martedì 17 gennaio 2012

valli Dolomitiche 1

martedì, 08 novembre 2011


Foto di Fornasier Mario - Rif. Bolzano / Schlernhaus

Vendita del Rifugio Bolzano Cai e Provincia trattano

BOLZANO. Niente alluminio, i cartelli di montagna resteranno di legno. La protesta degli oppositori, Avs in primis, ha convinto la giunta provinciale, che ieri ha deciso di rinunciare al progetto di prevedere il metallo per la nuova segnaletica. Prosegue invece la trattativa con il Cai sulla gestione dei 25 rifugi ex militari.
 E’ stato archiviato il dilemma legno-metallo sui cartelli di montagna. L’assessore Hans Berger ha portato ieri mattina in giunta la decisione sul suo progetto di prevedere l’alluminio giallo per la nuova segnaletica, per renderla più resistente e uniformata ad altre regioni alpine. L’Avs si era fatta portavoce della protesta per conservare la segnaletica tradizionale e le migliaia di iscritti hanno avuto il peso che si attendevano. Progetto cassato.
 «Abbiamo preso atto del parere espresso dalle associazioni che si occupano di curare i sentieri e garantire gli strumenti necessari per la sicurezza e l’orientamento degli escursionisti».
 Sembra ormai certo invece che dovrà essere prorogata anche nel 2012 la gestione provvisoria affidata agli attuali affittuari dei 25 rifugi ceduti dal demanio miliare alla Provincia. La trattativa con il Cai sulla società di gestione con Avs e Provincia stessa prosegue ma resta complicata. Sul tavolo ci sono da un lato le richieste economiche del Cai per il risarcimento dei lavori di manutenzione effettuati nei rifugi, dall’altro la richiesta provinciale di acquistare dal Cai di Bolzano il rifugio «Bolzano», che non fa parte dei 25. Dopo una iniziale resistenza, la sezione cittadina ha deciso di trattare: la richiesta è di ottenere in cambio della cessione del «Bolzano» altri quattro rifugi, tra cui il «Milano» e il «Firenze». In ogni caso l’indirizzo del Cai è di vendere uno dei rifugi-simbolo dell’alpinismo altoatesino solo se la Provincia garantirà condizioni vantaggiose.
Alto Adige 8-11-11
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giovedì, 27 ottobre 2011



Convenzione Alpi l’Europa è lontana

SIEGRFIED BRUGGER*
La volontà del governo e della maggioranza di votare ieri alla Camera la Convenzione delle Alpi dopo aver soppresso il Protocollo Trasporti è un atto di debolezza politica che potrà avere (se tale scelta sarà definitiva) conseguenze gravi nei rapporti in Europa e con i tutti i paesi alpini. E’ grave che la maggioranza abbia voluto abrogare un’altra volta - ed è la terza nelle ultime legislature - il Protocollo trasporti, dopo che il Governo - non l’opposizione ma il Governo - lo aveva proposto per la ratifica insieme a tutti gli altri protocolli e dopo che la stessa maggioranza lo aveva approvato all’unanimità al Senato. E’ un atto privo di giustificazioni e in contrasto con i principi cui si ispira la politica europea dei trasporti. Il voto contrario in Aula alla Camera del Ministro degli Esteri Frattini, del Ministro dell’Ambiente Prestigiacomo all’emendamento presentato dalla SVP e dalle Minoranze linguistiche ed a quello analogo del Pd per il ripristino del Protocollo Trasporti, mentre più opportunamente il Ministro per le politiche europee Bernini non ha partecipato al voto, è la dimostrazione di una politica piegata agli interessi delle corporazioni. Per le loro competenze e per il loro ruolo istituzionale, in Italia e in Europa, avrebbero dovuto sostenere il Protocollo Trasporti, in conformità alle richieste ed agli indirizzi già adotatti in Europa ed operare conseguentemente affinché la Convenzione fosse approvata in modo definitivo. Così non è stato.
E’ una scelta che contribuisce a minare ulteriormente la credibilità, già in crisi, dell’Italia nel contesto europeo e nell’ambito dei paesi che hanno sottoscritto la Convenzione e ratificato i protocolli. L’Italia viene meno agli impegni internazionali assunti e preclude ai territori alpini opportunità di sviluppo,di tutela ambientale e di ammodernamento delle infrastrutture. Nel corso delle legislature come deputati della SVP abbiamo ritenuto e consideriamo fondamentale la ratifica del Protocollo Trasporti, senza il quale viene meno il carattere strategico, per i territori alpini, della Convenzione. E’ del tutto anacronistico ritenere che il no al Protocollo Trasporti possa essere pronunciato a difesa di una sovranità nazionale che sia in contrapposizione agli altri paesi dell’Arco alpino. E’ una visione arretrata e opposta agli obiettivi di cooperazione e di dialogo fra i paesi interessati in ordine alle questioni ambientali, alle politiche di mobilità e delle infrastrutture di transito che nel Protocollo Trasporti hanno una sintesi fondamentale e coerente con gli indirizzi strategici e finanziari già adottati dalla Comunità europea, ai fini del trasferimento del trasporto di merci su mezzi alternativi alla gomma e l’adozione di sistemi di trasporto ecocompatibili. Obiettivo e indirizzi che in Alto Adige S´dtirol da anni riteniamo prioritari a tutela del nostro patrimonio paesaggistico, del turismo e della nostra economia con le politiche di salvaguardia dell’ecosistema alpino che hanno portato ad esempio e in primo luogo al finanziamento della Galleria di base del Brennero e dei relativi accessi ferroviari. L’articolo 11 del Protocollo Trasporti non preclude affatto che possano essere realizzate o ampliate infrastrutture stradali sul territorio nazionale. Ciò che l’articolo 11 intende impedire è la realizzazione di nuove vie di grande comunicazione stradale transalpina, che dunque oltrepassino la dorsale principale delle Alpi. Questo divieto è un obiettivo condiviso da tutti i Paesi che hanno sottoscritto la Convenzione. Non vi è tutela del territorio alpino senza una piena attuazione della Convenzione e dunque in assenza di uno sviluppo sostenibile dell’area alpina e di una rete di trasporti integrata, coordinata e transfrontaliera. Non vi possono essere scelte unilaterali. Se l’Italia, a conclusione dell’iter legislativo per la ratifica della Convenzione, dovesse approvare la Convenzione senza aver ratificato il Protocollo Trasporti, non risolverebbe alcun problema. Farebbe solo una pessima figura, potremmo dire l’ennesima e temiamo non l’ultima, a livello europeo. Il Protocollo è stato già ratificato e attuato negli altri Paesi. Tale scelta ed i vincoli che ne conseguono non possono essere ignorati. L’Italia può dunque cooperare o isolarsi e pagarne le conseguenze. E’ ancora possibile essere parte dell’Europa ma da ieri è più difficile.
Alto Adige 27-10-11
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martedì, 18 ottobre 2011



Dolomiti come «Jurassic Park»

ALAN CONTI
Le Dolomiti? Una miniera naturale di fossili e informazioni sulle condizioni del nostro pianeta milioni di anni fa. Oltre ai paesaggi mozzafiato, dunque, è anche questo uno dei motivi che hanno portato al prestigioso riconoscimento di Patrimonio dell’Unesco alle nostre montagne e il Museo di Scienze naturali lo evidenzia con la mostra: “Dino & Co.-Sauri delle Dolomiti” inaugurata ieri.
 Lungo un percorso cronologico disposto a ferro di cavallo si alternano fasi importanti della nostra preistoria dal Premiano al Cretacico, dai primi rettili ai dinosauri, da 300 a 65 milioni di anni fa. Ogni quattro o cinque passi una sorpresa: lo scheletro di rettile volante più antico del mondo (Eudimorphon), la vertebra dell’acquatico notosauro che ha spalancato agli studiosi la possibilità di ricercare fossili di ossa, l’ambra più vecchia del globo con tanto di cellula in divisione imprigionata oppure l’orma del grande erbivoro “Pachypes” assunta dagli scienziati come primo punto di riferimento per definire la specie. Il tutto all’interno di installazioni curate e accattivanti che trovano massimo impatto scenico nel grande scheletro di Carnotaurus Sastrei.
 Tra le chicche anche la ricostruzione del fossile di “Antonio”, uno scheletro di androsauro lungo quasi quattro metri che rappresenta il reperto più completo della specie mai ritrovato, e un approfondimento su “Ciro”, un cucciolo di rettile “Scipionyx Samniticus” che lascia intravedere addirittura i capillari e i cristalli di ferro del sangue.
 Tutta la mostra, inoltre, propone tre binari di lettura per il pubblico: dai bambini agli specialisti, passando per gli adulti che si avvicinano al tema con una certa curiosità neofita, tutti possono trovare una chiave di interesse. «Gli 80 fossili - spiega il direttore del Museo di Scienze naturali Vito Zingerle - vengono proposti in vario modo. Ci sono reperti immediatamente intuibili, altri che richiedono valutazioni più approfondite. Spazio, infine, a progetti, laboratori e giochi per i bambini». I più piccoli, per esempio, potranno scavare nella terra alla caccia di fossili, chiaramente artificiali, che potranno poi portare a casa. «È importante - riprende Zingerle - considerare i fossili come un elemento fondamentale che ha portato le Dolomiti ai riconoscimenti che oggi tutti celebriamo. Si tratta, oltretutto, di una materia che merita il massimo della professionalità e non ci si può improvvisare cacciatori di fossili dato che la legge italiana ne vieta la proprietà privata e la scienza impone trattamenti altamente specifici». A curare l’intera esposizione troviamo la paleontologa Evelyn Kustatscher che sottolinea l’importanza internazionale di una simile collezione: «Tra i vari reperti che presentiamo abbiamo delle autentiche primizie che nascondono scoperte che ancora non sono state pubblicate dagli organi scientifici in modo ufficiale. Per i visitatori più attenti si tratta di curiosità e nozioni individuabili che contribuiscono a dare lustro a questa mostra. Non è un caso, quindi, che la comunità di specialisti sia molto attenta all’avvenimento che abbiamo l’onore di ospitare a Bolzano».
 Le Dolomiti si sono rivelate uno scrigno di grandi scoperte, ma quanto possiamo ancora aspettarci dalle nostre montagne? «Facciamo solo un passo indietro e consideriamo che appena 30 anni fa nessuno si spingeva ad ipotizzare la presenza di dinosauri o rettili sauri su questo territorio. Oggi, invece, siamo certi del contrario. Per il resto posso tranquillamente assicurare che solo io posseggo materiale per una vita di studi e approfondimenti, quindi chissà quante altre informazioni possono contenere le rocce dolomitiche», ancora la Kustatscher. La mostra resterà al Museo di Scienze naturali di via Bottai a Bolzano fino all’8 aprile 2012. L’esposizione si potrà visitare tutti i giorni, dal martedì alla domenica, con orario 10-18. L’ingresso costa 4 euro, ridotto 3 euro e gratuito per i bambini al di sotto dei sei anni. La combinata mostra-museo, invece, è acquistabile a 5 euro, mentre il ticket famiglia è in vendita a 8 euro. Come sempre previsto un fitto programma di laboratori, workshop e visite studiato appositamente per le scuole: per informazioni sui percorsi didattici si può telefonare allo 0471/412975 oppure consultare il sito www.museonatura.it.
Alto Adige 18-10-11
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giovedì, 13 ottobre 2011



Allarme: i ghiacciai sono in coma

MAURO FATTOR
BOLZANO. Non si arresta lo scioglimento dei ghiacciai altoatesini. L’Ufficio idrografico provinciale e il Servizio glaciologico del Cai hanno appena concluso la campagna di rilevamenti. Alla fine di ogni estate, a partire dal primo ottobre, decine di rilevatori sono impegnati in quota. Archiviati i mesi più caldi dell’anno si tratta infatti di capire come le temperature di giugno, luglio ed agosto, hanno pesato sullo scioglimento. Quest’anno poi ci si è messo anche settembre, caldissimo. I dati sono freschissimi e ancora in corso di elaborazione ma il trend è chiarissimo: è andata male. Ci si può consolare solo con un dato: in Trentino è andata molto peggio.
Come è andata la calda estate dei ghiacciai altoatesini? a fare il punto della situazione è Roberto Dinale, responsabile del Servizio Idrografico della Provincia. «È andata male - spiega Dinale - ma negli ultimi anni era andata anche peggio». La campagna di rilevamenti si è appena conclusa e i dati sono quindi ancora parziali. L’anno glaciologico termina infatti convenzionalmente il primo di ottobre, quando si presume che lo scioglimento estivo, che i tecnici chiamano ablazione, si sia arrestato. È allora che si vanno a visitare i grandi malati delle Alpi per vedere come se la passano. «Solo in luglio le cose sono andate bene per i ghiacciai altoatesini con un bilancio sostanzialmente in equilibrio - spiega Dinale - giugno invece è stato caldo e lo stesso vale per la seconda metà di agosto. Quest’anno ad incidere molto è stato comunque settembre, con livelli di ablazione che di solito riscontriamo nel mese di luglio, in piena estate». I primi dati per i 5 ghiacciai monitorati - Vedretta di Malavalle, Vedretta Pendente, Vedretta Lunga, Vedretta Occidentale di Ries e ghiacciaio di Fontana Bianca, in alta Val d’Ultimo - sono piuttosto omogenei. «La perdita di spessore è inferiore al metro, insomma meglio che negli anni scorsi a parità di precipitazioni e con temperature medie in aumento». Il dato è confermato dal Servizio Glaciologico del Cai Alto Adige. «Non bisogna illudersi - spiega il responsabile Pietro Bruschi - gli arretramenti delle fronti sono comunque vistosi: -15 metri per il Ghiacciaio della Val di Mazia, più o meno la stessa cosa per la Vedretta Alta. Si capisce anche a occhio nudo che le cose non vanno: aumenta la forza dei torrenti di scioglimento, aumentano i detriti. Sono evidenze che i dati possono solo supportare».

In Trentino dati disastrosi Ghiacciai in coma per le alte temperature

TRENTO. Quanto a ghiacciai in crisi, il Trentino batte di gran lunga i cugini altoatesini. Il dato emerge con chiarezza dalla campagna rilevamenti effettuata daic tecnici di Meteotrentino, coordinati da Alberto Trenti: «Non voglio esagerare ma quest’estate per i nostri ghiacciai è stato veramente un bagno di sangue».
Il Servizio glaciologico provinciale tiene sotto controllo i ghiacciai del Careser e di La Mare, in alta Val di Peio; quello del Mandron e della Lobbia nel gruppo del Cevedale, infine quello di L’Agola nel Brenta e quello della Marmolada. «È andata molto peggio che negli anni scorsi - spiega Trenti - colpa anche di settembre, con temperature da piena estate». I risultati sono devastanti: sul ghiacciaio del Mandron, a 2600 metri di quota, la perdita di spessore del ghiacciaio è stata di oltre 5 metri, mentre il valore medio di abbassamento su tutta la superficie del ghiacciaio è statto di 3,5 metri. «Sono valori altissimi - afferma Trenti - se si pensa che nella norma la perdita di massa per ablazione è nell’ordine di uno o due metri». E pensare che l’inverno era stato buono, con precipitazioni abbondanti da ottobre a gennaio. «Il guaio - continua Trenti - è che ppoi sono mancate completamente le precipuitazioni primaverili. Questo significa che quando il sole ha iniziato a picchiare duro, ad inizio estate, è andato direttamente ad incidere sulla neve invecchiata di dicembre, cosa che normalemente accade solo da fine luglio in poi». Che lassù le cose stiano cambiando con una rapidità sconcertante lo dicono anche le temperature: in Valle dell’Adige tra il 2000 e il 2011 la temperatura media è salita di 0,5 gradi, ma a tremila metri di quota l’aumento è stato di 2 gradi, con conseguenze facilmente immaginabili.
Un dato molto interessante riguarda il Careser: tra il 1967 e il 1990, la perdita di spessore media annua è stata di 0,5 metri; dal 1990 al 2010 è stato invece di 1,6 metri, ma se si isola il dato relativo al periodo 2000-2010 il dato sale addirittura a 1,8 metri. Sono dati estremamente chiari, alla luce dei quali spiccano in modo ancora più drammatico i 3,5 metri di quest’anno fatti registrare dal Mandron.
«Ho visto i dati altoatesini - spiega Trenti - ed è impossibile non notare che, rispetto ai vicini sudtirolesi, in Trentino la situazione sta subendo un degrado molto più veloce. Un dato che dovremo analizzare molto a fondo».
Un dato che, peraltro, va inqadrato tenendo presente la situazione merdionale del Trentino, con masse glaciali «di frontiera». I ghiacciai altoatesini invece sono più alti di quota, sono dislocati all’interno della catena alpina ed è altamente probabile che diverse siano sia le condizioni di irraggiamento che di circolazione meteorologica. «Ci daremo da fare per capire», assicura Trenti. Ma sa già che non basterà. (m.f.)
Alto Adige 13-10-11
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martedì, 04 ottobre 2011



