoletano affronterà il tema dello straniero e di quel sentimento di “stranieritudine” che è all’origine della storia umana. Le riflessioni di Erri de Luca - con particolare riferimento ai barconi che solcamo il Mediterraneo - si intrecceranno alle improvvisazioni musicali del compositore Luca Sticcotti, collaboratore del Centro per la Pace.
Recentemente de Luca definito «lo scrittore del decennio» dal critico letterario del «Corriere della Sera» Giorgio De Rienzo, è anche poeta e traduttore. Nel 1968, a diciotto anni, raggiunge Roma, dove prende parte al Gaos (Gruppo di Agitazione Operai e Studenti), gruppo che fonderà Lotta Continua a Roma. Erri diventerà in seguito il responsabile del servizio d’ordine di Lotta Continua. Inoltre dichiarerà più di recente che al momento dello scioglimento di Lc (Rimini, 1976) non volle entrare in clandestinità e convinse il servizio d’ordine romano a seguire la sua stessa strada.
In seguito svolge numerosi mestieri in Italia e all’estero, come operaio qualificato, camionista, magazziniere, muratore. Studia da autodidatta diverse lingue, tra cui l’ebraico antico dal quale traduce alcuni testi della Bibbia. Lo scopo di queste traduzioni, che De Luca chiama “traduzioni di servizio”, non è quello di fornire il testo biblico in lingua facile o elegante, ma di riprodurlo nella lingua più simile e più obbediente all’originale ebraico.
Pubblica il primo romanzo nel 1989, a quasi quarant’anni: “Non ora, non qui”, una rievocazione della sua infanzia a Napoli. Regolarmente tradotto in francese, spagnolo, inglese, tra il 1994 e il 2002 riceve il premio France Culture per «Aceto, arcobaleno», il Premio Laure Bataillon per «Tre Cavalli» e il Femina Etranger per «Montedidio».
Alto Adige 10-7-10
postato da: apritisangia alle ore 17:22 | Permalink | commenti
categoria:letture
venerdì, 07 maggio 2010


Il romanzo che rilegge la storia dell’Alto Adige fra Napoleone e Hofer

CARLA SPILLER
La storia di un tesoro nascosto durante le guerre di Liberazione, il viaggio del nipote dell’ufficiale napoleonico alla ricerca del tesoro, il tesoro che si scopre essere stato poi impiegato per costruire la prima pensione del Burgraviato e la storia dell’industria turistica sudtirolese comincia da qui. Fantasia, storia ed ironia si mescolano in questo primo romanzo di Pier Francesco Bonaventura, architetto romano trapiantato a Bolzano ed impiegato presso la Soprintendenza ai Beni Culturali.
 «Viaggio in Tirolo del barone Gaspard Chavannes d’Entreville» viene presentato oggi alle 18 alla libreria Kolibri di via della Rena a Bolzano.
 Lo sfondo storico del viaggio è quello dell’Europa della Restaurazione e della nascita del socialismo, del culto ormai consolidato di Napoleone e di Andreas Hofer. Abbiamo intervistato l’autore.
Come Le è venuta questa idea?
 «Le idee nascono così, mi è sempre piaciuta la letteratura di viaggio ed a questa mi sono ispirato. È un genere letterario che è tornato di moda in questi anni. Posso fare un riferimento ad un libro che è stato “Premio Strega” qualche anno fa, un libro di Alessandro Barbero che ha più o meno la struttura narrativa del mio: un diario di viaggio del ’700, che non comprende però il canovaccio, la suspense, il mistero del tesoro che fa da filo conduttore al mio libro. Se vogliamo andare più indietro possiamo arrivare al “Giro del mondo in ottanta giorni” e incontriamo personaggi simili».
Qual è la figura più emblematica di tutto il racconto?
 «La figura del vetturino giacobino Georges che entra in scena a Salorno, perché ci introduce nella tesi centrale del libro che nasce dal confronto fra le idee di modernità utopistiche (leggi: onda lunga della Rivoluzione francese e inizi del socialismo) e la realtà del Tirolo storico che è una realtà immutabile e, per certi versi, immutata fino ai nostri giorni. Questo è un punto che ho voluto sviluppare con particolare attenzione, con costanti riferimenti all’attualità».
C’è un diffuso ricorso all’ironia in tutta la descrizione del viaggio ed in particolare della parte in Tirolo.
 «Sì, perché vedo delle analogie abbastanza evidenti fra un periodo storico molto lontano e la nostra storia attuale. La storia è ambientata in un periodo post-rivoluzionario. I francesi hanno il loro eroe Napoleone, i tirolesi hanno Andreas Hofer e tutto ruota attorno a questi personaggi, entrambi con la convinzione di avere vissuto fatti così straordinari ed importanti che non si ripeteranno più. Questo elemento è molto forte, molto sentito nel libro. Ed è un qualcosa che aleggia nell’aria anche nei nostri giorni».
Lei è un profondo conoscitore della storia.
 «Sono un grande appassionato. Naturalmente ho svolto un ampio lavoro di documentazione. Però ritengo sia doveroso conoscere anche i lineamenti generali della storia universale, oltre a quelli della storia locale, ed è stato faticoso ed interessante mescolare gli uni e gli altri».
 È interessante anche perché il Sudtirolo si vive spesso come un’entità staccata dal resto del mondo.
 «Io ho cercato di collocarlo in un contesto più ampio. In realtà si tratta di una terra che ha vissuto in una posizione appartata, ma si è messa in relazione anche con la storia europea. Nel mio libro c’è comunque anche molta storia francese, che è storia di evoluzione e di avanguardia in confronto alla retroguardia del popolo alpino».
 Può essere uno strumento per stimolare la conoscenza della storia, questo libro?
 «Gli italiani dell’Alto Adige conoscono tutti i sentieri di montagna, sono affezionati alla cima più sperduta, ma in realtà quello che fa l’essenza del territorio, cioè la storia, non la conoscono. Spero che il libro in questo senso possa sollevare curiosità ed insegnare a mettere in relazione la storia locale con quella europea».
Alto Adige 7-5-10
postato da: apritisangia alle ore 05:33 | Permalink | commenti
categoria:letture
giovedì, 06 maggio 2010

«Il mio Alto Adige» Paolini lettore d’eccezione per Francesca Melandri

BARBARA GAMBINO
Marco Paolini è stato uno dei primi a leggere “Eva dorme”, romanzo di esordio della sceneggiatrice romana Francesca Melandri, ancor prima che la Mondadori lo pubblicasse lo scorso aprile.
 “Non so come si presenta un libro” esordisce davanti al foltissimo pubblico del Trento Film Festival “ma so perché lo voglio fare”. E avverte: “Sono amico di Francesca Melandri da lungo tempo. Questo romanzo mi ha conquistato, quindi, quello che dirò qui sarà del tutto “tendenzioso””. Racconto di un viaggio, “Eva Dorme” è un romanzo’on the train’ - come afferma ironicamente l’autrice - in cui Eva, affascinante quarantenne altoatesina, ripercorre le vicende della sua famiglia e assieme la storia della sua terra, l’Alto Adige - Südtirol, durante un lungo viaggio che la porta in Calabria a ritrovare Vito, l’unico uomo che ha sentito come padre. Una storia che ha inizio nel 1919, quando Hermann, il nonno di Eva, aveva solo 11 anni e che scorre in parallelo con le tappe di un lunghissimo viaggio solitario lungo tutta l’Italia. Solo quando sarà arrivata a destinazione, dopo aver percorso 1397 chilometri, il suo viaggio si concluderà; solo dopo aver rivisto per l’ultima volta Vito, Eva potrà riconciliarsi con se stessa e con il suo passato... e potrà finalmente dormire. In dialogo con l’autrice, Marco Paolini legge numerosi brani del romanzo, ne traccia il filo narrativo, evidenziando gli snodi cruciali della trama, inseguendo i personaggi che riemergono dalle pieghe della storia. Dà voce ai vividi affreschi di vita quotidiana delle valli altoatesine, della cucina in cui lavora la madre di Eva e alle documentatissime descrizioni delle tragedie realmente accadute all’epoca delle Opzioni, o a quella del terrorismo degli anni Settanta.
Dietro le vicende di Eva e della sua famiglia, Francesca Melandri racconta quasi un secolo di storia dell’Alto Adige - Südtirol: una vera e propria epopea, sconosciuta a gran parte degli italiani. Molto legata alla nostra regione, l’autrice ha vissuto a Brunico per quindici anni. Lì sono nati e cresciuti i suoi due figli che come si legge nella dedica del romanzo sono - “due allegri mistilingue”. La repressione mussoliniana, la guerra, i nazisti, il terrorismo, Sylvius Magnago e Aldo Moro, il “pacchetto” conquistato e l’ autonomia, sono i protagonisti del lungo viaggio di Eva...che è appena iniziato e questa volta non si fermerà ai tanto discussi confini nazionali: il prossimo anno il romanzo verrà tradotto in tedesco per l’editrice Lessing e poi in lingua francese per la Gallimard.
Leggendo le pagine della Melandri impossibile non ripensare ad un altro romanzo di un grande scrittore sudtirolese, «L’italiana» di Joseph Zoderer, che in qualche modo richiama l’impianto di fondo di questo libro di Francesca Melandri. Il tema è sempre quello dell’incontro tra le due culture, quella italiana e quella tedesca, un incontro contrastato, complicato dal contesto in cui le cose avvengono.
 Certo, «Eva dorme» è meno tormentato e tratta in fondo di una storia diversa, almeno nei contenuti, ma le suggestioni di fondo sono le medesime. Forse è il destino della letteratura di confine, che è letteratura di incontro ma anche di scontro. Non accade diversamente infatti anche lungo il confine orientale, a Trieste, dove l’incontro con la cultura slava produce o ha prodotto spesso gi stessi fantasmi.
Alto Adige 6-4-10
postato da: apritisangia alle ore 07:31 | Permalink | commenti
categoria:letture
giovedì, 29 aprile 2010

Travaglio racconta le leggi «ad personam»

DANIELA MIMMI
Marco Travaglio su Facebook piace a 461.841 persone. E non è poco. Anzi, tanti vorrebbero avere tanti amici. Scrive e ha scritto su decine di testate ed è attivissimo in diversi blog in internet, ha scritto testi teatrali, è apparso in alcuni film. In televisione in generale parla di politica, ma ogni tanto canta e balla, come ha fatto con Victoria Cabello sulle note di «Centro di gravità permanente». Polemico, rissoso, disposto a mettersi spudoratamente in gioco, piace perchè non ha tentennamenti nè reticenze: spara, dice e scrive quello che pensa e quello che viene a sapere e vuole far sapere. È un giornalista scomodo che a molti dà fastidio, ma a molti piace. Il suo ultimo, tra le dozzine di libri scritti fino ad ora, si intitola «Ad personam». Di cosa si tratta lo spiegherà lui stesso domani all’Auditorium delle Iti, in via Guncina, alle ore 21. Ma intanto noi ci facciamo dare qualche anticipazione. Partendo dal titolo.
 «Il titolo si riferisce alle leggi ad personam che sono state fatte in questi ultimi 15 anni. Ci sono le leggi fatte da Berlusconi per Berlusconi, le leggi fatte dal centrosinistra per Berlusconi, quelle fatte dal centrodestra o dal centrosinistra o da tutti e due insieme per gli interessi particolari di una o poche persone, anche non necessariamente Berlusconi. Ci sono le leggi fatte per salvare le chiappe agli spioni del Sismi, quella per salvare le chiappe alla security della Telecom, quella fatta per consentire a Sofri di ottenere la revisione del suo processo dopo che gli era stato negato il permesso dalla Corte d’Appello di Milano. E poi tutte le leggi fatte per la casta, per la mafia, per la Confindustria, per gli interessi di pochi amici privilegiati. Io ne ho trovate 105 ci cui 38 ad hoc per Berlusconi. Magari qualcuna mi è pure sfuggita. Sono 15 anni che se uno ha dei problemi si fa cambiare la legge invece di risolverli, se ha la possibilità di farlo».
Com’è strutturato il libro?
 «In ordine cronologico, da quella che chiamiamo la seconda Repubblica, dal governo Berlusconi 1, poi il governo Dini, poi il governo Prodi, il governo D’Alema, quello di Amato, di nuovo quello di Berlusconi, di nuovo quello Prodi, e poi di nuovo quello di Berlusconi. Questa è la sequenza».
Da dove ha preso le fonti oltre ai suoi noti appunti?
 «È stato un grande lavoro?
 «A scriverlo ci ho messo tre o quattro mesi. Le mie fonti sono stati gli atti parlamentari, i ritagli di giornale, cose che avevo archiviato oppure scritto, e appunto i miei appunti».
E lo scopo di questo libro?
 «Lasciare traccia di quello che succede prima che la memoria generale perda tutto. E poi questo è il momento propizio per un libro del genere: quando la gente ha la pancia vuota per la crisi, la recessione, la disoccupazione si chiede di cosa occupa quotidianamente il Parlamento, invece di preoccuparsi dei problemi della gente».
Cosa può fare gente con la pancia vuota?
 «Rendersi conto che questa gente va sollevata di peso e accompagnata all’uscita. Sono marci nella testa, non si accorgono neppure più dell’abominio di quello che succede, sia in uno schieramento che nell’altro. Da una parte c’è Berlusconi che si fa le leggi per sè, dall’altra c’è D’Alema che dice che tanto è una leggina. Queste cose sono più evidenti in momenti di crisi. Si capisce perchè abbiamo più problemi di altri Paesi: il Parlamento è sequestrato e confiscato per gli interessi di pochi, non c’è il tempo e non c’è la testa per occuparsi dei problemi delle persone comuni».
Tra tutto quello che ha scoperto e scritto qual è stata la cosa più irritante, vergognosa, scandalosa?
 «Sono tante, ma ci sono due leggi che metto al primo posto a pari merito. La più dannosa dal punto di vista pratico è la legge che ha dimezzato i termini di prescrizione per certi reati, e quindi ha mandato in fumo decine di migliaia di processi. E poi, la riforma che ha depenalizzato il falso in bilancio. Queste secondo me sono le leggi più dannose nel senso che hanno disarmato qualsiasi tentativo di lotta alla corruzione. È evidente che non si possono più portare a termine i processi contro i crimini dei colletti bianchi, crimini contro i quali tutto il mondo si sta attrezzando».
Cinema, teatro, giornali, blog, televisione: le piace tanto scrivere?
 «Sì, moltissimo. Lavoro praticamente sempre. Penso che se uno ha qualcosa da dire, è giusto che lo dica. Ci sono i mezzi per far trapelare certe notizie, quindi è giusto farlo».
Lei usa molto anche i blog in intenet.
 «Internet è un tubo vuoto, bisogna vedere cosa ci si mette dentro. È uno strumento libero e non controllabile, per fortuna, ma dentro ci si trova di tutto. Se uno non ha un codice per dividere la spazzatura dalle cose buone, prende per buone le leggende metropolitane. Non ci può essere solo l’informazione spontanea fatta dal basso. Ci sarà sempre bisogno di professionisti nell’informazione, purché lo siano davvero, e non perchè sono iscritti all’albo».
Ha fatto pace con la categoria dei suoi colleghi?
 «Io sono ai ferri corti con quelli che non fanno i giornalisti. Se uno racconta balle programmaticamente e sistematicamente come fanno molti iscritti all’ordine, allor farebero molto meglio ad iscriversi all’albo dei ballisti».
La definiscono in mille modi, lei come si definisce?
 «Un giornalista...e basta».
Alto Adige 29-4-10
postato da: apritisangia alle ore 05:00 | Permalink | commenti
categoria:letture
giovedì, 29 aprile 2010

La cultura ladina presentata a scuola

MICHELA PERINI
 BOLZANO. Soprattutto i “cittadini”, chi insomma ha una formazione che potremmo definire metropolitana, sa bene che la realtà altoatesina è trilingue e tri-etnica, e sa dell’importanza delle radici ladine altoatesine. Ma quanti sanno qualcosa di preciso sulla realtà ladina, sulla storia ladina? Che cosa sappiamo della cultura ladina? Purtroppo davvero poco. Agli occhi di molti bolzanini la Ladinia resta un universo sconosciuto, quasi “un mondo a parte” dove si parla una strana lingua. Con l’intento di colmare queste lacune e di avvicinare la popolazione bolzanina alla cultura ladina, è stata presentata ieri mattina in municipio la pubblicazione «Alla scoperta della Ladinia», realizzata dalla Consulta ladina del Comune di Bolzano. «E’ un libro interessante che ci permette di conoscere a fondo le tradizioni e la bellezza delle valli ladine - ha commentato il sindaco Luigi Spagnolli - con questo progetto vogliamo superare le distanze e favorire l’incontro tra gli abitanti di Bolzano e quelli del mondo ladino».
 La pubblicazione rientra nell’ambito di un ampio progetto «Bolzano incontra la Ladinia», iniziato nel 2006 dalla Consulta insieme alla Comunanza Ladina e che da allora ha già portato oltre 4000 studenti delle scuole italiane e tedesche di Bolzano a incontrare i luoghi, la cultura e la storia della popolazione Ladina.
 «Dobbiamo creare una cultura del dialogo, della reciproca comprensione e dello scambio - dice l’assessore provinciale alla cultura ladina Florian Mussner - a noi ladini piace che si parli della nostra cultura e vogliamo farci conoscere sempre meglio».
 Imparare divertendosi è la formula chiave di questo progetto, che offre agli alunni delle elementari, medie e superiori di Bolzano l’occasione di scoprire le mille sfaccettature della cultura ladina attraverso laboratori, escursioni scolastiche e gite nelle più belle valli dolomitiche. Per i più piccoli la visita al Museo ladino sarà accompagnata da una divertente caccia al tesoro, mentre i ragazzi più grandi saranno coinvolti nel mondo della geologia.
 «Il nostro obiettivo è coinvolgere bambini e ragazzi, stimolare la loro curiosità e nel gioco insegnare la storia e la cultura delle Dolomiti - spiega Stefan Planker, direttore del Museo ladino - cerchiamo, inoltre, di stimolare la percezione degli oggetti esposti, al fine di far conoscere meglio la lingua ladina».
 Con lo stesso intento è stata scritta la pubblicazione «Alla scoperta della Ladinia», 83 pagine a colori, adatte anche a chi non è un lettore allenato e perfette per l’insegnamento nelle scuole. «E’ un punto panoramico per osservare il nostro territorio - dice l’autrice Nadia Chiocchetti - racchiude anche un capitolo dedicato alle leggende dolomitiche e una cartina con una toponomastica locale».
Alto Adige 29-4-10
postato da: apritisangia alle ore 04:55 | Permalink | commenti
categoria:letture
sabato, 24 aprile 2010

Una terrazza sopra la Biblioteca Civica per invogliare i ragazzi alla lettura

MARTINA CAPOVIN
BOLZANO. Festeggiata ieri la giornata mondiale del libro e del diritto d’autore, patrocinata dall’UNESCO e nata nel 1995. Nessun momento migliore che un giorno come questo per la Biblioteca Civica «Cesare Battisti» di Bolzano per inaugurare la sua terrazza con vista sulle passeggiate del Talvera.
«Speriamo che nei mesi estivi diventi meta importante per tutti - spiega Ermanno Filippi - in fondo con l’arrivo della bella stagione sarà stupendo godersi il fresco ed il panorama gustandosi un libro. E per i nostri studenti questa terrazza potrebbe essere un modo per alleggerire il lavoro». Ma non solo inaugurazione per festeggiare la giornata del libro.
La giornalista Renate Mumelter e la scrittrice Brunamaria Dal Lago Veneri hanno dedicato un incontro, svoltosi presso la biblioteca di via Museo 47, alla vita ed all’opera della scrittrice Anita Pichler e al suo rapporto con la città di Bolzano. Deceduta il 6 aprile 1997 a soli 49 anni, grazie alla sua intensa opera è stata la prima scrittrice altoatesina a varcare i confini regionali nel periodo del dopoguerra. È proprio alla scrittrice che la città di Bolzano rende omaggio dedicandole una piazza nel nuovo quartiere Casanova. L’assessorato alla cultura ha inoltre diffuso durante questa giornata mondiale del libro, i dati riguardanti le biblioteche bolzanine, i loro prestiti ed i loro acquisti.
 6500 i libri acquistati lo scorso anno, di cui l’81,6% in lingua italiana. Una crescita esponenziale, considerando che nello stesso periodo del 2004 gli acquisti ammontavano ad un totale di 3948. Anche l’andamento dei prestiti a visto una vertiginosa crescita negli ultimi cinque anni: nella sola biblioteca «Cesare Battisti» si è passati da circa 22.000 a quasi 33.000 prestiti l’anno. Nel 2010 la biblioteca civica bolzanina è inoltre giunta ad un totale di 270.747 libri, custoditi nei ben cinque piani di archivi che ieri, per i partecipanti alla conferenza stampa di presentazione della giornata mondiale del libro, sono stati aperti. Un’occasione importante per poter avere accesso ad una parte della struttura solitamente chiusa al pubblico. Ma il direttore assicura «Quando avremo finalmente il polo bibliotecario, ci sarà abbastanza spazio per non dover tenere i libri “nascosti” ma esporli direttamente al nostro pubblico». In fondo le strutture culturali non sono mai abbastanza, e il polo bibliotecario è certo tra quelle più attese.
Alto Adige 24-4-10
postato da: apritisangia alle ore 04:06 | Permalink | commenti
categoria:letture

lunedì, 19 aprile 2010

Zanotelli e Langer come angeli custodi, il microcredito come stile

Associare la parola etica ad una banca può sembrare assurdo, ancor di più in questi tempi di crisi economica e grande diffidenza. Eppure la singolarità esemplare della Banca Etica è lì a dimostrare al traguardo dei 10 anni che si può sognare anche in questo campo come ha fatto Fabio Salviato, avendo come angeli custodi padre Alex Zanotelli e Alexander Langer, il politico altoatesino che aveva fatto dell’etica la propria missione. Il libro, scritto con la collaborazione di Mauro Meggiolaro, racconta l’avventura della Banca Etica che da molti anni coincide con la biografia di Salviato, classe 1958, padovano, famiglia contadina, anima inquieta, spirito cosmopolita, cattolico che prova a lavorare in banca, poi in una grande impresa di strumenti ottici, ma non resiste alla routine e soprattutto al suo progetto di vita e ai suoi valori. Se ne va per inseguire i suoi sogni, scrive nella prefazione Ilvo Diamanti raccontando come nacque la Banca Etica, e li realizza. Banca Etica oggi è un buon esempio, una storia di successo di impresa che sta nel mercato, produce profitti con valori che non sono solo economici e finanziari ma etici, valori che riguardano il bene comune e la solidarietà, come il microcredito, come la massima trasparenza (il correntista può essere certo che i propri soldi non finanziano il commercio delle armi, aziende inquinanti o che non rispettano i diritti e la dignità dei lavoratori). Oggi poi che i poveri diventano superflui dal sistema economico, l’esperienza della finanza etica è lì con la sua missione specifica a combattere quella battaglia per assicurare a tutti l’accesso al credito.
 Nel terreno dell’associazionismo solidale, ecologista, pacifista del mondo cattolico e anche laico, matura il discorso della Banca etica, oggi esempio europeo e non solo italiano. Sfida il senso comune. E’ l’esempio della generazione che è maturata negli anni Sessanta e Settanta ma non ha rinunciato a sognare, non si è rinchiusa nel privato dopo le fratture con la politica e Tangentopoli, ed è una storia al tempo stesso singolare perché coincide con il sogno di una persona, che non è un economista di professione, e che però crede nella sfida di far coincidere il bene personale con il bene comune. E’ una banca unica al mondo. Il suo presidente e fondatore Fabio Salviato ne ripercorre la storia in prima persona e racconta anche una storia mai scritta: quella dei movimenti e delle reti cooperative che da decenni animano la coscienza critica dei cittadini europei. Lontano dai riflettori della politica-spettacolo e dai salotti buoni delle grandi famiglie dell’industria e della finanza.

Fabio Salviato
Ho sognato una banca
Feltrinelli, 15 euro, 254 pag.
postato da: apritisangia alle ore 06:37 | Permalink | commenti
categoria:letture
domenica, 11 aprile 2010




«La vera Walsche sono io»



BARBARA GAMBINO



Da 0 a 1397 km, dal Rosengarten al mare di Calabria. Quello di Eva Huber, è un lungo viaggio in treno per ricucire le ferite dell’infanzia: per ritrovare Vito, l’uomo che ha sempre considerato suo padre, per ripercorrere la storia della sua famiglia e della sua terra, l’Alto Adige-Südtirol. Un viaggio che le permetterà, finalmente, di dormire tranquilla. Uscito martedì scorso per Mondadori, «Eva dorme», è il romanzo d’esordio della sceneggiatrice romana Francesca Melandri, interamente ambientato in provincia di Bolzano.



Da dove è nata l’idea di ambientare il Suo romanzo in Alto Adige?



 «L’Alto Adige ha sempre fatto parte della mia vita sin da quando sono nata. I miei genitori, grandi amanti della montagna, venivano sempre in Val Gardena: sono i ricordi più vivi della mia infanzia. In Alto Adige poi, ho vissuto a lungo».



Per quale motivo una romana ha scelto di vivere qui?



 «I casi della vita! Ho conosciuto un altoatesino, abbiamo avuto due figli e ho trascorso 15 anni a Brunico. Un luogo a cui sono molto legata e che i miei figli considerano come Heimat. Ora da alcuni anni siamo ritornati a Roma».



Eva Huber, la protagonista del suo romanzo, sembra vivere vicino a Fortezza.



 «Eva vive in una località non definita, lontano da Bolzano».



«Eva dorme» contiene una ricostruzione molto dettagliata e coinvolgente della storia dell’Alto Adige, dal primo dopoguerra, all’epoca delle Opzioni, alla Seconda Guerra Mondiale, fino alla stagione calda degli anni Sessanta e Settanta. Perché ha deciso di raccontare la storia di questo territorio?



 «Sono una romanziera: m’interessano i personaggi che vivono all’interno di una cornice storica, le loro emozioni e la loro umanità. Sono stati Eva Huber e la sua famiglia a guidarmi nel passato della loro terra. L’interesse per il contesto storico mi è esploso tra le mani sin dalle prime pagine».



Cos’è che l’ha affascinata?



 «Sono un’italiana, una romana per la precisione, che ha vissuto per molti anni nella vostra provincia e ha sempre nutrito una grande curiosità nei confronti di questo territorio».



Quali sono le fonti su cui è basata la Sua ricostruzione storica?



 «Numerosissime, impossibile citarle tutte. I capitoli dedicati a Silvius Magnago per esempio, si basano su un libro di Hans Karl Peterlin. La storiografia in lingua tedesca, è infinitamente più vasta di quella italiana, forse proprio per i motivi cui accennavo prima, per quella mancata percezione che le vicende altoatesine siano parte della storia d’Italia. Solo negli ultimi dieci anni la comunità italiana sembra interessarsi in maniera approfondita del suo recente passato».



Un amore impossibile tra un carabiniere calabrese e una Südtirolerin, non può che richiamare alla mente il romanzo «Die Walsche» di Joseph Zoderer.



 «Ho letto il romanzo molti anni fa. Mi è rimasta impressa come un grande momento di scrittura la descrizione che Zoderer fa del mercato. Per quanto riguarda la stesura del romanzo non posso dire di averlo preso come riferimento. Per quindici anni la Walsche a Brunico sono stata io! La mia esperienza personale però, è stata mille volte meglio di quella descritta da Zoderer: ero una Walsche degli anni’90, per questo probabilmente non l’ho sentito così vicino al mio lavoro».



Pur vivendo una realtà fortemente connotata etnicamente e culturalmente, i personaggi descritti nel romanzo, a cominciare da Eva, sembrano avere uno sguardo libero, privo di condizionamenti sociali, sulla realtà.



 «Sì, infatti, è proprio questa l’origine dei loro problemi, ma anche del loro interesse! Eva è una donna emancipata, una professionista, padroneggia le lingue e viaggia di frequente all’estero. Del resto gli altoatesini sono dei grandi viaggiatori».



Per la loro dimestichezza con i confini?



 «Probabilmente sì, si tratta di gente che vive vicino all’uscita... poi per il sincero amore nei confronti della loro terra, nel senso di terra fisica, per le sorgenti e le montagne. Questo è uno degli aspetti che ho apprezzato di più, vivendo in Alto Adige. Chi ama così profondamente la geografia del proprio territorio, è spesso un viaggiatore. Non a caso, il padre dei miei figli, che è un alpinista, l’ho conosciuto a Kathmandu».



Che idea si è fatta della convivenza in Alto Adige?



 «Non voglio sminuire tensioni ancora vive. Tutte le situazioni però, possono e devono essere considerate da due livelli: uno è quello dei massimi sistemi, quello istituzionale, storico e politico; l’altro è quello apparentemente più sottile della vita quotidiana, dell’esperienza di vita individuale. Io penso che le tensioni si concentrino al primo livello, più che al secondo: a Brunico io ho vissuto benissimo».



Alto Adige 11-4-10
postato da: apritisangia alle ore 07:03 | Permalink | commenti
categoria:donne, letture
sabato, 20 marzo 2010


Scuola Waldorf, conferenza sul ruolo delle favole

Provare a «vivere» una fiaba - Cappuccetto Rosso - immedesimandosi in un bambino, e cercare di comprendere come la immagina nel suo animo. E’ da questo che prende spunto l’incontro pedagogico rivolto a genitori e insegnanti in programma oggi pomeriggio dalle ore 15 alle ore 17.30 nella sede della scuola Waldorf di Bolzano, presso maso Uhl del Colle. Anche in vista delle già aperte iscrizioni alla scuola materna per il prossimo anno scolastico, gli insegnanti saranno a disposizione per rispondere a domande di carattere pedagogico e sulle attività dell’associazione. Informazioni e prenotazioni nella segreteria della scuola (telefono 0471 1700568), oppure al numero di cellulare 333 7602570. (s.f.)