Per le Dolomiti futuro sostenibile

MICHIL COSTA
Crescere crescere crescere. Sembra che la tanto osannata crescita -economica- sia diventata l’unica soluzione per un monde migliore. I colloqui di Dobbiaco, giunti alla loro 22esima edizione, voluti dall’energico propulsore Hans Glauber, ci hanno dato una visione utopicamente realista di sviluppi e progetti proiettati verso un futuro sostenibile vivendo un presente più consapevole. Non concetti molli, ma idee acute e perspicaci che, se attuate, possono cambiare il destino di noi abitanti su questo pianeta. Tutti parlano dell’importanza di aumentare il PIL. Il Pil, invece, dovrebbe essere considerato come una neonato di tre chili che dev’essere nutrito. Da bambino e poi da ragazzo avrà bisogno di un’alimentazione continua; al raggiungimento della maggiore età peserà 70 chili. Se continueremo a dargli cibo a 21 anni peserà 120 chili. Inizierà a patirne, le ossa non terranno il suo peso, si muoverà lentamente. Eppure lo invitiamo a tavola a mangiare pasta al pomodoro. Prima o poi collasserà. La continua crescita che abbiamo registrato dal dopoguerra con punte che toccavano il dieci percento annuo, si è via via assottigliata. Siamo oramai in una fase di post-crescita. I politici di tutto il mondo, da 60 anni a questa parte aspirano alla crescita come fosse il Santo Graal. Sovvenzionano le politiche imprenditoriali, pompano soldi nell’economia, salvano banche. Eppure un alto deficit statale è una delle cause principali causate dalla politica della crescita. Se a questo aggiungiamo che i paesi fortemente indebitati rischiano di causare ancora maggiori differenze sociali, andando anche ad aggravare ulteriormente le condizioni ambientali del pianeta, -di fatto il calo delle emissioni di co2 di alcuni paesi industrializzati è stato solamente”spostato” nei paesi in via di sviluppo- allora ci rendiamo conto che siamo sulla strada sbagliata.
 risaputo che la crescita non è uguale al benessere. quello che vogliono farci credere i pubblicitari, le industrie automobilistiche, perfino i produttori di stampanti per computer che al loro interno hanno un chip che limita la durata della macchina.
“Continuiamo a comprare merce che non ci serve con soldi che non abbiamo per stupire il vicino di casa che non sopportiamo” disse qualcuno. così. Crescita, capitalismo, PIL. sistemi incompleti che non tengono conto della natura multidimensionale dell’universo umano. Il benessere invece è composto in parte dal benessere materiale, ma oltre a ciò ci sono la salute, la conoscenza e l’educazione, l’ambiente nel quale mi trovo, il lavoro, il tempo libero, i legami e le relazioni che riesco ad avere ed anche il ruolo che ricopro nella società. Rendersi attivi politicamente, partecipando, per esempio, alla democrazia diretta, rende più felici. La mera crescita economica non è sinonimo di felicità; pensiamo all’americano medio: negli anni 50-60 era molto più felice di adesso. Il suo alto reddito lo obbliga però ad acquistare servizi che in altre parti del mondo vengono forniti dallo stato; paga meno tasse, ma si paga l’ospedale. molto produttivo ma non è così se la si calcola per ora lavorata. I francesi lavorano 35 ore la settimana per avere più tempo libero, ma nel periodo che trascorrono in fabbrica o in ufficio non sono meno efficienti degli americani. La crescita economica è il feticcio dei feticci, strumento cieco e fuorviante. Sempre di più non è abbastanza.
Bisogna riconquistare il pensiero lungo attraverso idee verticali. La crisi economica c’è perché esiste una crisi spirituale. Abbiamo bisogno di più consapevolezza, di più attenzione verso il prossimo, di più rispetto. Per un presente più armonico bisogna estendere concetti che vadano al di là della parola crescita. Non sono per un vivere nostalgico, e i bravi relatori dei “colloqui di Dobbiaco” ci hanno fatto capire che c’è qualcuno che apre le porte alle speranze di un futuro migliore. Dobbiamo giungerci in punta di piedi con riflessioni che riguardano tutti noi. Dobbiamo crederci, pensarci e attivarci, anche se il timore a prendere la via giusta c’è, ma dobbiamo capire che siamo tutti parte dello stesso, ed è la sola verità da seguire, ben sapendo che tutti i grandi cambiamenti necessitano di grande coraggio.
Alto Adige 4-10-11
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martedì, 04 ottobre 2011



Arriva il pedaggio sullo Stelvio

EZIO DANIELI
STELVIO. La giunta provinciale altoatesina ha dato, ieri mattina, il via libera al pedaggio stradale per i veicoli sulla statale di Passo Stelvio. Il punto dove si pagherà il pedaggio sarà installato tra Gomagoi e Trafoi. Il presidente della Provincia Luis Durnwalder ha spiegato che «i dettagli sono da chiarire, ma l’accordo di tutti i sindaci della zona ci ha spinto ad accelerare i tempi. Tutti i soldi incassati con l’applicazione delle tariffe verranno reinvestiti nelle opere di valorizzazione, manutenzione e adeguamento della strada».
 Il sindaco di Stelvio - Hartwig Tschenett - non nasconde la sua sorpresa: «Hanno deciso senza attendere il nostro parere. La mia giunta è in carica solo da poco più di un anno ed avrei preferito essere consultato prima di annunciare il via al ticket. Quando abbiamo contattato gli operatori turistici, la Regione Lombardia ed anche la Svizzera, prospettando loro la possibilità di introdurre il ticket sulla strada dello Stelvio, è emersa la convinzione che avrebbe dovuto essere un parere unanime. Adesso è arrivata la decisione della giunta provinciale che annuncia il pedaggio a partire dal 2021».
 Ancora nessuna anticipazione sulle possibili tariffe che verranno applicate. Durnwalder ha spiegato che «ci si muoverà seguendo l’esempio di Passo Rombo». Su questa arteria, gestita dalla società Timmelsjoch Hochalpenstrasse, è infatti in vigore una tariffa di 14 euro (18 per andata e ritorno) a macchina, con la Provincia che incassa 2,16 euro per ogni ticket venduto. L’incasso annuo che deriva dal pedaggio sul Rombo, che resta aperta da maggio a ottobre, si aggira fra i 320 e i 340 mila euro. Ogni anno la strada è utilizzata da circa 150 mila mezzi, la maggior parte dei quali sono autovetture. L’introduzione del ticket sul Rombo era stata decisa nella convinzione che, diventando la strada a pagamento, sarebbe sensibilmente diminuito il numero dei mezzi in transito. La stessa motivazione che viene sostenuta per i passi dolomitici. I risultati sono stati esattamente il contrario visto che proprio sulla statale del passo Rombo le autovetture e soprattutto le moto sono andate via via aumentando.
 L’annuncio del ticket, a partire dal 2012, anche sullo Stelvio è stata salutata con soddisfazione da Gustav Thöni, indimenticato campione dello sci azzurro. «Un pedaggio sullo Stelvio? Si tratta di una soluzione a prima vista sensata in attesa di vedere quali saranno gli effetti concreti». Gustav, nativo proprio in quella Trafoi dove sorgerà il casello per il pagamento del ticket, così prosegue: «Non si tratta di una novità - ha detto l’ex campione di sci - In Austria e in Svizzera sono ormai parecchie le strade sulle quali da tempo si paga per passare. Certo anche sullo Stelvio le auto e le moto che transitano tutta l’estate sono moltissime. Se con il pedaggio saranno gli automobilisti a contribuire alle spese per la manutenzione della strada, questa mi pare un’idea giusta». Thöni adesso fa l’albergatore nella sua Trafoi: «Sono convinto - ha aggiunto - che anche con il pedaggio non saranno certo di meno i turisti che arriveranno fino quassù, ma questo dipende un po’ anche dalla tariffa che sarà fissata».
Alto Adige 4-10-11
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sabato, 01 ottobre 2011



Ortles, allarme per lo strato di ghiaccio

MICHELE STINGHEN
Nella leggenda l’Ortles era in origine un gigante, il ghiaccio lo ricoprì quando uno gnomo riuscì a salirci in testa. Gli scienziati, adesso, hanno di nuovo toccato la testa del gigante. In fondo a tutto quel ghiaccio è arrivata la sonda della squadra di glaciologi americani, guidati da Lonnie Thompson e dal roveretano Paolo Gabrielli. Ieri hanno quasi toccato il fondo per la seconda volta, la prima martedì scorso. Lo scopo è studiare il clima antico, intanto hanno appurato che il ghiacciaio, per ora, sta ancora bene.
 I ricercatori del Byrd Polar Research di Columbus, arrivati all’Ortles grazie a Gabrielli (che lavora negli Usa). Lui ipotizzava di trovare sull’Ortles l’ultimo ghiacciaio “freddo” delle Alpi orientali; e aveva ragione. Il carotiere ha quasi toccato la roccia (75 metri sotto la superficie), e le ipotesi fatte dagli scienziati si sono dimostrate vere. Sotto 25 metri di “firn” (con temperatura di 0 gradi), infatti, hanno trovato ghiaccio più freddo, a -5º, che conserva perfettamente i dati climatici. Quando il carotiere scava, tuttavia, la quantità di acqua che fuoriesce fa strabuzzare gli occhi alle guide alpine di Solda, che prestano assistenza. Significa che il ghiacciaio sta cambiando. “Sotto la cima il ghiacciaio resterà ancora per lungo tempo, ma il ghiaccio freddo si assottiglia sempre più”, conclude Gabrielli.
 Sulla calotta dell’Ortles i glaciologi resteranno per altre due settimane. Sono già state estratte due carote complete, fatte poi a “fette” di un metro circa. Gli scienziati devono fare ancora due fori. Nel ghiaccio estratto hanno già individuato frammenti di insetti, foglie, uno strato di particelle grossolane dovuto forse alla Prima guerra mondiale (il fronte era vicino); contano di trovare dati sull’inquinamento, su incendi nelle foreste della regione, emissioni provenienti dalla lavorazione dell’argento in Alto Adige. Ma per i dati scientifici, e per sapere a che epoca risale il ghiaccio antico del fondo (almeno secoli), bisognerà aspettare un anno.
 L’attività è frenetica. Ci sono i medici dell’Eurac coordinati da Giacomo Strapazzon, i ricercatori dell’Università di Padova che installeranno una stazione climatica permanente. C’è l’ufficio idrografico della Provincia, con Roberto Dinale, che collabora con Gabrielli per i dati climatici e sul ghiacciaio. E gli elicotteri: ieri hanno portato a valle una tonnellata di ghiaccio, stivata nella cella frigo di Prato allo Stelvio.
Alto Adige 1-10-11
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sabato, 01 ottobre 2011



Dolomiti Unesco, invito di Laimer «Comuni, fatevi soci sostenitori»

BOLZANO. Da due anni le Dolomiti fanno parte del patrimonio mondiale dell’Unesco: per gestire al meglio, in un’ottica di sostenibilità, le chances che il riconoscimento offre, l’assessore provinciale Michl Laimer ha presentato a Comuni, imprenditori, associazioni e federazioni la possibilità di un coinvolgimento attraverso la figura del socio sostenitore. «Vogliamo che il tema delle Dolomiti come spazio vitale, da gestire in maniera sostenibile sia veicolato in maniera diffusa, soprattutto con la partecipazione attiva della popolazione locale». L’assessore giudica «essenziale che amministrazioni comuni, aziende e gruppi di interesse vengano coinvolti nello sviluppo della regione. Per questo motivo lo statuto della Fondazione Dolomiti Unesco prevede anche la figura del socio sostenitore».
Alto Adige 1-10-11
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lunedì, 27 giugno 2011



Le Dolomiti sostenibili: servono azioni coraggiose

bellezza e del silenzio?. Come si può non dare ragione a Michil Costa quando ci ricorda che il mondo sta andando in direzione di uno sviluppo,anche economico,che vede in questi elementi un volano essenziale? Come non essere consapevoli che oggi ci vogliono azioni coraggiose centrate su questi valori?
Purtroppo non basta essere concordi con tutto ciò per risolvere il problema. Né mi pare possibile continuare a riproporre quello dei passi come un tema “stagionale” o a se stante. Lo leggo, piuttosto, come “nodo simbolico” di due questioni ormai ineludibili e urgenti.
Le due questioni sono quella della mobilità (sostenibile) tra e nelle Dolomiti e quella del riequilibrio tra territori le cui condizioni di vita restano assolutamente diverse, ancora troppo diverse per condividere temi “conflittuali”. Nonostante siano, oggi, parte di un unicum indivisibile, come riconosciuto dall’Unesco.
Non credo si arriverà ad alcuna soluzione se prima non si affronteranno le diverse istanze territoriali. Come parlare dei passi chiusi quando ancora gli studenti e i lavoratori (del bellunese soprattutto) fanno i conti giornalmente con un sistema trasporti inefficiente e “sconnesso”?
Come pensare che gli operatori economici non vedano le soluzioni “a spot” come nuova penalizzazione e divario tra diverse condizioni di partenza? La questione è annosa.
Già nel 2006 gli allora presidenti Durwalder, Dellai e Reolon, condivisero l’urgenza di una visione comune per la mobilità sostenibile delle Dolomiti, punto focale non solo delle politiche turistiche ma soprattutto di quelle socio-economiche.
Quel progetto strategico, in cui vi erano l’asse ferroviario Venezia Dolomiti-Dobbiaco, progetti interprovinciali del trasporto pubblico capaci di connettere le valli, mobilità ciclopedonale e utilizzo delle funivie oltre la stagione invernale, viveva nello spazio del protocollo trasporti della Convenzione delle Alpi (che poi il governo stralciò nel 2010) e in visione politica che vedeva nel riconoscimento Unesco, allora avviato, un’importante opportunità di concretizzazione di un nuovo modello di sviluppo centrato sull’equilibrio tra la tutela e l’abitare in montagna.
Oggi, come allora, non è l’Unesco che ci può dare la strada, ma viceversa, è la nostra visione del futuro che può trovare nel riconoscimento uno spazio di concretizzazione. Lì, le cinque province possono (e devono) armonizzazione le loro politiche, continuando quel metodo per cui si è stati vincitori a Siviglia esattamente due anni fa.
E’ sempre più evidente quanto difficile sia questa “partita”, ma è ora che si coinvolgano tutti intorno a quella governance che deve produrre coesione e riequilibrio tra province dolomitiche. E la politica dovrebbe alzarsi oltre le parti e i campanili, per produrre grandi progetti strutturali.
Allora forse potremo lanciare azioni coraggiose come quelle della chiusura dei passi.
Auspico, in questo senso, che quando Bolzano porterà al tavolo della Fondazione Dolomiti Unesco il progetto sulla mobilità sostenibile di cui è responsabile di rete, si siano fatti passi avanti e vi siano le condizioni per azioni giuste e coraggiose per il futuro delle Dolomiti, di chi le visita ma soprattutto di chi le abita.
Irma Visalli *Ex assessore provincia di Belluno
Alto Adige 27-6-11
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domenica, 10 aprile 2011


Rifugio Bolzano

Il Cai Alto Adige: «Gestione in comune con l’Alpenverein per i 25 rifugi alpini»

MAURIZIO DALLAGO
BOLZANO. Segnaletica di montagna e rifugi alpini: questi i 2 temi più politici di cui si è discusso ieri all’assemblea del Cai Alto Adige. «Siamo per la toponomastica bilingue o trilingue nelle vallate ladine, come da Statuto», così il riconfermato presidente Broggi.
 «Siamo sempre disponibili alla gestione unitaria Cai-Alpenverein dei 25 rifugi passati dallo Stato alla Provincia, ma sottolineo che qui non siamo forestieri, essendo nati in questa provincia: l’Alto Adige è casa nostra e queste sono le nostre montagne», afferma Giuseppe Broggi davanti alla platea dei delegati. Il messaggio è chiaro, sia sui toponimi che sui rifugi. Il Club alpino italiano non vuole essere solo spettatore e chiede il rispetto delle norme statutarie, anche per quanto riguarda la segnaletica di montagna. «Ci aspettiamo di conoscere la relazione della commissione che ha operato nell’ambito dell’accordo Fitto-Durnwalder, perché su questo argomento non devono esserci soprusi. Allo stesso tempo abbiamo cercato e trovato l’accordo sui 25 rifugi da gestire insieme all’Avs, ma poi è stato bloccato tutto da Durnwalder, adesso vediamo cosa succederà», sottolinea il presidente del Cai Alto Adige. Su questi rifugi, la giunta provinciale ha appena prorogato di un anno - il 2011 - la concessione al Cai, in attesa di definire chi dovrà prenderli in consegna dal 2012. Durnwalder punta ad una società mista composta da Cai, Avs, ma anche dalla Provincia, anche se ancora non c’è stato un incontro tra la parti che metta nero su bianco l’accordo. Diversa la questione del rifugio «Bolzano al Monte Pez» di proprietà della sezione Cai di Bolzano e su cui non ci sono ancora decisioni definitive in merito, ovvero se tenerlo, oppure darlo alla Provincia in cambio di altri rifugi, magari più interessanti da un punto di vista alpinistico. «Ci piacerebbe essere riconosciuti finalmente come vera associazione alpinistica del territorio e le sezioni che hanno avuto in gestione queste strutture non sono state trattate in modo corretto dalla Provincia», ancora Broggi, secondo il quale «Palazzo Widmann non ha riconosciuto l’ottimo lavoro di manutenzione e di conduzione, fatto in oltre 80 anni di gestione di questi rifugi da parte del Cai». Dalla Provincia solo una lettera raccomandata per avvisare che le concessioni scadevano a fine 2010 e che nulla era dovuto dall’ente pubblico al sodalizio alpinistico. Per questo motivo il Club alpino ha dato incarico ad un legale per tutelarsi sui beni, arredamenti ed attrezzature, presenti nei rifugi. «Solo una forma di autotutela perché il Cai Alto Adige resta in ogni caso sempre disponibile a trovare un accordo di collaborazione per la gestione unitaria dei 25 rifugi, sul modello di quanto fatto per il servizio di elisoccorso provinciale con l’Alpenverein», evidenzia Broggi, chiudendo sulla segnaletica di montagna: «Voglio ribadire che il Cai Alto Adige ha sempre sostenuto e sostiene tuttora che le indicazioni debbano essere bilingui e trilingui nelle valli ladine: questo per una questione di rispetto delle popolazioni che vivono in Alto Adige e soprattutto dello Statuto d’autonomia che è legge costituzionale».
Alto Adige 10-4-11
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sabato, 12 marzo 2011



Dolomiti Unesco, ecco il nuovo logo

M. DI GIANGIACOMO
BOLZANO. Eccolo, il nuovo logo della Fondazione Dolomiti Unesco. Ritoccato, ma non snaturato, con modifiche che - secondo il designer Arnaldo Tranti - risolvono un problema di visualizzazione sui formati medio e grande, quello che potremmo chiamare l’“effetto grattacielo”, e quindi danno anche una risposta alle tante critiche giunte dopo la presentazione del marchio. Buone, quindi, entrambe le versioni: quella dell’assessore trentino Gilmozzi, che nei giorni scorsi aveva parlato di una correzione di rotta giunta dopo le polemiche; e quella del segretario della Fondazione, Giovanni Campeol, che spiega invece le modifiche con motivi di carattere tecnico.
 In più, l’architetto valdostano ha anche implementato la gamma cromatica, con le cime che si tingeranno di colori diversi per essere utilizzate nei diversi settori della comunicazione.
 «Le modifiche risolvono un problema di visualizzazione rispetto alla percezione sui formati medio e grande - spiega il designer -. Nella versione ridotta le cime risultavano ben evidenti, ma si perdevano nell’ingrandimento, ricordando quasi dei grattacieli. Questo effetto di ambiguità, che era comunque un elemento voluto, è stato eliminato attraverso tre interventi di ritocco: l’aggiunta di linee oblique, il ritmo delle linee più compatto e diversificato e la creazione di ombre tra le cime, disegnando così una catena montuosa. Nella versione aggiornata è stata implementata la gamma cromatica del logo secondo una classificazione tematica: pertanto, il logo nella sua forma istituzionale primaria è utilizzato a un colore nel grigio “Dolomiti” e, come succede in natura nelle varie ore del giorno, le cime si tingeranno nelle varie sfumature cromatiche per essere utilizzate nei rispettivi settori della comunicazione».
 La nuova versione ha messo tutti d’accordo. Nelle prossima settimane il logo verrà ratificato dal consiglio d’amministrazione e presentato alla pubblica opinione. Nella speranza che le polemiche finiscano e la Fondazione possa cominciare a dedicarsi davvero alla promozione delle Dolomiti quale patrimonio dell’umanità.
Alto Adige 12-3-11
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giovedì, 20 gennaio 2011



Le Dolomiti spopolano in 3D: non solo scienza

BOLZANO. Le Dolomiti spopolano sul 3D. Un connubio, quello tra le montagne dichiarate patrimonio mondiale dell’Unceso e le nuove tecnologie, che si rafforza a vicenda con soluzioni hi-tech che magnificano la bellezza di cime, torri e pinnacoli. Due le novità presentate in queste ore, vediamole.
 Volare sulle Dolomiti è la sensazione che si prova utilizzando la nuova applicazione cartografica georeferenziata online, tridimensionale e interattiva 3D Dolomiti Superski, che dopo poche settimane dal lancio, è stata scaricata da più di 150.000 utenti. Si tratta di un navigatore tridimensionale realizzato sulla base di immagini aeree ad altissima risoluzione dalle ditte Reality Maps e Tappeiner, che permette di simulare un volo fra delle Dolomiti.
 Le informazioni contenute nei siti www.dolomitisuperski.com o www.3d-skimap.com vanno dalle piste agli impianti di risalita con informazioni sul tipo di impianto, lunghezza, nome, nonché piste di slittino e da fondo. Trovano spazio anche i rifugi in pista, le baite ed i ristoranti nei paesi. Prossimamente sarà operativo lo «check ski-performance» che consente di monitorare la propria prestazione giornaliera sugli sci, visualizzando sulle mappe 3D gli impianti utilizzati, i km di pista percorsi e il dislivello superato.
 Un modello digitale 3D ad altissima definizione per riprodurre la complessa geometria delle Tre Cime di Lavaredo è stato invece creato dai ricercatori della Fondazione Bruno Kessler (Fbk) di Trento in collaborazione con il Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Pavia e con le aziende tecnologiche Helica, Gexcel e Codevintec. L’operazione rientra nel progetto «Peaks-3D», che terminerà nel 2012, e si è già concretizzato nel modello 3D foto-realistico delle Tre Cime. Per raggiungere l’obiettivo i ricercatori si sono serviti di fotocamere digitali e di laser scanner 3D, effettuando riprese e rilievi sia da terra sia dall’elicottero. Hanno poi integrato l’enorme mole di dati 3D acquisita con un potente software che ha permesso di generare il modello 3d.
 “Grazie al modello 3D - spiega Fabio Remondino, responsabile dell’Unità di ricerca 3DOM (3D Optical Metrology) della Fbk - sarà possibile effettuare dettagliate analisi geologiche e geomorfologiche, anche per definire opportune misure di protezione ambientale delle Dolomiti. Ulteriori applicazioni possono inoltre spaziare nei settori della didattica, della realtà virtuale e del turismo. Si pensi, solo per fare un esempio, alla possibilità di visualizzare tridimensionalmente le vie d’arrampicata”.
 L’obiettivo del progetto “Peaks-3D” è lo studio di soluzioni tecniche di rilievo 3D in grado di superare i limiti delle classiche rappresentazioni geografiche bi-dimensionali, che, per quanto riguarda i complessi montuosi, risultano spesso parziali o di bassa risoluzione. Il rilievo 3D delle Tre Cime di Lavaredo è stato realizzato in un primo momento usando immagini aeree acquisite in modo tradizionale pur con immagini che non hanno consentito di ricostruire correttamente in 3D le pareti verticali. E’ stato quindi realizzato con l’azienda Helica un rilievo da elicottero con laser scanner obliquo per rilevare anche le pareti verticali, facendo una sorta di gigantesca scansione laser delle rocce. Visto il peso e l’ingombro della strumentazione laser, le campagne di rilievo terrestre hanno richiesto anche l’impiego di alcuni muli per il trasporto dei materiali in alta quota.
guarda le foto su: WWW.ALTOADIGE.IT
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venerdì, 14 gennaio 2011



Il logo Unesco ha funzionato

MAURIZIO DI GIANGIACOMO
 BOLZANO. Ieri a Roma, al Ministero dell’ambiente, la Fondazione Unesco ha fatto un check sulle linee guida dell’Unesco in vista dell’“esame d’ammissione” di giugno. Noi abbiamo fatto il punto con il segretario generale Campeol che, un po’ a sorpresa, rivendica il successo del contestatissimo logo.
 Dottor Campeol, qual era l’ordine del giorno dell’incontro di Roma?
 «Era la prima riunione organizzata al Ministero dell’Ambiente dopo la costituzione della Fondazione - spiega Campeol -. Il ministro Prestigiacomo ha espresso il suo apprezzamento per il lavoro che abbiamo fatto fino ad oggi, condividendo metodologia e strategie generali. È stato riconosciuto il ruolo della Fondazione e assieme abbiamo stilato un calendario di ulteriori incontri in vista delle verifiche Unesco di giugno e dicembre».
 Quali sono gli adempimenti per passare l’esame dell’Unesco.
 «Il documento di candidatura prevede una lunga lista di azioni, non tutte ovviamente da attivare entro giugno. Quello che ci attende è un lavoro di 20/25 anni».
 In cosa si è tradotta, concretamente, la vostra azione di questi mesi?
 «L’iscrizione di un sito al patrimonio Unesco è un atto di natura scientifica e culturale. Perché ci siano delle ricadute sul territorio sono necessari tempi lunghi. È necessario che quel territorio sia riconosciuto come tale tanto da coloro che vi abitano, quanto dal resto del mondo. La nostra Fondazione avrà sempre il compito di promuovere le Dolomiti, non doveva farlo solo in questi ultimi sei mesi. Quello che è successo, a dispetto delle critiche, è che tutti ci chiedono il nostro logo: chi organizza manifestazioni, chi pubblica libri, il Cai, il suo corrispettivo austriaco, associazioni imprenditoriali e sportive, università... Il primo obiettivo che abbiamo raggiunto è proprio la riconoscibilità del sito attraverso il logo».
 Quindi, polemiche fuori luogo?
 «Il logo è stato criticato da 100 persone, attorno alle Dolomiti abita un milione di persone...».
 Sì, ma si trattava di Reinhold Messner, Luis Durnwalder, il Cai...
 «Ma lei non si è chiesto perché l’hanno fatto? Reinhold Messner, un ambientalista che fa la pubblicità ai fucili da caccia; Oliviero Toscani, che fotografa un malato terminale per vendere mutande... Perché non ha partecipato al bando, invece di criticare? Il logo della nostra Fondazione è stato creato da esperti di comunicazione proprio per rappresentare un messaggio sintentico, altrimenti avremmo messo una foto delle montagne».
 L’hanno criticato perché non l’ha fatto un “dolomitico”, bensì un aostano?
 «Ma no, l’hanno criticato un po’ per farsi pubblicità, un po’ per dire la loro, invece di dire che la Provincia di Trento ha fatto un lavoro egregio con il bando. Anche il Cai, dopo averlo criticato, ha capito che quel logo è una maniera moderna e innovativa di promuovere il nostro territorio. Abbiamo raggiunto il nostro scopo - conclude il segretario generale Campeol -. Il logo ha colpito nel segno».
Alto Adige 14-1-11
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martedì, 14 dicembre 2010



Tre chili di bellezza ecco le Dolomiti di Reinhold Messner

CARLO MARTINELLI
BOLZANO. Tre chili e 110 grammi. Non sembri irriverente iniziare a parlare di un libro a partire dal suo peso, decisamente fuori norma, quasi esagerato. Ma forse non sono esageratamente belle quelle Dolomiti che del volumone - ieri a Milano la prima uscita nazionale - sono appunto le protagoniste indiscusse? Fors’anche si tratta di abile operazione di marketing.
 Sulle Dolomiti che dal 26 giugno dell’anno scorso sono Patrimonio dell’umanità - auspice l’Unesco -, sono usciti, stanno uscendo ed usciranno titoli a bizzeffe. Eppure questo “firmato” Reinhold Messner si farà ricordare a lungo e si fa notare da subito.
 Abbiamo sfogliato, letto e guardato il libro. Ecco, è dal guardare che si inizia. E’ il meranese Georg Tappeiner a firmare le 250 fotografie. La categoria del bello è banale, quasi patetica: eppure ci sarà un perché se questo signore da un bel po’ di anni percorre in lungo e in largo le Dolomiti, a piedi, per catturare panorami magici. Il bello (massì...) è che questo mondo magico viene restituito a chi guarda. Il libro varrebbe anche se si limitasse alle fotografie, garantito. Intendiamoci: nulla di nuovo sotto il sole ma gli è che il sole, alle Dolomiti, regala colori e scorci sconosciuti al resto del mondo.
 E sono queste immagini a giustificare e rendere credibile tutto quello che invece c’è di scritto, a partire dalla sigla benedicente di messer Messner e poi dai contributi sparsi di personaggi vari, tutti autorevoli ed ognuno capace di aggiungere un tassello importante alla costruzione di una tesi difficilmente aggredibile: signori, ecco le montagne più belle del mondo. Punto e basta.
 E così, in questo trionfo, persino il carattere tipografico scelto per il libro è di inusitata grandezza. Per dare spazio ad Erwin Brunner che racconta di re Laurino; ad Ursula Demeter, curatrice del volume ma anche di mostre d’arte, e si vede subito. E che racconta di come gli artisti e gli scrittori abbiano dipinto e descritto le Dolomiti medesime; ad Hanspeter Eisendle, guida alpina; ad Ulrich Ladurner che descrive la Grande guerra in alta quota; a Michele Lanzinger che scrive di quel che sa, la geologia; ad Annibale Salsa, l’antropologo.
 Prima e dopo questi interventi, quelli di messer Messner. Dichiarazioni d’amore (“ambiente di roccia impressionante, un panorama montano inconfondibile fino alle fine dei tempi”), impegni per sé e per gli altri (“eredità di tutti noi, responsabilità certa”), persino due poesie ed infine - nel passaggio più vero e toccante - racconti ad episodi, lungo oltre un secolo per ribadire che questo “è il mio mondo, queste sono le mie radici” perché “tutti i miei avi provengono dalla zona dolomitica”.
 E queste intense pagine, dove nonni, fratelli, amici alpinisti si rincorrono (molti di loro sono spiriti nel vento, ora), appaiono davvero - questo giornale l’ha già anticipato - la sceneggiatura di un possibile film.
 Eppure il libro convince ancor più per quegli estratti “antologici” di cui è ricco. Le Dolomiti nelle parole di chi le ha amate in tempi non sospetti. Messer Dante, ad esempio: nel canto XII dell’Inferno: “cotal di quel burrato era la scesa”.
 Oppure il poeta e cantastorie Oswald von Wolkenstein, nel Lied 44: “A Ratzes, sotto lo Sciliar, eccomi qui fermo”. O la scrittrice e viaggiatrice inglese Amelia B. Edwards che nel 1872, a dorso di mulo, se ne va da Agordo al Primiero, raccontando di scenari mozzafiato ed umani accadimenti.
 O Theodor Christomannos, l’inventore dei Monti Pallidi, che descrive la grande strada delle Dolomiti partendo da un fienile per finire al Grand hotel.

   LA PRESENTAZIONE
Ieri sera la “prima” a Milano

 Ieri sera a Milano, all’auditorium San Fedele, la “prima” del monumentale volume che Reinhold Messner - forte di autorevoli collaborazioni a partire da quella decisiva, e fors’anche preminente, del fotografo Georg Tappeiner - ha dedicato alle Dolomiti, patrimonio dell’umanità. Il volume edito da Mondadori, in libreria da pochi giorni, è già candidato a regalo strenna ideale per il Natale. Lo aiuta il formato, decisamente gigante (28,5 X 36,5), adatto a valorizzare al meglio le immagini del fotografo e fors’anche il prezzo (49,90 euro) non proibitivo se rapportato alla qualità del prodotto, che conta su 288 pagine e ben 250 fotografie a colori. Il volume è stato curato da Ursula Demeter, esperta d’arte.
Alto Adige 14-12-10
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sabato, 04 dicembre 2010



Il logo prescelto per le Dolomiti assurte a Patrimonio dell’Umanità non piace.


GIACOMO SARTORI
Il logo prescelto per le Dolomiti assurte a Patrimonio dell’Umanità non piace. E in effetti è brutto forte. Quella fram mentazione geometrica delle pareti è più metropolitana che dolomitica: quasi impossibile non vederci dei grattacieli, resi ancora più nevrastenici dal cielo scarlatto sul quale si stagliano. Molti professionisti o habitué della montagna, noti o meno noti, sono insorti. Il presidente della Associazione Italiani Pubblicitari ha dichiarato che la valutazione delle quattrocento proposte è stata fatta da persone che di grafica non ci acchiappano nulla, la magagna sta lì. E quindi propone che la sua Associazione, di cui en passant ci ricorda la certificazione (Iso 9001), abbia voce in capitolo.
 Io non sarei così certo che sia solo una questione di dimestichezza con le tecniche e i saperi dei grafici, certificati o meno. Il problema di fondo, mi sembra, è capire cosa significano per noi queste benedette rocce che alla bella età di 230 milioni d’anni, portati superbamente, hanno ricevuto la consacrazione olimpica dell’Unesco. O meglio, provare a metterci d’accordo su cosa sono. A dire la verità non mi sembra un’impresa facilissima. Le Dolomiti non sono un posto dove si va a abitare, dove ci si stabilisce. Grappoli di giovani europei saturi di urbanità migrano verso l’Ardèche e altre aree ad alta naturalità, dove allevano capre e fanno spuntare cavolfiori biologici, non verso le Dolomiti. Coppie di anziani nordici mettono le infreddolite radici nell’Algarve o in Provenza, non sulle Dolomiti. La gente scappa anzi da molte contrade dolomitiche, come da tante altre zone delle Alpi: più sono piccoli, più i paesini si svuotano più agonizzano. Troppo isolati, troppo carenti di infrastrutture, troppo lontani dalle città (le dirette antagoniste!). Nemmeno le droghe e l’alcolismo, entrambi molto diffusi, riescono a fare barriera. Resistono beni i centri più grandi e più opulenti, quelli che di dolomitico non hanno in fondo proprio niente, che sono anzi una caricatura a fini turistici delle Dolomiti. Se si leva lo sci invernale, che di dolomitico sensu strictu ha solo i fondali, in molte zone tira aria di crisi. Crisi anche esistenziale, non solo economica e che tocca anche il grande alpinismo. Adesso i migliori scalatori migrano stagionalmente sull’Himalaya, dove le sfide mantengono il carattere epico che qui s’è perso. Come tutti i beni di questo nostro mondo che sembra aver seppellito per sempre gli afflati collettivistici e egualitari, anche le Dolomiti sono in vendita. Possiamo per esempio comprarcene, se ce lo possiamo permettere, un pezzetto di una settimana. In estate, o in inverno, in quota o più bassini, come preferiamo. Senza vista, se siamo un po’ tirati. Se siamo messi molto peggio non ci resta che ripiegare su frammentini più risicati: un fine settimana in rifugio, o magari in tenda, qualche istantaneo mordi e fuggi. Per chi abita nei paraggi, è ancora un’ottima soluzione. Se siamo degli immigrati non ci restano, temo, che le cucine e i locali delle scope, sperando di non essere pagati in nero. Fermo restando che possiamo incolonnarci pur sempre anche noi nei serpenti estivi di veicoli che scavallano a passo d’uomo (quando va bene) i passi più famosi. Anche quello è un modo di conoscere e di amare le Dolomiti, è anzi quello di gran lunga più popolare. Chi può dire che scollinare su un torpedone a due piani o sul proprio veicolo sia meno emozionante che arrivare boccheggianti su una cengia, che sorseggiare un salatissimo (parlo del costo) e affollato cappuccino sia meno struggente di un desueto pranzo al sacco con le uova sode? Se vogliamo essere coerenti, e applicare gli stessi criteri che usiamo per esempio per i libri e i programmi televisivi, dove a decidere sono ormai solo le classifiche delle vendite e l’Auditel, quello è anzi il modo migliore, il più auspicabile.
 Certo ci sono ancora frotte di puristi che affrontano le Dolomiti con l’austera costanza immagazzinata nelle gambe e nelle braccia, insofferenti degli eccessi di rumorosità e degli sfoggi vestimentari, e più che perplessi degli arroganti carosellamenti sciistici, non voglio dire il contrario. Io stesso ne faccio parte. Immaginiamoci però di mettere uno di questi ascetici atleti, arrivato pur sempre non lontanissimo dalle vette con un mezzo climatizzato e provvisto di sistema di georeferenziazione satellitare, e foderato di ogni ben di dio tessile e microelettronico, di fronte a uno qualsiasi dei suoi antenati, che usavano salpare dalle città pedemontane a piedi o in bici, con pesantissime corde di canapa attorcigliate al costato: ci farebbe la figura di un viziato damerino, incapace di battersi a armi pari. Si sa, tutto è relativo.
 Per certi versi potremmo dire - talmente sono diversi i modi che abbiamo di percepirle e di rapportarci con esse - che le Dolomiti non esistono. E invece esistono eccome, e abbiamo tutti bisogno, ciascuno a modo suo, che esistano: le amiamo. Sono come Pompei, la pizza, Babbo Natale. Sono insomma un mito, e come tutti i miti hanno una natura intrinsecamente vaga, e quel che è peggio alla mercé dei tempi. Questo mito, ci insegnano gli specialisti, ha una nascita piuttosto recente - soprattutto se rapportato all’età geologica delle interessate -, ha avuto una crescita lenta e costante, fino arrivare ai fasti attuali. E adesso, proprio mentre riceve la consacrazione dell’Unesco, constatiamo noi, vive forse un po’ troppo sugli allori passati.
Alto Adige 4-12-10
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giovedì, 18 novembre 2010