Alto Adige 20-3-10
postato da: apritisangia alle ore 06:08 | Permalink | commenti
categoria:letture
venerdì, 19 marzo 2010




Le storie del sociale scritte da Maini riempiono la sala del Cafè Plural

L’iniziativa, ieri, era legata alla serie letteraria altoatesina intitolata «Ad alta voce»

BOLZANO. Gli scrittori altoatesini crescono bene. La conferma si è avuta ieri, in occasione del nuovo appuntamento aperto al pubblico, della serie intitolata «Ad alta voce - Stille Post», iniziativa congiunta dell’assessorato provinciale alle politiche sociali e delle Edizioni Alphabeta Verlag, che prevede per l’anno 2010 la pubblicazione di dieci racconti in perfetto equilibrio linguistico locale, ovvero cinque in lingua italiana e cinque in lingua tedesca, che raccontano il sociale. In particolare si mira ad evidenziare situazioni di miseria, malattia fisica e psichica, emarginazione, devianza. Dunque, parlando di titoli, in questo mese di marzo i volumetti «Schwarz und weiss» di Anne Marie Pircher e «A little poem» di Manuel Maini. Ed entrambi i racconti sono stati presentati ieri nel tardo pomeriggio al Cafè Plural di piazza Parrocchia, alla presenza dei due autori.
 Per quanto riguarda Maini, meranese, ieri ha avuto modo di descrivere dettagliatamente, davanti al pubblico accorso al Plural, la sua opera che affronta il tema del disagio psichico; il protagonista è un uomo solo, che arriva a Merano, non si sa da dove, gira la città vivendo di elemosina. E’ una storia di sensazioni, sensazioni di un uomo malato che si rapporta con la realtà.
 «Non è così importante - spiega Maini - sapere se il protagonista della mia storia è un barbone, certo può esserlo perchè suona il flauto e chiede l’elemosina, ma il fatto è che il testo è complesso perchè la storia racconta un contrasto, il contrasto fra quello che il protagonista sente e la realtà».
 La motivazione che l’ha spinto a scrivere di disagio psichico? Semplice: «Il tema - così Maini - mi è congeniale perchè sono educatore e lavoro in una comunità. In ognuno di noi penso ci sia un disagiato, siamo vittime di codici che noi stessi abbiamo creato e che sono di difficile gestione. E il malato mentale non è altro che lo specchio della difficoltà di adattarsi alle regole. Il disagio psichico poi comporta una grande solitudine; il mio protagonista sa di avere un disturbo e cerca di adattarsi, ma non riesce a interagire. Lui non capisce gli altri e gli altri non capiscono lui».
 Una considerazione, questa, che basterebbe a spiegare perchè si narra il sociale.
 «Il sociale - conclude Maini - riguarda tutti noi: la malattia, il lutto, l’emarginazione. Io oserei dire che la nostra esistenza è disagio, l’agio è una fetta sottile e piccola della nostra vita».

Alto Adige 19-3-10
postato da: apritisangia alle ore 07:27 | Permalink | commenti
categoria:letture
sabato, 27 febbraio 2010


Biblioteca, i prestiti sono in aumento




LAIVES. Sono in continua crescita i prestiti della biblioteca Don Bosco, sia nella sua sede di Laives che in quelle di Pineta e San Giacomo: in 10 anni sono passati da oltre 17 mila a quasi 22 mila, con una popolazione di riferimento sostanzialmente stabile. Oltre ai libri e ai dvd sono a disposizione anche materiali per il patentino di bilinguismo.
  Il rapporto dei laivesotti con le biblioteche è positivo: lo dicono i dati predisposti dalla biblioteca Don Bosco. «In generale - commenta la bibliotecaria Luisella Raveane - possiamo ritenerci soddisfatti: il patrimonio librario rimane costante, con acquisti a cadenza mensile e i prestiti sono aumentati negli anni con un più mille nella sede di Laives città». Guardando alle cifre, se nel 1999, con poco meno di 18mila abitanti, i prestiti erano stati 17.608, dieci anni dopo, nel 2009, con una popolazione di 16.964 unità, i prestiti sono saliti a 21.983. Lo scorso anno (periodo al quale si riferiscono i dati) sono stati 1.251 gli utenti che almeno una volta sono andati alla biblioteca Don Bosco di Laives, mentre 253 al punto di prestito a Pineta e 216 a quello di San Giacomo. Ad andare per la maggiore ovviamente sono libri e pubblicazioni, ma anche cd e dvd vengono continuamente richiesti, così come il materiale cartografico. Presso la Don Bosco è aperto anche uno «sportello patentino», dove è possibile reperire tutte le pubblicazioni per affrontare i vari gradi del patentino di bilinguismo. Unica nota dolente riguarda gli spazi a disposizione, che sono oramai al limite tanto da costringere la biblioteca a eliminare i volumi più vecchi. (b.c.)

Alto Adige 27-2-10
postato da: apritisangia alle ore 07:04 | Permalink | commenti
categoria:cultura, letture
martedì, 16 febbraio 2010


Bolzano, un capoluogo del XXI secolo



GIORGIO DELLE DONNE

Si era limitata a favorire l’immigrazione di pochi funzionari, insegnanti e militari la prima e concentrandosi sul vano tentativo di snazionalizzare la popolazione sudtirolese la seconda. Ma nel 1927 Mussolini è già consapevole che la politica attuata in Alto Adige non avrebbe raggiunto facilmente l’obiettivo stabilito, e decide quindi di affrontare la questione cercando di alterare gli equilibri numerici tra le popolazioni, favorendo la massiccia immigrazione italiana, in un primo momento con la creazione della Provincia di Bolzano e le ovvie conseguenze riguardanti la presenza di uffici e strutture pubbliche ed in seguito con la creazione della zona industriale di Bolzano a partire dalla seconda metà degli anni Trenta.
La “sostituzione” della popolazione sudtirolese optante per il Reich nel 1939 avrebbe dovuto completare il progetto su scala provinciale, ma gli imprevisti esiti plebiscitari dell’opzione prima e l’inizio della seconda guerra mondiale poi impedirono la realizzazione del progetto mussoliniano, proclamato nel 1927, di trasformare la città in un capoluogo di provincia a maggioranza italiana con 100.000 abitanti, obiettivo raggiunto solamente nel 1967, visto che anche durante la prima autonomia il flusso migratorio italiano proseguì.
La città che nel 1931 aveva 40.000 abitanti ne contava 72.000 nel 1951 e 108.000 nel 1971.
 Ma il cambiamento non è solamente quantitativo. Il borgo prevalentemente agricolo e commerciale abitato da una popolazione quasi esclusivamente tedesca - pur con una presenza rilevante di italiani di origine trentina a partire dalla fine dell’Ottocento - diventa una città industriale e di servizi abitata da una popolazione prevalentemente italiana. Gli italiani, quasi esclusivamente di origine trentina, che erano circa il 10% della popolazione nel 1880 in base ai censimenti austriaci - non meno interessati a sottostimarne la presenza che altri censimenti fatti in epoche successive rispetto ad altre etnie -, diventano il 77% della popolazione nel 1971, dalle origini prevalentemente venete quelli immigrati negli anni Trenta e prevalentemente meridionali quelli immigrati dopo la guerra, occupati soprattutto nel pubblico impiego, nelle grandi fabbriche e nell’edilizia. Il trend era talmente evidente che gli studi preparatori al Piano regolatore del 1958 ipotizzavano 125.000 abitanti nel 1982 e 150.000 nel 2000.
 Ma poi tutto si fermò.
Dagli anni Settanta, conseguentemente al secondo Statuto, le competenze sono passate alla Provincia ed i primi vent’anni del nuovo Statuto sono stati caratterizzati da una interpretazione rigidamente etnica dell’autonomia, quasi revanchista rispetto agli oggettivi torti subiti nei periodi precedenti. Il teorico di questa interpretazione esclusivamente etnica dell’autonomia era Alfons Benedikter, potentissimo vicepresidente della Giunta provinciale ed assessore all’urbanistica, già volontario nella Wehrmacht. Fino alla sua estromissione dalla giunta nel 1989, che lo ha portato ad abbandonare il partito iscrivendosi al partito di Eva Klotz, Benedikter ha sistematicamente bloccato lo sviluppo urbanistico della città, che in pochi anni ha perso oltre 10.000 abitanti. Si trattava di persone che avevano finito il periodo lavorativo iniziato nelle grandi fabbriche negli anni Trenta, che avevano sempre vissuto in Alto Adige con la logica dei “Gastarbeiter” che sognano sempre di tornare al paese per godersi la pensione e che non hanno mai cercato di integrarsi nella realtà locale; gente di umili origini che ha dovuto affrontare il problema del bilinguismo non nei confronti della lingua tedesca, ma nei confronti della lingua italiana, così diversa dai dialetti d’origine eppur necessaria per comunicare con gli altri italiani provenienti da altre regioni. Ma anche di giovani generazioni che si sono imbattute, all’inizio del proprio percorso lavorativo, nella”proporzionale” e nel “patentino”, ai quali nessuno li aveva adeguatamente preparati, applicati in maniera rigidissima. L’emigrazione dalla città di Bolzano ha portato alcune migliaia di persone nei comuni limitrofi, soprattutto Laives, ma altre migliaia di persone nelle regioni di origine.
 Per capire i cambiamenti quantitativi e qualitativi della città di Bolzano nel XX secolo è quindi importante conoscerne la storia, pensando che questa non finisce nel 1945 e che le scelte politiche non sono solamente quelle dichiarate con voce stentorea e mascella volitiva, applicate “all’italiana”, ma anche quelle attuate quotidianamente nella concezione e nella prassi monoetnica dell’autonomia, applicate”alla tedesca”. Finché il potere è rimasto nelle mani degli italiani, durante il fascismo e durante il primo Statuto, il flusso migratorio è stato costante. Da quando la competenza è provinciale, dagli anni Settanta, ed è stata gestita per oltre vent’anni in chiave esclusivamente etnica e spesso revanchista, il flusso è stato costante, ma contrario, e non ha modificato gli equilibri numerici ed etnici della sola città di Bolzano. Stando ai dati dei censimenti nel 1971 in Alto Adige vivevano 138.000 italiani, 260.000 tedeschi e 15.000 ladini. Trent’anni dopo, nel 2001, vi erano 113.000 italiani (-25.000), 296.000 tedeschi (+36.000) e 19.000 ladini (+ 4.000). Nel 2007 risultavano presenti in Alto Adige 32.000 stranieri, la cui presenza era numericamente irrilevante fino agli anni Ottanta.
Ora quindi, all’inizio del XXI secolo, si pone il problema dell’integrazione di questi nuovi immigrati dopo che per decenni, anche a causa delle vicende storiche che hanno tristemente caratterizzato la realtà locale, non è riuscita l’integrazione tra la popolazione italiana e quella tedesca, popolazioni che continuano a riconoscersi esclusivamente nelle istituzioni in cui sono maggioranza ed a frequentare sistemi formativi, di socializzazione e comunicativi, dalla scuola alla cultura, dallo sport ai media, ancora monolingue in una terra che avrebbe avuto ben altre potenzialità.

Alto Adige 16-2-10
postato da: apritisangia alle ore 05:58 | Permalink | commenti
categoria:letture, provincia di bolzano
domenica, 14 febbraio 2010


Il sudtirolese che disse no a Hitler


Josef Mayr-Nusser

Sabato prossimo a Stella di Renon il Centro Pace ricorderà la figura del martire bolzanino

FRANCESCO COMINA


Josef Mayr-Nusser disse «SignorNo». Nessuno lo capì. Ancora oggi sono pochi quelli che lo riconoscono. Quando pronunciò il suo rifiuto, il 4 ottobre del 1944 nel manicomio dismesso di Konitz (Prussia occidentale) calò nella stanza un silenzio gelido. I compagni di stanza tentarono di dissuaderlo: «Sei giovane, hai una moglie, un figlio, ritratta, il Signore certamente non ti chiede una simile sofferenza». La risposta di Josef fu lapidaria: «Se nessuno avrà mai il coraggio di opporsi alle idee del nazionalsocialismo, questo sistema non finirà mai». Josef rimase fedele alla coscienza. Fu un solitario che gridò a gran voce nel silenzio assordante della guerra. «Ci sono troppe guide addormentate anche dentro la Chiesa» disse in un suo scritto del ’36. Sabato prossimo alle ore 15 il Centro per la Pace di Bolzano organizza un incontro a Stella di Renon per riflettere sulla testimonianza di Mayr-Nusser a cento anni dalla nascita (era nato infatti a Bolzano nel 1910). Fra i relatori ci sarà Enrico Peyretti, storico e pacifista.
Enrico Peyretti, lei ha studiato a fondo le testimonianze degli antinazisti tedeschi. Come mai questi uomini e queste donne hanno avuto un ruolo marginale nella storiografia ufficiale?
 «Secondo me alla base c’è una obiezione ricorrente. La nonviolenza, l’obiezione di coscienza, valgono solo di fronte a sistemi non troppo violenti? Invece dinnanzi a strutture imponenti di violenza come il nazismo non valgono nulla? Non si considera fino in fondo l’importanza delle testimonianze di valore morale individuale come sono quelle di Mayr-Nusser, di Jägerstätter. Più fortuna ha avuto Dietrich Bonhoeffer, forse perché un simbolo della resistenza nella chiesa protestante o forse perché indirettamente coinvolto nella congiura contro Hitler».
Jägerstätter nel Sessanta fu conosciuto in America grazie alla mediazione di un grande protagonista del pacifismo americano, Thomas Merton.
 «Sì un pochino Jägerstätter ebbe dalla sua la mediazione di Merton. Eppure non sono emersi ancora tutti i casi di obiezione di coscienza che ci sono stati in Germania. Furono molto più di quanto si pensi. Conosciamo, ad esempio, la vicenda della Rosenstrasse grazie al film di Margarethe von Trotta. Le donne tedesche rimasero giorni sulla strada davanti al commissariato di polizia per chiedere la liberazione dei loro uomini ebrei. Johan Galtung, uno dei più noti studiosi dei fenomeni di pace, ricorda che la protezione data agli ebrei nel Reich fu abbastanza consistente. In Danimarca il 95% degli ebrei è stato salvato dalla popolazione. A Gerusalemme davanti allo Yad Vashem, il memoriale ebraico, c’è una barchetta che ricorda quella usata dai danesi per far fuggire in Svezia numerosi ebrei. La resistenza danese ha messo con le spalle al muro il programma nazista di fare della Danimarca un protettorato tedesco virtuoso».
E in Germania?
 «A Berlino quando il governo nel maggio del ’43 dichiarò la città Judenfrei, libera dagli ebrei, si calcola che vi fossero ancora 1400 ebrei clandestini, nascosti e aiutati dai tedeschi. Per ogni ebreo erano coinvolte cinque persone. Sono stati 5000 i tedeschi che nella sola Berlino hanno sfidato le SS per proteggere ebrei. Non tutti i tedeschi sono stati volenterosi carnefici di Hitler».
Nell’Italia fascista si registrano casi di opposizione di popolo al nazismo?
 «Nel triangolo industriale prima nel ’43 e poi nel ’44 ci furono una serie di scioperi dove venivano scanditi slogan del tipo: «Via i tedeschi dall’Italia, pace subito!». Hitler ordinò che il venti per cento degli scioperanti (70 mila persone) fosse immediatamente avviato nei lager tedeschi. Scattò una sistema di non collaborazione che alla fine mitigò la tragedia delle deportazione. «Solo» lo 0,5 per cento (1400 persone) venne deportato.
Ma questa storia è subalterna, poco conosciuta.
 «Perché la cultura della nonviolenza è subalterna. Siamo ancora fortemente condizionati da una memoria del sistema. Anche oggi ci si trova di fronte a forme di autoritarismo, di violenza, di persecuzione degli altri (pensiamo ai migranti) e la cultura della nonviolenza che tenta di opporsi viene poco considerata».
Dall’esterno lei come legge la testimonianza di Josef Mayr-Nusser?
 «Importantissima. Non solo perché riscatta i silenzi di tanti cristiani di fronte al nazismo ma perché emerge come una forza morale e spirituale che ha il potere di dire ai giovani che di fronte alla violenza, alla persecuzione, di fronte al male, bisogna seguire la coscienza ed essere in grado di dire anche No. Mayr-Nusser ha fuso insieme l’istanza mistica con quella politica. Il suo gesto parte da considerazioni di fede ma diventa un atto politico di rifiuto di un sistema e delle sue leggi crudeli. Il suo atto fu politico nel senso più nobile del termine, è l’atto del cittadino libero che resiste a una violenza».


Anche il vescovo Golser gli renderà onore


Sabato prossimo alle ore 15 alla Haus der Familie di Stella di Renon, dove è sepolto Josef Mayr-Nusser, Enrico Peyretti parlerà insieme a Uschi Teissl-Mederer referente di Pax Christi Innsbruck sul tema «Il coraggio di dire No. La resistenza attiva di Mayr-Nusser a cento anni dalla nascita». Sono previsti i saluti del vescovo Karl Golser e del sarentinese Franz Thaler. Peyretti è uno studioso di Torino, impegnato nel movimento per la nonviolenza e la pace. Svolge attività come ricercatore per la pace nel Centro Studi «Domenico Sereno Regis» di Torino, sede dell’Ipri (Italian Peace Research Institute), è membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Università piemontesi nonché del comitato di redazione della rivista Quaderni Satyagraha. Ha scritto vari libri su Gandhi, Tolsotoj e sul pensiero nonviolento fra cui l’ultimo «Il diritto di non uccidere» (il Margine).



Quegli eroi scomodi e dimenticati

Si chiamano Jägestätter, Dallasega, Franz Thaler


Hanno combattuto il tiranno da soli. Senza armi, senza corazze. Hanno affermato la fedeltà alla coscienza e non hanno mai pensato di barattare i valori profondi della vita con facili compromessi. Vedevano quello che altri non volevano vedere. Molti li indicavano come traditori, ribelli, sobillatori. Alla fine della guerra, quando emerse lo squallore e la brutalità del nazismo, questi solitari vennero tenuti comunque ai margini perché riflettevano la cattiva coscienza di un popolo soggiogato al regime.
Il 4 ottobre del 1944 Josef Mayr-Nusser urlò la sua ribellione contro Hitler. Lo aveva annunciato qualche giorno prima alla moglie: «Due mondi si stanno scontrando. Prega per me affinché nell’ora della prova io agisca senza timori o esitazioni secondi i dettami della mia fede e della mia coscienza». Josef venne incarcerato, processato a Danzica e condannato a morte per disfattismo. Venne caricato su un treno e avviato al campo di concentramento di Dachau. Morì alla stazione di Erlangen il 24 febbraio del 1945. Franz Jägerstätter affrontò da solo il Reich. Era un contadino austriaco di Sankt Radegund. Nel 1943 decise di fare obiezione di coscienza. Il primo marzo si presentò in caserma per dire al comandante che il nazismo è un sistema oppressivo e violento e che la fede in Cristo è in totale contrasto. Il vescovo Fliesser tentò invano di dissuaderlo. Venne trasferito a Berlino e ghigliottinato il 9 agosto del 1943. La stessa fine dei giovani della Rosa Bianca, Hans e Sophie Scholl, Alexander Schmorell, Willi Graf, Christoph Probst e il professore di filosofia Kurt Huber. Il gruppo aveva creato nell’università di Monaco una vera e propria cellula di resistenza contro il Reich. Ma la Rosa fu recisa. Dietrich Bonhoeffer venne impiccato a Flossenburg nel 1945. È stato stato uno dei più grandi teologi del Novecento. Venne coinvolto nella congiura contro Hitler. Imprigionato a Berlino, spiegò le ragioni della sua lotta: «Quando un pazzo lancia la sua auto sul marciapiede, io non posso, come pastore, contentarmi di sotterrare i morti e consolare le famiglie. Io devo, se mi trovo in quel posto, saltare e afferrare il conducente al suo volante». Ma altri solitari meritano di essere ricordati. In Alto Adige grandiosa è la storia e la testimonianza di Franz Thaler, sarentinese sopravvissuto a Dachau. Meno indagata quella del soldato Leonardo Dallasega, di Proves, che si rifiutò di sparare a un sacerdote. Per questo motivo venne ucciso insieme a lui nei pressi di Ala.
(f.c.)


Alto Adige 14-2-10
postato da: apritisangia alle ore 07:39 | Permalink | commenti
categoria:letture
sabato, 13 febbraio 2010


Bolzano, un futuro da città normale


MAURO FATTOR

«Bolzano, una strana città che diventerà normale». Si intitola così il capitolo dedicato al capoluogo altoatesino all’interno di «Città flessibili. Una rivoluzione nel governo urbano», ultima fatica di Corrado Poli, docente di Economia ed Etica dell’Ambiente e di Economia della Cooperazione Internazionale all’Università di Bergamo. Il libro descrive l’evoluzione storica e geografica delle città europee di media grandezza in rapporto alle metropoli e alle città nordamericane. Quando sono modelli di successo, e spesso lo sono, questo avviene sulla base dell’affermarsi di modelli di autonomia locale. La rivoluzione nel governo urbano, sostiene Poli, presuppone la trasformazione dei Comuni da enti locali rigidamente controllati dallo Stato, o dalla Provincia nel caso di Bolzano, in comunità autonome e autogovernate. Ma perchè, in quest’ottica, il capoluogo altoatesino si qualifica come una città «strana»? La domanda l’abbiamo girata direttamente a Corrado Poli.
«Strana nel senso di complessa - spiega - Per la sua storia recente non esente da conflittualità, per la sua composizione multietnica, per la sua collocazione culturale, un po’ compressa tra nord e sud. Complessa vuol dire anche che ha un potenziale enorme che fatica ad esprimere».
Cosa intende dire? Che è una città ripiegata su se stessa?
 «Intendo dire che grazie al suo carattere multietnico potrebbe diventare un laboratorio del futuro d’Europa. Può esserlo perchè non è una metropoli è perchè le sperimentazioni sono possibili tanto quanto i conflitti, contenuti però in una scala che consenta soluzioni controllate».
Se le città italiane soffrono del centralismo statale o regionale, Bolzano soffre del centralismo della Provincia e delle dinamiche più generali del rapporto tra i gruppi entici.
 «Appunto. È per questo che parlo di secessione urbana. Le città riflettono tensioni che poco hanno a che fare con i veri problemi dei cittadini. Discorso che vale anche per Bolzano. Certo, in Alto Adige tutto è più complicato da molti punti di vista e il centralismo della Provincia può essere ancora più asfissiante di quello statale. La verità è che città come Bolzano devono avere più autonomia finanziaria, gestionale, progettuale. Essere vicini ai cittadini per stemperare i conflitti».
E invece cosa succede?
 «Succede che i soldi arrivano ai Comuni solo quando si tratta di finanziare grandi opere spesso superflue. Se i Comuni potessero invece gestire in autonomia gli stessi flussi finanziari decidendo magari di spalmarli su servizi, trasporti pubblici, infrastrutture di base migliorando la qualità del tessuto urbano, la musica sarebbe diversa».
In Alto Adige però le rigidità sono soprattutto di sistema.
 «Vero. Ma è anche vero che l’architettura istituzionale dell’autonomia, vecchia di 40 anni, oggi è messa sotto stress da dinamiche sociali e migratorie che la rendono perfettibile. Per cui, se è vero che qui le resistenze al cambiamento sono più forti in ragioni dell’autonomia, è anche vero che qui più che altrove i nuovi flussi migratori e il contesto europeo in cui tutti ci muoviamo hanno e avranno sempre più un effetto dirompente. Sono l’elemento che costringerà a rimescolare le carte e che porteranno l’Alto Adige a liberarsi da una cappa di provincialismo che, sinceramente, è ancora molto presente».
Ed è in questa fase nuova che Bolzano dovrebbe far valere le proprie prerogative?
 «Esattamente. Nonostante i legacci è la più dinamica delle realtà altoatesine, per questo parlo di laboratorio. Non è solo questione di composizione etnica, si tratta anche di sperimentare nuove forme di autogoverno delle città dentro l’autonomia provinciale. Si tratta di cercare nuovi equilibri. Fino ad oggi è stato impossibile, ma una condizione di subalternità non credo sia più accettabile. Per esempio, credo che ai Comuni vada assicurata anche una maggiore libertà in campo di imposizione fiscale».
Lei parla di provincialismo.
 «Sì, lo dicevo sempre anche al mio amico Hans Glauber, l’organizzatore dei Colloqui di Dobbiaco, a cui ho partecipato molte volte: sempre e solo relatori tedeschi, o al massimo italiani con relazioni che si traducevano in una somma di provincialismi privi di orizzonte. In questo credo possa giocare un ruolo fondamentale l’Università di Bolzano. L’insegnamento trilingue unito al respiro internazionale che un’università può assicurare, possono accelerare il processo di revisione di alcuni meccanismi dell’autonomia».
La realtà altoatesina sembra immobile, ma il cambiamento secondo lei è inevitabile.
 «Sì, è così. L’Unione Europea, la globalizzazione e l’immigrazione stanno cambiando i termini della questione sudtirolese».


Alto Adige 13-2-10
postato da: apritisangia alle ore 05:59 | Permalink | commenti
categoria:letture
venerdì, 12 febbraio 2010

Il mondo di parole di un cieco




CARLA SPILLER


«Sprich, damit ich dich sehe». Parla, affinchè io ti veda. I suoni, le parole, le voci costituiscono gli elementi attraverso i quali i non vedenti interpretano il mondo che li circonda.
Dice tutto il titolo dell’ultimo libro a firma di Nikolaus Fischnaller, nativo di Luson e divenuto non vedente nell’età della pubertà. Autore di volumi come «Bilder, die tragen» (tradotto in italiano «Vedere con gli occhi dell’anima») e «Unterwegs von der Quelle zum Meer», raccolta di poesie, favole e racconti, Nikolaus Fischnaller è un esempio non solo di come si possa convivere con un handicap così grave come la mancanza della vista ma anche della capacità di reagire ad un destino difficile, dedicando la vita a sensibilizzare l’opinione pubblica sui problemi dei non vedenti. Attivo con incarichi di responsabilità in tutte le associazioni di volontariato e non, che si occupano di persone con problemi di vista, al fine di migliorarne la qualità della vita, Fischnaller con questo libro intende gettare un ponte fra vedenti e non vedenti, chiedendo agli uni maggior comprensione e non compassione, e fornendo agli altri consigli ed esperienze su come affrontare la vita di tutti i giorni, il quotidiano. Il libro, edito da Raetia, raccoglie una serie di aneddoti e di episodi reali capitati all’autore e a persone a lui vicine, accomunate dallo stesso tipo di handicap, raccontati con sottile ironia e leggero umorismo con il fine di sdrammatizzare le difficoltà dei non vedenti ed aiutare a superare le paure di chi vive questa condizione. Lo abbiamo intervistato.
Perché ha sentito l’esigenza di scrivere questo libro?
 «Io mi occupo da sempre di sensibilizzare la gente sui problemi dei non vedenti. Nel corso della mia vita mi è capitato spesso di notare gli atteggiamenti scorretti di chi non conosce questa realtà, atteggiamenti di falso pietismo o di eccessiva premura. Volevo spiegare alle persone normali i giusti comportamenti da tenere nel rapporto con i non vedenti e nello stesso tempo fornire ai semi-vedenti, ai nuovi ciechi, uno strumento di incoraggiamento e di aiuto per affrontare le difficoltà che gli spostamenti ad esempio comportano. Io viaggio molto ed è lì che mi accorgo dei rapporti strani fra vedenti e non vedenti ed è lì che vedo le paure e le ansie di chi vedente non è. Per questo ho scritto questi episodi realmente accaduti, affinché siano di stimolo per gli uni e per gli altri».
Come si può definire l’atteggiamento dei vedenti nei confronti dei non vedenti?
 «Rispetto a cinquanta anni fa, il rapporto è migliorato molto, è mutato positivamente. C’è maggiore sensibilità, maggiore apertura nelle persone, anche grazie all’attività di informazione che è stata svolta efficacemente in questi anni. Spesso ospiti della Germania mi fanno notare che a Bolzano la gente è molto disponibile ad aiutare. In Germania la gente è più fredda e meno attenta. L’attenzione verso il prossimo in difficoltà è una peculiarità più evidente in Italia».
Cosa possono imparare vedenti e non vedenti da questo libro?
 «I vedenti possono imparare che un cieco non è un cieco, ma una persona con qualità, talenti e dignità. Spesso con la scusa dell’handicap e con il pietismo eccessivo ci si dimentica del reale valore dei singoli e delle potenzialità che possono esprimere. I non vedenti devono imparare ad avere più forza, a non vivere l’handicap come dramma, ma riconoscere e superare le paure che spesso sono false o inventate. E non titubare nel chiedere aiuto. Quindi i vedenti devono essere più sensibili ed i non vedenti non devono avere paura di chiedere aiuto. In questo modo di realizza uno scambio più profondo e proficuo».
Ma cosa sono le parole per i non vedenti?
 «Le parole sono molto importanti. Senza i suoni, senza i rumori, senza le voci, io non posso riconoscere la realtà che mi sta davanti. Io sento moltissimo dalle parole e riesco ad orientarmi. Attraverso le parole io vedo e per questo ho dato questo titolo al mio libro».


Alto Adige 12-2-10
postato da: apritisangia alle ore 05:23 | Permalink | commenti
categoria:letture
giovedì, 11 febbraio 2010


Classifica dei prestiti in Biblioteca Civica: il preferito è Paolo Giordano



 BOLZANO. La Biblioteca civica ha stilato la classifica delle opere più prestate nel 2009. Tra i libri di narrativa continua l’onda lunga di Paolo Giordano con “La solitudine dei numeri primi”, già classificatosi al primo posto nel 2008, seguito dalle storie di vampiri di Stephenie Meyer, che piazza ben quattro titoli in classifica. Irresistibile l’ascesa di Stieg Larsson, presente con la sua trilogia (“Uomini che odiano le donne”, “La ragazza che giocava con il fuoco”, “La regina dei castelli di carta”); tra i primi dodici troviamo poi due autori italiani, Erri De Luca (“Il giorno prima della felicità”) e Tiziano Scarpa (“Stabat mater”), insieme a tre intramontabili classici come Italo Svevo (“La coscienza di Zeno”), Luigi Pirandello (“Il fu Mattia Pascal”) e Primo Levi (“Se questo è un uomo”).
 Per la saggistica ancora in altissima posizione “Gomorra” di Roberto Saviano, appena preceduto dall’esoterico “The secret” di Rhonda Byrne. Grande interesse per i manuali di lingua, i corsi multimediali e le gudie escursionistiche, che proiettano il prolifico autore locale Hanspaul Menara al terzo posto assoluto tra gli autori di non-fiction.
 Nel ventennale della caduta del Muro è “Goodbye Lenin” il primo assoluto nei prestiti di dvd.
 Nelle biblioteche succursali si conferma nella narrativa il successo di Giordano, Meyer, Larsson, Steel; nella non-fiction accanto a Saviano ha suscitato grande interesse Greg Mortenson e la sua appassionata opera di alfabetizzazione in Pakistan (“Tre tazze di tè”). Molto richiesti anche i libri di due brillanti donne della televisione italiana, Luciana Littizzetto e Lilli Gruber.
 Tra la narrativa per bambini spopolano ancora Harry Potter e Geronimo Stilton ma piacciono molto anche il ciclo fantasy “Artemis Fowl “dell’irlandese Eroin Colfer e i libri di James Gelsey (“Il tesoro sommerso”, “Un’estate da brivido”).