Tutela Unesco per il Sassolungo

ALDO DE PELLEGRIN
ORTISEI. Sassolungo e Sassopiatto, due monti che sono il simbolo della Val Gardena, che sono Dolomiti ma che non rientrano, come invece sarebbe diritto ed ambizione di tutti in Alto Adige, prima ancora che in Val Gardena, nell’area universalmente definita dall’Unesco come patrimonio mondiale dell’umanità. Per l’assessore Michl Laimer le ragioni di questa assenza dall’area Unesco sono chiare, come sono altrettanto chiari i motivi per cui non è possibile non fare nulla ed è auspicabile ovviare subito, agendo come necessario per aprire la strada al loro riconoscimento ufficiale.
 Assessore Laimer, Sassolungo e Sassopiatto sono Dolomiti?
 «Questo è certo. Nessuno, guardandole si sogna o si sognerebbe mai di dire il contrario. Del resto è un assioma che non è mai stato in discussione. Da secoli la gente li vede così».
 Però non sono patrimonio dell’umanità Unesco.
 «Questo è un altro discorso, altrettanto chiaro. E doloroso. Per rientrare nell’area definita e protetta dall’Unesco era necessario che i due monti fossero parte di un’area già tutelata, Parco naturale o quant’altro. Cosa che non risultava per Sassolungo e Sassopiatto».
 Come mai le loro aree non rientrano nel parco naturale dello Sciliar?
 «A suo tempo, evidentemente non vi sono stati inseriti. Forse per ragioni di uniformità di territorio».
 Cosa è possibile fare?
 «Il presupposto fondamentale, per avviare l’iter di ampliamento dell’area prima al Ministero e poi all’Unesco, è ampliare i confini del Parco naturale dello Sciliar in modo da comprendere le due montagne».
Chi lo deve fare?
 «L’iter lo devono avviare i Comuni con le rispettive delibere. Poi la Provincia dovrà attuarlo e inoltrare la domanda Unesco al Ministero per l’Ambiente a Roma».
 Tocca ai Comuni quindi muoversi per primi. Pensa che vi siano o vi possano essere resistenze?
 «Non credo. Fra i diversi livelli di tutela, il concetto di patrimonio mondiale dell’umanità è quello che riscuote maggior interesse e considerazione, sia fra gli amministratori che fra la popolazione. Penso che sostanzialmente le maggioranze a livello di consigli comunali vi siano già e che anche il grado di accoglimento fra la popolazione sia elevato».
 Non pensa che la tutela di parco naturale possa incontrare resistenze per le possibili limitazioni dello sviluppo turistico.
 «Come ho detto, l’obiettivo del patrimonio dell’umanità Unesco è entrato nei cuori della gente molto più che ogni altro tipo di tutela. Del resto l’Unesco di suo non pone vincoli e non sviluppa delle regole ed anche il parco naturale non vieta di entrarvi. Ma il messaggio Unesco ha creato un feeling positivo ed esso avrà la prevalenza».
 Quanto durerà l’iter per arrivare alla domanda?
«Bisogna contare su un paio d’anni - conclude Laimer -. Uno per l’allargamento del parco e uno fra Roma e Unesco. Ma la durata della pratica non è importante. L’importante è avviarla».
Alto Adige 18-11-10
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venerdì, 12 novembre 2010



Dolomiti, il logo non si cambia

ALDO DE PELLEGRIN
BRUNICO. Per il neonato logo delle Dolomiti Unesco già non c’è pace e, stando alle reazioni successive alla sua pubblicazione, non ce ne sarà ancora per lungo tempo. Dopo le violente critiche, sia di natura artistica (Oliviero Toscani) che di natura estetica e politica (Reinhold Messner e Luis Durnwalder) anche la rete degli abitanti delle Dolomiti e di coloro che le Dolomiti le conoscono e le amano e basta, si è già animata per dire no e per cercare in qualche modo di giungere ad una revisione del verdetto della giuria anche se il presidente di turno della Fondazione Dolomiti Unesco, il bellunese Alberto Vettoretto ha già affermato che: «Il logo può piacere o non piacere, ma non si può tornare indietro». Anche sulle violente critiche, il presidente si appella alla democrazia senza alimentare la polemica: «Tutti possono certamente esprimere la loro opinione. Piaccia o no però, finora il marchio ha dimostrato di funzionare: tutti ne parlano! Del resto logo deve richiamare il bene Dolomiti, non rappresentarle, e confondere le due cose è un errore.» Vettoretto ritorna poi anche sulla scelta della giuria tecnica: «Hanno lavorato sulla base di criteri precisi, prefissati in un bando regolare!» Non vi è dubbio quindi sull’intenzione della Fondazione di utilizzare il logo del designer valdostano Arnaldo Tranti anche se è uno dei suoi stessi colleghi e concorrenti, il vicentino Andrea Chemello a svelare ed accusare: «i tre loghi vincitori non richiamano il bene da individuare, come dal bando. Al di là del gusto estetico, così è come scrivere un tema andando, come si dice a scuola: “fuori tema”. Personalmente mi lamento del fatto che i punti obbligatori da sviluppare erano molto chiari e nessuno dei 3 lavori vincenti li ha fatti propri. Allora le regole a che servono?»
 Un’opinione che, magari con minor fondamento normativo ma basandosi invece più sul buon senso, è condivisa dalla rete. Basta scorrere il web e Facebook infatti, e non è assolutamente difficile imbattersi nei blog e nei gruppi che si confrontano con il logo e dibattono il quesito se accettarlo o meno. A partire dai commenti sul nostro sito, www.altoadige.it che danno un giudizio plebiscitariamente negativo. Già da un paio di giorni al sito www.firmiamo.it si è aperta la raccolta di firme al motto: «Evitiamo che pubblichino quell’orrido!» in cui si sono già superate le 1100 firme; quasi contemporaneamente su Facebook si è aperto il gruppo multilingue: «Against the new Dolomites Logo - contro il nuovo logo delle Dolomiti!» i cui membri aumentano si può dire ormai di ora in ora. Per non parlare di www.ladinia.it, il sito di informazioni della Ladinia che ha avviato un’indagine per conoscere il grado di apprezzamento del logo, grado che finora, scorrendo i commenti fatica a discostarsi dallo zero. Servirà a qualcosa? Difficile dirlo, anche se la condivisione, magari discussa, è uno dei primi valori per un bene comune.
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mercoledì, 10 novembre 2010



Messner: logo Dolomiti, che errore

MARTINA CAPOVIN
BOLZANO. Niente da fare. Anche per Reinhold Messner, uno degli uomini-simbolo delle Dolomiti oltre che re degli 8.000, il logo del valdostano Arnaldo Tranti, è da bocciare: «Sembra New York», il secco commento.
 Non c’è pace per il marchio creato dal designer valdostano e scelto dalla giuria presieduta da Cesare Micheletti che rappresenterà la Fondazione Dolomiti Unesco nel mondo, ma che dal giorno della sua presentazione non ha ricevuto altro se non una valanga di critiche.
 Nemmeno l’alpinista altoatesino l’ha gradito, pur non lanciandosi in commenti troppo lapidari. «Non riesco semplicemente ad entrare nell’ottica del creatore - spiega Messner a margine della presentazione della sua ultima fatica editoriale - anche sforzandomi in quelle immagini non riesco a vedere le nostre Dolomiti, ma piuttosto la skyline di New York. Quelli rappresentati sembrano quattro grattacieli siti in cima ad una collina. Potrebbe essere il logo perfetto per una metropoli, ma di certo non per le la montagna più bella del mondo. Sono certo che tutti ci abitueremo a questo simbolo in pochissimo tempo, anche se purtroppo l’identificazione non c’è ora e non ci sarà mai. Chi ci ha lavorato avrebbe potuto fare di meglio, anche se ho visto gli altri simboli finalisti e non mi pare - conclude il re degli Ottomila - ce ne fosse uno migliore».
 Un voto insufficiente anche da Reinhold Messner dunque per quest’immagine definita da alcuni “una vergogna per le Dolomiti”, da alti “uno scherzo di cattivo gusto” e da Oliviero Toscani addirittura carta igenica. Una pessima scelta, secondo il noto fotografo e pubblicitario, quella di lasciare una decisione del genere nelle mani di esperti di marketing. «Le Dolomiti sono un’opera d’arte, questo logo invece è adatto per la carne in scatola», ha detto con proverbiale schiettezza.
 Ma sommersi da una valanga di giudizi negativi, vi ne sono anche alcuni di positivi, tra i quali quello dell’assessore al turismo Hans Berger. «Mi sembra eccessivo dire, come hanno fatto alcuni, che le Dolomiti non si meritano una cosa così brutta. E nemmeno - prosegue Berger - voglio unirmi alla folta schiera di persone che hanno bocciato questo simbolo, che secondo me, merita un giudizio positivo». Poi spiega l’assessore: «Per creare il logo e per sceglierlo tra tutti quelli proposti ci si è affidati ad una squadra di designers ed esperti di marketing, che sicuramente sanno fare il loro lavoro. Hanno scelto un’immagine simbolica, nella quale le quattro cime rappresentano i quattro versioni della scritta “Dolomiti”. Effettivamente se vi fossero state rappresentate le Tre Cime ci sarebbe stata una riconoscibilità ed un’identificazione maggiori. Ma credo anche che in questo modo saremmo rimasti chiusi in degli schemi antiquati. Sono un logo ed un messaggio moderni che si adattano, come ovvio che sia, ai nostri tempi. Non siamo mica rimasti fermi a cent’anni fa». Poi conclude: «Ci tengo inoltre a sottolineare che nessun politico ha messo “lo zampino” nella decisione. Noi facciamo il nostro lavoro, gli esperti hanno fatto il loro, e secondo me, l’hanno fatto bene».
 Insomma, una delle pochissime voci che si sono tolte dal coro dei delusi. Tra queste rarità, c’è il parere del pubblicitario trentino Loris Lombardini: «Nulla di geniale, ma tutto sommato non mi dispiace».
Alto Adige 10-11-10
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sabato, 06 novembre 2010



Dolomiti Unesco, il logo è di Aosta 

BOLZANO. E’ di Arnaldo Tranti, designer di Saint Cristophe (Aosta), il marchio (nella foto) che rappresenterà la Fondazione Dolomiti Unesco nel mondo. A palazzo Piloni sono stati presentati i primi tre lavori classificati nel concorso che ha visto 420 partecipanti provenienti anche dall’estero. «Questo logo», ha spiegato Cesare Micheletti, presidente della giuria tecnica, «riunisce in sè gli aspetti geologici, paesaggistici e culturali richiesti dal bando, proiettando però le Dolomiti in una dimensione moderna». La prima uscita ufficiale del logo sarà il 18-19 novembre ad Assisi.
 «E’ la prima volta che partecipo a un concorso, l’ho fatto perchè mi ha subito emozionato riuscire a evocare l’aspetto mitologico insieme a quello moderno e identitario delle Dolomiti», ha commentato Tranti. Secondo classificato al concorso indetto dalla Provincia di Trento, è Enrico Belloni di Seregno (Monza-Brianza), terzo Diego Moreno di Modena. Alla presentazione era presente l’intero cda della Fondazione, dal segretario generale Giovanni Campeol ai rappresentanti delle cinque province: l’assessore Mauro Gilmozzi di Trento, Ottorino Faleschini di Udine, Giuseppe Verdichizzi di Pordenone, Michl Laimer di Bolzano e l’assessore bellunese, Alberto Vettoretto a fare gli onori di casa, nella sua veste di presidente della Fondazione. «Siamo arrivati al momento clou: il marchio che oggi è stato depositato, servirà a far circolare il bene Dolomiti in tutto il mondo». Il logo da oggi in poi dovrà essere affiancato ai marchi istituzionali dei membri della Fondazione stessa e sarà utilizzato in tutta la cartellonistica e la segnaletica stradale.
Alto Adige 6-11-10
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sabato, 23 ottobre 2010



«Dolomiti Unesco»: scelto il logo

PAOLA DALL’ANESE

BOLZANO. Entro i primi di novembre il logo della Fondazione Dolomiti Unesco potrà essere utilizzato. Parola dell’assessore provinciale bellunese Alberto Vettoretto che due giorni fa, a palazzo Piloni ha riunito il consiglio di amministrazione della Fondazione per visionare il logo che la commissione esaminatrice ha selezionato e soprattutto «per definire il regolamento per l’uso del marchio stesso, regolamento indispensabile, per legge, per poter registrare il logo». Su come sia fatto il marchio che è stato scelto, vige ancora il massimo riserbo. «E’ molto bello», si sbottona Vettoretto che aggiunge: «Entro il 5 novembre la presentazione ufficiale».
 Ieri il consiglio di amministrazione della Fondazione Dolomiti Unesco, formato dai cinque assessori delle province che ne fanno parte, si è riunito per esaminare il logo scelto dalla commissione, tra quasi 300 proposte giunte alla Provincia di Trento. «Sul logo», dichiara l’assessore bellunese, «c’è stata l’unanimità non solo della commissione, ma anche del Cda della Fondazione. Ma ancora non possiamo svelare di cosa si tratta».
 Vettoretto punta l’attenzione «sul grande lavoro di sintesi che abbiamo portato avanti in un clima di condivisione e armonia tra tutte le parti, per definire il regolamento con cui il marchio dovrà essere usato. E non è stato facile, visto che ogni provincia ha regole diverse. Ma siamo riusciti in una sola giornata a stendere una bozza che dovrà essere approvata in tempi rapidi».
 Infatti è intenzione della Provincia di Belluno accelerare i tempi. «Noi stiamo lavorando, anche se da fuori non se ne accorgono e vogliamo che entro il 5 novembre prossimo tutto sia ultimato».
 Sarà proprio in quella data che il Cda della Fondazione si è dato appuntamento per votare il regolamento, dando così il via alla registrazione del logo. «In questo modo, dopo alcuni giorni, potrà essere utilizzato».
 In tutto sono 277 le proposte per il marchio della Fondazione Dolomiti Unesco pervenute alla Provincia autonoma di Trento, che ha gestito il bando di concorso. Al vincitore del concorso andranno 30 mila euro, al secondo classificato 10 mila euro, mentre il terzo classificato si aggiudicherà il premio di 5. mila euro.
 Ma la riunione di ieri è servita anche per espletare un altro adempimento necessario per il buon funzionamento della Fondazione, vale a dire la presentazione ufficiale del segretario generale Giovanni Campeol. «Il segretario ha illustrato quali sono gli step fondamentali da attuare per poter superare l’esame della commissione Unesco il prossimo anno. Tra questi ci sono l’attivazione del sito web, su cui stiamo lavorando alacremente, la divisione delle reti e anche la scelta della sede. Su questo fronte prossimamente rifaremo un altro giro tra i sindaci».
Alto Adige 23-10-10
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domenica, 17 ottobre 2010


Dolomiti: si litiga anche per le bici

ALDO DE PELLEGRIN

CORVARA. Ciò che le Dolomiti patrimonio dell’Umanità uniscono su carta, lo dividono negli interessi. Così dal Bellunese si lamentano forti disagi dalle giornate su due ruote e si chiedono «forti contropartite» per i comuni.

Il boom della gare ciclistiche e delle escursioni cicloturistiche sui passi e nei territori dolomitici sta evidentemente diventando troppo pesante per i comuni dell’alto Bellunese che, a loro modo di vedere, lamentano solo disagi dall’uso delle strade da parte degli amanti della bicicletta, ma soprattutto da parte degli organizzatori di tali eventi che non sono certo pochi, ma che, a matrice altoatesina, sono principalmente tre: la Maratona dles Dolomites, i Sella Ronda Bike day’s ed il Giro cicloturistico delle Dolomiti. Vi sono poi anche la Sella Ronda Hero in mountain bike e le varie TransAlp per un totale, hanno contato in provincia di Belluno, di ben 28 manifestazioni ciclistiche estive transfrontaliere o comunque sovraccomunali che interessano i loro territori.

Per questo ora, la provincia di Belluno intende adottare un vero e proprio regolamento e, allo scopo, l’assessore Ivano Faoro si è incontrato con i sindaci dell’Alto Bellunese e con i vertici di Dolomiti Turismo per giungere al 2011 «con una regolamentazione più serrata ed efficace delle manifestazioni su due ruote, prevedendo una forte contropartita per i territori attraversati». Il problema, dal punto di vista bellunese, è noto: certe manifestazioni portano molti più oneri che onori e chi ci guadagna, molto spesso, non sono gli operatori bellunesi ma quelli delle province limitrofe. Per agire in maniera efficace «c’è bisogno di uno strumento giuridico - prosegue l’assessore - altrimenti il rischio è di rimanere solo nell’ambito delle parole. Il regolamento ribadirà il principio generale che queste corse non debbono portare solo disagi bensì avere una contropartita per promuovere i nostri territori».

In campo altoatesino la risposta dell’assessore al turismo Hans Berger è chiara ed aperta al dialogo: «Il dialogo è sempre la migliore soluzione per dirimere le questioni e, da parte nostra, sicuramente non ci sono nè ci saranno problemi, se richiesti, per metterci ad un tavolo e discutere delle possibili soluzioni. L’obbiettivo è che, da queste manifestazioni, tutti ne escano vincitori anche se non si può dare colpa dei disagi a chi ha agito per primo ed agisce tuttora, a proprio rischio, per promuovere il territorio, tutto il territorio dolomitico.» Sul fronte di Corvara e della Maratona dles Dolomites, tirata esplicitamente in ballo non solo in questa occasione, Damiano Dapunt direttore dell’associazione turistica sottolinea: «Per quanto riguarda la Maratona dles Dolomites, ma anche i Sella Ronda Bike day’s siamo più che tranquilli. Con i comuni interessati c’è già l’accordo anche per l’anno prossimo mentre dal punto di vista della promozione turistica e del ritorno d’immagine mi sembra che non ci si possa davvero lamentare: la Maratona dles Dolomites va in onda in diretta Rai e irradia immagini di tutti i comuni ed i territori attraversati, quindi anche quelli del Bellunese mentre i Sella Ronda Day’s sono organizzati dalle quattro vallate attorno al Sella per cui anche Belluno è direttamente coinvolta nell’organizzazione. Delle 28 manifestazioni - conclude Dapunt - la gran parte sono giri cicloturistici organizzati in Veneto che salgono fino alle Dolomiti.»