Alto Adige 11-2-10
postato da: apritisangia alle ore 06:45 | Permalink | commenti (1)
categoria:letture
giovedì, 11 febbraio 2010


Omaggio a Gino Coseri: LA POESIA




Me piaseria ’ncontrarte


 “Ai preat la biele stele,”
in tanti entorno al foc
Lu me sgomita, e me dis:
canta anca ti.
(Mi no podo, son teron
non so ste bele strofe)
Tuti no gaven dei bei ricordi
chi te a visto recitar a le comedie
chi con Ti ha cantà,
e l’è stato in compagnia.
Nei cassetti te poi trovar
berette verde o blù
E’ passà ’n po’ de temp
l’è arrivà carneval
en den car de sonadori
ho vist la foto.
El ma fat ’n gran piazer,
No ’i sé desmentegati de Ti
Me son dit ’ntra de mi
i te ga ciamà “Il Principe”
l’era per dirte grazie
per l’allegria che ne ai dat.
Non voria vederte come ’n santo,
te eri uno de noi,
e me sento ’na roba ’ntesta
se gò n’appuntament
me piaseria dir:
’ncontremose
in “piazza Gino Coseri.”
 ’N laivesot.

Enzo Ferrante LAIVES
postato da: apritisangia alle ore 06:41 | Permalink | commenti (1)
categoria:letture
domenica, 07 febbraio 2010


Erri De Luca: scrivere di montagna



La caccia di cui scrivo è una caccia antica, quella di oggi invece si riduce ad una sparatoria


FABIO BONAFÈ


Si tratta sicuramente di uno dei fenomeni letterari e culturali più interessanti dell’Italia degli ultimi decenni. Erri De Luca a partire dalla fine degli anni Ottanta ha scritto articoli e saggi, racconti e romanzi, poesie e pezzi per teatro, traduzioni dall’ebraico di libri della Bibbia, e traduzioni di testi di una lingua annientata dall’Europa, l’yiddish. Una lingua scomparsa con il popolo che la parlava, gli ebrei dell’Europa orientale. Una mole impressionante di lavoro di scrittura che supera già una sessantina di titoli. E, come se non bastasse, una specie di biografia “senza pazienza”, o che riconquista la pazienza attraverso il valore delle parole e della scrittura. Come attraverso il camminare lento e faticoso del salire in montagna.
 Raggiungiamo Erri De Luca al telefono mentre è in viaggio verso Genova da dove riparte la tournée del 2010 dello spettacolo teatrale tratto dal suo libro In nome della madre (2006), dove la madre del titolo è la madre di Gesù, la Madonna. Parliamo insieme dell’ultimo racconto, “Il peso della farfalla”, nel quale si sviluppa la storia di due protagonisti: un maestoso camoscio e un cacciatore, l’uomo che da anni cerca di abbatterlo. Entrambi sono stanchi e sanno di essere al termine della propria vita. Su di loro pesa già un passato tragico che ha unito le loro vite. Quando ho finito di leggere la storia ho pensato che questo è un quasi “inno” al rispetto reciproco.
 “Il sentimento del rispetto in questa storia viene dal trovarsi in un ambiente difficile, dove la creatura umana si trova in trasferta, e dove le forze della natura sono schiaccianti. Il rispetto viene anche da questa condizione di inferiorità. Manchiamo di rispetto quando ci sentiamo superiori”.
 Questo libro è anche un inno al mondo selvatico, ma non è un libro trendy, alla moda. Per esempio si parla della caccia, ma non è un manifesto contro la caccia.
 “No, non lo è. Qui la caccia è ancora come la intendevano i nostri antenati: andare a guadagnarsi l’animale in posti difficili, come sostentamento necessario per la propria vita. Oggi la caccia è tutta questa abbondanza di fucileria per andare a sparare in massa a sparuti esemplari, magari reintrodotti attraverso allevamenti di selvaggina. Oggi siamo di fronte a una cosa che si chiama sparatoria”.
 Mi sembra anche che la storia del cacciatore/scalatore e del “re dei camosci”, così compatta e forte, sia come un pezzo di una cura contro la banalizzazione, contro la facilità con cui fin da piccoli si impara a barare.
 “In montagna si può barare, però è più difficile. In montagna si è più nudi, è più evidente la verità di ognuno. Un poeta russo diceva: “se vuoi conoscere il tuo compagno, portalo in montagna”. Ecco lì ti accorgi delle sue qualità e dei suoi vizi. In montagna viene fuori il meglio e il peggio, è un ambiente che rivela la verità delle persone”.
 Pensando alla figura del cacciatore in questa storia si vedono come due lati di debolezza: il ricordo della giovinezza e insieme ad esso il rapporto con la società degli uomini, e poi dall’altra parte il rapporto con il femminile.
 
“Il personaggio di questa storia è un solitario, uno che ha dimenticato la relazione. E la più difficile delle relazioni per il genere maschile è quella con il genere femminile. Lui ha dimenticato e quindi non sa come fare. Ma ammira il femminile del mondo, ché la natura è femminile”.
 Il libro inizia con la morte della madre dei due camosci e finisce con altre due morti. Poi però nel libro, terminata la prima storia, c’è come un contrappeso, ci sono le pagine del brano intitolato Visita ad un albero.
 “Per me l’unica relazione tra queste due storie, quella del camoscio e quella dell’albero, è che le ho scritte in montagna nella stessa estate, quella di due anni fa. Perché io passo le mie estati in montagna dalle parti vostre sulle Dolomiti. Quindi erano talmente due scritture collegate, venute una dopo l’altra, che in questo libro le ho tenute insieme. Sono un frequentatore assiduo della vostra regione. Base in Val Badia, poi vado a scalare in giro”.
 Sembra di vederlo Erri De Luca in giro per montagne, con quel volto da Mediterraneo, nato a Napoli e figlio di un alpino, con la pelle segnata dal sole e dal vento, quasi come una corteccia. Quasi come quella di un cirmolo, di quello di cui parla nelle ultime pagine del suo libro.
 “D’estate riceve il primo sole alle 6, salito dietro una cima di Fanes. Una volta l’anno salgo a salutare l’albero, mi porto da scrivere e mi siedo al suo piede. A due metri da lui, a ovest, spuntano dai sassi quattro stelle alpine, un principio di costellazione”.


Un quasi-sessantenne con un nuovo bestseller


Di Erri De Luca si trova molto, anzi moltissimo, navigando su internet. L’enciclopedia libera di Wikipedia ci ricorda che è nato a Napoli il 20 maggio 1950 ed è uno scrittore, traduttore e poeta italiano. In queste settimane il suo ultimo libro, Il peso della farfalla (Feltrinelli, euro 7,50) è in vetta alle classifiche dei più venduti, mentre nelle biblioteche è in prestito e già prenotato, segno che è un libro veramente letto. Scrittore intenso e forte, amante della montagna e schivo, quasi quattro anni fa spiazzò tutti rifiutando il Premio Itas il Cardo d’Oro, in polemica con la casa editrice che aveva presentato il suo libro sulla scalatrice Nives Meroi al Film Festival di Trento. Qualcuno lo giudicò un gesto arrogante o di “snobismo tardo-rivoluzionario”, ricordando il suo passato di militante dell’estrema sinistra. Conoscendolo meglio non verrebbe mai da pensare una cosa simile. I premi non lo interessano, è meglio scrivere. (f.b.)



Alto Adige 7-2-10
postato da: apritisangia alle ore 07:08 | Permalink | commenti (1)
categoria:letture
sabato, 06 febbraio 2010


Vi racconto Viktor anche per capire il mondo migrante




CARLA SPILLER


Ad Alta Voce - Stille Post è un’iniziativa della Ripartizione Famiglia e Politiche Sociali della Provincia, sviluppatasi in collaborazione con edizioni Alpha Beta e con il Kvw, che prevede la pubblicazione di dieci racconti inediti, cinque in italiano e cinque in tedesco, di noti scrittori locali che trattano diverse tematiche del sociale (vecchiaia, malattia, migrazione, povertà, violenza eccetera) Da gennaio 2010 fino al gennaio 2011 i racconti verranno distribuiti gratuitamente, due alla volta, uno in italiano ed uno in tedesco, con ritmo trimestrale in tutto l’Alto Adige, in speciali espositori nei luoghi del sociale.
 Il primo racconto in lingua tedesca già in circolazione è «Letzte Ausfahrt» di Sepp Mall, quello in lingua italiana, intitolato «Viktor» è invece di Fabio Marcotto. Bolzanino, attualmente insegnante di italiano a Merano e a Bolzano, Marcotto ha studiato e lavorato in Germania ed in Russia, all’Università Filologica Statale di San Pietroburgo, dove è stato lettore di lingua italiana. Autore di diverse pubblicazioni, fra le quali ricordiamo «Bar Duce», «Vino dentro» e «Masterà», ha composto ora il primo racconto in lingua italiana per la collana dedicata al sociale «Ad alta voce/Stille Post».
Il testo si intitola «Viktor» e narra la vita di un ingegnere ucraino emigrato a Bolzano con un figlio che, fra tentativi di integrazione attraverso l’amicizia con una famiglia italiana e disorientanti ritorni a Kiev, dove vivono la ex moglie con l’altra figlia, offre uno spaccato dei problemi e delle difficoltà di sopravvivenza degli immigrati, che, pur colti e specializzati, svolgono mestieri umilissimi, affrontano grandissimi sacrifici e vivono un disagio sociale e psicologico. Il tema, attualissimo e che tante discussioni solleva, è dunque l’immigrazione, lo sradicamento, la solitudine di chi vive in terra straniera, alla ricerca in prospettiva di un futuro migliore, davanti ad un presente amaro e solitario. Solo il figlio di Viktor, Maksim, immigrato di seconda generazione, ha una speranza di vita portatrice di benessere e di soddisfazioni, di socializzazione e di ambizioni realizzate. Viktor invece passa il suo tempo ammazzandosi di lavoro, cercando rapporti umani che poi sfumano, in bilico fra la sua terra e quella che lo ospita, incerto e sospettoso.
 Abbiamo intervistato l’autore.
Perché ha scelto di raccontare l’immigrazione?
 «Il tema mi interessava molto. È attualissimo anche da noi in Alto Adige. L’immigrazione è una grande forza, un grandissima risorsa, specialmente per il gruppo italiano, che oserei definire «un gruppo di cani sciolti» senza rappresentanza politica e culturale. Quando io viaggio in autobus per i miei spostamenti sento parlare l’italiano con accento albanese, ucraino, sloveno, moldavo. L’autista, che si era dimenticato l’italiano, ora torna a parlarlo. L’immigrazione è un problema per chi la vive, ma per noi in Alto Adige costituisce un’ottima chance, perché gran parte degli immigrati è affiliato al gruppo italiano. È questa la novità positiva. Non voglio fare etnopolitica, ma davanti ad una «Todesmarsch» degli italiani, perché una rigenerazione sociale, economica e politica è impossibile, gli immigrati possono apportare nuova linfa, nuovi contributi e possibilità di cambiamento, dal punto di vista culturale e identitario. Io sono stato via dieci anni dall’Alto Adige e, tornando mi sono accorto subito di questo aspetto positivo dello straniero, che porta una terza identità che passa attraverso il gruppo italiano».
Tornando al racconto, Viktor è un integrato?
 «Lo è a metà. Ha problemi linguistici, culturali. Ha amici italiani con i quali ha degli screzi. Gli piacerebbe tornare a Kiev nella sua città natale, ma anche lì oramai si sente un estraneo. Viktor ha una ex moglie e un’altra figlia in Ucraina; le famiglie smembrate sono un fatto comune per gli immigrati dell’Est. Ci sono immigrati come quelli sudamericani che si integrano subito, altri come gli slavi che non lo saranno mai. Almeno quelli di prima generazione. Questo Viktor se ne andrà per la sua strada, forse tornerà a Kiev, ma il figlio si fermerà e metterà radici. Il racconto non ha comunque alcuna intenzione politica, linguistica, etnica, ma vuole essere il più realista possibile e descrivere con toni vivi il disagio dello straniero».
Come vede l’incontro sociale-letteratura, che propone la collana «Ad alta voce-Stille Post»?
 «Se questi racconti evitano un approccio didascalico o troppo analitico nel senso scientifico del termine e narrano solo la storia la scommessa è vinta. Il tema, il sociale, deve essere solo l’ispirazione per non scivolare nel saggio o nel pamphlet».
 Fabio Marcotto e Sepp Mall saranno a Silandro il 22 febbraio ed a Merano il 25 per la presentazione pubblica dei due testi. Successivamente gli incontri avranno luogo anche a Bolzano ed Appiano, ma le date sono ancora da fissare. I racconti alla fine verranno raccolti in una antologia. Dopo Sepp Mall e Fabio Marcotto, toccherà a Anne Marie Pircher e Manuel Maini, Helene Floss e Sandro Ottoni, Birgit Unterholzner e Paolo Valente, Kurt Lanthaler e Brunamaria Dal Lago Veneri.

Alto Adige 5-2-10
postato da: apritisangia alle ore 06:26 | Permalink | commenti
categoria:letture
venerdì, 05 febbraio 2010



IL SILENZIO

Presentazione libro - La Biblioteca Endidae di Egna ospiterà oggi alle ore 20.15 la presentazione del libro «Il silenzio», di Ada Zapperi Zucker, una storia ambientata in gran parte in Alto Adige dalla metà del Novecento in poi.

Egna, Biblioteca Endidae
  • venerdì  05.02.2010, ore 20.15

    Lettura con: letture di Lorenzo Merlini

    Libro di: Ada Zapperi Zucker

    Introdotto da: moderatore Paolo Mazzucato

    Il Silenzio
    Il Silenzio

    Durante la veglia funebre all’anziana sorella Rita, la protagonista della narrazione, Enza, ripercorre le tappe della propria esistenza. Dopo un’infanzia misera, cresciuta nella cucina di un ristorante, la donna è assunta presso il Grand Hotel d’una località lacustre,dove fa conoscenza del figlio della proprietaria, che poi sposa e da cui avrà tre figli. Enza si occupa con passione dell’albergo e alla morte della suocera ne diviene proprietaria. Sulla sua vita pesa però l'ombra della mancanza d'amore da parte della madre, arrivata dalla Calabria al Sudtirolo, il rapporto problematico con la sorella handicappata, e un terribile segreto che rischia di minarne l'identitá.
    Racconto introspettivo e intimista, tutto giocato su emozioni, volto a sottolineare i chiaroscuri e le ambivalenze dell’animo umano, Il silenzio narra di una sofferta autoanalisi e di un rapporto conflittuale, destinato però a concludersi in una pacata riconciliazione.



    Am Totenbett der Schwester läßt Enza ihr Leben Revue passieren - die einsame Kindheit, die Arbeit in einer Restaurantküche, der Aufstieg zur Hoteldirektorin, die glückliche Heirat mit Carlo, Arzt und Sohn der Hotelbesitzerin. Über ihrem Leben hängt immer der Schatten der mangelnden Liebe der Mutter, die in den 30er Jahren aus Kalabrien nach Südtirol kam, die problematische Beziehung zur behinderten Schwester Rita und ein schreckliches Geheimnis, das ihre Identität ins Wanken bringt. Ada Zapperi-Zucker zeichnet das facettenreiche Porträt einer Frau, deren Selbstanalyse am Ende doch zur Versöhnung führt.


    Ada Zapperi-Zucker è nata a Catania, ma vive da molti anni in Germania. Cantante lirica, ora è insegnante di canto a München e a Bressanone. Ha collaborato al Dizionario Biografico degli Italiani dell’Istituto Treccani. In autunno 2007 ha pubblicato la raccolta di racconti La scuola delle catacombe, che nel 2008 ha vinto il Primo Premio al concorso internazionale Giovanni Gronchi e Terzo Premio al concorso letterario Città di Siderno.


postato da: apritisangia alle ore 05:47 | Permalink | commenti
categoria:letture
martedì, 26 gennaio 2010


Sfida di poesia 2010, domani sera la prima selezione




BOLZANO. Ritorna la sfida delle poesie declamate sul palco. Da domani infatti al centro giovanile Pippo.stage di Parco Petrarca iniziano le selezioni per il Poetry Slam 2010, la gara di poesia: i poeti leggono su un palco i loro versi e sono giudicati da cinque spettatori estratti a sorte dal pubblico; il tutto sotto la direzione di un maestro di cerimonia. Quella di domani è la prima delle 4 preselezioni mensili che porteranno 12 vincitori alla finale del 28 maggio. S’inizia alle ore 20; info e iscrizioni al numero 0471 - 053855 dalle 14 alle 19.

Alto Adige 26-1-10
postato da: apritisangia alle ore 07:30 | Permalink | commenti
categoria:letture
lunedì, 25 gennaio 2010


Stasera l’anteprima dell’ultimo libro firmato Kapuscinki



 BOLZANO. Anteprima bolzanina per l’ultimo libro firmato Kapuscinski. È la casa editrice di Trento, «il Margine» a stampare l’unico libro di Kapuscinski che ancora manca alla sterminata bibliografia raccolta ultimamente in un Meridiano dalla Mondadori.
 Questa sera, alle ore 20.30, verrà presentato al teatro Cristallo di via Dalmazia a Bolzano in anteprima italiana il libro «Perchè è morto Karl von Spreti. Guatemala 1970». Un libro sconvolgente. Kapuscinski cerca di spiegare il giallo del sequestro e dell’uccisione dell’ambasciatore tedesco Karl von Spreti avvenuta a Città del Guatemala nel 1970 ad opera della guerriglia. Il giallo si lega, indissolubilmente, alla storia di un «Pais ocupado» come scrisse Eduardo Galeano nel suo omonimo libro. Il reporter polacco, che ha vissuto per alcuni anni le vicende travagliate del continente latinoamaricano insieme a Gabriel Garcia Marquez - con il quale fondò una scuola di giornalismo - spalanca davanti agli occhi dei lettori l’assurdità di un Paese totalmente in mano agli interessi economici e politici degli Stati Uniti d’America e dei Paesi dell’Europa come la Germania, che per molti anni ha controllato il commercio del caffè attraverso il latifondo e lo sfruttamento dei contadini ridotti in schiavitù. Dentro questa storia matura la vicenda drammatica dell’uccisione di Karl von Spreti. Kapuscinski solitamente non da giudizi politici nelle sue ricostruzioni dei fatti, ma dal suo racconto si capisce chiaramente quali siano le responsabilità dei governi (tedesco, americano, guatemalteco) dinanzi alla morte dell’ambasciatore che fu sacrificato all’altare degli interessi economici e delle derive politiche di un Paese sprofondato nella violenza della dittatura.
 Nella prefazione al libro, il premio Nobel per la Pace Adolfo Perez Esquivel scrive: «Ryszard Kapuscinski nel suo libro traccia un minuzioso quadro di quelli che furono i meccanismi di dominio e di cessione del Paese ai nordamericani e ai loro interessi. Il Guatemala è infatti un Paese strategico nella regione centroamericana. Per la presentazione del libro il Centro per la Pace ha invitato la moglie e la figlia di Kapuscinski, l’inviato della Rai Ennio Remondino, il giornalista esperto di America Latina Maurizio Chierici e la collaboratrice del premio Nobel Adolfo Perez Esquivel, Grazia Tuzi. Un appuntamento da non perdere.

Alto Adige 25-1-10
postato da: apritisangia alle ore 06:14 | Permalink | commenti
categoria:letture
giovedì, 14 gennaio 2010


Dieci scrittori per raccontare il sociale. Ad Alta Voce




Narrare il sociale. È questa la sfida che Aldo Mazza e la casa editrice Alpha Beta hanno deciso di accettare proseguendo un progetto ideato da Reinhard Gunsch con la Ripartizione Provinciale Famiglia e politiche sociali dell’Alto Adige. «Ad Alta Voce/Stille Post» è il nome del progetto, presentato ieri in uno spazio inconsueto: la casa di riposo Villa Serena, a Bolzano in Via Fago. Una location in sintonia con le altre che ospiteranno i «frutti» di questo lavoro, ovvero altri «luoghi del sociale» quali scuole, stazioni, ospedali, dove verranno distribuite, gratuitamente, le diecimila copia dei due racconti inediti - uno in italiano e uno in tedesco - che per un intero anno verranno pubblicati due alla volta e con ritmo trimestrale. Racconti firmati da autori altoatesini e dedicati al tema del sociale.
 I promotori dell’iniziativa Gunsch e Mazza con la «benedizione» dell’assessore Theiner, del responsabile delle KFV - le Acli tedesche - Beer e del cofinanziatore Fondazione Carisparmio erano presenti ieri insieme ai primi due autori Fabio Marcotto e Sepp Mall, che hanno firmato rispettivamente “Viktor” e “Letzte Ausfahrt”. Dieci racconti inediti, cinque in italiano e cinque in tedesco, di noti scrittori locali che trattano diverse tematiche sociali: vecchiaia, malattia, immigrazione, povertà, indigenza, emarginazione, diversità. Racconti che alla fine verranno raccolti in una antologia.
 Si inizia con gennaio 2010 e si finisce dodici mesi più tardi, nel gennaio del 2011. Dopo Sepp Mall e Fabio Marcotto, toccherà a Anne Marie Pircher e Manuel Maini, Helene Flöss e Sandro Ottoni, Birgit Unterholzner e Paolo Valente, Kurt Lanthaler e Brunamaria Dal Lago Veneri. Il progetto si propone come «sensibilizzazione verso il sociale, cioè verso la convivenza di persone con destini, situazioni di vita e bisogni molto differenti tra loro, un valore che deve essere comunicato all’intera comunità e da contrapporsi agli allarmismi scandalistici o ai semplici appelli caritatevoli».
 I dieci racconti vogliono essere anche uno strumento utile per avvicinare tutti, anche i più giovani e il mondo della scuola, alle tematiche del sociale e insieme alla lettura.

Alto Adige 14-1-10
Presentata l’iniziativa "Ad alta voce - Stille Post"
“Un riuscito connubio tra letteratura e sociale, per sensibilizzare la nostra società riguardo alle tematiche sociali e far comprendere che temi come la migrazione o la povertà riguardano tutti noi” con queste parole l’assessore provinciale alla sanità ed alle politiche sociali, Richard Theiner, ha presentato alla stampa l’iniziativa "Ad alta voce - Stille Post”.
Il progetto prevede la pubblicazione di dieci racconti brevi inediti di scrittori altoatesini, cinque in lingua italiana e cinque in lingua tedesca, che trattano diverse tematiche sociali: dalla vecchiaia alla malattia, dalla migrazione alla povertà, alla violenza.
La nascita e lo sviluppo del progetto sono stati illustrati da Reinhard Gunsch, del Servizio sviluppo del personale della Ripartizione famiglia e politiche sociali, coordinatore dell’iniziativa, il quale ha sottolineato il riuscito coinvolgimento di elementi anche molto diversi tra loro. In primo luogo la casa editrice “alpha beta”, il KVW e le Acli, la Fondazione Cassa di Risparmio e la Federazione delle Associazioni Sociali.
L'obiettivo primario di "Ad alta voce - Stille Post" è quello di sensibilizzare la popolazione sull'importanza di comunicare i temi e le questioni sociali valorizzandole, e non limitandosi ad allarmi scandalistici o appelli caritatevoli.
La serie di racconti brevi verrà pubblicata, con cadenza trimestrale, da gennaio 2010 fino a gennaio 2011, e i testi saranno distribuiti gratuitamente in tutto l'Alto Adige. Le copertine sono state realizzate da persone diversamente abili dei laboratori protetti di Salorno e di Cardano.
Sono già disponibili i primi due testi, “Letzte Ausfahrt” di Sepp Mall e “Victor” di Fabio Marcotto. In marzo usciranno “Schwarz und Weiß” di Anne Marie Pircher e “A Little Poem” di Manuel Maini, in giugno “Riecht nach Orangen” di Helene Flöss e “Il divano” di Sandro Ottoni, in ottobre “Einen Sommer lang” di Birgit Unterholzner e “Giorni strani” di Paolo Valente, infine nel gennaio del 2011 “Persen” di Kurt Lanthaler e “Finestra dell’anima” di Brunamaria Dal Lago Veneri.  
È prevista una tiratura di 10.000 copie per ogni testo alla quale seguirà la pubblicazione di un’antologia complessiva delle dieci opere.
Il presidente della casa editrice “Alpha Beta” ha sottolineato la propria soddisfazione per la realizzazione del complesso progetto editoriale che, oltre a parlare del sociale, fornisce anche un quadro complessivo di alcuni tra i più significativi scrittori altoatesini contemporanei.  
Konrad Peer, presidente del KVW, ha quindi espresso la forte adesione della sua organizzazione al progetto di sensibilizzazione sulle tematiche sociali ed ha confermato che i testi saranno distribuiti capillarmente su tutto il territorio provinciale anche grazie alle oltre 200 sezioni del KVW.
 Ufficio stampa Provincia (FG)

postato da: apritisangia alle ore 15:03 | Permalink | commenti
categoria:letture
sabato, 09 gennaio 2010


Cooperazione, apre biblioteca specializzata al servizio della città



 BOLZANO. Apre la biblioteca della cooperazione. Interessante iniziativa di Legacoop che ha deciso di riempire un vuoto nell’offerta delle biblioteche della provincia, coprendo un settore che coinvolge migliaia di persone. Presso la nuova struttura, ospitata nella sede di Legacoop do piazza Mazzini, si potranno consultare volumi e riviste specializzate e consultare tesi scritte da studenti altoatesini sulle diverse realtà cooperativistiche del nostro territorio. Il servizio è affidato a Margherita Gitto.
 Le strutture culturali e specialistiche della città si arricchiscono di una nuova realtà che copre un settore ancora poco valorizzato. Apre, infatti, la prima biblioteca specialistica per la cooperazione in provincia di Bolzano Oltre mille titoli, tra volumi e periodici che documentano la storia e l’evoluzione del movimento cooperativo in Alto Adige, in Italia e in Europa.
 Un patrimonio di cultura cooperativa molto importante che Legacoop ha deciso di mettere a disposizione degli studenti altoatesini, dei ricercatori e dei cittadini con l’obiettivo di promuovere una più ampia e approfondita conoscenza e affermazione dei principi e dei valori della cooperazione.
 La biblioteca, spiegano alla Lega delle cooperative, è specializzata nelle discipline economiche, storiche e sociali riguardanti il movimento cooperativo e comprende anche alcune tesi di laurea a tema locale.
 Il sessanta per cento dei libri sono in lingua italiana e il quaranta per cento in tedesco.
 Per accedere al prestito è necessario rivolgersi alla nostra collaboratrice Margherita Gitto dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 14 negli uffici di Legacoopbund in Piazza Mazzini 50-56 a Bolzano (Tel. 0471 067 100).
 E’ possibile anche consultare i libri in biblioteca negli orari di apertura della stessa (9-14).
 Le cooperative associate hanno inoltre la possibilità di consultare online il catalogo dei libri pubblicato nell’area riservata del sito di Legacoopbund.
 Il catalogo è suddiviso per argomenti e settore per agevolare la ricerca.
 Presentando la sua biblioteca, Legacoopbund intende valorizzare la documentazione bibliografica e mettere a disposizione delle scuole, dell’università, delle istituzioni culturali e di tutti gli interessati gli strumenti di cultura cooperativa in suo possesso.

Alto Adige 9-1-10
postato da: apritisangia alle ore 06:21 | Permalink | commenti
categoria:cultura, letture
martedì, 05 gennaio 2010


Love story sotto il Muro che cade



Joseph Zoderer ci svela il contenuto del suo nuovo romanzo

BARBARA GAMBINO

Le 300 pagine del suo nuovo romanzo sono tutte lì. Scorrono una dietro l’altra appese alle pareti della sua Schreibwerkstatt a Brunico. Pagine manoscritte, cui corrispondono quelle digitate a computer, che tracciano l’ampio perimetro del piano terra di Villa Moessmer: un atrio che dà su un grande salone con vista giardino e un’ala laterale un tempo adibita a zona notte, ai servizi e alla cucina. Questo lo spazio in cui Joseph Zoderer ha insediato il suo studio, o meglio, il suo atelier di scrittore.
 Joseph Zoderer, ha sempre avvertito la necessità di visualizzare quanto scrive?
 
Nello spazio dove ho lavorato per trent’anni, nel mio maso di Terento, avevo un cavalletto dove appendevo appunti, riflessioni e promemoria per orientare il mio narrato” spiega mostrando un angolo tra il bagno e quella che una volta poteva essere una camera da letto, movimentato da numerosi post-it colorati accuratamente appesi al muro.
 Più che lo studio di uno scrittore, sembra o una galleria d’arte: atrio, camere e corridoi ospitano le testimonianze di ogni momento del suo lavoro...
 
Qui ho a disposizione uno spazio molto grande e completamente vuoto, dove dare respiro a quanto sto scrivendo e a quanto ho scritto in passato; ci sono anche le fotocopie di alcuni miei diari dell’89 allineati per terra. L’inizio del mio nuovo romanzo è appeso nell’atrio: è datato 19 maggio 2009.
 Da quanto tempo lavora a Villa Moessmer?
 
Dal 17 settembre scorso. E’ stata l’artista Julia Bornefeld, che da quattro anni ha il suo atelier in un padiglione del lanificio Moessmer, a trovarmi questo spazio. Un tempo questa era la residenza del direttore della ditta.
 Come si trova qui?
 
Molto bene. Quando sono arrivato la finestra del salone si affacciava su un muro di vegetazione rigogliosa. Ora è inverno e davanti alla mia scrivania ci sono soltanto le sagome degli alberi spogli e il bianco della neve; mi sento meno riparato e protetto e ho smesso di andare in giardino.
 Ha bisogno di raccoglimento per scrivere?
 
Sì, da sempre. Sin dall’infanzia, passata in gran parte in collegio lontano da genitori e fratelli, ho imparato a vivere gran parte della mia esistenza ritirato, in solitudine.
 Di cosa parla il Suo nuovo romanzo?
 Sto lavorando a quello che potrei definire un “Protokolle der Grausamkeit. Ein Wechselbad von Glück und Unglück” una sorta di resa dei conti della normalità dell’esistenza. Un lavoro che racconta il continuo bilanciarsi nella vita di ognuno tra l’idilliaca felicità, la speranza e la realtà che porta ai compromessi. Gli alti e bassi nel dramma che è la vita di ogni uomo, la Sehnsucht, i desideri e le pulsioni che ci spingono a prendere le decisioni e che a volte ci fanno cambiare direzione.
 A quando la sua pubblicazione?
 