Alto Adige 17-10-10



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domenica, 29 agosto 2010



Dolomiti difese a singhiozzo Quando fa comodo, la Provincia cambia le carte in tavola

Vorrei condividere con voi le nostre preoccupazioni per quanto riguarda il futuro delle Dolomiti (che tanto amiamo). Ho detto la nostra famiglia perché abbiamo la splendida fortuna di essere già alla terza generazione di frequentatori di queste località che sono un vero dono dell’onnipotente a tutti coloro che con sensibilità e semplicità sono in grado di godere del loro immenso valore. Vorremo unirci adesso alla moltitudine di persone che si rendono conto, e ne sono scossi, di alcuni cambiamenti repentini che stanno accadendo sotto i nostri occhi. Innanzi tutto ci preoccupa l’argomento della Strada di Antersasc, un luogo che per noi ha sempre rappresentato la bellezza vergine e solitaria di un Parco per altro molto frequentato. Sembrerebbe che la provincia di Bolzano istituisca i suoi parchi per difendere la Natura ma con la riserva di cambiare opinione nel caso interessi specifici (di pochi) si incanalino al di sopra dell’istituito. Ci ha fatto particolarmente specie l’affermazione letta e pronunciata apparentemente dal presidente della Provincia quando invita al Sig, Michil Costa “a portare lui il sale alle pecore”. Dal punto di partenza più vicino alla malga di Antersasc ci sono 400 mt. di dislivello scarsi e noi cittadini escursionisti per diletto siamo abituati a farne di solito almeno il doppio quasi tutti i giorni. Forse il Sig. Durnwalder non è abituato a camminare o forse vorrebbe che il sale oggigiorno si portasse in quota in Toyota, come succede in tanti fastidiosissimi casi in cui ci si trova affiancati sui sentieri dai vari possidenti di permessi, che sfrecciado ci impolverano, spaventano e riempiono di ottima aria di motori.potrei numerare ed elencare molti esempi. Noi personalmente crediamo che montanari veri non abbiano mai avuto bisogno di strade da 100.000 euro e che gli elicotteri non siano poi una cattiva soluzione, visto che anche amici nostri si fanno rifornire del gas per il riscaldamento in questo modo.
Passando al altri esempi vorrei ora approfittare della sua gentile disposizione per chiederle qualche chiarimento su ulteriori casi che ci hanno sorpreso al nostro arrivo quest’anno. Tra Corvara e Colfosco si è realizzato uno scavo enorme in un bellissimo prato vergine che sembrava l’eden e la sicurezza che la natura regnasse ancora tra i villaggi. Abbiamo chiesto spiegazione ad alcuni conoscenti ma ci sembra veramente incredibile che, al di là dell’utilità sociale di detta opera, ci si riprometta di divenire la nuova conca del cemento come Cortina, o delle costruzioni una sopra l’altra come in Val Gardena. Forse pensano questi signori che si venga delle città per vedere case e palazzi? Siamo certi che ci sia bisogno di servizi e di miglioramenti, ma se la popolazione civile residente non aumenta perché devono necessariamente aumentare gli edifici? Un caso simile stà succedendo nei prati vicino all’Hotel Contrin di Fontanazzo, i prati nei quali giocavamo da piccoli; siano essi appartamenti o sia pure un nuovo albergo mi piacerebbe sapere se sperano si riempirli davvero sempre tutti questi posti letto e se poi ci riuscissero che bella consolazione, valli piene e sentieri pieni, un vero paradiso per gli allocchi,.evviva evviva il rombo del motore!!!
Alto Adige 22-8-10
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sabato, 31 luglio 2010



Moso in Passiria è illuminata dallo splendore del “Granat”

Oggi s’inaugura a Moso in Alta Val Passiria la nuova stazione informativa “Granat” e i granati sulle pendici rocciose sopra la località di Moso sono il nuovo simbolo dell’Alta Val Passiria. Su invito del sindaco di Moso Wilhelm Mathias Klotz, all’inaugurazione ufficiale dell’infopoint con piattaforma di osservazione, realizzato nell’ambito del programma Interreg IV Italia Austria, partecipano anche l’assessore provinciale al turismo Berger e l’assessore provinciale ai lavori pubblici Mussner.

 Il “Granat” (lett. granato), la prima stazione del progetto “Le emozioni di Passo del Rombo” su territorio sudtirolese, è pronto. La forma e il nome dell’infopoint si ispirano alle tipiche formazioni geologiche della Val Passiria. “Attraverso la scelta mirata dei materiali trovati sul posto vogliamo evitare di alterare o compromettere l’impatto visivo del paesaggio”, ha commentato il noto architetto Werner Tscholl, autore, tra l’altro, del progetto di rivitalizzazione “Messner Mountain Museum Castel Firmiano” nei pressi di Bolzano.

Curioso e informativo
 Mentre la piattaforma di osservazione illuminata regala splendide viste su Moso e sull’Alta Val Passiria, la seconda struttura a granato funge da spazio espositivo nonché da infopoint turistico. All’interno, il visitatore potrà informarsi sulle peculiarità e curiosità dell’Alta Val Passiria. Immagini in grande formato e brevi porzioni di testo in tre lingue illustrano per esempio il curioso trasporto a valle del fieno di montagna e forniscono informazioni interessanti sullo storico lago Kummersee (lett. lago delle preoccupazioni) a Corvara in Passiria, sul nuovo Bunker-Mooseum a Moso, sulle cascate più alte dell’Alto Adige o sul paese di Stulles con il maggior numero di bambini d’Europa. Il chiosco interattivo collegato a Internet offre inoltre la possibilità di informarsi circa le attrazioni, le strutture ricettive e gli esercizi gastronomici dell’Alta Val Passiria.

Strada panoramica “Le emozioni di Passo del Rombo”
Il “Granat” è parte del progetto “Le emozioni di Passo del Rombo”, attualmente in fase di realizzazione sulla strada di valico che collega Moso in Passiria e Hochgurgl in Austria.

L’ambizioso progetto di musealizzazione della strada è stato promosso dal comune di Moso in Passiria in collaborazione con la società Timmelsjoch Hochalpenstraße AG e porta la firma dell’architetto Werner Tscholl. “Il nostro obiettivo è quello di offrire un valore aggiunto a chi transita su questa strada creando al tempo stesso impulsi economici sostenibili per l’intera regione,” ha commentato Maria Gufler, iniziatrice del progetto nonché vicepresidente dell’Associazione Turistica Val Passiria. Per info www.timmelsjoch.com
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sabato, 03 luglio 2010



Oltre novemila sui passi

 LA VILLA. Domattina alle 6.30, proprio difronte alla Gran Risa, la pista da sci mondiale, partirà l’edizione numero 24 della Maratona dles Dolomites. È la seconda nel cuore delle Dolomiti che dallo scorso anno hanno la «griffe» dell’Unesco che ha considerato i Monti Pallidi patrimonio naturale dell’umanità. L’arrivo è sempre a Corvara. Al via oltre 9000 atleti sorteggiati, provenienti da tutto il mondo. Sono i più fortunati visto che a casa ne sono rimasti quasi il triplo. I leggendari passi Campolongo, Sella, Pordoi, Gardena, Giau, Falzarego e Valparola - rigorosamente chiusi al traffico - consentiranno di cimentarsi nei tre percorsi di gara: il lungo di 138 chilometri e 4190 metri di dislivello, il medio di 106 chilometri e 3090 metri di dislivello ed il Sella Ronda di 55 chilometri e 1780 metri di dislivello. Ripresa televisiva, per il settimo anno consecutivo, anche per l’edizione 2010 a partire dalle ore 6.10 fino alle ore 12. Non solo gara nel corso della trasmissione, condotta da Alessandro Fabretti, ma anche ospiti in studio per momenti di cultura e tradizioni locali. Il supporto radiofonico sarà anche quest’anno affidato a Nbc Rete Regione.
Alto Adige 3-7-10
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venerdì, 02 luglio 2010



E Bolzano capitale non vuole restare all’ombra di Venezia

Un sogno cullato fin dagli anni Novanta: candidare Bolzano come capitale europea della Cultura per il 2019, anno assegnato all’Italia per la prossima ambita designazione (dopo quelle di Firenze, Bologna e Genova), da parte dell’Unione Europea. Poteva sembrare un sogno quasi proibito che nel corso degli anni si è rivelato tutt’altro che un semplice sogno, se è vero che le dimensioni così come la fama nel mondo, si sono rivelati requisiti del tutto ininfluenti.
 Lo hanno dimostrato per esempio nel 2003 Graz in Austria, nel 2005 la semisconosciuta Cork in Irlanda, mentre nel 2012 saranno di scena di scena Maribor in Slovenia insieme a Guimaraes in Portogallo (dal 2009 infatti le “capitali” possono essere infatti più d’una in seguito all’allargamento della Comunità europea a 25 membri): tutti centri di dimensioni analoghe se non inferiori rispetto a Bolzano. Il “titolo” di capitale, in vigore per un intero anno, viene utilizzato da un crescente numero di centri minori per trasformare e far crescere completamente la loro base culturale e acquistare una visibilità internazionale.
 Fondamentale invece - come si legge nel testo varato dal Parlamento europeo e dal Consiglio il 25 maggio 1999 - è la stesura da parte delle aspiranti “di un programma tendente a valorizzare le correnti culturali comuni ai cittadini europei, promuovere manifestazioni che contribuiscano a instaurare cooperazioni culturali durature fra le città europee favorendone la circolazione, coinvolgere ampi settori della popolazione attenendosi a un’impostazione plurilinguistica, promuovere il dialogo, valorizzare i patrimoni storici e l’architettura urbana” e così via.
 Proprio il plurilinguismo è stata la “scintilla” che ha stuzzicato l’interesse del Comune già qualche anno fa, inducendo l’amministrazione Salghetti a mobilitare esponenti della cultura e dirigenti comunali del settore col compito di analizzare i requisiti e le strutture disponibili per individuare un tema conduttore tale da far risaltare il ruolo storico di Bolzano co il suo ruolo di ultrasecolare punto d’incontro e di scambio fra diverse culture, di conseguenza plurilingue per eccellenza.
 Da allora tuttavia l’idea è rimasta sottotraccia, fino all’improvviso scossone di qualche mese fa, sull’onda di una recrudescenza delle tensioni etniche coincise con l’anno hoferiano: superare divisioni e contrasti di stampo nazionalistico valorizzando la cultura come “vaccino” antiestremistico ed efficace stimolo per la collaborazione, tolleranza e comprensione di respiro pressoché continentale.
 Sulle prime un sia pur tiepido consenso politico di facciata, si è scontrato immediatamente con il “no” secco” dell’ex vicesindaco Oswald Ellecosta che ha chiamato in causa i noti “relitti fascisti”; tiepida anche l’accoglienza in Giunta provinciale dove, accanto alle perplessità circa i costi, è riaffiorata nell’area politica maggioritaria di lingua tedesca la visione di un capoluogo ancora troppo estraneo, in quanto a maggioranza “italiana” alla popolazione “tedesca” del territorio.
 Di qui la svolta in direzione di un allargamento all’Euregio alpina della “capitale” coinvolgendo sia Trento che Innsbruck: progetto arduo soprattutto per le implicazioni internazionali. A superare un’impasse che pareva senza via d’uscita invece ecco prospettarsi un’aggregazione di tutto il Nordest.
 Un autentico poker d’assi calato dal neo-presidente della Regione Veneto Luca Zaia a sostegno di un progetto che dovrebbe coinvolgere oltre che il Trentino-Alto Adige anche il Friuli-Venezia Giulia, una “cordata” guidata da un “jolly” del calibro di Venezia, in grado di neutralizzare anche una concorrente di tutto rispetto come Ferrara. La proposta ha avuto fortuna visto che nel giro di poche settimane è stata fatta propria anche dalla Giunta provinciale, sia pure scavalcando non senza qualche protesta, lo stesso Comune.
 Un progetto che pare quasi “blindato” ma che può suscitare qualche perplessità: quale spazio resterà per Bolzano al fianco non solo di Venezia, ma di realtà come Trieste in fatto di plurietnie e plurilinguismo, di cultura mitteleuropea, per non parlare del patrimonio artistico delle città venete; di quanto salirà il tasso di “visibilità” e di notorietà mondiale?
 Per una prima valutazione abbiamo avviato un “giro” di consultazioni dedicate a una serie di personalità ai vertici del mondo culturale bolzanino.
Alto Adige 30-6-10
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giovedì, 24 giugno 2010



L’Avs si era impegnato: cartelli in italiano

DAVIDE PASQUALI
BOLZANO. Monolinguismo sui sentieri di montagna: per il rinnovo dei cartelli in quota, l’Alpenverein Südtirol si era impegnato a utilizzare i toponimi italiani, così come i nomi propri in italiano dei rifugi, secondo le indicazioni fornite dalla Provincia. E si era consapevoli si trattasse di un obbligo di legge. Anche perché, in una missiva del 2007, l’assessore Widmann aveva sottolineato il carattere ufficiale, e quindi di pubblico servizio, delle linee guida elaborate dall’Avs per la realizzazione dei cartelli, da usarsi come base per i finanziamenti al riguardo da parte della stessa Provincia. E sempre in tema di sovvenzioni, le singole sezioni locali dell’Avs hanno usufruito di finanziamenti da parte dei Comuni. Proprio per la cartellonistica.
 Non sono opinioni, ma dati di fatto che si evincono dalla relazione finale sul “Südtirol-Wegeprojekt” elaborata dall’Avs e sottoscritta fra gli altri dall’allora referente del progetto, nonché odierno presidente dell’associazione, Georg Simeoni. E per sgombrare il campo dalle inesattezze (volute o meno) e dalle ondivaghe e fuorvianti opinioni emerse in queste settimane, è forse il caso di citare testualmente, a scanso di equivoci. Anche perché la relazione sul progetto sentieri, fino ad ora, non è che sia stata molto considerata.
 Per cominciare: la segnaletica in quota fa parte a pieno titolo del progetto cofinanziato da Ue, Stato e Provincia. «In conclusione - scriveva l’Avs a pagina 18 della relazione, nel 2007, al termine della digitalizzazione della rete sentieristica - è ora compito dei responsabili tecnici elaborare la cartellonistica in maniera conforme alle linee guida sulla segnaletica dei sentieri. Grazie ai collegamenti con la banca dati testè definita, sono determinate le mete da rappresentare sui cartelli e queste devono solamente essere attribuite al singolo cartello, così come il tempo di marcia, l’orientamento del cartello e altre informazioni complementari». Particolarmente interessante pagina 19, sulla Toponomastik: «Dato che il tema della toponomastica in Alto Adige, a causa della regolamentazione politica ancora mancante, è causa di opinioni discordanti e fonte di attriti interetnici, l’Avs si è impegnato fin dall’inizio dei lavori all’impiego dei toponimi in base al loro uso da parte degli uffici dell’amministrazione provinciale. Sono stati pertanto considerati i toponimi italiani, così come i nomi propri in italiano dei rifugi, secondo le indicazioni della competente ripartizione provinciale».
 Alle pagine 20, 24 e 25 vengono poi elencate le direttive per la realizzazione della segnaletica lungo i sentieri. Sono dunque ricomprese ufficialmente nel progetto - ribadiamo: cofinanziato dagli enti pubblici, come si evince dalla copertina della relazione - peccato che ci si dimentichi rapidamente di quanto scritto poche righe sopra: nessun riferimento all’adozione di qualsivoglia dizione italofona. Anche le immagini allegate sono illuminanti: tutto il software di supporto alla realizzazione della segnaletica è esclusivamente in lingua tedesca, nomi compresi.
 Passiamo infine al tema dei finanziamenti. Vale la pena leggere il capitolo 8 della relazione, a pagina 36. «L’adattamento della segnaletica dei sentieri alla situazione di progetto rilevata avrebbe dovuto aver luogo nella prima zona di rilevamento già da tre anni (ovverosia nel 2004) ma a causa della mancanza di finanziamenti non si era potuto procedere. Grazie all’accordo raggiunto con le amministrazioni comunali di volta in volta competenti, relativamente al finanziamento, questa parte del progetto ha preso avvio lo scorso anno (nel 2006)». Ciò che la relazione non dice, è se i finanziamenti siano stati negoziati dall’Avs centrale (cosa difficile) oppure siano stati racimolati dalle singole sezioni Avs. Se così fosse, c’è da dubitare che se ne trovi traccia nei bilanci dell’Avs centrale. Insomma, detta altrimenti: per accertare per filo e per segno come siano andate le cose e chi ne sia responsabile, occorrerà scandagliare anche i bilanci dei singoli comuni - deputati a concedere sovvenzioni pure alle associazioni turistiche, molte delle quali altrettanto complici dell’attuale monolinguismo in quota - come pure i bilanci delle singole sezioni Avs.
Alto Adige 24-6-10
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mercoledì, 23 giugno 2010



Bonatti fa 80 anni: festa a casa Messner

GIANFRANCO PICCOLI
 BOLZANO. Una festa di compleanno da favola. E la cornice ideale per le favole è un castello. Reinhold Messner ha fatto le cose in grande per l’amico Walter Bonatti, celebrità dell’alpinismo e dell’esplorazione che ieri ha compiuto 80 anni. Messner ha aperto prima le porte di Castel Firmiano, poi quelle (private) di Castel Juval, dove c’erano ad attendere Bonatti una sessantina di selezionatissimi invitati, tra i quali Erich Abram, 88 anni, unico altoatesino della spedizione italiana che nel 1954 conquistò il K2, con una coda di polemiche che si è trascinata fino al 2008. Poi tanti amici e pezzi da novanta dell’alpinismo mondiale di ieri e di oggi: solo per citarne un paio, Simone Moro (bergamasco come Bonatti e autore di alcune prime invernali sugli 8.000) e il roveretano Sergio Martini, coetaneo di Reinhold Messner e come lui capace di conquistare tutti e 14 i giganti della terra.
 A vederlo, di Bonatti non verrebbe da dire che è un arzillo vecchietto. Togliamo pure il vecchietto, come lui stesso conferma: «Con le esperienze che ho accumulato nella mia vita di anni ne ho 200, ma lo spirito è quello di un quarantenne», spiega commentando il traguardo imposto dall’anagrafe.
 Il legame tra Messner e Bonatti, che pur fanno parte di due generazioni diverse dell’alpinismo, è lungo tanto quanto la loro storia di scalatori ed esploratori. Reinhold va a pescare tra i ricordi di scuola per far capire cosa rappresentava per lui Bonatti: «A 12 anni uno dei pochi temi d’italiano che ho fatto l’ho dedicato a Walter: da ragazzino sognavo di essere lui. Il voto del compito? No, quello non me lo ricordo», ride il re degli 8000. Bonatti è uno dei primi ad intuire quello che potrà fare (e, in effetti, farà) Reinhold Messner, tanto che nel suo secondo libro, «I giorni grandi», pubblicato nel 1972, la dedica è proprio per l’alpinista altoatesino, «giovane e ultima speranza dell’alpinismo tradizionale». Un’amicizia fatta di stima, affetto, ma anche doni importanti, come la tuta e il sacco da bivacco usati da Bonatti durante la salita al K2 ed oggi esposti come cimeli nel Mountain Museum di Messner.
 Proprio l’amore per la purezza del gesto alpinistico, unito alla passione per la scoperta dell’inesplorato, uniscono nel profondo questi due giganti. «Io e Walter - ha detto ieri Messner - abbiamo la corresponsabilità di portare nel futuro l’alpinismo tradizionale». Lo «stile alpino», infatti, sembra aver ceduto il passo alle corde fisse e ai portatori che attrezzano le vie («Gli 8.000 sono ormai ferrate d’alta quota», ha sentenziato Messner più volte), alla ricerca del grado estremo piuttosto che dell’avventura. Per non parlare della caccia al record, vedi il tredicenne che ha raggiunto la vetta dell’Everest: «Che senso ha il record per un alpinista? - ha detto Bonatti - il record non significa nulla, lo lasciamo a chi corre in bicicletta».
 Bonatti, di sé stesso, dice di essere il figlio del fiume, non della montagna: «Sognavo le terre lontane di Jack London ed Ernest Hemingway - si racconta ancora l’ottantenne - ho avuto la fortuna di vederle più volte queste terre, prima come alpinista, poi come inviato di Epoca». Quando era bambino, la mente di Bonatti viaggiava lontano, laddove è poi davvero sbarcato: «Vedevo i relitti passare sul fiume Po, io ci salivo sopra con la fantasia e raggiungevo gli oceani; nei periodi di secca vedevo il deserto, mentre alle mie spalle c’era la foresta e all’orizzonte la linea delle Prealpi».
 Un uomo che ha sempre cercato di spostare, in modo «pulito», i limiti: «Ma non ero in competizione con nessuno, se non con me stesso», ha confessato ieri Bonatti. Il K2, con le sue polemiche, rimane, piaccia o no, il marchio cui è legato nell’immaginario collettivo: «Ma ho lottato sempre, per 53 anni, e alla fine mi hanno dato ragione: dalla mia avevo la forza della verità, perché due più due non può che fare quattro». Ad Erich Abram, compagno in quella spedizione, dedica parole speciali e cariche d’affetto: «Come un fratello, degli undici che hanno partecipato a quella spedizione è il solo vero amico», ha detto Bonatti. Che aggiunge: «Se non ci fosse stata quella porcheria, sul K2 ci salivamo noi».
Alto Adige 23-6-10

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lunedì, 21 giugno 2010



Toponimi, il rifiuto del Cai

ANTONELLA MATTIOLI

BOLZANO. «Siamo per il rispetto dello statuto: non firmeremo mai la proposta dell’assessore Berger così come ci è stata presentata. Per questo stiamo lavorando ad una nostra proposta». Giuseppe Broggi, presidente del Cai, dopo l’ultima frecciata dell’assessore provinciale al turismo, abbandona i toni diplomatici e parla in maniera schietta. Perché non vuole passare per quello che starebbe - come sostiene l’assessore della Svp - boicottando il raggiungimento dell’intesa sulla delicata questione dei toponimi.
 «L’Avs ha avuto tantissimo tempo per fare quello che ha fatto: ovvero cancellare i nomi italiani. Noi invece stiamo facendo un lavoro serio che richiede ovviamente tempo. I miei stanno verificando tutti i nomi riportati sulle carte dei sentieri, vale a dire i nomi che vengono utilizzati da coloro che vanno in montagna. Siamo rigorosi e per evitare contestazioni il lavoro delle nostre sezioni viene controllato da un cartografo».
 A che punto siete? «Ormai è questione di giorni. Ci manca solo la Val Pusteria. Poi, per quello che ci riguarda, abbiamo concluso. Consegneremo l’elenco dei nomi all’assessore Tommasini che ne discuterà con Berger». L’impressione però è che la vostra proposta sia lontana anni luce da quella di Berger? «La lista di nomi presentata da Berger è ridicola. Assurda. Contiene solo tremila nomi bilingui. È di fatto il database dell’Avs. Per noi i toponimi bilingui sono almeno il doppio. Del resto, è lo statuto a prevedere il bilinguismo dei toponimi: noi chiediamo il rispetto del principio. Non potremmo fare altrimenti. In ballo, come qualcuno vorrebbe far credere, non ci sono i nomi di un prato o di una malga, su cui nessuno discute, ma i nomi di cime, sentieri, corsi d’acqua».
 La situazione si complica. La colpa però non è del Cai ma di chi ha cancellato l’80% dei cartelli bilingui sui sentieri di montagna.
 Dopo aver messo la politica davanti al fatto compiuto, l’Alpenverein avrebbe voluto - come chiesto all’ultima assemblea di Castel Firmiano - che la Provincia avallasse l’operazione di epurazione linguistica. L’assessore Berger da settimane ripete che si punta ad un accordo di “buonsenso tra Avs e Cai” e al ministro Raffaele Fitto, che sollecita il ripristino dei cartelli bilingui, ha assicurato che entro il mese ci sarà la soluzione. Ma le posizioni di Cai e Avs sono inconciliabili: i primi pretendono il rispetto del bilinguismo, i secondi hanno già provveduto a cancellare gran parte dei nomi italiani.
 Il ministro Fitto, anche nell’ultima lettera inviata al presidente della giunta provinciale Durnwalder, lascia intendere che non accetterà ulteriori rinvii su una questione aperta ormai da troppo tempo. La Svp, compatta, fa barriera contro gli inviti al rispetto del bilinguismo che arrivano da Roma. L’onorevole Karl Zeller ricorda che la Provincia ha competenza primaria in materia di toponomastica (nel rispetto del bilinguismo però, ndr) e il ministro non ha voce in capitolo. I toni sono più o meno gli stessi di un anno fa, quando il commissario del governo aveva chiesto all’Avs il ripristino dei cartelli bilingui.
 Stavolta però le cose potrebbero prendere una piega diversa. La soluzione allo studio, secondo la deputata Michaela Biancofiore (Pdl), è quella dell’esercizio di poteri sostitutivi da parte del governo rispetto alla Provincia. In sostanza Roma, attraverso il commissario del governo, potrebbe ordinare la sostituzione dei cartelli monolingui. Ma tra i giuristi ci sono opinioni divergenti sulla reale possibilità di percorrere questa strada. Un’altra soluzione potrebbe essere quella dell’impugnazione delle delibere provinciali che però richiede tempi più lunghi.
 A questo punto sarà interessante vedere quali saranno le prossime mosse del ministro Fitto che ha chiesto entro fine mese una soluzione sui cartelli di montagna. Si dice però che più che gli ultimatum che arrivano dalla capitale a preoccupare la Provincia siano soprattutto le ricadute negative che la discussione sulla toponomastica potrebbe avere sul turismo. L’industria delle vacanze va alla grande e non ci si può permettere di aprire la stagione con le polemiche sui cartelli monolingui. Anche perché, soprattutto in estate, a riempire gli alberghi delle vallate altoatesine sono proprio le famiglie italiane. Inutile dire che non apprezzano quando trovano cartelli quasi esclusivamente in tedesco.
Alto Adige 21-6-10
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sabato, 19 giugno 2010



Le regole per affrontare l’alta montagna

Tempo di montagna: ogni escursionista, però, specie ci si spinge oltre le normali camminate e si punta sulle alte quote, dovrebbe memorizzare una sorta di vedemecum per evitare problemi. Vediamo dunque quali sono le regole principali cui attenersi.
- Conoscenza dell’ambiente alpino, passo sicuro e assenza di vertigini, buona condizione fisica.
- Informazioni dettagliate sull’escursione quali dislivello in salita e in discesa, lunghezza, tipo di percorso e terreno, difficoltà, tempi di marcia singoli e complessivi.
- Verifica di dove si trovano i punti di sosta quali punti di ristoro, rifugi, impianti di risalita e le fermate dei bus.
- Prima di partire informare i parenti, l’oste del rifugio, il proprietario dell’albergo dell’itinerario selto, della meta e dell’ora di ritorno prevista. Qualora cambiasse il programma dell’escursione, informare tempestivamente parenti o amici per evitare inutili operazioni di soccorso.
- Partire nelle prime ore del mattino, scelta indispensabile in caso di escursioni molto lunghe, per evitare il gran caldo durante il giorno e la tendenza a temporali pomeridiani.
- Durante l’escursione bere abbondantemente e fare pause regolari. Mangiare in diversi momenti cibi a contenuto energetico e leggeri.
- Non superate mai i limiti delle proprie capacità avendo il coraggio di rientrare in caso di affaticamento eccessivo o situazioni di pericolo. Percorrere sempre e soltanto i sentieri segnati evitando le scorciatoie. Evitare discese al buio.
Alto Adige 19-6-10
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mercoledì, 09 giugno 2010


Elisoccorso, esercitazione in alta quota

ORTISEI. Gli angeli dell’elisoccorso provinciale sono impegnati fino a sabato in val Gardena per il corso formativo «Terra Aria», che è anche l’occasione per confrontarsi sulle metodologie di intervento, analizzare i dati a disposizione e riuscire a migliorare ulteriormente il servizio. Il corso è organizzato dall’Aiut Alpin Dolomites, che vuole garantire a sanitari e medici una preparazione alpinistica e medico-scientifica di alto livello. Il responsabile scientifico è Michele Nardin. Quest’anno la proposta formativa «Terra Aria» è stata organizzata assiema a Hems (www.hems-association.com), associazione fondata nel 2008 in val d’Aosta. Il presidente Enrico Visetti, primario di rianimazione, anestesia e del servizio di elisoccorso valdostano è riuscito nell’intento di unificare le basi dell’elisoccorso dell’arco alpino e in parte anche dell’Appennino. Il corso - spiega il dottor Alexander Franz - si tiene in val Gardena per la parte estiva e dal 14 al 20 novembre a Solda per la parte invernale. I due corsi riconosciuti a livello provinciale e internazionale (diploma per Mountain Emergency Medicine) offrono a tutti i medici e infermieri in servizio presso le basi di elisoccorso (Aiut Alpin Dolomites, Pelikan 1 e Pelikan 2) la possibilità di aggiornarsi su tematiche mediche e alpinistiche. La partecipazione di 61 medici e infermieri provenienti da tutta Italia consentirà un confronto, sicuramente stimolante. La mattina è dedicata al miglioramento delle tecniche alpinistiche, mentre il pomeriggio è incentrato su tematiche scientifiche. «Discuteremo di terapie per pazienti in pericolo di vita, delle peculiarità degli interventi in ambiente ostile, di politraumatizzati, ictus e altro ancora». Il responsabile del corso è il primario del 118 Manfred Brandstätter, Michele Nardin e Alexander Franz curano la parte scienfitica e organizzativa, Olaf Reinstadler (Cnsas Solda), Georg Hölzl (Brd) e Othmar Prinoth (Cnsas e Aiut Alpin Dolomites) dirigono la parte tecnica e alpinistica. (m.bon.)
Alto Adige 9-6-10
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giovedì, 13 ottobre 2011



Allarme: i ghiacciai sono in coma

MAURO FATTOR
BOLZANO. Non si arresta lo scioglimento dei ghiacciai altoatesini. L’Ufficio idrografico provinciale e il Servizio glaciologico del Cai hanno appena concluso la campagna di rilevamenti. Alla fine di ogni estate, a partire dal primo ottobre, decine di rilevatori sono impegnati in quota. Archiviati i mesi più caldi dell’anno si tratta infatti di capire come le temperature di giugno, luglio ed agosto, hanno pesato sullo scioglimento. Quest’anno poi ci si è messo anche settembre, caldissimo. I dati sono freschissimi e ancora in corso di elaborazione ma il trend è chiarissimo: è andata male. Ci si può consolare solo con un dato: in Trentino è andata molto peggio.
Come è andata la calda estate dei ghiacciai altoatesini? a fare il punto della situazione è Roberto Dinale, responsabile del Servizio Idrografico della Provincia. «È andata male - spiega Dinale - ma negli ultimi anni era andata anche peggio». La campagna di rilevamenti si è appena conclusa e i dati sono quindi ancora parziali. L’anno glaciologico termina infatti convenzionalmente il primo di ottobre, quando si presume che lo scioglimento estivo, che i tecnici chiamano ablazione, si sia arrestato. È allora che si vanno a visitare i grandi malati delle Alpi per vedere come se la passano. «Solo in luglio le cose sono andate bene per i ghiacciai altoatesini con un bilancio sostanzialmente in equilibrio - spiega Dinale - giugno invece è stato caldo e lo stesso vale per la seconda metà di agosto. Quest’anno ad incidere molto è stato comunque settembre, con livelli di ablazione che di solito riscontriamo nel mese di luglio, in piena estate». I primi dati per i 5 ghiacciai monitorati - Vedretta di Malavalle, Vedretta Pendente, Vedretta Lunga, Vedretta Occidentale di Ries e ghiacciaio di Fontana Bianca, in alta Val d’Ultimo - sono piuttosto omogenei. «La perdita di spessore è inferiore al metro, insomma meglio che negli anni scorsi a parità di precipitazioni e con temperature medie in aumento». Il dato è confermato dal Servizio Glaciologico del Cai Alto Adige. «Non bisogna illudersi - spiega il responsabile Pietro Bruschi - gli arretramenti delle fronti sono comunque vistosi: -15 metri per il Ghiacciaio della Val di Mazia, più o meno la stessa cosa per la Vedretta Alta. Si capisce anche a occhio nudo che le cose non vanno: aumenta la forza dei torrenti di scioglimento, aumentano i detriti. Sono evidenze che i dati possono solo supportare».

In Trentino dati disastrosi Ghiacciai in coma per le alte temperature

TRENTO. Quanto a ghiacciai in crisi, il Trentino batte di gran lunga i cugini altoatesini. Il dato emerge con chiarezza dalla campagna rilevamenti effettuata daic tecnici di Meteotrentino, coordinati da Alberto Trenti: «Non voglio esagerare ma quest’estate per i nostri ghiacciai è stato veramente un bagno di sangue».
Il Servizio glaciologico provinciale tiene sotto controllo i ghiacciai del Careser e di La Mare, in alta Val di Peio; quello del Mandron e della Lobbia nel gruppo del Cevedale, infine quello di L’Agola nel Brenta e quello della Marmolada. «È andata molto peggio che negli anni scorsi - spiega Trenti - colpa anche di settembre, con temperature da piena estate». I risultati sono devastanti: sul ghiacciaio del Mandron, a 2600 metri di quota, la perdita di spessore del ghiacciaio è stata di oltre 5 metri, mentre il valore medio di abbassamento su tutta la superficie del ghiacciaio è statto di 3,5 metri. «Sono valori altissimi - afferma Trenti - se si pensa che nella norma la perdita di massa per ablazione è nell’ordine di uno o due metri». E pensare che l’inverno era stato buono, con precipitazioni abbondanti da ottobre a gennaio. «Il guaio - continua Trenti - è che ppoi sono mancate completamente le precipuitazioni primaverili. Questo significa che quando il sole ha iniziato a picchiare duro, ad inizio estate, è andato direttamente ad incidere sulla neve invecchiata di dicembre, cosa che normalemente accade solo da fine luglio in poi». Che lassù le cose stiano cambiando con una rapidità sconcertante lo dicono anche le temperature: in Valle dell’Adige tra il 2000 e il 2011 la temperatura media è salita di 0,5 gradi, ma a tremila metri di quota l’aumento è stato di 2 gradi, con conseguenze facilmente immaginabili.
Un dato molto interessante riguarda il Careser: tra il 1967 e il 1990, la perdita di spessore media annua è stata di 0,5 metri; dal 1990 al 2010 è stato invece di 1,6 metri, ma se si isola il dato relativo al periodo 2000-2010 il dato sale addirittura a 1,8 metri. Sono dati estremamente chiari, alla luce dei quali spiccano in modo ancora più drammatico i 3,5 metri di quest’anno fatti registrare dal Mandron.
«Ho visto i dati altoatesini - spiega Trenti - ed è impossibile non notare che, rispetto ai vicini sudtirolesi, in Trentino la situazione sta subendo un degrado molto più veloce. Un dato che dovremo analizzare molto a fondo».
Un dato che, peraltro, va inqadrato tenendo presente la situazione merdionale del Trentino, con masse glaciali «di frontiera». I ghiacciai altoatesini invece sono più alti di quota, sono dislocati all’interno della catena alpina ed è altamente probabile che diverse siano sia le condizioni di irraggiamento che di circolazione meteorologica. «Ci daremo da fare per capire», assicura Trenti. Ma sa già che non basterà. (m.f.)
Alto Adige 13-10-11
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martedì, 04 ottobre 2011



Per le Dolomiti futuro sostenibile

MICHIL COSTA
Crescere crescere crescere. Sembra che la tanto osannata crescita -economica- sia diventata l’unica soluzione per un monde migliore. I colloqui di Dobbiaco, giunti alla loro 22esima edizione, voluti dall’energico propulsore Hans Glauber, ci hanno dato una visione utopicamente realista di sviluppi e progetti proiettati verso un futuro sostenibile vivendo un presente più consapevole. Non concetti molli, ma idee acute e perspicaci che, se attuate, possono cambiare il destino di noi abitanti su questo pianeta. Tutti parlano dell’importanza di aumentare il PIL. Il Pil, invece, dovrebbe essere considerato come una neonato di tre chili che dev’essere nutrito. Da bambino e poi da ragazzo avrà bisogno di un’alimentazione continua; al raggiungimento della maggiore età peserà 70 chili. Se continueremo a dargli cibo a 21 anni peserà 120 chili. Inizierà a patirne, le ossa non terranno il suo peso, si muoverà lentamente. Eppure lo invitiamo a tavola a mangiare pasta al pomodoro. Prima o poi collasserà. La continua crescita che abbiamo registrato dal dopoguerra con punte che toccavano il dieci percento annuo, si è via via assottigliata. Siamo oramai in una fase di post-crescita. I politici di tutto il mondo, da 60 anni a questa parte aspirano alla crescita come fosse il Santo Graal. Sovvenzionano le politiche imprenditoriali, pompano soldi nell’economia, salvano banche. Eppure un alto deficit statale è una delle cause principali causate dalla politica della crescita. Se a questo aggiungiamo che i paesi fortemente indebitati rischiano di causare ancora maggiori differenze sociali, andando anche ad aggravare ulteriormente le condizioni ambientali del pianeta, -di fatto il calo delle emissioni di co2 di alcuni paesi industrializzati è stato solamente”spostato” nei paesi in via di sviluppo- allora ci rendiamo conto che siamo sulla strada sbagliata.
 risaputo che la crescita non è uguale al benessere. quello che vogliono farci credere i pubblicitari, le industrie automobilistiche, perfino i produttori di stampanti per computer che al loro interno hanno un chip che limita la durata della macchina.
“Continuiamo a comprare merce che non ci serve con soldi che non abbiamo per stupire il vicino di casa che non sopportiamo” disse qualcuno. così. Crescita, capitalismo, PIL. sistemi incompleti che non tengono conto della natura multidimensionale dell’universo umano. Il benessere invece è composto in parte dal benessere materiale, ma oltre a ciò ci sono la salute, la conoscenza e l’educazione, l’ambiente nel quale mi trovo, il lavoro, il tempo libero, i legami e le relazioni che riesco ad avere ed anche il ruolo che ricopro nella società. Rendersi attivi politicamente, partecipando, per esempio, alla democrazia diretta, rende più felici. La mera crescita economica non è sinonimo di felicità; pensiamo all’americano medio: negli anni 50-60 era molto più felice di adesso. Il suo alto reddito lo obbliga però ad acquistare servizi che in altre parti del mondo vengono forniti dallo stato; paga meno tasse, ma si paga l’ospedale. molto produttivo ma non è così se la si calcola per ora lavorata. I francesi lavorano 35 ore la settimana per avere più tempo libero, ma nel periodo che trascorrono in fabbrica o in ufficio non sono meno efficienti degli americani. La crescita economica è il feticcio dei feticci, strumento cieco e fuorviante. Sempre di più non è abbastanza.
Bisogna riconquistare il pensiero lungo attraverso idee verticali. La crisi economica c’è perché esiste una crisi spirituale. Abbiamo bisogno di più consapevolezza, di più attenzione verso il prossimo, di più rispetto. Per un presente più armonico bisogna estendere concetti che vadano al di là della parola crescita. Non sono per un vivere nostalgico, e i bravi relatori dei “colloqui di Dobbiaco” ci hanno fatto capire che c’è qualcuno che apre le porte alle speranze di un futuro migliore. Dobbiamo giungerci in punta di piedi con riflessioni che riguardano tutti noi. Dobbiamo crederci, pensarci e attivarci, anche se il timore a prendere la via giusta c’è, ma dobbiamo capire che siamo tutti parte dello stesso, ed è la sola verità da seguire, ben sapendo che tutti i grandi cambiamenti necessitano di grande coraggio.
Alto Adige 4-10-11
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martedì, 04 ottobre 2011