Vorrei riuscire a ridurre il materiale che sto stendendo entro marzo, in modo che il mio nuovo romanzo possa essere pubblicato a novembre per la Carl Hanser Verlag di Monaco, in occasione del mio settantacinquesimo compleanno.
 Ridurre?
 
Sì. Diciamo che interiormente ho concepito un’opera in tre volumi. A novembre, se tutto va bene, ne uscirà uno.
 Qualche accenno ai protagonisti?
 
Non amo parlare della trama dei romanzi che sto scrivendo. Posso dire che parla di un giornalista, di un corrispondente estero. Ha una famiglia (in un Bauerhof? Sembra di scorgere dai fogli appesi al muro, ndr) ed è perennemente in viaggio tra una capitale europea e l’altra. Questo il motivo delle cartine geografiche di Londra, Lisbona, Parigi e Berlino che sono qui sulla mia scrivania. Ed è proprio per lavoro, che il mio corrispondente viene a trovarsi a Berlino in un periodo molto particolare.
 In che anni siamo?
 
Nel novembre del 1989. E’ qui che il mio protagonista rimane sospeso, travolto dagli avvenimenti che si succedono inarrestabili fino alla caduta del muro... e anche dall’incontro con Miguela, la compagna di uno scrittore catalano.
 Questo il motivo della presenza dei suoi diari dell’89?
 
Proprio così. Ho avuto la fortuna di essere a Berlino proprio in quei fatidici mesi. Dalle pagine dei diari di allora riesco a ricostruire l’inanellarsi e il succedersi vorticoso degli avvenimenti che hanno portato alla caduta del muro e l’euforia dei mesi successivi.
 Il suo protagonista ha una professione che richiama quella dell’autore...
 
In questo caso posso dire che è vero. Sono stato giornalista per venti anni e questo è essenzialmente il motivo per cui gli ho assegnato questa professione. Ora però, mi sto rendendo conto che proprio il suo mestiere potrebbe crearmi dei problemi in corso d’opera.
 Che cosa intende?
 
Un corrispondente estero deve confrontarsi quotidianamente con gli avvenimenti politici. Ma la politica, la cronaca degli avvenimenti politici, turbano il mio modo di scrivere. Diciamo quindi che la politica finisce per invadere l’esilio privato della sua esistenza.
 Un incontro-scontro tra due anime, quello che avviene a Berlino tra il giornalista e Miguela. Un amore che rende estraneo ciò che non dovrebbe esserlo e trasforma la condizione di lontananza in intimità?
 
Un poeta, uno scrittore, dovrebbe sempre essere un tecnico dei sentimenti. Naturalmente non scrivo solo di quello che ho vissuto, ma di ciò che possono vivere tutti: parlo di solitudine, di estraneità, della sua fiera consapevolezza, di calore e intimità. Del desiderio che ci spinge verso un percorso di vita, o ci costringe ad enormi compromessi. Tutto quello che scrivo e che ho scritto è mosso dagli stessi incessanti interrogativi... quelli che ogni uomo si pone, o si dovrebbe porre, anche inconsciamente: chi sono? Cosa faccio? Dove sono? A che luogo appartengo? Che senso ha tutto? Nasce insomma dalla continua meraviglia e dallo stupore di essere al mondo.
 Estraneità, lontananza, intima incomunicabilità nei rapporti tra uomo e donna.
 
C’è sempre stata e sempre ci sarà. Puoi amare una donna quanto vuoi, per giorni, mesi ed anni, ma non riuscirai mai ad entrare completamente nel suo mondo, a comprenderla appieno. Vale per entrambi, ovviamente.
 Lei è uno dei pochi scrittori altoatesini che scrive in lingua tedesca ad avere un significativo seguito in Italia. Che idea si è fatto nel corso degli anni dei lettori italiani?
 
I lettori italiani si sono dimostrati incredibilmente affettuosi e partecipi al mio lavoro. Nel corso degli anni sono stati in molti a scrivermi per esprimere la loro stima nei miei confronti. E può anche darsi che il pubblico italiano percepisca alcuni argomenti con una sensibilità differente da quella del pubblico tedesco.
 Il suo nuovo romanzo verrà tradotto in italiano?
 
Non c’è ancora nulla di sicuro, ma credo proprio di sì. L’editoria italiana si è sempre rivelata molto attenta alla mia attività e spero che lo sia anche questa volta.

Alto Adige 5-1-10
postato da: apritisangia alle ore 08:01 | Permalink | commenti
categoria:letture
domenica, 27 dicembre 2009


Il ritorno di Banda :«Come imparare ad essere niente»



CARLO MARTINELLI


Giacché è al momento il solo scrittore altoatesino che pubblica regolarmente con casa editrici di primo, primissimo livello (dimenticavamo: scrittore in lingua italiano, ovviamente in lingua tedesca rifulge di luce tutta sua Joseph Zoderer, «lo scrittore» dell’Alto Adige per antonomasia), occorre affrettarsi nel segnalare la buona novella. Alessandro Banda è tornato. Lo scrittore di Merano cui vanno strette assai le definizioni, ha infatti completato la sua nuova fatica. Vedrà la luce nel prossimo mese di gennaio, l’editore è sempre Guanda (la casa editrice italiana di Hornby e Sepulveda, per dirne due) e l’attesa ha un suo perché a partire dal titolo: «Come imparare ad essere niente», sottotitolo: Moro, Pasolini, Lady D. Avrà 200 pagine, costerà 15 euro, uscirà nella collana che ha già ospitato i tre precedenti romanzi di Banda. «La verità sul caso Caffa» (2003, e Caffa era Kafka, benché mai citato), «La città dove le donne dicono no» (2005, e la città era Merano, benché mai citata), «Scusi, prof, ho sbagliato romanzo» (2006, quando Giovanni Pacchiano, uno dei critici che fanno per davvero il mestiere in Italia, scrisse che Banda è autore coltissimo, di coinvolgente vena satirica, la cui terra è solo il grande libro della letteratura). Sono passati ormai nove anni dall’esordio assoluto del nostro: era il 2001 infatti quando Einaudi pubblicò «Dolcezze del rancore». Oggi, per l’insegnante del liceo pedagogico di Merano, dove vive (l’anagrafe lo indica venuto al mondo a Bolzano nel 1963), un passaggio tosto. Atteso con la curiosità dovuta a chi - e non capita certo a molti, vista l’autorevolezza e la severità del critico - ha intascato pure le lodi di Pietro Citati: «Voce ansiosa ed asmatica: quel suo ghigno candido e disperato è l’ultimo segno che ci giunge dalla sua bocca di straniero». Dove straniero, sospettiamo, sta per un porsi fuori dalle cose del mondo, per raccontarle meglio. Magari senza nominarle. Perché questa si annuncia come la prima, spiazzante caratteristica del suo nuovo libro. Non troveremo mai, al di là appunto del sottotitolo, i nomi di Moro, Pasolini e Lady D. dentro le pagine. «Come imparare ad essere niente» viene infatti presentato in questi giorni come l’originale rielaborazione di tre icone del Novecento. Curiosiamo tra schede editoriali e risvolti di copertina e riferiamo: il protagonista del nuovo, singolare libro di Banda è una figura evanescente. Un contabile-medium che appare all’inizio e poi svanisce. È lui che ha raccolto e trascritto, con l’ausilio dello scrittore, le voci di tre famosissimi personaggi. Morti. Che dall’Aldilà parlano delle loro vite e di come, in circostanze drammatiche e misteriose, sono appunto morti. Ripetiamolo. In tutto il libro ldo Moro, Pier Paolo Pasolini e Lady Diana non vengono mai nominati. La spiegazione? Questa. «Come esistono degli abiti talmente lisi che non si possono più portare, così esistono nomi talmente citati (spesso a sproposito) che non si possono più pronunciare, pena un invincibile senso di fastidio». Avvertono quelli di Guanda: «L’accostamento dei tre ci pare inedito. Due di loro sono spesso accoppiati. Ma il terzo (la terza, sarebbe più corretto dire) quasi mai è stata collegata agli altri due. Evidentemente Banda si è accorto che, nel mazzo dei tarocchi mediatici (dove la parola tarocco va intesa anche nel suo senso gergale), i tre sono intercambiabili o equivalenti. Il Presidente, il Poeta e la Principessa non rappresentano forse il Morto Misterioso, o l’Ammazzato Famoso?». Insomma, quella che Banda vuole raccontare - tra poche settimane la curiosità sarà soddisfatta -, altro non sarebbe che la «solitudine paradossale». Personaggi profondamente soli, nonostante i flash dei fotografi e le lucine delle telecamere. E quello che emerge dalla narrazione è così una visione sacrificale dell’esistenza. Al punto che il sospetto è quello che il risvolto di copertina di «Come imparare ad essere niente» pone come tagliente finale: «Nonostante per i tre si sia più volte usata l’espressione tragedia, prevale l’idea che la loro sorte si avvicini più alla farsa, ancorché tremendamente sanguinosa...» Esagerazione? Iperbole? Provocazione? O non invece, proprio perché si è scelto un punto di vista laterale, sghembo, lettura disincantata e dunque vicina al vero? Ai lettori l’ardua sentenza.

Alto Adige 27-12-09
postato da: apritisangia alle ore 06:26 | Permalink | commenti
categoria:letture
venerdì, 18 dicembre 2009

Ricordando Kaser




MAURO FATTOR


Dopo il torpido nulla di Madame Hirsch, le profondità di Kaser il maledetto. Museion cambia registro e nella casa atelier riporta sulla scena il nome e il ricordo di Norbert Conrad Kaser, l’intellettuale più anticonformista e corrosivo che l’Alto Adige abbia mai prodotto. Una discesa all’inferno, la sua, fatta di poesia e di vita vera, ineluttabile come una divina commedia ubriaca. Sono sempre versi rarefatti, sospesi tra ironia e una solitudine indicibili. Kaser era un poeta e a rileggerlo oggi lo è ancora di più. Chi non lo conosce - e sono ancora in tanti - farà bene a fare un salto al museo d’arte contemporanea di Bolzano. Da ieri infatti e fino al 7 gennaio prossimo, il gruppo «local to local» in collaborazione con il Comune di San Genesio presenta nella casa atelier di Museion il progetto «Kaser Tableau», omaggio speciale allo scrittore N.C. Kaser. Punto di partenza di «Kaser Tableau» sono i racconti e le storie di paese nate durante il soggiorno di Kaser a Valas, frazione del comune di San Genesio, dove lo scrittore lavorò come insegnante dal 1973 al 1975. Nella vetrina della casa atelier il gruppo, basandosi sulla tradizione dei cosidetti tableaux vivants, ha ricostruito gli elementi architettonici del maso Taber di Valas quasi fosse un piccolo palcoscenico privato della vita di Kaser, trovato lì miracolosamente. Un palcoscenico che ripropone un ambiente contadino: una stufa, un tavolo, un letto, un comodino, carta da parati in stile alpino, pareti lignee. Nella performance realizzata in occasione dell’inaugurazione queste trame sono state ulteriormente sviluppate attraverso installazioni, suoni, oggetti, film, azioni che riportano a Kaser e al suo mondo. Il risultato è un divertente dialogo fra realtà e finzione, passato e presente, azioni intenzionali e non. Il progetto «local to local» è frutto del lavoro congiunto di un’equipe di artisti di diversi Paesi: Gabi Oberkofler, altoatesina di San Genesio; Andreas Geisselhardt, Germania; Jang-joung Jung, Corea; Kestutis Svirnelis, Lituania; Ilke Yilmaz, Turchia; Markus Ambach, Germania). Il lavoro è iniziato nel 2007 con una mostra nella città sudcoreana di Pusan ed è proseguito nel 2008 al maso Taber a Valas. Maso Taber è stato in passato un edificio rurale, sede di un’associazione, teatro e sala da ballo. Il gruppo local to local vi si è trasferito per realizzare un «museo delle relazioni locali-globali». L’edificio è stato trasformato nell’ «Istituto per gli affari alpini» dove, in stretta collaborazione con la popolazione locale, artisti altoatesini, americani, sudcoreani, tedeschi e austriachi lavorano ed espongono le loro opere. «Abbiamo pensato a Kaser dopo aver parlato con chi l’ha conosciuto, a Valas - spiega Gabi Oberkofler - ci hanno raccontato storie minime, piccole cose che fanno capire molto dell’uomo, delle sue difficoltà a scendere a patti con la fatica della vita quotidiana. Combatteva contro la stufa per riscaldare l’aula e tutto finiva in un principio di incendio con tanto di intervento dei pompieri. Oppure ci hanno raccontato che andava coi ragazzi nel bosco e regolarmente si perdeva facendo scattare operazioni di ricerca che coinvolgevano mezzo paese. Ma non è solo questo, questo è solo il punto di partenza. Quello che ci interessa di Kaser - continua l’artista - è il rapporto di ambivalenza che aveva con la Heimat sudtirolese». Il tableau è concepito infatti come una stanza isolata, con una sola vetrata che la collega verso il mondo esterno, quasi un ponte, con un tavolo che sporge al di là del confine della camera e una poesia di Kaser che viene diffusa incessantemente in sottofondo (e che riportiamo qui, sotto la foto principale, ndr). «Naturalmente è una poesia dedicata alla Heimat - spiega ancora Gabi Oberkofler - che racchiude in pochi versi il senso del suo pensiero. Quello che vogliamo trasmettere è un’idea di solitudine». La domanda a questo punto è quasi d’obbligo: cosa resta oggi della poesia di Kaser per quelli di local to local? «Moltissimo - risponde senza esitazione Gabi Oberkofler - oggi una voce come quella di Kaser manca tantissimo. E non è solo la mancanza di una voce critica, quello che manca è anche la capacità che aveva Kaser di una presa emotiva sul mondo, di trasmettere emozioni. O forse solo umanità».


Alto Adige 18-12-09
postato da: apritisangia alle ore 07:48 | Permalink | commenti (1)
categoria:letture
martedì, 15 dicembre 2009


Storia e cultura locale premiate le tesi migliori di diplomati e laureati




MARTINA CAPOVIN



 BOLZANO. Come ogni anno, secondo quella che è ormai divenuta una bella tradizione, la Biblioteca provinciale italiana “Claudia Augusta” di via Mendola conferisce un premio alle tesi di diploma, di laurea specialistica e di ricerca di interesse provinciale. Giunto alla sue sesta edizione, il Premio Claudia Augusta è stato consegnato quest’anno, nel corso di una cerimonia pubblica ieri nel tardo pomeriggio nella sala della biblioteca, dalla direttrice della “Claudia Augusta”, la dottoressa Valeria Trevisan, dall’assessore provinciale alla cultura italiana, Christian Tommasini, e dal presidente del Comitato scientifico del premio, Sergio Trevisan. Numerossi gli intervenuti e ventidue le tesi premiate che, come ha ricordato la direttrice Trevisan, assumono un’importanza fondamentale: «Queste tesi - ha infatti spiegato - sono materiale importantissimo per la ricerca sulla nostra terra, ma sono estremamente difficili da reperire. Grazie a questo premio, gli studenti mettono a disposizione i loro elaborati nella nostra biblioteca così che possano essere visionati da tutti. Da quest’anno poi le tesi saranno anche catalogate e reperibili sul nostro sito».
 «Queste tesi sono di fondamentale importanza - ha sottolineato a sua volta l’assessore Christian Tommasini - e fanno parte di tutta la vastissima gamma di strumenti messi a disposizione della cittadinanza per far conoscere meglio la terra nella quale viviamo. In particolare i giovani purtroppo non conoscono abbastanza il territorio e gli aspetti sociali, culturali e artistici della nostra regione. E’ importante quindi fornire loro i mezzi per far sì che queste lacune vengano colmate, così da formare dei cittadini consapevoli della propria identità culturale. Siamo per questo lieti di premiare e poter valorizzare la meglio i lavori di questi studenti, che hanno come oggetto alcuni aspetti dell’Alto Adige».
 Gli studenti premiati appartengono ad università differenti e hanno presentato tesi su temi più disparati, ricevendo un premio in denaro basato sul voto.

Si va dal confronto tedesco-latino a Manifesta

M.CAP.


 Ecco i premiati e i titoli delle loro tesi.
 Alessia Bergamo, “L’ospedale militare di Bolzano”.
 Camilla Bigarello, “Lessico latino e lessico tedesco a confronto”.
 Barbara Cicala, “Vivere in un contesto multiculturale”.
 Paola Del Pero, “L’inserimento lavorativo. Il caso di Bolzano”.
 Daniela Di Gesaro, “Sclerosi multipla, una indagine in Alto Adige”.
 Valentina Failo, “La cappella di Santa Caterina dei Domenicani a Bolzano”.
 Jessica Fedele, “Le origini della Südtiroler Volkspartei”.
 Elena Filippi, “Profili organizzativi. Il caso della biennale itinerante Manifesta”.
 Angela Fiorito, “Musica e movimento”.
 Valentina Franci, “Monete celtiche in Alto Adige”.
 Julica Frisa, “La motivazione come fattore di apprendimento della lingua”.
 Petra Gansbacher, “La promozione turistica attraverso i manifesti”.
 Valentina Laghi, “Contesto educativo bilingue e dislessia”.
 Mandy Montecchi, “Interpretare e valutare il maltrattamento infantile”.
 Alessandro Nervo, “Minnesanger, le fortificazioni in Alto Adige”.
 Marco Pellitteri, “Letture giovanili. Il caso degli italofoni in Alto Adige”.
 Attilio Piller Roner, “La chiesa di San Maurizio in Val Pusteria”.
 Silvia Recla, “Interferenze linguistiche nei parlanti italo-tedeschi in Alto Adige”.
 Giulia Rossi, “Senso di comunità tra adolescenti altoatesini”.
 Tommaso Runcio, “Indagine etnografica tra adolescenti di seconda generazione a Bolzano”.
 Sara Scala, “Sviluppo e problematiche dell’immigrazione femminile in provincia di Bolzano”.
 Vera Trebo, “La resilienza negli studenti altoatesini”.


Alto Adige 15-12-09
postato da: apritisangia alle ore 04:44 | Permalink | commenti
categoria:donne, letture
giovedì, 10 dicembre 2009


I critici letterari si formano stando in aula




Successo del progetto “Serendipity” con gli studenti che hanno stilato recensioni di libri


 BOLZANO. Per fare il critico letterario non è sufficiente saper leggere un libro. Banalità? No, perchè saper leggere implica una capacità di emozionarsi nelle lettere senza perdere la lucidità. Ci hanno provato gli studenti di otto scuole della provincia, protagonisti del progetto “Serendipity”. L’iniziativa è tanto semplice quanto efficace: far diventare i ragazzi dei critici letterari con la possibilità di esporre le proprie relazioni in forma multimediale, proposte ieri all’Itc Battisti. Un invito alla lettura che riscuote successo, come sottolinea Elisa Bellò, del liceo classico di Brunico: «Il libro è sempre importante, anche per le nuove generazioni. Non c’è paragone tra quel che vedi sul computer e le sensazioni che ti regala un volume. Io ho analizzato “Heike riprende a respirare” di Schneider, viaggio attraverso gli stravolgimenti, anche psicologici, che comporta la guerra. Non è stato facile dare un commento perché si tratta di un capolavoro e non sempre ci si sente all’altezza. In gruppo, però, ce l’abbiamo fatta».
 Il campionario di libri recensiti è ampio (molte recensioni si trovano sul sito www.serendipity.bz.it): si va dai classici come “Oliver Twist” e “Orgoglio e pregiudizio” fino alle ultime tendenze tipo “Codice da Vinci” e “Twilght”. Victoria Negruta e Francesca Orlando, del “Battisti”, hanno recensito proprio un romanzo della serie di Stephenie Meyer: «E’ una scrittura adrenalinica con un intreccio appassionante e ben costruito. Ci si trova amore, avventura, sentimento, cose che piacciono a noi ragazze».
 Valerio Moser, invece, dallo scientifico di Bressanone si è misurato col fenomeno Dan Brown: «Un autore capace di mettere in simbiosi il mistero, il thriller e le ambientazioni eccezionali. Non stupisce il suo successo, ma lasciano perplessi le versioni cinematografiche».
 Impegnato in un raffronto tra grande schermo e romanzo anche Alex Grassi che ha fatto le pulci a Jurassic Park. «Crichton e Spielberg sono riusciti, a loro modo, a creare pietre miliari nella storia dell’arte. Il film è abbastanza fedele, anche se alcuni adattamenti nella trama sono evidenti. Un raffronto è difficile perché il cinema ti impone una sua visione e l’impatto della scena è univoco, mentre il libro lascia più interpretazione. In questo caso, però, ho preferito la pellicola anche per il prezioso ausilio della colonna sonora, ma non sempre è così».
 Una grossa differenza, però, c’è: a criticare un film possono provare tutti, con un libro il discorso si fa molto più complicato. (a.c.)

Alto Adige 10-12-09
postato da: apritisangia alle ore 06:41 | Permalink | commenti
categoria:letture, giovani
giovedì, 10 dicembre 2009



Ecco la biblioteca scolastica che si “apre” come un libro


 BOLZANO. Si investe ancora in biblioteche: già questa, in tempi di computer selvaggio, è una notizia. Che il tutto avvenga in una scuola, a disposizione di ragazzi e bambini per cui l’indice è spesso il dito con cui cliccare il mouse piuttosto che l’incipit di un volume, è ancora meglio. Inaugurata ieri mattina, alla scuola media “Archimede”, la nuova biblioteca a disposizione dell’Istituto comprensivo Bolzano V: una superficie 14x18 in grado di contenere tutto quanto possa servire al classico servizio bibliotecario, ma anche per le iniziative collaterali.
 Ecco, quindi, che alcuni scaffali hanno le rotelle per cambiare la disposizione degli spazi secondo le esigenze in pochissimo tempo, l’impianto audio è all’avanguardia e c’è la possibilità di oscurare la sala per suggestivi incontri con scrittori. Il tutto è stato affidato alla responsabile Vanna Predelli, creatrice di eventi che invitino alla lettura, al costo complessivo, per le casse comunali, di 150.000 euro. Al taglio del nastro, il sindaco Spagnolli, l’assessore ai lavori pubblici Pagani e la sovrintendente Minnei; cerimoniere, la dirigente Marina Degasperi.
 «Quando sono arrivata in questa scuola - commenta -, la biblioteca era un “buggigattolo” polveroso e subito ho deciso di trovarle una sistemazione più dignitosa. Siamo solo al primo passo di una riqualificazione più ampia che vedrà l’adeguamento dell’istituto alle norme di sicurezza, ma anche il cablaggio, la ristrutturazione della palestra e altri piccoli interventi. Se tutto va bene, partiremo già quest’estate».
 Tre milioni di euro sono già pronti, come conferma l’assessore Pagani: «La biblioteca è stato considerato un progetto prioritario e quindi è stato accelerato, poi verrà il resto. Il tutto all’interno di una filosofia amministrativa che vuole coniugare le grandi opere con la quotidianità».
 Positivo anche il commento della sovrintendente Nicoletta Minnei: «Le strutture altoatesine sono davvero all’avanguardia e le biblioteche sono da sempre luoghi di grande fascino». Un vero e proprio elogio del libro, poi, dal sindaco Spagnolli: «Dall’antichità questo strumento ci ha permesso di tramandare comunicazioni e nell’epoca multimediale non dobbiamo scordarci l’importanza di poter sfogliare, rileggere, maneggiare un volume. Se si inizia a farlo da bambini, poi non si smette più».
 Girando questa pagina del giornale, quindi, ascoltate il fruscio della carta e respirate il profumo d’inchiostro: tutto questo il computer non potrà mai darlo.

Alto Adige 10-12-09
postato da: apritisangia alle ore 06:39 | Permalink | commenti
categoria:letture
martedì, 01 dicembre 2009




Il Gruppo Teatrale EOS di Bolzano
presenta
IDA DALSER,
LA MOGLIE DI MUSSOLINI
Lettura Interpretativa tratta dal libro


« LA MOGLIE DI MUSSOLINI »



di MARCO ZENI




[Edizioni Effe Erre, Trento]




Con accompagnamento musicale dal vivo


Riduzione e adattamento


a cura di Lorenzo Merlini

 INTERPRETI:
 Mara Da Roit
 Pierpaolo Dalla Vecchia
 MUSICHE E ACCOMPAGNAMENTO AL PIANOFORTE:
 Emanuele Zottino


REGIA:

Lorenzo Merlini

mercoledì 2 dicembre 2009 ore 9.00


Teatro Cristallo

Rappresentazione per studenti


Lo spettacolo nasce dal libro «La moglie di Mussolini» di Marco Zeni. Il lavoro si esplica sotto forma di letture interpretative con accompagnamento al pianoforte. La vicenda prende le mosse nel 1913, quando fra Ida Dalser di Sopramonte di Trento e il futuro duce Benito Mussolini si accende la passione. Dopo il matrimonio in chiesa e dopo la nascita, nel 1915, del figlio Benito Albino, inizia l’allontanamento della donna. L’ascesa dell’uomo politico, che nel frattempo ha sposato Rachele Guidi, è inarrestabile, e con essa matura la sua decisione di escludere dalla propria vita sia Ida che il bambino. Per essere resa inoffensiva Ida viene infine internata, pur sana di mente, in manicomio. finchè nel 1937 muore. La stessa sorte toccherà al figlio Benito Albino che, dopo un’infanzia e una giovinezza dense di soprusi,,spirerà all’età di 27 anni. Una vicenda umana che non può lasciare indifferenti.

Ingresso 3 Euro


postato da: apritisangia alle ore 15:19 | Permalink | commenti
categoria:letture
martedì, 01 dicembre 2009


Sconfinare scrivendo La letteratura a caccia di Europa


Christine Lavant


GIANCARLO ANSALONI



Ècaduta la Cortina di Ferro, è caduto il muro di Berlino: almeno in Europa quelle orrende barriere di ferro e cemento si sono ormai diluite negli archivi della storia. Il che non è valso tuttavia a rimuovere tutto il corollario che questi mostri politici del XX secolo hanno lasciato dietro di sé, cioè altre barriere, ancora impresse nell’animo, nella vita civile e nella stessa cultura di quei popoli vissuti per decenni sotto le pesanti pressioni dei regimi totalitari dell’Est. Ebbene proprio in questi Paesi, l’ euforia per una libertà riconquistata, il risveglio delle coscienze, benché ostacolato da residui dei regimi implosi, le speranze in un futuro che, in situazioni di riscatto appare sempre ricco di promesse, di ricchezze morale e materiali, sta nascendo la «nuova Europa», di fronte a un vecchio Occidente ancora piuttosto distratto.
 Ma per fortuna c’è chi, attraverso la rete della cultura molto prima che attraverso la politica, ha percepito già da tempo questi fermenti ricchi di singolari peculiarità che si esprimono soprattutto nella letteratura. Fermenti creativi peraltro difficilmente etichettabili o classificabili proprio perché s’intrecciano e si innestano superando le consuete barriere dei confini politici, degli scontri etnici, delle incomprensioni linguistiche, dei residui nazionalismi, ancora molto forti, delle reazioni rabbiose della vecchia «nomenklatura». Un tema discusso l’altra sera in una sala della libreria «Mardì Gras» in via Hofer a Bolzano, in un incontro promosso dalla nuova e anche anagraficamente «giovane» casa editrice «Zandonai» di Rovereto per merito di due fondatori, Giusi Drago e Giuliano Geri, entrambi ancora al di sotto degli “anta”.


C’è anche Nell tradotto da Gandini


Il «clou» della produzione della «Zandonai», al di là della serie «Le ombre» in fase embrionale, si fonda sulle due collane «I fuochi», dedicata soprattutto ai classici e ai giovani eredi, dove più evidente appare il tentativo di superamento dei confini non solo «materiali», ma anche di «genere»: un’ispirazione che trova in Balzac un’ esperienza di scrittura che oltrepassando i canoni tradizionali della letteratura, si avvicina alla filosofia e alle grandi correnti del pensiero mistico. I «piccoli fuochi» si propone invece di portare alla luce alcune stimolanti nonché diverse nozioni di «confine» che emergono da determinate aree linguistiche, territoriali e culturali.

L’interesse si concentra soprattutto sulla scena Mitteleuropea e sulla cosiddetta Nuova Europa che sta nascendo al di là della frontiera orientale, difficile da definire, data insufficienza di definizioni quali ex Jugoslavia, in via di estinzione oppure di «Balcani», altrettanto vaga, derivando da «montuoso». La narrativa in questi Paesi, a cominciare dalla Serbia, fino ad oggi poco tradotta in Italia, è uno dei punti di forza della casa editrice, senza trascurare i fermenti della Croazia dove ci sono scrittori in piena contestazione verso un nazionalismo troppo accentuato e sfociato nella chiusura di libere pubblicazioni. In questo quadro gli editori hanno dedicato particolare attenzione a quattro autori («non vogliamo infatti importare solo titoli, ma anche e soprattutto autori» è stato sottolineato) ritenuti emblematici per l’intero catalogo. Si tratta in primo luogo di David Albahari, intellettuale serbo con ascendenze ebraiche, emigrato in Canadà, dove ha scritto romanzi (fra cui «L’esca», il più significativo) incentrati sulla tragica esperienza jugoslava; Ivan Djikic, croato, che descrive spietatamente in «Columbia le dinamiche sociali e le loro manifestazioni con riduzione del ”diverso” a una condizione subumana e il parallelo eclissarsi degli intellettuali. racconti sotto il titolo “Nell” (tradotti dal bolzanino Umberto Gandini) Christine Lavant austriaca, morta nel 1973 “i protagonisti sono bambini e donne, piccoli evangelici, che ancora credono “che prima o poi un incantesimo ci tocchi e ci rapisca dalla terra e dal mondo degli uomini”, ma i miracoli, sempre attesi, giungono per lo più troppo tardi”., Boris Pahor che in “Primavera difficile”, narra di uno sloveno, reduce dai campi di concentramento nazisti, che in un sanatorio parigino vive in una sorta di dormiveglia attraversato di continuo dalle immagini di quel mondo dove ha visto consumarsi la distruzione. Nel tracciare il bilancio della serata vale la pena sottolineare come l’essenza della linea editoriale della “Zandonai” sia stata delineata con semplicità e chiarezza in atmosfera colloquiale.
(gi. an.)