Arriva il pedaggio sullo Stelvio

EZIO DANIELI
STELVIO. La giunta provinciale altoatesina ha dato, ieri mattina, il via libera al pedaggio stradale per i veicoli sulla statale di Passo Stelvio. Il punto dove si pagherà il pedaggio sarà installato tra Gomagoi e Trafoi. Il presidente della Provincia Luis Durnwalder ha spiegato che «i dettagli sono da chiarire, ma l’accordo di tutti i sindaci della zona ci ha spinto ad accelerare i tempi. Tutti i soldi incassati con l’applicazione delle tariffe verranno reinvestiti nelle opere di valorizzazione, manutenzione e adeguamento della strada».
 Il sindaco di Stelvio - Hartwig Tschenett - non nasconde la sua sorpresa: «Hanno deciso senza attendere il nostro parere. La mia giunta è in carica solo da poco più di un anno ed avrei preferito essere consultato prima di annunciare il via al ticket. Quando abbiamo contattato gli operatori turistici, la Regione Lombardia ed anche la Svizzera, prospettando loro la possibilità di introdurre il ticket sulla strada dello Stelvio, è emersa la convinzione che avrebbe dovuto essere un parere unanime. Adesso è arrivata la decisione della giunta provinciale che annuncia il pedaggio a partire dal 2021».
 Ancora nessuna anticipazione sulle possibili tariffe che verranno applicate. Durnwalder ha spiegato che «ci si muoverà seguendo l’esempio di Passo Rombo». Su questa arteria, gestita dalla società Timmelsjoch Hochalpenstrasse, è infatti in vigore una tariffa di 14 euro (18 per andata e ritorno) a macchina, con la Provincia che incassa 2,16 euro per ogni ticket venduto. L’incasso annuo che deriva dal pedaggio sul Rombo, che resta aperta da maggio a ottobre, si aggira fra i 320 e i 340 mila euro. Ogni anno la strada è utilizzata da circa 150 mila mezzi, la maggior parte dei quali sono autovetture. L’introduzione del ticket sul Rombo era stata decisa nella convinzione che, diventando la strada a pagamento, sarebbe sensibilmente diminuito il numero dei mezzi in transito. La stessa motivazione che viene sostenuta per i passi dolomitici. I risultati sono stati esattamente il contrario visto che proprio sulla statale del passo Rombo le autovetture e soprattutto le moto sono andate via via aumentando.
 L’annuncio del ticket, a partire dal 2012, anche sullo Stelvio è stata salutata con soddisfazione da Gustav Thöni, indimenticato campione dello sci azzurro. «Un pedaggio sullo Stelvio? Si tratta di una soluzione a prima vista sensata in attesa di vedere quali saranno gli effetti concreti». Gustav, nativo proprio in quella Trafoi dove sorgerà il casello per il pagamento del ticket, così prosegue: «Non si tratta di una novità - ha detto l’ex campione di sci - In Austria e in Svizzera sono ormai parecchie le strade sulle quali da tempo si paga per passare. Certo anche sullo Stelvio le auto e le moto che transitano tutta l’estate sono moltissime. Se con il pedaggio saranno gli automobilisti a contribuire alle spese per la manutenzione della strada, questa mi pare un’idea giusta». Thöni adesso fa l’albergatore nella sua Trafoi: «Sono convinto - ha aggiunto - che anche con il pedaggio non saranno certo di meno i turisti che arriveranno fino quassù, ma questo dipende un po’ anche dalla tariffa che sarà fissata».
Alto Adige 4-10-11
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sabato, 01 ottobre 2011



Ortles, allarme per lo strato di ghiaccio

MICHELE STINGHEN
Nella leggenda l’Ortles era in origine un gigante, il ghiaccio lo ricoprì quando uno gnomo riuscì a salirci in testa. Gli scienziati, adesso, hanno di nuovo toccato la testa del gigante. In fondo a tutto quel ghiaccio è arrivata la sonda della squadra di glaciologi americani, guidati da Lonnie Thompson e dal roveretano Paolo Gabrielli. Ieri hanno quasi toccato il fondo per la seconda volta, la prima martedì scorso. Lo scopo è studiare il clima antico, intanto hanno appurato che il ghiacciaio, per ora, sta ancora bene.
 I ricercatori del Byrd Polar Research di Columbus, arrivati all’Ortles grazie a Gabrielli (che lavora negli Usa). Lui ipotizzava di trovare sull’Ortles l’ultimo ghiacciaio “freddo” delle Alpi orientali; e aveva ragione. Il carotiere ha quasi toccato la roccia (75 metri sotto la superficie), e le ipotesi fatte dagli scienziati si sono dimostrate vere. Sotto 25 metri di “firn” (con temperatura di 0 gradi), infatti, hanno trovato ghiaccio più freddo, a -5º, che conserva perfettamente i dati climatici. Quando il carotiere scava, tuttavia, la quantità di acqua che fuoriesce fa strabuzzare gli occhi alle guide alpine di Solda, che prestano assistenza. Significa che il ghiacciaio sta cambiando. “Sotto la cima il ghiacciaio resterà ancora per lungo tempo, ma il ghiaccio freddo si assottiglia sempre più”, conclude Gabrielli.
 Sulla calotta dell’Ortles i glaciologi resteranno per altre due settimane. Sono già state estratte due carote complete, fatte poi a “fette” di un metro circa. Gli scienziati devono fare ancora due fori. Nel ghiaccio estratto hanno già individuato frammenti di insetti, foglie, uno strato di particelle grossolane dovuto forse alla Prima guerra mondiale (il fronte era vicino); contano di trovare dati sull’inquinamento, su incendi nelle foreste della regione, emissioni provenienti dalla lavorazione dell’argento in Alto Adige. Ma per i dati scientifici, e per sapere a che epoca risale il ghiaccio antico del fondo (almeno secoli), bisognerà aspettare un anno.
 L’attività è frenetica. Ci sono i medici dell’Eurac coordinati da Giacomo Strapazzon, i ricercatori dell’Università di Padova che installeranno una stazione climatica permanente. C’è l’ufficio idrografico della Provincia, con Roberto Dinale, che collabora con Gabrielli per i dati climatici e sul ghiacciaio. E gli elicotteri: ieri hanno portato a valle una tonnellata di ghiaccio, stivata nella cella frigo di Prato allo Stelvio.
Alto Adige 1-10-11
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sabato, 01 ottobre 2011



Dolomiti Unesco, invito di Laimer «Comuni, fatevi soci sostenitori»

BOLZANO. Da due anni le Dolomiti fanno parte del patrimonio mondiale dell’Unesco: per gestire al meglio, in un’ottica di sostenibilità, le chances che il riconoscimento offre, l’assessore provinciale Michl Laimer ha presentato a Comuni, imprenditori, associazioni e federazioni la possibilità di un coinvolgimento attraverso la figura del socio sostenitore. «Vogliamo che il tema delle Dolomiti come spazio vitale, da gestire in maniera sostenibile sia veicolato in maniera diffusa, soprattutto con la partecipazione attiva della popolazione locale». L’assessore giudica «essenziale che amministrazioni comuni, aziende e gruppi di interesse vengano coinvolti nello sviluppo della regione. Per questo motivo lo statuto della Fondazione Dolomiti Unesco prevede anche la figura del socio sostenitore».
Alto Adige 1-10-11
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lunedì, 27 giugno 2011



Le Dolomiti sostenibili: servono azioni coraggiose

bellezza e del silenzio?. Come si può non dare ragione a Michil Costa quando ci ricorda che il mondo sta andando in direzione di uno sviluppo,anche economico,che vede in questi elementi un volano essenziale? Come non essere consapevoli che oggi ci vogliono azioni coraggiose centrate su questi valori?
Purtroppo non basta essere concordi con tutto ciò per risolvere il problema. Né mi pare possibile continuare a riproporre quello dei passi come un tema “stagionale” o a se stante. Lo leggo, piuttosto, come “nodo simbolico” di due questioni ormai ineludibili e urgenti.
Le due questioni sono quella della mobilità (sostenibile) tra e nelle Dolomiti e quella del riequilibrio tra territori le cui condizioni di vita restano assolutamente diverse, ancora troppo diverse per condividere temi “conflittuali”. Nonostante siano, oggi, parte di un unicum indivisibile, come riconosciuto dall’Unesco.
Non credo si arriverà ad alcuna soluzione se prima non si affronteranno le diverse istanze territoriali. Come parlare dei passi chiusi quando ancora gli studenti e i lavoratori (del bellunese soprattutto) fanno i conti giornalmente con un sistema trasporti inefficiente e “sconnesso”?
Come pensare che gli operatori economici non vedano le soluzioni “a spot” come nuova penalizzazione e divario tra diverse condizioni di partenza? La questione è annosa.
Già nel 2006 gli allora presidenti Durwalder, Dellai e Reolon, condivisero l’urgenza di una visione comune per la mobilità sostenibile delle Dolomiti, punto focale non solo delle politiche turistiche ma soprattutto di quelle socio-economiche.
Quel progetto strategico, in cui vi erano l’asse ferroviario Venezia Dolomiti-Dobbiaco, progetti interprovinciali del trasporto pubblico capaci di connettere le valli, mobilità ciclopedonale e utilizzo delle funivie oltre la stagione invernale, viveva nello spazio del protocollo trasporti della Convenzione delle Alpi (che poi il governo stralciò nel 2010) e in visione politica che vedeva nel riconoscimento Unesco, allora avviato, un’importante opportunità di concretizzazione di un nuovo modello di sviluppo centrato sull’equilibrio tra la tutela e l’abitare in montagna.
Oggi, come allora, non è l’Unesco che ci può dare la strada, ma viceversa, è la nostra visione del futuro che può trovare nel riconoscimento uno spazio di concretizzazione. Lì, le cinque province possono (e devono) armonizzazione le loro politiche, continuando quel metodo per cui si è stati vincitori a Siviglia esattamente due anni fa.
E’ sempre più evidente quanto difficile sia questa “partita”, ma è ora che si coinvolgano tutti intorno a quella governance che deve produrre coesione e riequilibrio tra province dolomitiche. E la politica dovrebbe alzarsi oltre le parti e i campanili, per produrre grandi progetti strutturali.
Allora forse potremo lanciare azioni coraggiose come quelle della chiusura dei passi.
Auspico, in questo senso, che quando Bolzano porterà al tavolo della Fondazione Dolomiti Unesco il progetto sulla mobilità sostenibile di cui è responsabile di rete, si siano fatti passi avanti e vi siano le condizioni per azioni giuste e coraggiose per il futuro delle Dolomiti, di chi le visita ma soprattutto di chi le abita.
Irma Visalli *Ex assessore provincia di Belluno
Alto Adige 27-6-11
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domenica, 10 aprile 2011


Rifugio Bolzano

Il Cai Alto Adige: «Gestione in comune con l’Alpenverein per i 25 rifugi alpini»

MAURIZIO DALLAGO
BOLZANO. Segnaletica di montagna e rifugi alpini: questi i 2 temi più politici di cui si è discusso ieri all’assemblea del Cai Alto Adige. «Siamo per la toponomastica bilingue o trilingue nelle vallate ladine, come da Statuto», così il riconfermato presidente Broggi.
 «Siamo sempre disponibili alla gestione unitaria Cai-Alpenverein dei 25 rifugi passati dallo Stato alla Provincia, ma sottolineo che qui non siamo forestieri, essendo nati in questa provincia: l’Alto Adige è casa nostra e queste sono le nostre montagne», afferma Giuseppe Broggi davanti alla platea dei delegati. Il messaggio è chiaro, sia sui toponimi che sui rifugi. Il Club alpino italiano non vuole essere solo spettatore e chiede il rispetto delle norme statutarie, anche per quanto riguarda la segnaletica di montagna. «Ci aspettiamo di conoscere la relazione della commissione che ha operato nell’ambito dell’accordo Fitto-Durnwalder, perché su questo argomento non devono esserci soprusi. Allo stesso tempo abbiamo cercato e trovato l’accordo sui 25 rifugi da gestire insieme all’Avs, ma poi è stato bloccato tutto da Durnwalder, adesso vediamo cosa succederà», sottolinea il presidente del Cai Alto Adige. Su questi rifugi, la giunta provinciale ha appena prorogato di un anno - il 2011 - la concessione al Cai, in attesa di definire chi dovrà prenderli in consegna dal 2012. Durnwalder punta ad una società mista composta da Cai, Avs, ma anche dalla Provincia, anche se ancora non c’è stato un incontro tra la parti che metta nero su bianco l’accordo. Diversa la questione del rifugio «Bolzano al Monte Pez» di proprietà della sezione Cai di Bolzano e su cui non ci sono ancora decisioni definitive in merito, ovvero se tenerlo, oppure darlo alla Provincia in cambio di altri rifugi, magari più interessanti da un punto di vista alpinistico. «Ci piacerebbe essere riconosciuti finalmente come vera associazione alpinistica del territorio e le sezioni che hanno avuto in gestione queste strutture non sono state trattate in modo corretto dalla Provincia», ancora Broggi, secondo il quale «Palazzo Widmann non ha riconosciuto l’ottimo lavoro di manutenzione e di conduzione, fatto in oltre 80 anni di gestione di questi rifugi da parte del Cai». Dalla Provincia solo una lettera raccomandata per avvisare che le concessioni scadevano a fine 2010 e che nulla era dovuto dall’ente pubblico al sodalizio alpinistico. Per questo motivo il Club alpino ha dato incarico ad un legale per tutelarsi sui beni, arredamenti ed attrezzature, presenti nei rifugi. «Solo una forma di autotutela perché il Cai Alto Adige resta in ogni caso sempre disponibile a trovare un accordo di collaborazione per la gestione unitaria dei 25 rifugi, sul modello di quanto fatto per il servizio di elisoccorso provinciale con l’Alpenverein», evidenzia Broggi, chiudendo sulla segnaletica di montagna: «Voglio ribadire che il Cai Alto Adige ha sempre sostenuto e sostiene tuttora che le indicazioni debbano essere bilingui e trilingui nelle valli ladine: questo per una questione di rispetto delle popolazioni che vivono in Alto Adige e soprattutto dello Statuto d’autonomia che è legge costituzionale».
Alto Adige 10-4-11
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sabato, 12 marzo 2011



Dolomiti Unesco, ecco il nuovo logo

M. DI GIANGIACOMO
BOLZANO. Eccolo, il nuovo logo della Fondazione Dolomiti Unesco. Ritoccato, ma non snaturato, con modifiche che - secondo il designer Arnaldo Tranti - risolvono un problema di visualizzazione sui formati medio e grande, quello che potremmo chiamare l’“effetto grattacielo”, e quindi danno anche una risposta alle tante critiche giunte dopo la presentazione del marchio. Buone, quindi, entrambe le versioni: quella dell’assessore trentino Gilmozzi, che nei giorni scorsi aveva parlato di una correzione di rotta giunta dopo le polemiche; e quella del segretario della Fondazione, Giovanni Campeol, che spiega invece le modifiche con motivi di carattere tecnico.
 In più, l’architetto valdostano ha anche implementato la gamma cromatica, con le cime che si tingeranno di colori diversi per essere utilizzate nei diversi settori della comunicazione.
 «Le modifiche risolvono un problema di visualizzazione rispetto alla percezione sui formati medio e grande - spiega il designer -. Nella versione ridotta le cime risultavano ben evidenti, ma si perdevano nell’ingrandimento, ricordando quasi dei grattacieli. Questo effetto di ambiguità, che era comunque un elemento voluto, è stato eliminato attraverso tre interventi di ritocco: l’aggiunta di linee oblique, il ritmo delle linee più compatto e diversificato e la creazione di ombre tra le cime, disegnando così una catena montuosa. Nella versione aggiornata è stata implementata la gamma cromatica del logo secondo una classificazione tematica: pertanto, il logo nella sua forma istituzionale primaria è utilizzato a un colore nel grigio “Dolomiti” e, come succede in natura nelle varie ore del giorno, le cime si tingeranno nelle varie sfumature cromatiche per essere utilizzate nei rispettivi settori della comunicazione».
 La nuova versione ha messo tutti d’accordo. Nelle prossima settimane il logo verrà ratificato dal consiglio d’amministrazione e presentato alla pubblica opinione. Nella speranza che le polemiche finiscano e la Fondazione possa cominciare a dedicarsi davvero alla promozione delle Dolomiti quale patrimonio dell’umanità.
Alto Adige 12-3-11
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giovedì, 20 gennaio 2011