Alto Adige 1-12-09
postato da: apritisangia alle ore 08:00 | Permalink | commenti
categoria:letture
lunedì, 30 novembre 2009




"Il silenzio" di Ada Zapperi Zucker

Ada Zapperi a destra

moderatore Paolo Mazzucato
letture di Elisa Pavone

OGGI PRESENTAZIONE LIBRO  La Biblioteca provinciale Claudia Augusta in via Mendola 5 ospiterà oggi alle ore 18 la presentazione del libro «Il silenzio», di Ada Zapperi Zucker, una storia ambientata in gran parte in Alto Adige dalla metà del Novecento in poi.

Durante la veglia funebre all’anziana sorella Rita, la protagonista della narrazione, Enza, ripercorre le tappe della propria esistenza. Dopo un’infanzia misera, cresciuta nella cucina di un ristorante, la donna è assunta presso il Grand Hotel d’una località lacustre,dove fa conoscenza del figlio della proprietaria, che poi sposa e da cui avrà tre figli. Enza si occupa con passione dell’albergo e alla morte della suocera ne diviene proprietaria. Sulla sua vita pesa però l'ombra della mancanza d'amore da parte della madre, arrivata dalla Calabria al Sudtirolo, il rapporto problematico con la sorella handicappata, e un terribile segreto che rischia di minarne l'identitá.
Racconto introspettivo e intimista, tutto giocato su emozioni, volto a sottolineare i chiaroscuri e le ambivalenze dell’animo umano, Il silenzio narra di una sofferta autoanalisi e di un rapporto conflittuale, destinato però a concludersi in una pacata riconciliazione.

Am Totenbett der Schwester läßt Enza ihr Leben Revue passieren - die einsame Kindheit, die Arbeit in einer Restaurantküche, der Aufstieg zur Hoteldirektorin, die glückliche Heirat mit Carlo, Arzt und Sohn der Hotelbesitzerin. Über ihrem Leben hängt immer der Schatten der mangelnden Liebe der Mutter, die in den 30er Jahren aus Kalabrien nach Südtirol kam, die problematische Beziehung zur behinderten Schwester Rita und ein schreckliches Geheimnis, das ihre Identität ins Wanken bringt. Ada Zapperi-Zucker zeichnet das facettenreiche Porträt einer Frau, deren Selbstanalyse am Ende doch zur Versöhnung führt.
Ada Zapperi-Zucker è nata a Catania, ma vive da molti anni in Germania. Cantante lirica, ora è insegnante di canto a München e a Bressanone. Ha collaborato al Dizionario Biografico degli Italiani dell’Istituto Treccani. In autunno 2007 ha pubblicato la raccolta di racconti La scuola delle catacombe, che nel 2008 ha vinto il Primo Premio al concorso internazionale Giovanni Gronchi e Terzo Premio al concorso letterario Città di Siderno.
postato da: apritisangia alle ore 07:18 | Permalink | commenti (2)
categoria:letture
sabato, 28 novembre 2009

Lipsia 1989: Nonviolenti contro il Muro



Lipsia 1989: Nonviolenti contro il Muro

Sabato 28 novembre 2009, ore 11.00
Libreria Kolibri, via della Rena 17 - Bolzano
Paola Rosà
presenta il suo nuovo libro
Lipsia 1989: Nonviolenti contro il Muro


Ingresso libero

A 20 anni dalla caduta del muro di Berlino, questo è il primo libro
italiano che ricostruisce, con documenti di prima mano e dando voce agli
stessi protagonisti, l'appassionante storia dei movimento pacifisti e
nonviolenti, cresciuti nelle Chiese evangeliche della Germania
comunista, e il cui centro era Lipsia, che furono determinanti con le
loro manifestazioni, diventate poi imponenti, nella caduta del Muro
senza spargimento di sangue.

Tra repressione e conformismo, ambiguità e solitari atti di coraggio,
questo libro accompagna il germogliare e il crescere della rivoluzione
anti-regime sin dai primi volantini di protesta contro i sovietici negli
anni Cinquanta e lungo una miriade di piccoli grandi gesti che
costellano i quarant'anni di esistenza della Germania comunista.

Paola Rosà si è diplomata in inglese e tedesco alla Scuola superiore per
interpreti e traduttori dell'università di Trieste e si è laureata in
Scienze politiche a Firenze. Giornalista free-lance, traduttrice,
scrittrice, ha lavorato per il quotidiano l'Adige e la Rai. Nel 2003 ha
ideato e diretto il documentario Un rabbino per la pace trasmesso su
RaiTre. Ha pubblicato per Il Margine Willi Graf. Con la Rosa Bianca
contro Hitler (2008) e ha tradotto e curato Carl Dallago Il grande
Segantini. Scritti scelti (2008).
postato da: apritisangia alle ore 06:53 | Permalink | commenti
categoria:letture
sabato, 28 novembre 2009


Tirolo senza maschera Torna la satira feroce firmata da Carl Techet


Carl Techet

Approda in questi giorni in libreria l’edizione bilingue (tedesco-italiano con testo a fronte) della più spietata e «maledetta» satira mai scritta sul Tirolo e i Tirolesi.
 Uscito cent’anni fa nel solenne anno hoferiano del 1909, il libretto «Fern von Europa: Tirol ohne Maske» (Lontano dall’Europa: Tirolo senza maschera) suscitò all’epoca un clamoroso scandalo politico perché aggrediva tutti i fondamenti del patriottismo tirolese. All’autore, il viennese Carl Techet, insegnante di scienze alla Realschule di Kufstein, non bastò essersi celato dietro lo pseudonimo dal sapore tirolese di «Sepp Schluiferer», dato che sulle sue tracce fu messa persino un’agenzia di investigazioni. Poco prima di essere “scoperto”, si mise in salvo a Monaco di Baviera. Fu trasferito per punizione in Moravia. Il libro ebbe un certo successo in Austria e Germania ma scomparve dalle librerie dell’«Heiliges Land». Per avere un’idea del clima infuocato che si accese intorno al libretto e al suo autore, bastano i toni della “recensione” che gli dedicò la rivista «Tiroler Wastl»: «Cada la mano a chiunque offra a questo schifoso anche solo un pezzo di pane o una goccia d’acqua e venga premiato chi ucciderà questo mostro».
Dall’introduzione storica al libro, curata dallo storico altoatesino Carlo Romeo - fresco, tra l’altro, di un altro interessante libretto su Andreas Hofer - riportiamo una sintesi che ricostruisce il contesto ideologico del primo ’900 in cui si inserì polemicamente la satira. Sull’altra pagina, su gentile concessione dell’editore Raetia di Bolzano, pubblichiamo un racconto integrale di Carl Techet dal titolo «La conversione degli infedeli a Brunico».
 L’intera operazione è una vera novità per il panorama dell’editoria locale e sarà interessante vedere la reazione del pubblico e verificare se, a distanza di un secolo, la satira di Techet riesce a mordere ancora.
(m.f.)

Alto Adige 28-11-09
postato da: apritisangia alle ore 06:12 | Permalink | commenti (2)
categoria:letture
venerdì, 27 novembre 2009


Il cerchio narrativo Torna il vecchio filò e diventa un libro





CARLA SPILLER

Èuscito nei giorni scorsi «Nottetempo - Storie di vita nel cerchio narrativo», scritto da Luciano Casagrande e Ferdinando Raffaelli ed edito da Travenbooks. Luciano Casagrande e Ferdinando Raffaelli sono da alcuni anni gli animatori di cerchi narrativi a Bolzano, cioè della pratica della narrazione di sé e di ascolto della narrazione altrui. L’esperienza di riunirsi in gruppo per ascoltare delle storie e raccontarle, comune a molte società umane, è andata via via scomparendo con l’affermarsi dell’informazione diffusa dai nuovi mass-media. Oggi, anche se viviamo in una società molto diversa, non sono cambiati però i bisogni fondamentali degli individui. Tra questi quello di essere ascoltati e di comunicare la propria esperienza.
Per dare una risposta a questo bisogno di ascolto e di relazione gli autori del libro hanno dato vita a Bolzano con anziani e bambini ad alcuni cerchi narrativi, secondo gli insegnamenti e l’esperienza di Franco Lorenzoni, maestro romano che per primo ha proposto questo tipo di pratica.
I risultati di questo tipo di esperimento vengono ora proposti nel testo “Nottetempo”. Per saperne di più ne abbiamo parlato con gli autori.
Come è nata l’idea di questo libro?
Casagrande: «Prima è nata l’idea del cerchio narrativo. Sulla base di quanto già proposto in altre sedi da Franco Lorenzoni, abbiamo provato a creare dei momenti in cui gruppi di anziani e di bambini, separatamente all’inizio, si raccontavano le loro storie di vita, indotte da uno spunto che veniva dato da noi. Io seguivo più la parte dei bambini, mentre insieme a Ferdinando gestivamo il gruppo degli anziani. Successivamente abbiamo dato vita ad un momento di incontro fra gli anziani ed i bambini, dando ad entrambi insieme il tempo di narrarsi le loro grandi e piccole vicende di vita. Questa è stata l’idea iniziale. In un secondo tempo, avendo registrato e raccolto molto materiale, abbiamo pensato di fare un libro. E dopo il libro, il primo cerchio narrativo con bambini e anziani è diventato anche uno spettacolo teatrale che è stato rappresentato al Teatro Cristallo».
Avete dunque il merito di aver portato a Bolzano il “cerchio narrativo “, che avete imparato da Lorenzoni.
Raffaelli: «La collaborazione fra me e Luciano nasce dal fatto che abbiamo frequentato insieme alcuni stage di teatro e soprattutto di teatro-natura. Il cerchio narrativo non è teatro vero e proprio, però Lorenzoni sostiene che la narrazione di sé è il grado zero del teatro. Non ci sarebbe teatro senza questo desiderio insito nell’uomo di narrare e di ascoltare, che ne ha bisogno come dell’aria che respira. L’attività di mettersi in gruppo e narrare delle storie è antichissima. Questa è la base del nostro lavoro. Credo che anche oggi permanga questo grande bisogno. Non è un caso che nella nostra società ci sia una moltiplicazione infinita di storie, parlo delle fiction della televisione ad esempio, che tanto successo riscuotono. Solo la presa di coscienza della propria storia, del proprio percorso, del proprio tragitto, attraverso la narrazione di se stessi, può salvarci dal caos che è la realtà che ci circonda. Ogni storia ha una forza dentro che ci interessa e ci interpella. E’ un meccanismo se vogliamo anche un po’ misterioso, ma la mente ha bisogno di narrare, vale a dire comunicare la propria esperienza attraverso il linguaggio. Lorenzoni, che ha iniziato con questo tipo di attività all’inizio degli anni’70, sostiene che sia anche un modo per abbattere il muro dell’indifferenza, del sospetto, della non-comunicazione. Da queste premesse e dall’esperienza del fare teatro abbiamo attinto gli strumenti per organizzare il cerchio narrativo a Bolzano».
Quando avete iniziato con questi tipo di esperienza qui a Bolzano?
Raffaelli: «Nell’anno scolastico 2006-2007. I servizi sociali per anziani sono attivi durante l’anno scolastico, mentre nel periodo estivo sono impegnati ad organizzare le vacanze. Abbiamo fatto quindi un parallelo fra scuola e mondo dell’associazionismo degli anziani. Noi abbiamo lavorato con anziani autosufficienti, che non si trovavano in strutture e che sceglievano liberamente di partecipare a questo tipo di esperienza, con una forte motivazione anche».
Qual è stata la reazione di anziani e bambini?
Casagrande: «Gli anziani non credevano in se stessi. All’inizio ci chiedevano: “Cosa abbiamo da raccontare? Chi può essere interessato alle nostre storie? Sono storie di vita normale“. Quando si leggono le storie invece ci si rende conto che sono tutt’altro che banali. Però c’era questa sfiducia iniziale.
Oggi è di moda il protagonismo. Il raccontare ed il raccontarsi non è più di moda e la comunicazione odierna avviene soprattutto tra pochi intimi e non in un contesto collettivo. Un secondo elemento che abbiamo notato è stato l’assoluta incapacità di ascolto. L’ascolto è fondamentale, senza ascolto non c’è comunicazione, non c’è scambio. E’ stato necessario e per farlo abbiamo utilizzato strumenti come brani musicali, piccoli racconti, brevi poesie attivare l’attenzione reciproca. Nei bambini invece ci ha colpito una gran voglia di raccontare repressa, perché non si dedica nella scuola molto tempo al racconto. A scuola si ascolta, si è passivi, anche lì con poca attenzione. Quando noi davamo dei piccoli stimoli del tipo “cosa è successo quando sono nato, cosa mi raccontano i miei di quel giorno” in quel momento i bambini diventavano protagonisti e cominciavamo a parlare».
Il cerchio narrativo è uno strumento per imparare a comunicare quindi?
Raffaelli: «Certo. Le parole servono per comunicare. Oggi viviamo in un contesto di svalutazione della parola, che può servire per vendere, per ingannare e quant’altro, ma nell’esperienza del cerchio narrativo le parole servono solo per comunicare. E questo valore non si trova facilmente nella vita quotidiana, perché solo all’amico racconti la tua storia.
La società di oggi va verso una disgregazione ed i soggetti deboli sono quelli che soffrono di più. Penso ai malati psichici, ai carcerati, ma anche agli anziani. Non solo. Gli anziani sono una miniera di esperienza, sono ricchi di vita vissuta, ma purtroppo i primi a non rendersene conto sono proprio loro. Il cerchio narrativo è stato anche uno strumento di rivalutazione della loro autostima».
Perché il titolo “Nottetempo”?
Casagrande: «Il titolo lo abbiamo ricavato dalla storia di un anziano, che ci raccontava di un ex-pescatore di un paesino della Calabria dove lui viveva, che ora era diventato una sorta di capopopolo, stimato da tutti gli abitanti del paese. La sera si ritrovavano tutti in un certo posto e quest’uomo raccontava le sue storie. L’anziano non si ricordava più cosa raccontasse l’ex-pescatore però ricordava il momento «nottetempo», parola dotta, che non si usa più, ma che in lui evocava questa atmosfera di incontro e di narrazione che può essere paragonata al filò nelle stalle dei contadini».

Alto Adige 27-11-09
postato da: apritisangia alle ore 05:53 | Permalink | commenti
categoria:letture

mercoledì, 18 novembre 2009


Libri e autori protagonisti alla “Claudia Augusta”



BOLZANO. Doppio appuntamento, oggi e poi martedì 24 novembre, con le presentazioni di libri alla Biblioteca provinciale “Claudia Augusta” in via Mendola 5, a ingresso libero. Oggi si parte con un’occasione per riflettere sul concetto di identità e rapporti con essa, grazie alla presentazione del libro “Topografien/Topografie” di Waltraud Mittich. L’autrice, di origini austriache, vive da tempo in Alto Adige e nella sua opera affronta il tema dei confini e dei limiti convenzionali da una prospettiva diversa. In tal modo si viene in contatto con personaggi che rifiutano radici, legami e identità troppo definiti e si iniziano a considerare dei “mondi paralleli”. La presentazione è in programma alle ore 18; in sala l’autrice e il professor Hans Drumbl, docente della Lub, l’università di Bolzano, che modererà l’incontro.
 Appuntamento successivo, martedì 24, con il libro “Essere maschi tra potere e libertà”, scritto da Stefano Ciccone, dell’Associazione Maschile Plurale. E’ una riflessione di uomini sull’essere maschi nella società moderna caratterizzata dal crollo del patriarcato e dalla paura di molti uomini nei confronti delle donne con conseguente reazioni violente. Un fenomeno che vede protagonisti cittadini italiani e stranieri, non disgiunto da un certo machismo e bullismo fra gli adolescenti. Il libro sarà presentato alle ore 18 da parte dell’autore e con la moderazione della professoressa Gabriella Kustatscher, docente dell’ateneo cittadino, da anni impegnata nella lotta alla violenza contro le donne.
Alto Adige 18-11-09
postato da: apritisangia alle ore 03:54 | Permalink | commenti
categoria:letture
lunedì, 16 novembre 2009


Sciascia inedito. Poesie ritrovate dello scrittore, scomparso vent’anni fa.


Queste due poesie del «primo» Sciascia  incuriosiscono per la loro eccezionalità nella sua carriera di scrittore.
Colpiscono, in più, per l’intenso ma quasi ritroso attaccamento manifestato da quel maestro di scuola per Racalmuto, «il paese del sale, il mio paese/ che frana...». Ma suscitano in noi anche una particolare commozione perché, pubblicate oggi in esclusiva su La Stampa, riallacciano la sua figura a un giornale cui collaborò, con qualche intermittenza, dal 1972 al 1989, fino alla vigilia della morte.

1
Il paese del sale, il mio paese
che frana - sale e nebbia -
dall’altipiano a una valle di crete;
così povero che basta un venditore
d’abiti smessi - ridono appesi alle corde
i colori delle vesti femminili -
a far festa, o la tenda bianca
del venditore di torrone.
Il sale sulla piaga, queste pietre
bianche che s’ammucchiano
lungo i binari - il viaggiatore
alza gli occhi dal giornale, chiede
il nome del paese - e poi in lunghi convogli e
scendono alle navi di Porto Empedocle;
il sale della terra - “e se il sale
diventa insipido
come gli si renderà il sapore?”
(E se diventa morte,
pianto di donne nere nelle strade,
fame negli occhi dei bambini?).

2
Questo è il freddo che i vecchi
dicono s’infila dentro le corna del bue;
che svena il bronzo delle campane,
le fa opache nel suono come brocche di creta.
C’è la neve sui monti di Cammarata,
a salutare questa neve lontana
c’erano un tempo festose cantilene.
I bambini poveri si raccolgono silenziosi
sui gradini della scuola, aspettano
che la porta si apra: fitti e intirizziti
come passeri, addentano il pane nero,
mordono appena la sarda iridata
di sale e squame. Altri bambini
stanno un po’ in disparte, chiusi
nel bozzolo caldo delle sciarpe.

Leonardo Sciascia


fonte: TTL NUMERO 1690 ANNOXXXIII
SABATO 14NOVEMBRE2009
postato da: apritisangia alle ore 06:47 | Permalink | commenti
categoria:letture
venerdì, 13 novembre 2009


Ripensare Andreas Hofer In un libretto le istruzioni per l’uso




Un libricino su Andreas Hofer nell’anno delle celebrazioni. Nulla di specialistico ma non un libricino qualunque, per tanti motivi. Il primo è che l’autore è Carlo Romeo, storico della novelle vague altoatesina tra i più apprezzati.
 Il secondo è che destinato ad un pubblico di lettori italiani - studenti soprattutto, ma non solo - andando ad aggiungere un tassello importante al quadro di una pubblicistica ancora piuttosto lacunosa sul fronte della storia tirolese, per quanto parecchio si sia fatto negli ultimi anni.
 Il terzo è che si fa grande attenzione a restare nel cono d’ombra del mito, al riparo dai torrenti di ributtante melassa versati in questi mesi di celebrazioni hoferiane. Il libello di Romeo, dal titolo «Andreas 4ever? Il Tirolo nel 1809, Andreas Hofer e il suo mito», è stato presentato ieri pomeriggio a Palazzo Mercantile. L’unica nota negativa è che l’editore è la Provincia. Negativa perchè questo significa che sarà impossibile trovarlo nelle librerie e che bisognerà rivolgersi agli uffici dell’Assessorato alla Cultura per entrarne in possesso, cosa che ne limiterà enormemente la diffusione come già purtroppo è capitato e capita ad altre meritevoli opere. Come è noto, infatti, i libri per essere letti devono stare nelle librerie. Negli uffici, o nei magazzini degli uffici, di norma ci stanno le scartoffie. D’altro canto va dato atto alla Provincia di avere sostenuto un progetto scientificamente valido e indubbiamente molto utile.
 Qui di sequito pubblichiamo intanto, per gentile concessione dell’autore, quella che è un po’ la sintesi del lavoro sulla figura di Andreas Hofer.
(m.f.)

di Carlo Romeo
Le ricostruzioni della figura storica di Andreas Hofer si sono da sempre dovute confrontare con la penuria di fonti disponibili, soprattutto riguardo al periodo precedente il 1809, nonché con la loro tipologia (in gran parte memorie, testimonianze indirette, informazioni convenzionali). Sulla spinta delle varie finalità ideologiche, il mito ha facilmente riempito i vuoti lasciati dai pochi elementi storiografici certi, incidendo sulle immagini che di lui sono state elaborate e trasmesse. Andreas Hofer non fu un teorico o un intellettuale. Nonostante il suo buon senso, i soggiorni, viaggi e contatti d’affari, il suo orizzonte culturale e mentale rimase quello della «piccola patria» in cui era nato e vissuto: rigide divisioni sociali, conservatorismo religioso, lealismo verso gli Asburgo e l’antico regime.
Non fu nemmeno un uomo di Stato e di governo. Nei mesi della sua reggenza del Tirolo come Oberkommandant (Comandante superiore), consapevole dei propri limiti, affidò le incombenze più difficili a suoi consiglieri e compagni, senza peraltro saper scegliere sempre i migliori. Se è lecito parlare di una linea politica del suo governo provvisorio, prescindendo dalle ordinanze sui buoni costumi e sulla religione, essa non è altro che una radicale restaurazione dello stato precedente il 1805. Secondo alcuni Hofer non sarebbe stato neppure un grande comandante militare. Di certo non disponeva di una specifica formazione nell’arte della guerra, a partire dal linguaggio. È rimasta famosa la laconica risposta che Hofer avrebbe dato a un comandante (Anton von Gasteiger) che gli chiedeva il piano di operazioni per la propria compagnia di Schützen, nell’imminenza della prima battaglia del Berg Isel: «Quando incontrate i Bavaresi, dategli addosso e buttateli giù dalla montagna». Inoltre, nelle vittorie tirolesi più sorprendenti, ha avuto maggior rilievo il ruolo di altri comandanti.
Gli appelli e gli ordini emanati da Hofer ebbero certo una grande autorità in tutto il Tirolo. Ma fu un’autorità tutto sommato fragile, se è vero che altri leader dell’insurrezione riuscirono più volte a fargli cambiare idea, minacciando persino di fucilarlo.
Secondo alcuni giudizi contemporanei, infine, Hofer non sarebbe stato all’altezza delle responsabilità che si era assunto. Sembra difficile negare che le sue ripetute ingenuità e indecisioni, nelle ultime fasi della guerra, abbiano contribuito a peggiorare la situazione generale del paese. E viene naturale pensare che se avesse dato ascolto ai consiglieri più moderati (uno su tutti: Josef Daney) e avesse approfittato del completo perdono concesso dai francesi, avrebbe risparmiato ai tirolesi ulteriori lutti.
In che cosa risiede dunque la forza del suo mito, capace di uscire indenne (se non rafforzato) dalla caduta di imperi, troni, frontiere? Forse proprio nel fatto che esso è intriso di umana e candida limitatezza. Hofer non ci appare mosso da alcuna ambizione di potere o di denaro. Chiamato dagli altri ad assumere il ruolo di comando, si schermisce e infine lo accetta consapevole di essere inadatto al compito e confidando nell’aiuto del Signore. Nella sua difficoltà di muoversi tra le «malizie» dei nemici e degli amici, dell’alta politica e della diplomazia si è riconosciuta interamente l’anima popolare. È l’eroe della «buona fede» destinato ad essere ingannato.
A suggellare l’inizio del suo mito è la sua morte gloriosa, così come ci è giunta attraverso successivi dettagli eroicizzanti. Una morte che «consacra» per sempre una parabola che sulla scena della storia è durata meno di un anno. Il racconto epico ama l’unità e la concentrazione degli eventi.
La figura di Andreas Hofer invita quindi ad un’istintiva immedesimazione popolare. Per questo è stata usata e abusata in ogni contesto. Essa è stata lo specchio di due secoli di elaborazione identitaria del Tirolo, ne ha accompagnato tutti i rivolgimenti più importanti, ne ha incarnato passioni, aspirazioni e angosce in una girandola contraddittoria. Hofer è stato vestito di volta in volta coi panni dell’eroe asburgico, del martire cattolico, del guerriero germanico; ha avuto come suoi nemici «diavoli» francesi e bavaresi, irredentisti italiani, liberali, ebrei, massoni, protestanti e così via. La sua immagine è servita a mobilitare il Volk per ideologie lontanissime dalla patria tirolese del primo Ottocento.
A prescindere da ogni auspicabile progresso della ricerca storiografica futura, oggi basterebbe questa critica consapevolezza ad impedire altri «abusi» del mito hoferiano. Nella storia della pittura l’emergere di nuovi orizzonti si rivela al meglio nei nuovi approcci a soggetti antichi. Il mito del Sandwirt assomiglia oggi ad un motivo naturale, una parte integrante del «paesaggio» di questa terra. In esso trova un termine di confronto ogni espressione culturale che voglia segnare le proprie coordinate tracciando ideali continuità come pure epocali distanze dalla tradizione.

LA SCHEDA

Carlo Romeo, 47 anni, ha pubblicato numerose ricerche di storia e letteratura moderna e contemporanea dell’Alto Adige, nell’ottica di una «storia regionale» comparativa. Ha curato progetti didattici e divulgativi: manuali scolastici, documentari video, mostre e cataloghi. Anche la sua produzione narrativa, di traduzione e critica letteraria indaga prevalentemente aspetti storici e culturali dei territori di frontiera. Tra le pubblicazioni: «Sulle tracce di Karl Gufler il bandito» (1993); «I fuochi del Sacro Cuore: la devozione al Sacro Cuore nella storia del Tirolo tra politica e religione» (1996); «Un limbo di frontiera: la produzione letteraria in lingua italiana in Alto Adige» (1998); «Alto Adige provincia del Reich» (2001); «Alto Adige/Südtirol XX secolo: cent’anni e più in parole e immagini» (2003); «Storia Territorio Società» (2005).

Alto Adige 13-11-09

postato da: apritisangia alle ore 08:07 | Permalink | commenti
categoria:letture
giovedì, 12 novembre 2009


Simoni rievoca il dramma dei Cenci



La tragica vicenda di Beatrice e della sua famiglia rivivrà domani al Centro Trevi  


BARBARA GAMBINO


 BOLZANO. Una bellissima ragazza e un efebico pastore; un amore osteggiato dalle rispettive famiglie; una passione bruciante; un distacco drammatico; il mondo idilliaco e isolato delle ninfe; la magia che riesce a ricongiungere gli amanti.
Un’Arcadia sospesa nel tempo, una natura lussureggiante, ma anche minacciosa, come quella dipinta da Nicolas Poussin o dal misterioso Maestro della Betulla: è questo lo scenario del film «Gli amori di Astrea e Celadon» del regista francese Eric Rohmer, che verrà proiettato stasera alle 20.30 al Centro Trevi di Bolzano. Il volto dolce e innocente di una giovane ragazza; l’incarnato nobilmente diafano; i suoi occhi scuri e profondi, velati di tristezza e disincanto che si rivolgono direttamente allo spettatore al di là della tela: è il ritratto di Beatrice Cenci, realizzato nel 1599 da Guido Reni, un’altra opera appartenente alla collezione di Palazzo Barberini, esposta fino al 12 dicembre nell’ambito della mostra «Respiro Barocco. Un viaggio nella Roma del Seicento» proprio a fianco del «Paesaggio di Agar con l’Angelo» di Poussin e di quello con «Giunone ed Argo trasformato in Pavone» del Maestro della Betulla.
Protagonista di un dramma che è rimasto impresso in maniera indelebile nelle cronache e nella memoria di Roma, la tragica vicenda di Beatrice Cenci e della sua famiglia rivivrà domanialle 18 nell’interpretazione di Carlo Simoni. Primo attore del Teatro Stabile, Simoni è autore assieme al giornalista Roberto Rinaldi di un adattamento teatrale intitolato: «Cronaca di una tragedia. Beatrice Cenci: il mito». Un film e una lettura teatrale ad ingresso gratuito che si terranno al Centro Trevi, per rivivere le atmosfere del Seicento e vivere le infinite suggestioni che ci regala l’arte romana dell’epoca.
Girato nel 2007 e presentato alla 64.ma Mostra del Cinema di Venezia, «Gli amori di Astrea e Celadon» è ispirato a «L’Astrea», il primo romanzo della letteratura francese, scritto da Honoré d’Urfé nel 1607. In esso il grande maestro della Nouvelle Vague ritrova molti dei temi cari al suo cinema: l’impossibilità di indirizzarsi alla propria amata; la forza carnale della passione che riesce a superare la lontananza fisica e quella creata dalle parole; il ruolo dei personaggi femminili, che sono l’elemento scatenante dell’azione. Stéphanie de Crayencour interpreta la bella Astrea, mentre Andy Gillet è Céladon; Cécile Cassel è la ninfa Léonide e Véronique Reymond un’inflessibile Galatea.
Un uomo potente ed estremamente malvagio, la bellissima figlia Beatrice in balia delle sue crudeltà assieme alla seconda moglie e ai fratelli: un assassinio in seno a una famiglia dell’alta nobiltà romana alla fine del Cinquecento. Le indagini e gli interrogatori, cui seguirono le torture e le confessioni. Uno dei processi più famosi della storia di cui ci rimangono gli atti, così come le testimonianze degli imputati e la difesa dell’avvocato della famiglia Cenci, che osò contraddire il papa. Una condanna alla pena capitale che lasciò stupita e attonita tutta Roma. Il mito di Beatrice Cenci nasce l’11 settembre del 1599, giorno della sua esecuzione, assieme alla matrigna Lucrezia e del fratello Giacomo nella gremitissima piazza di Castel Sant’Angelo a Roma. Una sentenza di morte voluta dal papa Clemente VIII Aldobrandini per punire l’assassinio di Francesco Cenci, ordito dalla figlia assieme alla matrigna Lucrezia e ai due fratelli. «Ho scelto giustizia da me stessa» dichiarava fermamente Beatrice durante l’interrogatorio.
La sua decapitazione impressionò fortemente Caravaggio, che nello stesso anno la tradusse nel dipinto «Giuditta che decapita Oloferne»; un tema ripreso con lo stesso vigore da Artemisia Gentileschi due decenni dopo. In un dialogo ideale con la fanciulla ritratta da Guido Reni, Simoni ripercorrerà i momenti salienti della tragica storia della famiglia Cenci, tratteggiando la figura di Beatrice, il cui mito si è propagato in tutta Europa: dal poeta Shelley a Stendhal e Dumas, fino a giungere ai giorni nostri con il teatro di Artaud e il saggio di Moravia.


Alto Adige 12-11-09
postato da: apritisangia alle ore 05:48 | Permalink | commenti
categoria:letture
mercoledì, 11 novembre 2009


Versi di poetessa badiota in salsa di fisarmonica


Roberta Dapunt

Serata con le liriche di Roberta Dapunt accompagnata da Matteo Facchin


 BOLZANO. La musica e i musicisti ladini, ma anche i poeti, hanno da sempre qualcosa di particolare.
 Difficile capire perchè, soprattutto la Val Badia, ha dato i natali a musicisti e poeti ormai sparsi in tutto il mondo. E non è certo un caso che il Teatro Carambolage di via Argentieri dedichi gli appuntamenti del mercoledì del mese di novembre (con entrata libera, e quindi accessibili a tutti senza alcun tipo di problema) proprio alla musica ladina.
 Questa sera è la volta di una poetessa, Roberta Dapunt che presenta componimenti tratti dal suo libro «La terra più del paradiso», edito da Einaudi.
 Anche lei viene dalla Val Badia, ed è la vera rivelazione della poesia italiana del 2008, una voce autentica di grande forza espressiva, estranea.
 I suoi versi sono caratterizzati insieme da inquietudine e armonia, le immagini che sceglie sono di morte e di naturalità.
 Per il critico Giovanni Tesio si tratta di una voce folgorante e di spontanea innocenza che approda alla «semplicità» (c’è anche un testo rivolto alla madre, che s’intitola Poesia semplice) attraverso «una dura macerazione, un vero e proprio percorso di spoliazione». A lei le parole. Alla musica ci pensa Matteo Facchin alla fisarmonica. Il prossimo appuntamento con la musica ladina è il prossimo mercoledì, 18 novembre, quando sul palco salgono i Peufla, storica rock band gardenese. La data di nascita di questo gruppo risale infatti al 1993. Da allora il cantante Gregor Pasolli, il chitarrista Günther Demetz, il batterista Georg Malferthainer, il bassista Georg Perathoner e il tastierista Matthias Haglinger suonano sia cover sia pezzi firmati da loro. Il loro ultimo cd, uscito lo scorso anno, si intitola «Safari on the moon» ed è stato nominato Best Album nel South Tyrolean Musi Award. Inoltre, due composizioni delle stesso labum, «L Troy» e «Lazy morning» sono state inoltre nominate Best Song. Nel corso del concerto al Carambolage presenteranno diversi brani della loro ricca scaletta, da quelli ormai storici, ai nuovissimi, con qualche cover di rock, funk, rap e grunge. Ma prima di loro, cioè da giovedì 12 fino a sabato 14 novembre, il palco del Carambolage è in mano ai Malediva, ovvero la nevrotica coppia composta da Tetta Müller e Lo Malinke, questa volta accompagnati dal pianista Florian Ludewig, nel loro nuovo spettacolo «Ungeschminkt». I loro fans bolzanini assisteranno al rientro nella routine domestica di Tetta e Lo, dopo la festa di matrimonio gay, come sempre alle prese con la loro vita di coppia omosessuale: furiosamente litigiosi, romantici, insofferenti, comici e mai calcolatori. Come suggerisce il titolo, Tetta & Lo dopo tanti anni calano le maschere e si offrono al pubblico senza trucco, nella loro intimità. Ma riuscirà la famosa coppia a sopravvivere a tanta verità? Troveranno la felicità personale? Superata la trentina, c’è solo crisi al loro orizzonte? L’amore trionferà? I gay sono solo etero con occhiali da sole più belli? La risposta è nello spettacolo dei Malediva, intelligentemente satirico.

Alto Adige 11-11-09

il vestito di Angelina

Angelina corri a casa
c’é chi spara - e c’é chi cade -
corri corri - Angelina dal vestito
che ha le forme di chi nasce
- Angelina della vita -
dai mille volti che mi passano davanti
e altrettante disperazioni
- questo nome sono gli anni
religioni e guerre - ora come sempre -
niente cambia e troppo muore
madri e madri e Angelina
- che in Israele o in Palestina
il sentimento resta uguale -
donne gravide a far da cena
a gremire i popoli - e le preghiere
perché tornino i loro padri
Angelina corri a casa
corri corri - Angelina
delle nostre gravidanze -
quanto odio a seppellire
- e quanto pianto -
eppure oggi é recente sangue

 
/600 morti in Terra Santa,
dei quali 500 i palestinesi
dal settembre 2000 fino adesso

finita di scrivere il 23.V.2001/

fonte: http://ellisse.altervista.org/index.php?/archives/267-Roberta-Dapunt-Poesie.html



postato da: apritisangia alle ore 05:46 | Permalink | commenti
categoria:letture
martedì, 10 novembre 2009


Un cd di canzoncine per imparare il tedesco



BOLZANO. L’uscita del nuovo CD di canzoncine per bambini in lingua tedesca «Hurra! Mit Bobby an nach Afrika!», si propone come un interessante progetto per portare la seconda lingua ai bambini italiani di età prescolare. Questo sia per la semplicità dei testi sia anche per il brano «io parlo italiano, ich spreche italienisch», dove il simpatico personaggio, frutto della fantasia di Verena Hiber e del cmpagno Roberto benedetti, si mprovvisa allegro insegnante di lingua italiana. Dopo il successo del DVD cartone animato del 2006 «Bobby e le sue divertenti avventure», disponibile nella versione italiana e tedesca, Bobby propone ai suoi fans il quinto CD in lingua tedesca. Questa avventura che si svolge nel paese nativo di Bpbby, in Africa, comprende 19 brani musicali orecchiabili ed accattivanti. L’attesa di tre anni dall’ultimo lavoro ha una dolce e felice motivazione: la nascita della piccola e furbetta Nadia che siamo sicuri che tra poco comparirà in mezzo ai numerosi fans di Bobby-Kinderland presso il mobilificio Planer ad Appiano il 18 novembre a partire dalle ore 15. Il CD è da subito disponibile in tutti i megozi al prezzo di 15,90 Euro.


Alto Adige 10-11-09
postato da: apritisangia alle ore 06:46 | Permalink | commenti
categoria:letture
martedì, 10 novembre 2009


La Bolzano che fu rivive nel volume sulla famiglia Menz


La Sala cinese di Palazzo Menz
a Bolzano, sede della Banca Intesa.


Presentato ieri al Museo Mercantile Apre una serie sul commercio cittadino

 BOLZANO. La mostra “La famiglia Menz e la città di Bolzano”, in corso al Museo Mercantile della Camera di commercio in via Argentieri, presenta la città tra il Sei e Settecento e la storia della nota famiglia mercantile Menz. Ora anche una pubblicazione, presentata ieri, si affianca alla mostra e vuole rinnovare l’interesse del pubblico per la storia commerciale della città, come prima pubblicazione di una collana dedicata al Museo Mercantile. «Nel 1635 l’arciduchessa Claudia de’ Medici, sovrana del Tirolo, rilasciò un ordinamento per la regolazione dell’attività fieristica a Bolzano. Con il cosiddetto “privilegio fieristico” fu istituito il Magistrato Mercantile per la risoluzione di controversie commerciali - ha spiegato il presidente della Camera di commercio, Michl Ebner, presentando il volume e partendo da lontano nella storia. Infatti all’inizio del ’700 venne costruito il Palazzo Mercantile in via Argentieri, sede istituzionale del Magistrato Mercantile; nel 1851 la Camera di commercio subentrò al Magistrato Mercantile, assumendone in parte le funzioni e diventando, quindi, erede e proprietaria del Palazzo Mercantile.
 Nel 1997 al pianoterra e al primo piano dell’edificio è stato realizzato il Museo Mercantile, che ripercorre la storia commerciale di Bolzano e delle principali fiere e offre al visitatore una retrospettiva del ruolo che il Magistrato Mercantile svolgeva a quel tempo. Con il recente ampliamento del Museo nel 2008 ha trovato collocazione, al secondo piano, la storia di una delle famiglie mercantili più rappresentative della città, i Menz, con documenti contabili dell’archivio della famiglia e anche alcuni straordinari campionari di stoffe del XVIII e del XIX secolo; la mostra è stata prolungata di un anno, fino al 31 ottobre 2010.

Alto Adige 10-11-09
postato da: apritisangia alle ore 06:22 | Permalink | commenti
categoria:letture
martedì, 03 novembre 2009


La scrittura, terapia al mondo storto, il nuovo romanzo di Mauro Corona

ADRIANA LOTTO

Esce oggi nelle librerie il nuovo romanzo di Mauro Corona. Sapientemente costruito (il finale è già tutto nell’esordio come il destino di ciascuno nella nascita), Il canto delle manére, narra in poco più di quattrocento pagine la storia di Santo della Val Martin in fuga dal proprio passato, ovvero da se stesso e dalla sorte che lo ha voluto in età giovanile feroce omicida, ma anche l’epopea dei boscaioli di Erto che facevano risuonare i boschi dei colpi cadenzati e precisi delle loro scuri. Nella prima parte del racconto, che culmina nell’uccisione del rivale in amore, caratterizzato dal ritmo lento dei primi anni di vita del protagonista, quelli che soli si accordano ai tempi della natura, assistiamo all’educazione-iniziazione di Santo che, come il padre, farà il boscaiolo e come lui sarà alla fine “preso” da un albero.
 Conteso dal nonno saggio, che gli fa da padre e tenta di limarne le intemperanze e di insegnargli le «sapienze necessarie alla vita a venire», e da Augusto, che gli è maestro e lo incita al di più e meglio, alla temerarietà che suscita timore e rispetto, Santo cresce col gusto della sfida e la presunzione di eccellere sopra ogni altro. Solo la deda, che lo avvilisce sbattendogli davanti la sua bruttezza, gli farà provare la prima delle tante umiliazioni della vita, quelle che si sentono come frustate nell’anima e che aprono ferite inguaribili. Quelle che condizionano per sempre la considerazione degli altri, le relazioni, gli affetti.
 Carattere e destino, come suggerirà Hofmannsthal, sono dunque i binari su cui muove l’esistenza di Santo, mentre il bosco è lo spazio al tempo stesso naturale, magico e simbolico, in cui essa si aggira come dentro un labirinto. «È un bosco anche la vita», gli dice il nonno Domenico, «da curare, tagliare, pulire e proteggere, se no va in malora». E invece, il bosco conteso, strappato di forza o d’astuzia, spartito tra Agusto e Tomaso, viene saccheggiato con la furia dell’insana competizione, dei dispetti reciproci che non tardano a trasformarsi in violenze brute, mentre le manére impongono altri ritmi, quelli frenetici del guadagno. È così che uomini e donne si abbatteranno l’un l’altro come alberi. Devastare il bosco è dunque devastare la vita. Tagliare a dismisura significa prosciugare a poco a poco la linfa della propria esistenza. Ecco allora che a metà del racconto e del libro, Santo decide di fuggire dal paese per ricrearsela, quella linfa, fuori, lontano, in Austria, e poi in Svizzera e in Francia e ancora in Austria. Fugge perché la rivalità assassina tra i boscaioli, che si è ribaltata nella storia amorosa di Santo e Paula Francesca, ha sortito uguale esito: la morte violenta del giovane Jacon che gli ha portato via la donna. Anche in questo romanzo le morti atroci, come gli amori, teneri o bestiali che siano, sono descritti nel dettaglio eppure con quella sobrietà che nulla concede al patetico, perché proprio nello strazio dei corpi, appesi, sventrati, battuti, violati, nella violenza fisica e nel dolore del corpo Corona rinviene e mostra la miseria umana, la sventura, il nulla della vita.
 Nella seconda parte del romanzo, riavutosi dall’iniziale spaesamento (notevole è qui la capacità dell’autore di descrivere i grovigli dell’animo dell’emigrante o dell’esule), imparata la lingua, Santo ricomincia a vivere, ma il ricordo del male passato, quello che rende il presente un inferno da attraversare quotidianamente, non lo abbandona. «Quella è la vera condanna, sapere che indietro non torni. Allora ti viene i ricordi dei bei tempi, quando tutto era a posto. Questi ricordi ti fa rabbia e dolore finché vivi». E poi tutto il mondo è paese: «fatica, patimenti e musi da faine». Unico lenimento il ritrovare dei compaesani, «con addosso l’odore di Erto», e i boschi dell’impero, e una nuova illusione: l’amore di Giovanna. A differenza di quello giovanile, trepido, per Paula Francesca che inizia e finisce con il volo sulla teleferica, l’amore per Giovanna è già rassegnato, senza aspettative, consolatorio della fatica del vivere, ciononostante, e forse per questo, vero, perciò duraturo pur nel tradimento e nella separazione degli amanti.
 Via via si farà avanti in Santo la consapevolezza di essere condannato a volere e disvolere la stessa cosa, ad amarla e odiarla in egual misura. Sarà l’arte a fargli tremare l’anima, a ricomporla in parte, ché anche quella rude del boscaiolo si scuote davanti alle cose belle. E poi l’incontro e la frequentazione delle lettere, di Hofmannsthal in particolare, e in Svizzera di Walser, e le prime scalate.
 Gli anni intanto scorrono inesorabili e anche il destino sembra volgere al compimento quando alla fine della seconda guerra, Santo, che ha fatto i soldi ed è stanco della «vita agra», decide di tornare, come se non avesse aspettato altro, per tutti quegli anni, trentatré, che di tornare. Come se l’andare tra Austria e Svizzera e ancora Austria e Francia fosse stato un «balegar», un andare avanti e indietro nel medesimo posto, in attesa del ritorno. E il ritorno è un altro spaesamento: ha la trepidazione dell’andata, ma non per l’ignoto, bensì per il conosciuto che si teme di non riconoscere o che non ti riconosca, ma soprattutto è senza pace.
 L’ultima sfida, alla legge del bosco, Santo la perderà. Nella sua presunzione non terrà conto di un elemento determinante (come Agusto, «che aveva messo in conto tutti i posti del mondo dove poteva venir colpito, fuorchè la latrina») e la rovina sarà inevitabile perché già scritta. Allora saprà che è vero come proclamava Agusto che «le robe storte si possono drizzare e fare andare nel verso giusto» e che «sono le robe storte della vita che non drizzi quando vuoi. Quelle è solo il tempo che le drizza». Solo che l’enorme faggio, che da anni dormiva chinato sulla val da Diach, non ha voluto essere drizzato, ha drizzato, invece, la vita storta di Santo.
 Si chiude così la storia di Santo e quella della prima metà della vita di Mauro Corona. Sì, perché Santo è anche Mauro. Il quale è stato capace, forse perché schermato dal suo personaggio, a raccontarsi senza inganni ed autoinganni, a denunciare, senza pretese giustificatorie o assolutorie, sentire e agire contraddittori e non di rado di-sperati. L’arte e la letteratura, di cui qui si parla per bocca di alcuni dei suoi autori più amati, quelli absburgici della svolta del secolo, della Finis Austriae come fine del mondo, diventeranno gli ingredienti dell’altra metà della sua vita, laddove, come egli stesso ha più volte affermato, la bellezza è risarcimento e la scrittura terapia: al dolore, alle cose storte che il tempo non ha ancora drizzato.
Mauro Corona

Il canto delle manere Mondadori
pagine 416, euro 19

Alto Adige 3-11-09
postato da: apritisangia alle ore 06:18 | Permalink | commenti
categoria:letture
mercoledì, 21 ottobre 2009


Alpi, il lato oscuro
Il male di vivere tra natura mitica e falso folklore





FIORENZO DEGASPERI


Qualche anno fa passò, sugli schermi del Filmfestival della Montagna di Trento la pellicola di un giovane regista austriaco, tirolese per l’esattezza. Raccontava di una terra adattata inesorabilmente ai ritmi urbani, costretta a creare mucche di plastica.
 Non solo, caprioli che brucavano l’erba e si spostavano su rotaie e, una volta sollevata l’erba, un cumulo di immondizie. Ovvero l’altro versante della montagna, preda dell’ingordigia del turismo di massa. L’antropologo Christian Arnoldi, nato in Val di Non ma cittadino del mondo, assegnista di ricerca in Sociologia della devianza all’Università di Bologna nonché ricercatore al Museo degli Usi e Costumi di San Michele, ha fatto di più. Nella sua recente ricerca, “Tristi montagne. Guida ai malesseri alpini”, (Priuli&Verlucca, euro 16.50), ha smontato le varie teorie romantiche e moderniste che si sono sovrapposte alla dura realtà di chi in montagna ci vive quotidianamente mettendone in luce il “lato segreto e oscuro”. Segreto perché qui, nei paesi dell’arco alpino, vige un’omertà di fondo, oscuro perché il male che attanaglia giovani e anziani, donne e uomini, è fatto di solitudine, angosce, spaesamento. Fino ad arrivare al suicidio - le tabelle che riguardano la morte, assurda come la chiamava Pavese, sono più che un campanello d’allarme, con l’apice in Val di Sole, in certe valli piemontesi e nelle selvagge terre sarde -, agli omicidi, all’alcoolismo imperante, alla droga tentacolare.
 Un’altra montagna quindi, fuori dai canoni pubblicizzati sui depliant patinati, oltre l’individualismo esasperato dell’alpinismo d’assalto. Il “buon selvaggio” di rousseiana memoria, dilagante nella letteratura romantica dell’Ottocento e del Novecento e che oggi rimbalza nella pubblicità delle località turistiche si scontra con la brutalità del tasso etilico e delle auto schiantate a velocità folle. «Uscire a cena nel periodo non turistico è un dramma - si lamenta un giovane della Val di Sole - dobbiamo girovagare per tutta la valle». Così alla montagna reale si sovrappone, storicamente, l’immagine di altre montagne, alcune di queste vicine alla realtà, altre lontanissime. Chi vive nei paesi si trova schiacciato tra forze contrastanti, tra la frequenza massiccia in certi mesi dei non luoghi - centri commerciali, le sale d’aspetto delle funivie, i desolanti parcheggi -, al più completo silenzio-assenza di qualsiasi servizio, tra il falso folklore riportato in vita a uso e consumo dei turisti - non più chiamati come una volta “ospiti” - ad una feroce urbanizzazione kitsch. Le prime settanta pagine sono un pugno nello stomaco: una sequela impressionante di morti, suicidi, stragi, tratte dalla cronaca dell’arco alpino degli ultimi anni. Poi, intelligentemente e sapientemente, Christian Arnoldi va all’origine del malessere, ne svela i retroscena, mettendo a nudo filosofie e caricature di una simbolizzazione, soprattutto dell’immaginario che il cittadino ha fatto e sta facendo sull’ambiente montano condizionandone pesantemente il presente e il futuro. L’arricchimento facile e veloce - impianti di risalita, strade asfaltate fin sulle porte delle malghe e dei rifugi, discoteche in quota, la montagna-diysneland - ha portato chi sulla montagna ci vive sull’orlo di un abisso emotivo. Le tabelle dei suicidi e delle tragedie umane sono, per chi vuole leggerle, più che un campanello d’allarme.


«Tempi e spazi sempre più urbanizzati alla ricerca dell’identità perduta»

SANDRA MATTEI


Una ricerca durata anni, tra la raccolta di dati e l’indagine sul territorio, tra le valli di Sole, Non, Fiemme e Fassa. E’ il libro “Tristi Montagne. Guida ai malesseri alpini” dell’antropologo Christian Arnoldi.
 Il suo libro si apre con un capitolo dedicato ai fatti più tragici degli ultimi anni: la vicenda di Cogne e l’omicidio della suora a Chiavenna. Vivere in montagna provoca delitti più efferati?
 
No, evidentemente si tratta di episodi che possono succedere in montagna come in pianura. La mia analisi parte dalla condizione di disagio, più evidente in montagna, perché qui si vive il contrasto tra l’immagine della montagna come isola felice e quella reale della solitudine e dell’isolamento che è tipica di un ambiente complesso, con difficoltà di collegamenti e di relazioni.
 Il turismo che pubblicizza la montagna come luogo accogliente e rigenerante, ha accentuato dunque il disagio?
 
E’ una medaglia a due facce: da una parte il turismo alimenta lo stereotipo della montagna, dall’altra gli abitanti si sentono costretti in un complesso di norme rigide, che dovrebbero rappresentare l’immagine del montanaro, con seri principi e profondi valori che da un montanaro ci si aspetta.
 Vuol dire che le popolazioni alpine non sempre si riconoscono in questa identità che si è costruita nel tempo?
 
Prima di tutto va chiarito che l’immagine della montagna si è trasformata nel tempo, è il prodotto di una serie di strutture immaginarie, anche molto differenti tra loro. Si è passati dalla percezione di un ambiente ostile a quella “sublime” dei Romantici nell’Ottocento, per arrivare poi alla nascita dell’alpinismo e del turismo, che ha modificato radicalmente il paesaggio e la sua rappresentazione. Da un lato l’ambiente è sfruttato, ridotto a dimensione urbana, dall’altro lo si idealizza.
 Ma il turismo non produce gli stessi effetti negativi dappertutto?
 
Sì, ma chi va in vacanza sulla riviera romagnola non si aspetta la pace, la natura incontaminata, di solito cerca ritmi e divertimenti analoghi a quelli urbani. In montagna è diverso, perché pur diventando sempre più simile alla città, deve difendere la vita che sta scomparendo, attraverso il recupero della memoria, degli antichi mestieri, di tutti quei riti e quelle tradizioni, che vengono rappresentate nelle feste e nei musei etnografici.
 Che relazione c’è tra questo fenomeno e quello dei suicidi, dell’alcolismo, del disagio in generale?
 
Per fortuna i fatti che ho citato nel primo capitolo del libro sono le punte più drammatiche del disagio che si vive in montagna. Quella che le popolazioni vivono sono condizioni complesse e contraddittorie. Io le ho divise in tre dimensioni: la prima è quella della comunità con le sue rigide regole, nonostante le trasformazioni degli ultimi 50 anni (passaggio da un’economia di sussistenza ad una capitalista). Il complesso di regole che determinano i rapporti tra individuo e territorio, sono riassumibili nel rispèt, ovvero nella riservatezza, nella difficoltà di comunicare il disagio. La seconda è quella del villaggio vacanze: i turisti influiscono su tempi e spazi (per esempio le code agli impianti, i parcheggi affollati, eccetera) diversi da quelli tradizionali. La terza è quella dello spazio museo: la necessità di ricostruire una montagna ideale, che è quella del folklore, degli ecomusei, delle desmontegate. Una dimensione mitica che si infrange con quello che è diventata oggi la montagna.



Alto Adige 21-10-09
postato da: apritisangia alle ore 07:45 | Permalink | commenti
categoria:letture, valli dolomitiche
domenica, 18 ottobre 2009


Concorso per avvicinare i residenti alla lettura


bambini leggono

EGNA. È stato presentato nei giorni scorsi in biblioteca il concorso-lotteria «Più leggi, più vinci». «Lo scopo di fondo dell’iniziativa - spiega Vittorio Novelli della biblioteca Edidae - è quello di incentivare i residenti a leggere». Per partecipare basta prendere in prestito 10 volumi in biblioteca. Ad ogni prestito sarà timbrata la scheda rilasciata a ciascun partecipante. Una volta fatti i dieci timbri basterà inserire la scheda nell’urna e mercoledì 23 dicembre saranno estratti diversi premi, tra i quali ricordiamo 10 zainetti, 15 libri e alcuni marsupi.
postato da: apritisangia alle ore 07:37 | Permalink | commenti (1)
categoria:letture
venerdì, 09 ottobre 2009


Müller, il Nobel a sorpresa



Herta Müller



  La fuga verso la Germania con il marito e poi la denuncia di un regime attraverso romanzi sempre più apprezzati


ROMA. “Con la forza della poesia e la franchezza della prosa, descrive il panorama dei diseredati”. Questa la sintetica motivazione, che appare sul sito dell’Accademia di Svezia, con la quale è stato assegnato ieri il Nobel per la letteratura alla scrittrice romena di lingua tedesca Herta Müller. Il cui unico romanzo tradotto in italiano, “Il paese delle prugne verdi” è stato pubblicato dall’editore di Rovereto Roberto Keller. Si intitola invece “Herztier”, ovvero “Bestia del cuore”, il romanzo che racconta di quattro amici perseguitati dalla polizia di Ceausescu.
 “Ho scritto “Il paese delle prugne verdi” in ricordo dei miei amici romeni uccisi sotto il regime di Ceausescu”, afferma la scrittrice, per la quale il tema della dittatura resta quello centrale della sua opera. “E’ stata l’esperienza più intensa e violenta della mia vita e il solo fatto di essere andata a vivere in Germania, a centinaia di chilometri di distanza, non ha cancellato quel mio passato e il fatto di essere stata costretta a imparare a vivere attraverso la scrittura - ha dichiarato di recente, a settembre al Festival letteratura di Mantova -. Volevo vivere secondo gli standard che popolavano i miei sogni, le mie letture: tutto qui, scrivere era il mio modo di esprimere quel che non potevo vivere nella realtà”.
 E’ quel che si racconta nel romanzo, ambientato in una Romania anni Ottanta, dove quattro giovani si ritrovano uniti dal suicidio di un’amica, Lola. Da quel dolore viene una presa di coscienza sulla condizione propria e del paese, che troverà il proprio spazio di libertà nella letteratura. Ma presto toccherà loro fare i conti con l’onnipresenza del terrore.
 Herta Muller, dopo l’università, si impiegò come traduttrice in una fabbrica dove, contatta dalla Securitate, la polizia segreta di Ceausescu, si rifiutò di collaborare come spia presso la minoranza tedesca di cui era parte e perse il lavoro. Per sopravvivere fece la maestra in un asilo nido e dette lezioni private di tedesco, finchè, col marito Richard Wagner, anche lui romeno tedesco e scrittore aderente al gruppo intellettuale Aktionssgruppe Banat, riuscì a scappare a Berlino, dove oggi è considerata un’importate esponete della letteratura tedesca. La sua è una scrittura particolare, quasi sperimentale, poetica, intensa, secca e sincopata, in cui osservazioni, dialoghi, pensieri sono accostati e si susseguono facendo crescere il senso e il racconto come per accumulo, con aperture visionarie. Uno stile che si intravedeva già nei primi racconti, quelli pubblicati censurati in Romania nel 1982 e usciti in versione integrale in Germania due anni dopo, e in italiano nel 1987 dagli Editori Riuniti col titolo “Bassure”. Nel nostro paese era uscito anche il romanzo breve “In viaggio su una gamba sola” da Marsilio nel 1992. Su “Die Zeit” a luglio la Müller ha pubblicato la prima parte di un memoriale, scritto dopo essere entrata in possesso del dossier che la polizia romena aveva su di lei e essere tornata nel suo paese, dove si è accorta di essere controllata: “La polizia segreta di Ceausescu - ha scritto - non è stata sciolta, ha solo assunto un altro nome, Sri, e è composta, a quanto dichiarato, al 40% di membri dell’ex Securitate, anche se probabilmente la percentuale è molto più alta”.


Alto Adige9-10-09
postato da: apritisangia alle ore 20:48 | Permalink | commenti
categoria:letture
venerdì, 02 ottobre 2009


OLtrisarco: Il quartiere raccontato





di Andrea Montali
 BOLZANO. Immaginate di essere seduti comodamente sul divano, o di stare sbrigando le faccende domestiche: dalla strada provengono le voci amplificate di due racconta-storie; sono accompagnati dalle note di due sax e di un banjo. Incuriositi o infastiditi, probabilmente vi affaccereste alla finestra, scoprendo che per le vie del vostro quartiere si sta svolgendo una lettura itinerante di racconti. E che quei racconti sono di fantasia, certo, ma legati al vostro quartiere, ambientati in quelle strade che percorrete ogni giorno. Ecco, questo orizzonte onirico, che potrebbe essere la scena-madre di una fiaba, è quello che accadrà oggi a Oltrisarco: l’antologia di racconti “Oltrisarco è un’isola”, commissionata dall’assessorato comunale ai tempi della città all’interno della grande serie di eventi che la rassegna Time Code propone da ieri a dopodomani, verrà presentata ai cittadini con questa formula che, nell’intento degli organizzatori, vuole essere una possibilità per investire in maniera inusuale e forse migliore il proprio tempo libero. La realizzazione dell’iniziativa è stata possibile anche grazie al patrocinio dell’assessorato provinciale alla cultura.
 «Questi racconti nascono con l’intenzione di raccontare un quartiere ricco di storia e di storie, attraverso la lente della letteratura; un quartiere operaio di vecchia e nuova immigrazione, separato dal resto di Bolzano dal fiume Isarco e dalla ferrovia, cosa che contribuisce a farne quasi una città nella città, o forse un’isola»: sono le parole di presentazione del curatore dell’antologia (e dell’intera iniziativa), Giovanni Accardo, parole che ben sintetizzano i contenuti e lo spirito della raccolta.
 Il lettore viene accompagnato nella vita di Oltrisarco dai testi di 6 autori selezionati dallo stesso Accardo, suoi allievi alla scuola di scrittura creativa “Le scimmie” dell’Upad. Un viaggio immaginario di ventiquattr’ore, che comincia con la storia di un panettiere all’ultimo turno di lavoro prima della pensione (racconto di Renato Sclaunich), per poi continuare nella mattinata di due anziani intenti a riflettere sui cambiamenti socio-culturali in corso, come accade nello scritto di Marco Lazzara; la protagonista del racconto di Paola Cagol, invece, entra nella chiesa del SS. Rosario per uscirne trasformata. Le due anziane signore che animano il brano successivo (di Lucia Peron) ci accompagnano per i negozi del quartiere, in continua trasformazione. Angelo Collu, con “Un cinese a Oltrisarco” ci fa riflettere simpaticamente sulla vita di questi nuovi abitanti, mentre il racconto di chiusura di Katia Assuntini (“Oltrigirls”) ha per protagoniste tre giovani che si ritrovano a un concerto rock al centro giovanile Bunker di Aslago.
 La lettura itinerante partirà alle ore 17 da piazzetta San Vigilio con tappe a Parco Mignone, alle scuole Tambosi e alla chiesa del SS. Rosario, concludendosi al ristorante multietnico Aladin con un rinfresco offerto dal Comune; in caso di maltempo si svolgerà nella parrocchia di S. Paolo in piazza San Vigilio. I racconti saranno letti dagli attori Paola Guerra e Graziano Hueller sulle musiche di Fiorenzo Zeni, Giorgio Berberi e Francesco Zanardo. Domani poi alle 17.30 la lettura sarà riproposta alla scuola Tambosi con la musicazione pianistico/elettronica di Emanuele Zottino.

Alto Adige 2-10-09
postato da: apritisangia alle ore 05:57 | Permalink | commenti
categoria:letture
domenica, 27 settembre 2009


Perché bisogna cambiare subito stili di vita. E cogliere le opportunità




Mirco Rossi spiega in un libro perché le fonti fossili si stanno esaurendo e perché non basteranno eolico nucleare e solare


di Toni Sirena
Diamoci una calmata. Se non ce la diamo subito, ci toccherà farlo dopo, ma a prezzi molto più alti. Mirco Rossi (veneziano, studi di economia e politica economica, per anni coordinatore delle iniziative divulgative dell’Enel nelle scuole del Triveneto, membro dell’Aspo - Associazione per lo studio del picco del petrolio) ha scritto un libro nel quale affronta, da un’ottica scientifica e con linguaggio semplice e comprensibile (Energia e futuro. Le opportunità del declino, Emi ed. Bologna, 240 pagine, 14 euro, prefazione di Claudio Della Volpe docente di chimica-fisica applicata all’Università di Trento) i temi complicati del nostro futuro energetico. Attenzione: non si parla di elettricità, ma di energia. Spesso si fa confusione. Si parla di biomasse, solare, eolico, nucleare, come se si parlasse della soluzione del problema. Vero solo in parte: perché tutte queste fonti di energia riguardano solo l’elettricità. Che è solo un terzo del bisogno energetico. E il resto?
 Ecco, Mirco Rossi ha il merito di parlare franco: attenti, tutto questo non basterà. La gran parte del fabbisogno energetico è e sarà, ancora, quello che viene dalle fonti fossili: petrolio, gas, carbone. Le industrie e i trasporti continueranno a funzionare in gran parte col fossile. Non è stata scoperta ancora (speriamo in futuro) alcun’altra fonte di energia in grado di sostituire il fossile.
 E allora? Allora, dice Mirco Rossi, andiamo ad esaurimento. Sarà fra un decennio o due, sarà fra 40 anni, ma il «tesoretto», cioè le riserve di petrolio (o carbone, o gas, o sabbie e scisti bituminosi) sarà esaurito o raggiungibile solo a costi (energetici) proibitivi. E scordiamoci l’idrogeno: non è una fonte ma un vettore e “costa” più energia di quanto si pensi di risparmiare. Anche le auto a idrogeno, o comunque che consumino meno, non sono un’alternativa definitiva: ciascuna macchina risparmierà, ma aumenterà il numero delle macchine vendute, sicché saremo punto e a capo. I paesi sviluppati consumeranno forse meno, ma Cindia, il nuovo paese dei miracoli del Pil (Cina, India, e magari un domani Africa), basta da solo a decuplicare i consumi di energia. Senza tener conto, in questo scenario, delle conseguenze ambientali, quelle del riscaldamento globale. Stiamo parlando solo di consumi di energia.
 E’ la fine del mondo. La fine del «nostro» mondo. Non (speriamo) la fine del pianeta. La fine di un modo di vivere e di produrre, basato sull’energia da fonti fossili. Prima o poi, probabilmente presto, queste finiranno. I dati non lasciano spazio a illusioni: due decenni, al massimo quattro. Non basterà dunque cambiare la tecnologia (sempre che lo si riesca a fare) ma dovremo cambiare l’organizzazione socio-economica. Detta così, è già difficile da capire. Ma pensate cosa vorrà dire se, tra 20-30 anni, ci trovassimo di fronte a fabbriche che chiudono, a elettricità razionata, a traffico proibito, a ospedali che andranno a singhiozzo. Insomma alla disarticolazione dei rapporti sociali ed economici. Per reggere il caos totale arriverà una dittatura?
 C’è poco da scherzare. Tuttavia, si può anche incominciare, oggi stesso, a sviluppare tutti i settori energetici diversi dalle fonti fossili. Non aspettatevi però che il nucleare risolva tutto (investimenti stratosferici, altrettanto stratosferici costi di dismissione e di smaltimento delle scorie, tempi infiniti), o lo risolvano le centrali a biomasse, molto inquinanti, oppure l’idroelettrico (residuale), l’eolico e il solare. E allora?
 Allora, tanto per incominciare, smettiamola di correre dietro al Pil. Il prodotto interno lordo è diventato un feticcio. Quale sviluppo, poi? Se distruggiamo la foresta amazzonica avremo certamente un aumento del Pil: un mucchio di aziende che disboscano, che trasportano, che vendono. E anche un mucchio di occupati (insieme però a disoccupati) in più. Che guadagnano, che hanno reddito, che spendono. E di altre aziende che comprano, di altre che finanziano. E’ questo lo “sviluppo”, come lo intendiamo e lo misuriamo oggi. Ma a quali costi (attenzione: non solo “a quale prezzo”)?
 Insomma, provoca Mirco Rossi, «una serie di eventi razionali» ha prodotto «una concezione irrazionale dell’esistenza». Continuiamo a ragionare «in termini di sviluppo, crescita senza fine, senza limiti». Oggi siamo vicini al capolinea. La Cina è sempre più vicina, ma ancora più vicino è il Grande Declino. Ormai ineluttabile. E’ un dovere di tutti dispiegare al massimo le potenzialità di produrre energia «alternativa» (alle fonti fossili). Ma questo ormai non ci salverà. La possibilità di «salvarci» sta soltanto nella capacità di adattarsi al declino, di concepirlo come una opportunità.
 Opportunità, s’intende, di cambiare stili di vita. Non pensare più in termini di Pil. Nemmeno di mercato. Una vita più frugale. Meno consumi inutili, più riciclo, più risparmio. Una vita più attenta - com’era un tempo - ai rapporti veri tra le persone. Incominciamo ad allenarci.
 Non basta già più valutare solo l’impatto ambientale, o la compatibilità ambientale. Occorre invece valutare la compatibilità energetica di ogni singolo progetto, di ogni singola opera pubblica o privata. Tenendo presente che ogni cosa (dal pezzo di pane al grattacielo) contiene incorporato un tot di energia non rinnovabile, consumata e distrutta per sempre. La ricetta? Ridurre il consumo di combustibili fossili, sviluppare quanto più possibile tutte le fonti energetiche rinnovabili, ridurre sempre più il consumo di energia. Una volta si faceva. Certo, un «ritorno al futuro» sarà complicato. Ma è una strada obbligata. In fondo, se ce ne rendiamo conto, sarà più facile. E forse sarà una vita più felice.

Alto Adige 27-09-09
postato da: apritisangia alle ore 07:08 | Permalink | commenti
categoria:ambiente, letture
sabato, 12 settembre 2009



Alto Adige visto da un'altra prospettiva   "tra storia e preistoria"


Reperti archeologici come filo rosso di una nuova guida escursionistica

di Alan Conti
I reperti archeologici come guida e Ötzi come compagno di escursione. È un Alto Adige visto da un’altra prospettiva quello contenuto nel libro scritto dalla coppia di giornalisti Luisa Righi e Stefan Wallisch: un territorio che dal passato lampeggia il suo fascino fino a oggi e, pungolando una curiosità storica, porta anche a scoprire le bellezze di oggi. «Ötzi, i Reti e i Romani», questo il titolo del nuovo volume, 176 pagine edite da Folio al prezzo di 12,50 euro, presentato ieri dagli autori all’interno del Museo archeologico cittadino. Quarantasei escursioni che prendono per mano e conducono dove il passato, dall’età della Pietra e i Romani, respira e diventa tangibile, facendo dell’Alto Adige, ma anche del Trentino e del Tirolo, degli autentici musei a cielo aperto.
 La struttura del volume si dipana lungo dieci capitoli tematici che racchiudono diverse gite in un unico filo conduttore.
 Il primo, e non poteva essere altrimenti, chiama in causa il più famoso dei «reperti»: l’uomo del Similaun. Sulle tracce di Ötzi, quindi, ci si muove sul ghiacciaio che fu la sua tomba e per millenni la sua casa, ma si indagano anche l’insediamento preistorico a Castel Juvale, l’Archeoparc della Val Senales o lo scheletro di una donna a Castel Firmiano ben presto battezzata come la «nonna di Ötzi». Spazio, poi, all’uomo inteso come predatore nella sottile arte della caccia che ha lasciato le sue tracce sul Renon, nei ripari mesolitici di Plan de Frea e sull’alpe di Luson. È di questo capitolo anche il primo «sconfinamento» trentino, precisamente al Passo Rolle e ai laghi del Colbricon dove i cacciatori dell’età della Pietra hanno lasciato alcune tracce di come l’arte venatoria fosse al tempo supportata da ben pochi mezzi, cui faceva da necessario contraltare una buona dose di astuzia. Dopo il cibo, la casa, ed ecco una serie di itinerari legati alle abitazioni del passato: dal villaggio di Sant’Ippolito ai resti di una fortificazione al lago di Monticolo passando per Castelfeder, la Bassa Atesina, la villa romana di Vilandro e le palafitte del lago di Ledro, nuovamente in Trentino, soprannominate «la piccola Venezia dell’età del Bronzo». Altro tassello importante è quello legato all’artigianato dove di grande fascino è la gita ai forni fusori di rame di Fennhals, giunti a noi grazie a una frana causata da un temporale. «Per proteggere la tecnica - spiega l’autrice - i forni venivano immediatamente distrutti, ma questi sono stati salvati dalle intemperie e sono sicuramente da vedere». Pugnali in val Martello, spade a Castelvecchio e fucine romane a Elvas completano il capitolo. Santuari e luoghi di culto vengono analizzati nelle escursioni allo Sciliar, al Corno Nero o a Veltruno, dove si può trovare una piccola Stonehenge in salsa altoatesina. Da non farsi mancare nemmeno il «Sacro Angolo» della Conca di Bolzano. Spazio, poi, alle coppelle e ai Menhir di Sopranes e Lagundo, per poi buttarsi sulle tracce dei Reti a Ganglegg, Bursgtall e nella trentina Sanzeno e dei Romani in Val Pusteria, a Mules in val d’Isarco, nella tirolese città romana di Aguntum e nuovamente in Trentino a Monte San Martino. I corridoi del museo all’aperto sono le strade: normale quindi lasciarsi affascinare dall’antica via Claudia Augusta, dal passaggio romano di Fortezza e le pietre miliari della Val Pusteria. La chiusura del volume, infine, è spruzzata di esoterismo che affascina e «tira» sempre. Tra archeologia e mistero, dunque, da non perdere la pietraia del diavolo sopra Caldaro, la vasca della chiesa di San Pietro a Castelvecchio e le sedie delle streghe a Castelrotto. Non tutti i siti, logicamente, sono facilmente accessibili «ma abbiamo cercato - puntualizza Stefan Wallisch - di coniugare gite impegnative con altre alla portata di tutti, il tutto corroborato da alcuni itinerari ciclistici. Non solo, tutti i percorsi delle escursioni sono scaricabili in gps dal sito
www.righi-wallisch.it». Dopo l’«Alto Adige dei famosi», dunque, la coppia torna a scoprire le ricchezze del territorio sfornando un volume che, a differenza di molte altre guide, è capace sì di spostarti nello spazio, ma anche di viaggiare nel tempo.

Alto Adige 12-09-09
postato da: apritisangia alle ore 06:37 | Permalink | commenti
categoria:letture
sabato, 15 agosto 2009


L'intelligente…
(Sirio)

Intelligente non è chi ha un’ottima memoria.
Intelligente non è chi riesce a leggere tre libri la settimana.
Intelligente non è chi riesce ad analizzare e immagazzinare dati.
Intelligente non è chi riesce a prendere tre lauree e prepararsi per una quarta.
Intelligente non è chi siede su una cattedra e impartisce la sua accademica conoscenza.
Intelligente non è di certo chi è orgoglioso del suo sapere e si pone al di sopra degli altri.
Intelligente non è neppure l’astronauta che viaggia nello spazio fisico e raggiunge altri pianeti.
Intelligente non è necessariamente il sacerdote, il monaco, il teologo e il fanatico religioso.
Intelligente può non essere il medico, il fisico, il biologo, lo scienziato il notaio e…
Tante sono le materie di studio, tanti gli argomenti, innumerevoli i libri, il sapere.
Pochi coloro che attraverso la conoscenza acquisita riescono ad essere felici.
Ancor meno coloro che attraverso la propria erudizione imparano
L’umiltà, la tolleranza, la pazienza, il dare, il servire,
la riconoscenza, la gratitudine, l’amore, la devozione, la calma, la quieta
contemplazione, l’immedesimazione, l’intuizione, la percezione,
la rivelazione mistica, l’Illuminazione, la Liberazione.
Il colto può non essere felice per la sua arroganza, avarizia, impazienza,
lussuria, avidità, egocentrismo,disonestà. Il politico, lo sportivo,
il religioso, l’esperto di economia sono tutti vittime dei suddetti mali.
Certo, lo son pure il contadino, lo spazzino, il muratore, l’elettricista
Il fornaio e l’artgiano. Ma questi non si reputano intelligenti, cervelloni.
Con tutta l’erudizione e il sapere non si ha l’intelligenza per
Capire e dominare gli istinti che ci dominano e degradano.
Colmi di sapere non riusciamo a cogliere il messaggio
Del momento che lieve fluttua per un attimo attorno
a noi senza essere notato, colto, e poi se ne va.
Intelligente è chi è sempre pronto ad imparare.
Intelligente è chi pur sapendo tanto sa di non sapere.
Intelligente è chi ha una mente aperta sempre pronta ad ascoltare.
Intelligente è chi sa essere come un bimbo senza essere infantile.
Intelligente è chi sa rendere felice chi gli sta attorno poiché così facendo rende se
stesso felice. Intelligente è chi non pretende di diventare famoso in tutto il mondo,
ma sa essere amato e apprezzato da chi gli sta attorno.
Intelligente è colui che pur non avendo una grande erudizione sa essere saggio
e dire la cosa giusta e appropriata in ogni situazione.
Intelligente è chi sa servire il prossimo, la terra e l’Universo;
che non succhia il sangue del prossimo, rispetta la madre terra su cui si muove
vivendo con essa in armonia ed è grato all’Invisibile per ogni piccola e grande cosa.
Intelligente è chi si sforza per trascendere i limiti e malformazioni umane per
Poter amare, servire e dare. Intelligente è chi sa che esiste una realtà che è assoluta Verità
E che nell’immedesimazione con essa ci si realizza come esseri veri e divini.
Intelligente è chi coscientemente compie ogni sforzo per raggiungere tale
Realizzazione e sempre alimenta in se la fiamma di vivo e intenso
Anelito di trascendenza, di fusione. Intelligente è il parsimonioso,
colui che si accontenta, colui che preferisce dare piuttosto che
prendere, colui che preferisce amare piuttosto che essere amato,
colui che è sempre pronto a morire poiché ha visto per esperienza
che per l’intelligente, la morte è suprema beatitudine.
postato da: apritisangia alle ore 07:35 | Permalink | commenti
categoria:letture
venerdì, 24 luglio 2009



A cura di Renzo Montagnoli

Titolo: Il futuro bruciato
Autore: Montanari Stefano
Illustratore
: Moneta V.
Editore: Edizioni Creativa
Prezzo: € 12.00
Data di Pubblicazione: 2009
Collana: Dissensi
ISBN: 8889841850
ISBN-13: 9788889841853
Pagine: 190
Il filosofo greco Anassagora scriveva all’incirca 2.500 anni fa “Nulla si crea, tutto si trasforma, nulla si distrugge.” Ci vollero però ben 2.200 anni perché questa teoria potesse essere dimostrata dal grande chimico francese Antoine Laurent de Lavoisier.
In quelle poche parole, in quel nulla si crea, tutto si trasforma, nulla si distrugge c’è una verità assoluta che solo un essere stolto come l’uomo, per vanità e potere, non riconosce.
Ora Stefano Montanari, con questo saggio Il futuro bruciato, ha svolto un lavoro di grandissima utilità, rivolto soprattutto ai giovani e alle future generazioni affinché comprendano gli errori compiuti dagli esseri umani negli ultimi 200 anni della nostra storia, cioè da quando, nella seconda metà del XVIII secolo è iniziata la rivoluzione industriale e con essa un consumismo diventato sempre più sfrenato che ha depauperato le risorse del pianeta e creato una quantità di immondizia tale da superare abbondantemente tutta quella accumulata dagli albori dell’homo sapiens fino appunto alla metà del ‘700.
Ma Il futuro bruciato è utile anche per noi, per comprendere quanto siamo stati turlupinati – e continuiamo a esserlo – da individui solo apparentemente disinteressati, disposti a tutto per raggiungere i profitti, anche negando ogni evidenza.
Il percorso tracciato da Montanari parte dalla scoperta del fuoco, dalla sua lenta applicazione per migliaia di anni, e poi all’improvviso aumento della richiesta di energia con l’avvento dell’industrialismo. Fonti energetiche prescelte, sprechi, spazzatura hanno condizionato un pianeta al punto che ora lo stesso appare agonizzante e poiché nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma, l’uomo è riuscito in un compito quasi impossibile, cioè rendere invivibile la propria esistenza. L’analisi dell’autore è impietosa, non si limita a una semplice denuncia, ma indica anche soluzioni fattibilissime e non campate in aria, e che proprio per questo non verranno adottate dai governi perché minano l’interesse dei soliti pochi.
Il ricorso alle inesauribili energie alternative, quali il solare e l’eolico, porterebbe un duplice vantaggio: non depauperare ulteriormente il pianeta e non produrre scorie, sia sotto forma di ceneri che di gas, nell’ottenere energia.
I famosi inceneritori, pomposamente chiamati termovalorizzatori, producono un’energia ben inferiore a quella che è stata necessaria per ottenere il combustibile (l’immondizia), oltre a liberare nell’atmosfera gas tossici, particelle infinitamente piccole, ben inferiori ai PM10, di notevole pericolosità per la salute umana.
Al riguardo è giusto che si sappia che nelle vicinanze degli inceneritori, così come nel circondario di una centrale nucleare, il numero degli abitanti con neoplasie è di gran lunga superiore alla media nazionale. Le autorità lo negheranno, forniranno dati addomesticati, ma purtroppo è così.
Se vogliamo poi limitare la massa delle spazzature dobbiamo rivedere il nostro modello di vita, comprando solo ciò che è effettivamente necessario, perché con il superfluo facciamo l’interesse di pochi, danneggiando tutti. Quindi è solo un apparente arretramento del nostro status economico, dove al concetto di quantità sovrabbondante si sostituisce quello di qualità della vita. Basta poco per cominciare, come, per esempio, abolire gli usa e getta, ritornando a quei vuoti a rendere per il latte, per il vino, per la birra che erano la norma nemmeno una cinquantina di anni fa.
Il futuro bruciato, quindi, è più di un libro da leggere, è quasi la Bibbia dell’uomo consapevole e che desidera ritornare a una vita migliore. Sarebbe da diffondere in ogni scuola, dovrebbe essere studiato, ma intacca troppo lo status quo di chi ci comanda e allora non posso far altro che raccomandarvene la lettura, gratificata anche dalle riuscitissime vignette di Vilfred Moneta.
stefano-montanariNote biografiche dell’autore:
Stefano Montanari
dal 1972 è impegnato nella ricerca medica e nel 1997 è stato protagonista insieme con la moglie Antonietta Gatti di una scoperta destinata a cambiare la Medicina: le polveri sottili e ultrasottili prodotte da tante attività umane sono in parte catturate e trattenute dall’organismo dove causano una serie di malattie chiamate nano patologie. Montanari non è solo uomo di scienza ma anche un appassionato divulgatore rivolto soprattutto ai giovani che erediteranno il mondo.
Vilfred Moneta
Più vignettista che illustratore, ha collaborato satiricamente per il blog Beppe Grillo, e per lui ha inoltre realizzato lo storico simbolo del primo V-DAY. Diverse collaborazioni con periodici e quotidiani nazionali, alcune mostre satiriche alle spalle, da anni è professionalmente legato al mondo del teatro ragazzi, e, con rinnovato entusiasmo alla compagnia Il Piede Volante Teatro di cui è co-fondatore. L’istruzione sportiva e i viaggi non lo hanno ancora abbandonato.

Fonte: http://www.liberolibro.it/stefano-montanari-il-futuro-bruciato/



postato da: apritisangia alle ore 07:26 | Permalink | commenti
categoria:letture
lunedì, 13 luglio 2009






Fresco di stampa un nuovo libro sul dramma del 1939 a firma di Solderer

Le Opzioni arrivano un libreria. Nei giorni scorsi presso la libreria Kolibri è stato presentato il libro di Gottfried Solderer «Gell, hinter den Bergen ist Deutschland» edito dalla Raetia.
Il volume racconta del dramma di 70 anni fa, quando nel 1939, in seguito all’Accordo di Berlino fra Hitler e Mussolini, alla popolazione di lingua tedesca di lingua tedesca e ladina che viveva nella provincia di Bolzano fu imposto di optare se emigrare nei territori del Reich oppure rimanere in Italia e venire forzatamente assimilata alla cultura italiana, perdendo la propria lingua e le proprie tradizioni culturali. Gottfried Solderer, già direttore del settimanale “FF”, ha pubblicato nel 1989 una serie di articoli sull’argomento. Ora, per ricordare le Opzioni nel 2009, l’autore ha deciso di rielaborare i testi e di pubblicarli arricchiti da numerose foto in un libretto, dedicato a chiunque volesse informarsi su questo periodo storico.
Gli abbiamo posto alcune domande.
 Qual è il problema più grande per capire le Opzioni?
 «Noi oggi viviamo in uno stato democratico e, specialmente ai giovani, riesce difficile capire cosa possa essere una dittatura. La dittatura impone, non si può decidere, scegliere. L’ostacolo più grosso nel capire quale dramma siano state le Opzioni consiste proprio nella difficoltà di conoscere le condizioni di vita in una dittatura, che non permette al cittadino la libera scelta, ma costringe, come nel caso delle Opzioni, ad andarsene o a restare, pena la prigione o la deportazione o la vita stessa».
 Come vengono visti gli optanti oggi?
 «Gli optanti, secondo una stima ufficiale non molto attendibile, costituivano circa l’86% della popolazione. Oggi non se ne parla più molto, si cerca di dimenticare e di collaborare. Optanti e Dableiber hanno trovato, ad esempio, a suo tempo una causa in comune per cui combattere, l’autodeterminazione e la riannessione all’Austria. I vecchi ricordano ancora, ma non riaprono volentieri vecchie ferite. Quando io nel 1989, allora direttore dell’”FF”, ho scritto quella serie di articoli che costituiscono la trama del libro, mi è capitato di intervistare Magnago che non voleva parlare di questo argomento perché lui era optante».
Dableiber: chi erano e come erano visti ieri e come sono visti oggi?
 «Nei confronti dei Dableiber è stata fatta una propaganda feroce da parte dei filonazisti. Coloro che avevano scelto di restare in Sudtirolo vennero considerati fascisti, traditori. Il dramma delle Opzioni sta proprio in questa spaccatura tremenda che avevano determinato nella popolazione. L’odio serpeggiava fra coloro che restavano e coloro che avevano scelto di partire: negli alberghi, in chiesa addirittura all’interno delle stesse famiglie fra un padre Dableiber ed un figlio Optante. I fratelli persino si sputavano addosso e si insultavano. Le racconto una barzelletta del tempo: in un dialogo fra due optanti uno chiede all’altro “troveremo speck in Germania? “ e l’altro risponde “non lo so, credo che tutti i maiali siano rimasti in Sudtirolo.” Questo era il livello della propaganda. Sono stati registrati anche atti di violenza. Oggi è un dato di fatto che solo attraverso il nucleo dei Dableiber è stato possibile creare la Volkspartei ed il conseguente modello di autonomia e le ferite sono abbastanza richiuse».
Perché si continua a parlare di Opzioni in Sudtirolo?
 «Le Opzioni costituiscono, a mio avviso, la pagina più dolorosa della storia di questa terra. La popolazione che aveva vissuto quegli anni non ne voleva parlare, negli archivi non si trovava materiale. Si taceva e si voleva dimenticare. Ora invece che viviamo in pace ed in democrazia è giusto ricordare questi momenti bui per quello che furono veramente. Non esiste solo Andreas Hofer nella storia del Sudtirolo».
Crede che i politici conoscano la storia o la usino solamente?
 «Con qualche eccezione, pochi politici conoscono la storia. Ci sono gli anziani e gli appassionati che amano approfondire e ricercare, ma le nuove generazioni sanno poco e non hanno nemmeno voglia di sapere. L’interesse non è grande».
 C’è in Sudtirolo un pericolo di utilizzo della storia?
 «Questo non credo. Manca però la voglia di conoscere, di confrontarsi con il proprio passato. C’è un concetto molto importante che devo sottolineare: i Sudtirolesi non sono solo vittime, ma anche «carnefici». Nell’immagine ufficiale essi risultano sempre una minoranza oppressa, e per questo sono sempre alla ricerca di risorse economiche, ma hanno anche fatto, agito. È proprio la scarsa conoscenza della storia che porta a considerarsi sempre vittime. Se allarghiamo l’orizzonte nel mondo, ci accorgiamo che non c’è confronto fra quello che hanno subito i sudtirolesi ed altre minoranze, ad esempio i curdi. È solo un’approfondita e reale opera di divulgazione della storia che ci impedisce di cadere di continuo in stereotipi e vecchi modelli di pensiero».
 

Alto Adige 11-07-09
postato da: apritisangia alle ore 13:26 | Permalink | commenti
categoria:letture
sabato, 04 luglio 2009



Solderer racconta le Opzioni


Per i tipi di Raetia (Bolzano) è uscito un volumetto in lingua tedesca di Gottfried Solderer dedicato al tema delle Opzioni. Settanta anni fa alla popolazione di lingua tedesca dell’Alto Adige venne imposto se emigrare nel Terzo Reich oppure se rimanere in Italia e - questa la tesi dell’autore - venire forzatamente integrati nella cultura italiana. «Chi scelse di rimanere (Dableiber) - scrive Solderer - fu additato come traditore, spargendo inoltre la voci di deportazioni in Sicilia, in realtà inesistenti. D’altra parte chi scelse di partire (Optanten) fu qualificato come nazista». L’autore, già direttore del settimanale Ff, ha pubblicato nel 1989 una serie di articoli sull’argomento. Per ricordare le Opzioni nel 2009 l’autore ha deciso di rielaborare i testi corredandoli di numerose fotografie. Il Libro si intitola «Gell, hinter den Bergen ist Deuschland».

Alto Adige 04-07-09
postato da: apritisangia alle ore 18:06 | Permalink | commenti
categoria:letture
venerdì, 03 luglio 2009


Al castello Haderburg libro sull’Adige


 SALORNO. Stasera - l’inizio è previsto alle ore 20.30 nel cortile interno di Castel Haderburg  - viene presentato il libro «L’Adige scorre più tranquillo, appunti di viaggio attraverso l’Oltradige e la Bassa Atesina» di Stefano Consolati e Ferruccio Delle Cave. L’iniziativa è stata possibile grazie alla sempre attiva collaborazione fra la biblioteca di Salorno ed il Gruppo «Amici della Haderburg» e alla disponibilità dei dei due autori.
postato da: apritisangia alle ore 06:00 | Permalink | commenti
categoria:letture, conca atesina
martedì, 23 giugno 2009



Storia di Hans Egarter vita e morte del partigiano scomodo



Un libro bilingue scritto da Hans Heiss e Hubert Mock riporta in primo piano la figura di un «resistente» dimenticato

di Georg Von Metz Schiano
La vita e la fine di Hans Egarter possono essere considerati il paradigma di ciò che accade, in tutti i tempi e a tutte le latitudini, ai non etichettabili. Anche se il loro pensare e il loro agire sono nobili e portano vantaggio a molti, essi finiscono quasi sempre con l’essere emarginati dagli uni e dagli altri: da coloro al cui malvagio agire si sono opposti, ma anche da quelli a cui vantaggio si sono impegnati disinteressatamente mettendo a repentaglio la propria stessa incolumità. Nato a Villabassa nel 1909 e vissuto tra Merano e Bressanone (dove morì nel 1966), Egarter fu il più tenace oppositore sudtirolese al nazismo. Permeato da un profondo senso religioso, assieme a Friedl Volgger di Ridanna, Hans Gasser di San Lorenzo, Josef Nock di Lana e Johann Gamper di Lagundo, fondò nel 1939 l’Andreas Hofer Bund (Lega Andreas Hofer) con cui iniziò a svolgere un’intensa attività propagandistica tesa a convincere i sudtirolesi a rifiutare il Reich. Dal 1943 in poi l’AHB di Egarter (Vollger era stato nel frattempo internato a Dachau) svolse un attività partigiana vera e propria soprattutto in val Passiria. Gli alleati riconobbero in pieno questi meriti, tanto che dopo la fine della guerra proposero il gruppo di Egarter per l’assegnazione del «brevetto Alexander», una benemerenza che corrispondeva ad un riconoscimento di fatto della partecipazione al Resistenza. Egarter però rifiutò perché il brevetto era redatto in lingua italiana. La sua figura di eroe, un po’ strampalato ma di ferrei principi e di indomito coraggio, è stata rievocata ora in un libro (bilingue) fermamente voluto dall’associazione «Heimat, Brixen-Bressanone-Persenon». Ne sono autori Hubert Mock e Hans Heiss che oltre a fornire ogni possibile dettaglio biografico spiegano anche efficacemente perché Egarter sia stato avversato dalla maggior parte dei sudtirolesi prima e dopo la guerra e perché, nonostante fosse stato uno dei fondatori della Svp finisse i suoi giorni quasi da disadattato. Accodandosi agli oratori che hanno presentato il testo nella sala del Consiglio comunale di Bressanone, l’ex senatore Lionello Bertoldi, nella sua qualità di rappresentante dell’Anpi provinciale, ha tessuto gli elogi di Egarter inserendolo nel Pantheon della grande famiglia partigiana. A dire il vero però anche i partigiani italiani furono tra quelli che all’epoca avversarono Egarter e ciò per il fatto che egli era un dichiarato annessionista. Come scrive Hans Heiss «Egarter non aveva combattuto il nazionalsocialismo soltanto per avversità ideologica e politica ma anche per legittimare il ritorno del Sudtirolo all’Austria». La presenza di Bertoldi è stata tuttavia utile perché egli ha potuto ricordare che domenica 5 luglio a Brunico sarà ricordato un altro episodio significativo. I contadini di un maso sudtirolese nascosero e rivestirono quattro giovanissimi disertori italiani, incuranti dei rischi che correvano. I 4 assieme ad altri tre, vennero più tardi catturati dei nazisti e spietatamente fucilati.

Alto Adige 23-06-09
postato da: apritisangia alle ore 05:07 | Permalink | commenti
categoria:letture
domenica, 14 giugno 2009

Libri «riciclati» e regalati


Recuperati dai bidoni dagli Studenti consapevoli

BOLZANO. «Libri gratis per tutti! Perché la cultura è un diritto!». Queste le parole di Martina Zaninelli che riecheggiavano ieri pomeriggio in piazza Municipio. Anche con l’estate incombente e il caldo torrido il movimento “Studenti consapevoli” fa sentire la propria voce. Alle tre del pomeriggio la Zaninelli insieme agli altri ragazzi della rete studentesca tra cui Cecilia Colò, Tessa Brancalion, Ruben Candioli e Cecilia Nesler, hanno letteralmente riversato nella piazza centinaia di libri di ogni genere. Molti gli Harmony ma anche tanti classici della letteratura di tutti i tempi come, ad esempio, “20.000 leghe sotto i mari” o “Il giro del mondo in 80 giorni”. Molti anche i libri di approfondimento universitario e quelli dedicati ai più piccoli. “Tutto è nato andando al mercatino delle pulci del sabato - dice Martina Zaninelli -. Vedevamo che molti libri non venduti venivano accatastati vicino ai cassonetti dell’immondizia. Ci è sembrato uno spreco lasciarli là, quindi abbiamo deciso di prenderli e di regalarli a chi vuole”. Non solo tanta cultura ma anche qualche critica alla legge Gelmini. “Secondo la nostra visione - prosegue la Zaninelli - i libri buttati nella spazzatura posso essere paragonati ai tagli all’istruzione fatti da questo governo. Regalare libri significa dare cultura, cosa che, purtroppo, la riforma Gelmini non fa affatto”. Tantissimi i curiosi che, o per gioco o per vero interesse, si sono avvicinati alla montagna di libri. Nessuno credeva, all’inizio, che quei testi fossero regalati e ancor meno si capacitava di come essi fossero stati destinati alla spazzatura. Già dopo qualche ora oltre duecento libri erano stati portati via. Lungo i marciapiedi, che fanno da bordo alla piazza, gli studenti hanno scritto con gessi colorati i motti che hanno caratterizzato le ultime manifestazioni autunnali. “Noi la crisi non la paghiamo” e “Via le mani dall’istruzione” sono stati i più gettonati. Alle sei di sera, quando la manifestazione si è conclusa, erano rimasti circa metà libri. È stato sicuramente un successo che, stando alle parole della Zaninelli, dovrebbe essere incentivata anche da chi sta al potere. “Noi distribuiamo testi per incentivare la cultura, ci vorrebbero però altre persone che facessero lo stesso con l’istruzione”. (ma.ga.)

Alto Adige 14-06-09
postato da: apritisangia alle ore 07:38 | Permalink | commenti
categoria:cultura, letture
venerdì, 12 giugno 2009


Leggere è un po’ come premiarsi



La promozione di libri fra gli studenti culminata nel concorso Serendipity 

BOLZANO. “Serendipity” indica la sensazione che si prova quando si scopre una cosa imprevista mentre se ne sta cercando un’altra, esperienza frequente nella lettura. Non a caso è il titolo del concorso per studenti delle scuole superiori, che si è concluso ieri mattina con le premiazioni nella sala “Lucia Forti” dell’Itc Battisti. «Questo progetto, promosso dall’Associazione servizi bibliotecari (Aessebi) e dall’Ufficio biblioteche dell’assessorato provinciale alla cultura in lingua italiana, mira a promuovere il piacere della lettura - spiega Marino Santuari, vicepresidente di Aessebi - e nasce dal successo riscontrato lo scorso anno in alcuni incontri dedicati ai libri organizzati per gli studenti».
 Il concorso ha coinvolto cinque istituti superiori di lingua italiana: Itc Battisti di Bolzano, Scuola professionale per agricoltura di Vadena, Ipsct “Falcone e Borsellino” e Liceo classico “Dante Alighieri” di Bressanone, Istituto pluricomprensivo con Liceo classico “Cantore” di Brunico.

 «I 15 ragazzi partecipanti, seguiti nell’attività da insegnanti e bibliotecari di istituto, hanno preparato una presentazione o recensione del libro scelto - racconta il professor Santuari -, frequente l’utilizzo dello strumento video, di immagini e voci narranti; solo due partecipanti hanno preferito lavorare nella forma classica con Word».

 Vincitori di “Serendipiy” sono gli studenti del Pluricomprensivo di Brunico - Florentina Mankaj, Elisa Bellò, Sonja Romano, Giulia Romano, Claudia Ermano - con una storia delicata che nasconde una verità crudele (“nessuno sopravvive alla guerra, nemmeno i vivi”) raccontata nel libro di Helga Shneider “Heike riprende a respirare”. Secondo, sul podio, Alex Grassi dell’Istituto pluricomprensivo di Vipiteno con “Jurassic Park”; in terza posizione Ivana Vasiljevic dell’Istituto pluricomprensivo di Bressanone con “Gomorra”, testo di Roberto Saviano, di grande attualità. La giuria ha premiato i vincitori con buoni per consumi culturali quali libri, dvd, cd musicali, biglietti per spettacoli e concerti.

 Ma l’iniziativa non si conclude con questa giornata di premiazioni: in settembre saranno organizzati nelle scuole della provincia alcuni incontri in cui i partecipanti a questa prima fase presenteranno i loro lavori. «In ottobre poi prenderà il via una seconda fase del concorso, più ampia - spiega Santuari - e cercheremo di coinvolgere tutte le scuole superiori altoatesine con lo scopo di creare una rete culturale tra i diversi istituti».
Michela Perini

Alto Adige 12-06-09
postato da: apritisangia alle ore 06:40 | Permalink | commenti
categoria:letture
venerdì, 29 maggio 2009


Un magazine per progettare il vostro futuro


Un volo panoramico su quanto offre la provincia in termini di studio e lavoro

BOLZANO. A volte per scrutare il proprio futuro la sfera di cristallo non serve a nulla: molto meglio e più efficace affidarsi ad una lettura non troppo impegnativa. E’ in arrivo domani, in allegato con il nostro giornale(Alto Adige), un magazine dedicato alla progettazione del vostro futuro: un volo panoramico su quanto di meglio offre la nostra provincia in termini di studio e lavoro, ma con uno sguardo anche oltre i confini altoatesini. Una rivista di 68 pagine pensata per chi si trova di fronte a un bivio essenziale, chiamato a scegliere tra mondo professionale e università, ma anche per chi ha già deciso quale strada imboccare, ma ha la necessità di definire meglio i dettagli. Pagine che strizzano l’occhio ai ragazzi che stanno terminando il ciclo scolastico e che, in alcune pagine, darà direttamente spazio alle parole degli stessi studenti. Dalla loro penna, infatti, cinque studenti delle superiori cittadine comunicheranno a tutti ansie, nostalgie e paure del mondo che li aspetta una volta stretto nel pugno il diploma di maturità. Non si tratta di un catalogo, quindi, ma di una pubblicazione quasi interattiva con indicazioni utili, ma anche curiosità, interviste e inchieste. Sapete, per esempio, quali sono i lavori più brutti del mondo? Ve lo fareste dare un consiglio da chi a poco più di quarant’anni occupa una posizione di prestigio nel panorama scolastico provinciale? Vi piacerebbe scoprire i segreti di alcune facoltà di punta della Lub? Domande che troveranno delle risposte. Limitarsi alla città, però, non è possibile ed ecco che ascoltare le voci di sei ragazzi provenienti da tutte le università più vicine a Bolzano può aiutarvi a scegliere dove far recapitare i vostri bagagli: non parleranno, infatti, solo di scuola, ma anche e soprattutto di vita studentesca. Non solo giovani, comunque, perché a chiunque può saltare in testa di aprire un bar o avere la necessità di specializzarsi professionalmente per essere più competitivi nel mondo del lavoro, soprattutto negli ultimi tempi. Ecco, allora, una vera e propria guida alla burocrazia per l’apertura di un locale e un viaggio attraverso i corsi permanenti dei vari istituti culturali. Un inserto che cerca di riempire più domande possibili. Qual è il lavoro dalla busta paga più pesante? Ve lo dirà un’inchiesta con il primo stipendio di numerose professioni. La crisi quanto ci deve preoccupare? Scopritelo analizzando i dati provinciali. Come scrivere il curriculum e affrontare una candidatura? Seguite i consigli per una perfetta candidatura. Come si vive Bolzano con gli occhi di chi viene qua solo per studiare? Leggete l’intervista a una ragazza friulana iscritta a Design. State per decidere se accettare un impiego estivo? Fate attenzione alla nostra guida ai contratti stagionali per ragazzi e studenti. Il patentino è un ostacolo impossibile? Sfogliate tutte le informazioni utili per provare a saltarlo più facilmente. Voglia di rinnovarsi e di lanciarsi in nuove avventure? Lo scrittore Antonio Incorvaia ci accompagna tra tutte le professioni del nuovo millennio. La sfera di cristallo di una veggente onesta vi suggerirebbe sicuramente di affidarvi alla lettura. (a.c.)

Alto Adige 29-05-09
postato da: apritisangia alle ore 06:53 | Permalink | commenti
categoria:letture, giovani
giovedì, 23 aprile 2009


Festa del libro e del diritto d’autore


Oggi, 23 aprile, 14esima “Giornata mondiale” con appuntamenti ed eventi nelle biblioteche di lingua italiana

Il 23 Aprile 1616, per ironia della sorte, morirono tre grandi inventori di storie, Shakespeare, Cervantes e De la Vega.
Per questo motivo, l’Unesco ha scelto questa data per celebrare, dal 1995, la Giornata Mondiale del Libro e del Diritto d’Autore.
Promozione della lettura
 Da molti anni, da parte di tutti coloro che amano il libro, viene chiesto di organizzare attività, piccoli o grandi eventi, momenti di festa per il libro che siano anche una grande occasione per promuovere la lettura e per insegnare a rispettare l’insostituibile contributo dei creatori al progresso culturale e sociale.
Il tema scelto quest’anno come filo conduttore per la celebrazione, è quello della diversità culturale, quasi a volere sottolineare che il libro rimane anche ai giorni nostri uno strumento forte al servizio della tolleranza, della conoscenza reciproca, della cultura della pace.
 Con questa giornata, l’UNESCO intende sottolineare l’importanza dei libri e degli autori, sostenendo e incoraggiando la lettura come ricchezza culturale e sociale dell’Umanità.
Sostegno alle biblioteche
 Il Settore biblioteche dell’Ufficio Educazione permanente della Ripartizione Cultura italiana della Provincia autonoma di Bolzano ha compiti di indirizzo, di programmazione e di coordinamento, assicura l’aggiornamento dei bibliotecari, sostiene finanziariamente la gestione delle biblioteche ed i programmi di investimento nell’edilizia bibliotecaria, organizza, sollecita e suggerisce iniziative di promozione della lettura e di valorizzazione del patrimonio librario, come per esempio le manifestazioni “Primavera di letture” nel 2007 in collaborazione con il competente ufficio della Ripartizione Cultura tedesca e i percorsi bibliografici promossi nel magazine “Percorsi di lettura”.
Sale di lettura
 Le sale di lettura accolgono puntualmente incontri con gli autori, dibattiti, tavole rotonde, mostre bibliografiche e di libri artistici, letture animate e tanto altro per suscitare interesse verso il mondo dei libri e favorire la crescita (anche numerica) di lettori appassionati. Educare alla lettura vuol dire “accompagnare” bambini, ragazzi e adulti verso un mondo nuovo, dove poter sperimentare diverse metodologie interpretative di un testo, di un racconto, di una favola, sviluppando la curiosità e l’immaginazione di ogni singolo individuo.
Progetto “Bookstart”
 Da alcuni anni la Provincia ha inoltre avviato il progetto “Bookstart. I bebè amano i libri” allo scopo di sensibilizzare i genitori sull’importanza dell’approccio precoce al libro, considerato che l’apprendimento del linguaggio incomincia sin dalla nascita e che la lingua si apprende attraverso l’ascolto e l’esercizio attivo.
Aiuto alla conoscenza
 I libri possono infine aiutarci a conoscere la terra in cui viviamo, le sue particolarità e le contraddizioni che la caratterizzano. Soprattutto in un territorio di confine, in cui convivono popolazioni di culture diverse, è quanto mai importante ricostruire la storia che ne ha segnato i confini e recuperare le radici dei suoi abitanti. A tutt’oggi sono più di mille le opere sull’Alto Adige sostenute a vario titolo dall’Ufficio Educazione permanente e distribuite a tutte le biblioteche della provincia, affinché tutti gli interessati possano accedervi gratuitamente e per costituire una raccolta libraria che fortifichi il senso di appartenenza alla comunità e la partecipazione alla sua crescita culturale ed in particolare dei suoi giovani.
Biblioteca: appuntamenti
 Nelle giornate comprese tra il 20 e il 23 aprile, le biblioteche pubbliche e scolastiche della provincia hanno organizzato diverse attività dedicate ai giovani e meno giovani per attirare l’attenzione sul libro in quanto bene culturale e suscitare entusiasmo per la lettura.
Oggi giovedì 23 aprile
 La Biblioteca Archeoart, riprendendo l’affascinante manifestazione catalana che ha dato origine alla giornata dell’Unesco, la festa di San Giorgio, quando nelle piazze di Barcellona le donne ricambiano con un libro il dono di un fiore che ricevono dai loro mariti o fidanzati, invita tutti a partecipare alla “settimana dello scambio”: consegnando un vostro libro riceverete una rosa ed un altro libro a scelta tra quelli disponibili. Dalle ore 15.00 alle ore 19.00 presso la sede di via C. Battisti 11.
 La Biblioteca della Formazione professionale invita alla Giornata delle porte aperte - V edizione - in cui si avrà modo di conoscere le risorse e le opportunità che essa può offrire. Per l’occasione, a tutti coloro che effettueranno almeno un prestito, verrà data in omaggio una copia del libro a fumetti “Darwin”, edizioni Feltrinelli 2009, nella ricorrenza del bicentenario della nascita dell’illustre scienziato. Dalle 8.30 alle 12.30 e dalle 14.00 alle 17.00 presso la sede di via S. Geltrude 3.
 La Biblioteca provinciale italiana “Claudia Augusta” attende i suoi utenti per un aperitivo letterario con “assaggi di lettura”. Ore 11.00 via Mendola 5.
 La Biblioteca Ortles presenta il libro di Ettore Frangipane dedicato alla storia di piazza Walter “Duecento anni piazza Walter a Bolzano in immagini”. Ore 20.30, via Ortles 19.
Prossimamente
 Dal 10 maggio, presso l’Ufficio Educazione permanente, biblioteche e audiovisivi, via del Ronco 2, Bolzano, sarà disponibile il nuovo numero del notiziario bibliografico “Percorsi di lettura. Suggestioni tra parole e immagini” dedicato al tema “Identità e storie”.
 Le Biblioteche specialistiche della nostra provincia propongono una selezione di letture che affrontano il tema da diversi punti di vista, per offrire opportunità di riflessione che tocchino gli interessi di un pubblico diversificato e sempre curioso di apprendere e di confrontarsi. Saggi, romanzi, analisi sociologiche o storiche, manuali: il libro rimane l’insostituibile strumento per raccontare una storia ed affermare, attraverso il racconto, l’identità irripetibile di ogni individuo.
Info: tel. 0471 411246 e-mail alessandra.sorsoli@provincia.bz.it

Alto Adige 23-04-09
postato da: apritisangia alle ore 05:53 | Permalink | commenti
categoria:letture
martedì, 21 aprile 2009





Festeggiamo insieme la Giornata mondiale del libro il 23 aprile

  • Bolzano
    Scuola elementare “M.L. King”
    Martedì 17 aprile, ore 8.00
    Festa del Libro 2007
    , letture, spettacoli, mostre, visioni di fotografie e filmati, mercatino, a conclusione del progetto “Lettura… che passione!”
  • Biblioteca provinciale italiana “Claudia Augusta”
    Lunedì 23 e Martedì 24 aprile - ore 11.30
    Assaggi di lettura, letture e aperitivo in biblioteca

postato da: apritisangia alle ore 08:32 | Permalink | commenti
categoria:letture
venerdì, 17 aprile 2009



A Bolzano, Laives e Ora piccolo viaggio con Faber








PER L’ARCI

BOLZANO. Minitour organizzato dall’Arci di Bolzano e Laives per il gruppo Piccola Bottega Baltazar di Padova che porterà in scena uno spettacolo di musica e parole, un reading per presentare il libro “Ballata per Fabrizio De Andrè” in maniera informale.
 Primo appuntamento stasera alle ore 21.00 a Laives, presso la sala video Scuole Medie, via Passaggio Scolastico 20. Seguirà l’appuntamento mattutino di sabato 18 aprile alle ore 11 presso la Libreria Kolibri (Via della Rena, 17) per una matinèe dedicata alla figura di Fabrizio De Andrè. Infine concerto serale alle 18.30 presso la Stazione di Ora, sempre sabato 18 aprile.
 Il concerto-spettacolo prevede sulla scena un attore-lettore che legge alcune parti del libro, i musicisti (chitarra-voce e fisarmonica) che suonano-interpretano a modo loro alcune canzoni di cui si parla nel libro, la proiezione di alcune tavole del fumetto a fare da scenografia.
 “Becco giallo”è una casa editrice di Padova che pubblica fumetti che raccontano storie, spesso delicate, di cronaca, reportage, inchiesta approfondendole con piglio giornalistico. Inoltre la casa editrice si occupa di biografie di personaggi che hanno segnato un’epoca, che hanno lasciato un’impronta indelebile nella storia: uno di questi è Fabrizio De Andrè, poeta, cantautore, comunicatore e tanto altro...“Ballata per Fabrizio De Andrè” è un omaggio pubblicato per i dieci anni dalla sua scomparsa (gennaio 2009). La particolarità del libro sta nell’aver pensato di dare vita ai principali personaggi delle sue canzoni, Bocca di Rosa, Marinella, Miché, Pasquale Cafiero, il Gorilla, Carlo Martello e altri ancora, che si incontrano, scontrano, conoscono.


La musica, i disegni e le letture in omaggio a Fabrizio De Andrè


STASERA IN AULA MAGNA

 LAIVES. Interessante appuntamento stasera nell’aula video delle scuole medie. Si terrà una serata in omaggio a Fabrizio De Andrè, a dieci anni dalla scomparsa. Lo spettacolo è possibile grazie alla collaborazione fra tre giovani realtà artistiche padovane: la Piccola Bottega di Baltazar, la casa editrice Becco Giallo e l’attore Filippo Tognazzo. Lo spettacolo sarà suddiviso in tre parti: una musicale, che prevede l’esibizione di alcuni dei brani musicali più celebri dell’autore proposta dal gruppo «la Piccola Bottega di Baltazar». Il quintetto padovano, attivo dal 2000, propone un’interessante mistura di canzone d’autore e musica popolare, classica e jazz. Nel corso della sua attività, la band ha ricevuto diversi riconoscimenti. Nella parte, dedicata all’arte visiva, verranno proiettati i disegni tratti dal libro «Ballata per Fabrizio De Andrè» - Edizioni Becco Giallo - nel quale l’autore, Sergio Algozzino, dona magicamente vita, in forma di fumetto, ai personaggi delle canzoni di De André. Ed infine una parte verrà dedicata alla lettura e interpretazione di testi che ispirarono il famoso cantautore, ad opera dell’attore Filippo Tognazzo, e di altri testi ritenuti affini alla sua poetica. L’evento, promosso dalla compagnia teatrale professionale Zelda, in collaborazione con Arci Laives, che da tempo ha incrementato le proposte culturali sul territorio, consta di due date, entrambe ad ingresso libero: quella di stasera e quella di domani al caffè Piccolo Teatro di Ora alle 18.30. (ang)


Alto Adige 17-04-09


http://www.piccolabottegabaltazar.it/


postato da: apritisangia alle ore 15:05 | Permalink | commenti
categoria:letture, musica danza teatro cinema
domenica, 05 aprile 2009


Le Opzioni dentro un romanzo

In libreria «Il terreno sotto i piedi», di Anna Maria Leitgeb



GIANCARLO ANSALONI

La gigantesca mobilitazione per rievocare le vicende di 200 anni fa, legate all’ascesa e caduta di Andreas Hofer nella guerra contro le truppe napoleoniche, hanno praticamente soverchiato un altro anniversario, assai più drammatico se non altro per la sua vicinanza temporale, i 70 anni dalle opzioni del 1939, quando centinaia di famiglie sudtirolesi furono smembrate e lacerate di fronte a una drammatica scelta: assoggettarsi all’italianizzazione forzata sotto il fascismo pur di restare aggrappati alla Heimat o cercare un’illusoria libertà sotto una dittatura ancora più feroce, quella di Hitler che ha incendiato il mondo.
 Una ferita tuttora aperta e forse per questo «tamponata» o addirittura esorcizzata con più gloriose ed esaltanti rievocazioni storiche.
 L’unico «richiamo», sia pur flebile e poco pubblicizzato, a quel drammatico periodo che preannunciava la più feroce a catastrofica guerra della storia umana, viene da un libro scritto in tedesco, un romanzo in libreria da pochi giorni, presentato a Bolzano, presso la libreria Kolibri. Opera di una scrittrice di origine sudtirolese con alle spalle una singolare biografia: Anna Maria Leitgeb, emigrata ormai da tempo negli Stati Uniti.
 Pubblicato dalla casa editrice Raetia, «Der Boden unter del Fuessen» (Il terreno sotto i piedi).
 Questo il titolo, vine definito nella presentazione come «un romanzo sull’emigrazione e il rimpatrio», nel quale il dramma delle Opzioni non è al centro della storia, ma si aggira come un fantasma inquietante e implacabile sullo sfondo degli avvenimenti, nonostante i tentativi di rimozione da parte dei protagonisti.
 Il romanzo è imperniato sulle vicende di Moidi, una ragazza, figlia di una famiglia di Dableiber, che dopo essere stata violentata e messa incinta dal suo insegnante di provata fede nazista, fautore dell’opzione per il nazismo, per evitare l’ostilità dei compaesani e la vergogna per la famiglia, è costretta a trasferirsi a Bolzano, dove viene accolta da una coppia di commercianti ebrei in qualità di domestica.
 Ma la situazione per la comunità ebraica ben presto si fa sempre più drammatica e Moidi decide di seguire, alla ricerca di un’esistenza nuova e più libera.
 Proprio dalle opzioni inizia dunque l’ascesa e il riscatto di una contadinella povera e indifesa, che inizia la sua lotta per emanciparsi, fiera del suo nome originario Maria, che diventerà poi Mary,che passerà attraverso il lavoro di saldatrice in una fabbrica bellica fino alla conquista di un dignitoso posto nella società, dopo aver attraversato altre vicende più o meno drammatiche come II la guerra mondiale che le costa la perdita del fidanzato e lo scoraggiante rientro temporaneo nella Heimat, dove non trova più né il figlio, né la famiglia.
 Le opzioni apparentemente dimenticate, restano invece implacabilmente presenti sullo sfondo, quasi a significare come l’esistenza della donna sia un continuo cimentarsi con altre opzioni, quelle che le sottopone il destino, imponendole continue scelte assolutamente decisive per la sua esistenza.
 Una vicenda che nasce nel Sudtirolo, ma che si sviluppa al di fuori di questo piccolo mondo.
 «In Sudtirolo - ha commentato l’autrice nella sua presentazione - si è sempre agito e vissuto come se qui non fosse accaduto nulla e tutto sia successo altrove».
Anna Maria Leitgeb «Der Boden unter den Fuessen» ed. Raetia club Bolzano, 232 pagg., 12 euro

Alto Adige 05-04-09
postato da: apritisangia alle ore 08:30 | Permalink | commenti (1)
categoria:letture
sabato, 07 febbraio 2009


Claudia e Danilo sono passati a Gargnano e ci hanno segnalato un'importante iniziativa di promozione della lettura rivolta in particolare ai bambini in tenera età, sin dal primo anno di vita. Questa iniziativa www.natiperleggere. it è incoraggiata da più di 3.000 pediatri tra i quali anche Danilo perchè "Ogni bambino ha diritto ad essere protetto non solo dalla malattia e dalla violenza, ma anche dalla mancanza di adeguate occasioni di sviluppo affettivo e cognitivo". Il sito ha una sezione apposita per i genitori.
Questa iniziativa ha anche delle corrispondenti in altri paesi e zone linguistiche, come si può vedere cliccando http://www.aib. it/aib/npl/ progstr.htm3
Si dice spesso che la vita é un libro, ma ci avevamo mai pensato che eravamo nati per leggere ? Che meraviglia vedere  Roberto che riesce persino a leggere camminando ...

La lettura fa bene poi a tutte le età, e anche all'altro capo della vita. Una recente ricerca europea coordinata dal San Raffaele di Milano, publicizzata anche dalla rivista Neurology, ci incoraggia a tenere allenato il cervello per "imbrogliare" l'Alzheimer creandoci, e cosa di meglio della lettura, un "cervello di scorta", cioé un maggior numero di sinapsi  tra i neuroni di chi tiene la mente ben allenata negli anni.
postato da: apritisangia alle ore 05:06 | Permalink | commenti (1)
categoria:letture, salute
venerdì, 20 aprile 2007

Corriere dell'Alto Adige 2007-04-20

Volume pubblicato dalla Feltrinelli. Oggi il film al Capitol

« In viaggio con Alex » Langer a tutto tondo

L'uomo politico « ritratto » da Fabio Levi
Coniugare il locale e il globale, vivere una dimensione profondamente spirituale dell'attività politica, operare un implacabile perforamento delle barriere, disinnescare i conflitti etnici, ideologici, linguistici, con l'obiettivo — sempre ben saldo — della creazione di una comunità di cittadini più giusta, misurare sempre e costantemente le idee professate con passione con il metro del coinvolgimento personale, senza mediazioni, verificando in prima persona la praticabilità delle visioni politiche predicate, giocare sé stessi fino in fondo, senza freni e senza schermi, per affermare la solidarietà, l'impegno politico e sociale nei confronti dei poveri e dei diseredati, per un cambiamento della società che passi attraverso un'adesione convinta della coscienza di ogni individuo. Tutti elementi che hanno abitato l'azione, il pensiero politico ed il percorso esistenziale ( in lui sempre, tragicamente, inscindibili) di Alexander Langer. La decisione di togliersi la vita il 3 luglio 1995 a Pian dei Giullari, vicino a San Miniato, ci ha privato della possibilità di vedere come l'intellettuale sudtirolese, uno dei più brillanti e onesti della sua generazione, avrebbe affrontato nella pratica e dal punto di vista concettuale le nuove e terribili sfide che la contemporaneità consegna al mondo: la guerra planetaria, dei e contro i terrorismi, il riemergere della barbarie delle guerre interetniche e interreligiose, l'allarme per il pianeta che sprofonda verso il baratro dell'olocausto ambientale, la ricerca affannosa e incerta di un'identità condivisa, unificante, da parte di un'Europa unita che Langer ha contribuito a creare, « lui che, assieme ad Adriano Sofri, Daniel Daniel Cohn Bendit e Joschka Fischer è stato uno dei padri nobili dell'europeismo » , come l'ha ricordato uno dei suoi più cari amici e colleghi, il giornalista Gad Lerner, che aveva condiviso con l'intellettuale sudtrirolese la militanza in « Lotta Continua » .
Su ciò che Langer avrebbe fatto se avesse continuato a vivere non rimangono che congetture un po' artificiose e la frase annotata sui biglietti scritti poco prima di morire « Non siate tristi, continuate in ciò che era giusto » . Ciò che mancava fino ad oggi era un'opera che radunasse la molteplicità delle esperienze del leader pacifista. Fabio Levi, docente di Storia contemporanea all'Università di Torino, con il suo libro « In viaggio con Alex – La vita e gli incontri di Alexander Langer ( 1946 1995) » ( Feltrinelli) pone finalmente rimedio all'assenza di un'opera che fornisse una prospettiva più ampia e circostanziata sul percorso di vita di Langer e che permettesse di avvicinarsi e conoscere la vita, la grande umanità, le battaglie e le sconfitte dell'esponente politico verde.
Numerose, infatti, sono state finora le pubblicazioni che hanno ripreso gli scritti di Alex Langer. Ma chi — prima della biografia di Levi — avesse voluto approfondire il tracciato seguito da Langer nel suo girovagare fecondo per l'Italia, l'Europa, il mondo si sarebbe trovato al cospetto di « disiecta membra » , saggi sul suo pensiero e ricordi di amici, colleghi e avversari politici sparsi qua e là in interviste su riviste e quotidiani. « In viaggio con Alex » è prima di tutto un libro coinvolgente, scritto molto bene, la narrazione dei viaggi e delle infinite storie incontrate lungo il suo cammino da una personalità eccezionale che, nel confronto contrassegnato da grande spirito di autonomia con altre personalità di pari statura, cerca la via alla soluzione dei problemi del suo tempo: la convivenza, le guerre, la salvaguardia dell'ambiente, il rispetto dei diritti umani, la difesa delle minoranze.
Il lavoro di Fabio Levi parla a più « generazioni di lettori e in cui il lettore viene traghettato nei luoghi cruciali della storia della storia d'Italia e d'Europa dagli anni trenta del Novecento, sino alla fine del secolo » , come sostiene l'autore.
Il libro, pubblicato nei giorni scorsi, verrà presentato a Bolzano a maggio alla Fondazione Langer mentre stasera, alle ore 20 sarà possibile assisstere al Filmclub di via Streiter a Bolzano, alla proiezione — in anteprima assoluta del documentario su Langer « Uno di noi » , diretto del regista tedesco Dietmar Höss. Alessandro De Longhi 
postato da: apritisangia alle ore 06:15 | Permalink | commenti (1)
categoria:letture, sociale
martedì, 03 gennaio 2006
Insieme
 tratta dal libro
Fabrizio Orlandi, La finestra di confine,
editrice Montedit, 1998,
Ecco la mia vita
che cammina nella tua,
come l'aria nel palloncino
sono chiuso dentro di te;
ecco questo vento tropicale
che semina follia nei tuoi capelli
e questo mare si allunga,
lievemente disperato,
cercando il tuo contatto
e l'aroma del tuo corpo.
postato da: apritisangia alle ore 20:40 | Permalink | commenti
categoria:letture

Nessun commento:

Posta un commento