Le Dolomiti spopolano in 3D: non solo scienza

BOLZANO. Le Dolomiti spopolano sul 3D. Un connubio, quello tra le montagne dichiarate patrimonio mondiale dell’Unceso e le nuove tecnologie, che si rafforza a vicenda con soluzioni hi-tech che magnificano la bellezza di cime, torri e pinnacoli. Due le novità presentate in queste ore, vediamole.
 Volare sulle Dolomiti è la sensazione che si prova utilizzando la nuova applicazione cartografica georeferenziata online, tridimensionale e interattiva 3D Dolomiti Superski, che dopo poche settimane dal lancio, è stata scaricata da più di 150.000 utenti. Si tratta di un navigatore tridimensionale realizzato sulla base di immagini aeree ad altissima risoluzione dalle ditte Reality Maps e Tappeiner, che permette di simulare un volo fra delle Dolomiti.
 Le informazioni contenute nei siti www.dolomitisuperski.com o www.3d-skimap.com vanno dalle piste agli impianti di risalita con informazioni sul tipo di impianto, lunghezza, nome, nonché piste di slittino e da fondo. Trovano spazio anche i rifugi in pista, le baite ed i ristoranti nei paesi. Prossimamente sarà operativo lo «check ski-performance» che consente di monitorare la propria prestazione giornaliera sugli sci, visualizzando sulle mappe 3D gli impianti utilizzati, i km di pista percorsi e il dislivello superato.
 Un modello digitale 3D ad altissima definizione per riprodurre la complessa geometria delle Tre Cime di Lavaredo è stato invece creato dai ricercatori della Fondazione Bruno Kessler (Fbk) di Trento in collaborazione con il Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Pavia e con le aziende tecnologiche Helica, Gexcel e Codevintec. L’operazione rientra nel progetto «Peaks-3D», che terminerà nel 2012, e si è già concretizzato nel modello 3D foto-realistico delle Tre Cime. Per raggiungere l’obiettivo i ricercatori si sono serviti di fotocamere digitali e di laser scanner 3D, effettuando riprese e rilievi sia da terra sia dall’elicottero. Hanno poi integrato l’enorme mole di dati 3D acquisita con un potente software che ha permesso di generare il modello 3d.
 “Grazie al modello 3D - spiega Fabio Remondino, responsabile dell’Unità di ricerca 3DOM (3D Optical Metrology) della Fbk - sarà possibile effettuare dettagliate analisi geologiche e geomorfologiche, anche per definire opportune misure di protezione ambientale delle Dolomiti. Ulteriori applicazioni possono inoltre spaziare nei settori della didattica, della realtà virtuale e del turismo. Si pensi, solo per fare un esempio, alla possibilità di visualizzare tridimensionalmente le vie d’arrampicata”.
 L’obiettivo del progetto “Peaks-3D” è lo studio di soluzioni tecniche di rilievo 3D in grado di superare i limiti delle classiche rappresentazioni geografiche bi-dimensionali, che, per quanto riguarda i complessi montuosi, risultano spesso parziali o di bassa risoluzione. Il rilievo 3D delle Tre Cime di Lavaredo è stato realizzato in un primo momento usando immagini aeree acquisite in modo tradizionale pur con immagini che non hanno consentito di ricostruire correttamente in 3D le pareti verticali. E’ stato quindi realizzato con l’azienda Helica un rilievo da elicottero con laser scanner obliquo per rilevare anche le pareti verticali, facendo una sorta di gigantesca scansione laser delle rocce. Visto il peso e l’ingombro della strumentazione laser, le campagne di rilievo terrestre hanno richiesto anche l’impiego di alcuni muli per il trasporto dei materiali in alta quota.
guarda le foto su: WWW.ALTOADIGE.IT
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venerdì, 14 gennaio 2011



Il logo Unesco ha funzionato

MAURIZIO DI GIANGIACOMO
 BOLZANO. Ieri a Roma, al Ministero dell’ambiente, la Fondazione Unesco ha fatto un check sulle linee guida dell’Unesco in vista dell’“esame d’ammissione” di giugno. Noi abbiamo fatto il punto con il segretario generale Campeol che, un po’ a sorpresa, rivendica il successo del contestatissimo logo.
 Dottor Campeol, qual era l’ordine del giorno dell’incontro di Roma?
 «Era la prima riunione organizzata al Ministero dell’Ambiente dopo la costituzione della Fondazione - spiega Campeol -. Il ministro Prestigiacomo ha espresso il suo apprezzamento per il lavoro che abbiamo fatto fino ad oggi, condividendo metodologia e strategie generali. È stato riconosciuto il ruolo della Fondazione e assieme abbiamo stilato un calendario di ulteriori incontri in vista delle verifiche Unesco di giugno e dicembre».
 Quali sono gli adempimenti per passare l’esame dell’Unesco.
 «Il documento di candidatura prevede una lunga lista di azioni, non tutte ovviamente da attivare entro giugno. Quello che ci attende è un lavoro di 20/25 anni».
 In cosa si è tradotta, concretamente, la vostra azione di questi mesi?
 «L’iscrizione di un sito al patrimonio Unesco è un atto di natura scientifica e culturale. Perché ci siano delle ricadute sul territorio sono necessari tempi lunghi. È necessario che quel territorio sia riconosciuto come tale tanto da coloro che vi abitano, quanto dal resto del mondo. La nostra Fondazione avrà sempre il compito di promuovere le Dolomiti, non doveva farlo solo in questi ultimi sei mesi. Quello che è successo, a dispetto delle critiche, è che tutti ci chiedono il nostro logo: chi organizza manifestazioni, chi pubblica libri, il Cai, il suo corrispettivo austriaco, associazioni imprenditoriali e sportive, università... Il primo obiettivo che abbiamo raggiunto è proprio la riconoscibilità del sito attraverso il logo».
 Quindi, polemiche fuori luogo?
 «Il logo è stato criticato da 100 persone, attorno alle Dolomiti abita un milione di persone...».
 Sì, ma si trattava di Reinhold Messner, Luis Durnwalder, il Cai...
 «Ma lei non si è chiesto perché l’hanno fatto? Reinhold Messner, un ambientalista che fa la pubblicità ai fucili da caccia; Oliviero Toscani, che fotografa un malato terminale per vendere mutande... Perché non ha partecipato al bando, invece di criticare? Il logo della nostra Fondazione è stato creato da esperti di comunicazione proprio per rappresentare un messaggio sintentico, altrimenti avremmo messo una foto delle montagne».
 L’hanno criticato perché non l’ha fatto un “dolomitico”, bensì un aostano?
 «Ma no, l’hanno criticato un po’ per farsi pubblicità, un po’ per dire la loro, invece di dire che la Provincia di Trento ha fatto un lavoro egregio con il bando. Anche il Cai, dopo averlo criticato, ha capito che quel logo è una maniera moderna e innovativa di promuovere il nostro territorio. Abbiamo raggiunto il nostro scopo - conclude il segretario generale Campeol -. Il logo ha colpito nel segno».
Alto Adige 14-1-11
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martedì, 14 dicembre 2010



Tre chili di bellezza ecco le Dolomiti di Reinhold Messner

CARLO MARTINELLI
BOLZANO. Tre chili e 110 grammi. Non sembri irriverente iniziare a parlare di un libro a partire dal suo peso, decisamente fuori norma, quasi esagerato. Ma forse non sono esageratamente belle quelle Dolomiti che del volumone - ieri a Milano la prima uscita nazionale - sono appunto le protagoniste indiscusse? Fors’anche si tratta di abile operazione di marketing.
 Sulle Dolomiti che dal 26 giugno dell’anno scorso sono Patrimonio dell’umanità - auspice l’Unesco -, sono usciti, stanno uscendo ed usciranno titoli a bizzeffe. Eppure questo “firmato” Reinhold Messner si farà ricordare a lungo e si fa notare da subito.
 Abbiamo sfogliato, letto e guardato il libro. Ecco, è dal guardare che si inizia. E’ il meranese Georg Tappeiner a firmare le 250 fotografie. La categoria del bello è banale, quasi patetica: eppure ci sarà un perché se questo signore da un bel po’ di anni percorre in lungo e in largo le Dolomiti, a piedi, per catturare panorami magici. Il bello (massì...) è che questo mondo magico viene restituito a chi guarda. Il libro varrebbe anche se si limitasse alle fotografie, garantito. Intendiamoci: nulla di nuovo sotto il sole ma gli è che il sole, alle Dolomiti, regala colori e scorci sconosciuti al resto del mondo.
 E sono queste immagini a giustificare e rendere credibile tutto quello che invece c’è di scritto, a partire dalla sigla benedicente di messer Messner e poi dai contributi sparsi di personaggi vari, tutti autorevoli ed ognuno capace di aggiungere un tassello importante alla costruzione di una tesi difficilmente aggredibile: signori, ecco le montagne più belle del mondo. Punto e basta.
 E così, in questo trionfo, persino il carattere tipografico scelto per il libro è di inusitata grandezza. Per dare spazio ad Erwin Brunner che racconta di re Laurino; ad Ursula Demeter, curatrice del volume ma anche di mostre d’arte, e si vede subito. E che racconta di come gli artisti e gli scrittori abbiano dipinto e descritto le Dolomiti medesime; ad Hanspeter Eisendle, guida alpina; ad Ulrich Ladurner che descrive la Grande guerra in alta quota; a Michele Lanzinger che scrive di quel che sa, la geologia; ad Annibale Salsa, l’antropologo.
 Prima e dopo questi interventi, quelli di messer Messner. Dichiarazioni d’amore (“ambiente di roccia impressionante, un panorama montano inconfondibile fino alle fine dei tempi”), impegni per sé e per gli altri (“eredità di tutti noi, responsabilità certa”), persino due poesie ed infine - nel passaggio più vero e toccante - racconti ad episodi, lungo oltre un secolo per ribadire che questo “è il mio mondo, queste sono le mie radici” perché “tutti i miei avi provengono dalla zona dolomitica”.
 E queste intense pagine, dove nonni, fratelli, amici alpinisti si rincorrono (molti di loro sono spiriti nel vento, ora), appaiono davvero - questo giornale l’ha già anticipato - la sceneggiatura di un possibile film.
 Eppure il libro convince ancor più per quegli estratti “antologici” di cui è ricco. Le Dolomiti nelle parole di chi le ha amate in tempi non sospetti. Messer Dante, ad esempio: nel canto XII dell’Inferno: “cotal di quel burrato era la scesa”.
 Oppure il poeta e cantastorie Oswald von Wolkenstein, nel Lied 44: “A Ratzes, sotto lo Sciliar, eccomi qui fermo”. O la scrittrice e viaggiatrice inglese Amelia B. Edwards che nel 1872, a dorso di mulo, se ne va da Agordo al Primiero, raccontando di scenari mozzafiato ed umani accadimenti.
 O Theodor Christomannos, l’inventore dei Monti Pallidi, che descrive la grande strada delle Dolomiti partendo da un fienile per finire al Grand hotel.

   LA PRESENTAZIONE
Ieri sera la “prima” a Milano

 Ieri sera a Milano, all’auditorium San Fedele, la “prima” del monumentale volume che Reinhold Messner - forte di autorevoli collaborazioni a partire da quella decisiva, e fors’anche preminente, del fotografo Georg Tappeiner - ha dedicato alle Dolomiti, patrimonio dell’umanità. Il volume edito da Mondadori, in libreria da pochi giorni, è già candidato a regalo strenna ideale per il Natale. Lo aiuta il formato, decisamente gigante (28,5 X 36,5), adatto a valorizzare al meglio le immagini del fotografo e fors’anche il prezzo (49,90 euro) non proibitivo se rapportato alla qualità del prodotto, che conta su 288 pagine e ben 250 fotografie a colori. Il volume è stato curato da Ursula Demeter, esperta d’arte.
Alto Adige 14-12-10
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sabato, 04 dicembre 2010



Il logo prescelto per le Dolomiti assurte a Patrimonio dell’Umanità non piace.


GIACOMO SARTORI
Il logo prescelto per le Dolomiti assurte a Patrimonio dell’Umanità non piace. E in effetti è brutto forte. Quella fram mentazione geometrica delle pareti è più metropolitana che dolomitica: quasi impossibile non vederci dei grattacieli, resi ancora più nevrastenici dal cielo scarlatto sul quale si stagliano. Molti professionisti o habitué della montagna, noti o meno noti, sono insorti. Il presidente della Associazione Italiani Pubblicitari ha dichiarato che la valutazione delle quattrocento proposte è stata fatta da persone che di grafica non ci acchiappano nulla, la magagna sta lì. E quindi propone che la sua Associazione, di cui en passant ci ricorda la certificazione (Iso 9001), abbia voce in capitolo.
 Io non sarei così certo che sia solo una questione di dimestichezza con le tecniche e i saperi dei grafici, certificati o meno. Il problema di fondo, mi sembra, è capire cosa significano per noi queste benedette rocce che alla bella età di 230 milioni d’anni, portati superbamente, hanno ricevuto la consacrazione olimpica dell’Unesco. O meglio, provare a metterci d’accordo su cosa sono. A dire la verità non mi sembra un’impresa facilissima. Le Dolomiti non sono un posto dove si va a abitare, dove ci si stabilisce. Grappoli di giovani europei saturi di urbanità migrano verso l’Ardèche e altre aree ad alta naturalità, dove allevano capre e fanno spuntare cavolfiori biologici, non verso le Dolomiti. Coppie di anziani nordici mettono le infreddolite radici nell’Algarve o in Provenza, non sulle Dolomiti. La gente scappa anzi da molte contrade dolomitiche, come da tante altre zone delle Alpi: più sono piccoli, più i paesini si svuotano più agonizzano. Troppo isolati, troppo carenti di infrastrutture, troppo lontani dalle città (le dirette antagoniste!). Nemmeno le droghe e l’alcolismo, entrambi molto diffusi, riescono a fare barriera. Resistono beni i centri più grandi e più opulenti, quelli che di dolomitico non hanno in fondo proprio niente, che sono anzi una caricatura a fini turistici delle Dolomiti. Se si leva lo sci invernale, che di dolomitico sensu strictu ha solo i fondali, in molte zone tira aria di crisi. Crisi anche esistenziale, non solo economica e che tocca anche il grande alpinismo. Adesso i migliori scalatori migrano stagionalmente sull’Himalaya, dove le sfide mantengono il carattere epico che qui s’è perso. Come tutti i beni di questo nostro mondo che sembra aver seppellito per sempre gli afflati collettivistici e egualitari, anche le Dolomiti sono in vendita. Possiamo per esempio comprarcene, se ce lo possiamo permettere, un pezzetto di una settimana. In estate, o in inverno, in quota o più bassini, come preferiamo. Senza vista, se siamo un po’ tirati. Se siamo messi molto peggio non ci resta che ripiegare su frammentini più risicati: un fine settimana in rifugio, o magari in tenda, qualche istantaneo mordi e fuggi. Per chi abita nei paraggi, è ancora un’ottima soluzione. Se siamo degli immigrati non ci restano, temo, che le cucine e i locali delle scope, sperando di non essere pagati in nero. Fermo restando che possiamo incolonnarci pur sempre anche noi nei serpenti estivi di veicoli che scavallano a passo d’uomo (quando va bene) i passi più famosi. Anche quello è un modo di conoscere e di amare le Dolomiti, è anzi quello di gran lunga più popolare. Chi può dire che scollinare su un torpedone a due piani o sul proprio veicolo sia meno emozionante che arrivare boccheggianti su una cengia, che sorseggiare un salatissimo (parlo del costo) e affollato cappuccino sia meno struggente di un desueto pranzo al sacco con le uova sode? Se vogliamo essere coerenti, e applicare gli stessi criteri che usiamo per esempio per i libri e i programmi televisivi, dove a decidere sono ormai solo le classifiche delle vendite e l’Auditel, quello è anzi il modo migliore, il più auspicabile.
 Certo ci sono ancora frotte di puristi che affrontano le Dolomiti con l’austera costanza immagazzinata nelle gambe e nelle braccia, insofferenti degli eccessi di rumorosità e degli sfoggi vestimentari, e più che perplessi degli arroganti carosellamenti sciistici, non voglio dire il contrario. Io stesso ne faccio parte. Immaginiamoci però di mettere uno di questi ascetici atleti, arrivato pur sempre non lontanissimo dalle vette con un mezzo climatizzato e provvisto di sistema di georeferenziazione satellitare, e foderato di ogni ben di dio tessile e microelettronico, di fronte a uno qualsiasi dei suoi antenati, che usavano salpare dalle città pedemontane a piedi o in bici, con pesantissime corde di canapa attorcigliate al costato: ci farebbe la figura di un viziato damerino, incapace di battersi a armi pari. Si sa, tutto è relativo.
 Per certi versi potremmo dire - talmente sono diversi i modi che abbiamo di percepirle e di rapportarci con esse - che le Dolomiti non esistono. E invece esistono eccome, e abbiamo tutti bisogno, ciascuno a modo suo, che esistano: le amiamo. Sono come Pompei, la pizza, Babbo Natale. Sono insomma un mito, e come tutti i miti hanno una natura intrinsecamente vaga, e quel che è peggio alla mercé dei tempi. Questo mito, ci insegnano gli specialisti, ha una nascita piuttosto recente - soprattutto se rapportato all’età geologica delle interessate -, ha avuto una crescita lenta e costante, fino arrivare ai fasti attuali. E adesso, proprio mentre riceve la consacrazione dell’Unesco, constatiamo noi, vive forse un po’ troppo sugli allori passati.
Alto Adige 4-12-10
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giovedì, 18 novembre 2010



Tutela Unesco per il Sassolungo

ALDO DE PELLEGRIN
ORTISEI. Sassolungo e Sassopiatto, due monti che sono il simbolo della Val Gardena, che sono Dolomiti ma che non rientrano, come invece sarebbe diritto ed ambizione di tutti in Alto Adige, prima ancora che in Val Gardena, nell’area universalmente definita dall’Unesco come patrimonio mondiale dell’umanità. Per l’assessore Michl Laimer le ragioni di questa assenza dall’area Unesco sono chiare, come sono altrettanto chiari i motivi per cui non è possibile non fare nulla ed è auspicabile ovviare subito, agendo come necessario per aprire la strada al loro riconoscimento ufficiale.
 Assessore Laimer, Sassolungo e Sassopiatto sono Dolomiti?
 «Questo è certo. Nessuno, guardandole si sogna o si sognerebbe mai di dire il contrario. Del resto è un assioma che non è mai stato in discussione. Da secoli la gente li vede così».
 Però non sono patrimonio dell’umanità Unesco.
 «Questo è un altro discorso, altrettanto chiaro. E doloroso. Per rientrare nell’area definita e protetta dall’Unesco era necessario che i due monti fossero parte di un’area già tutelata, Parco naturale o quant’altro. Cosa che non risultava per Sassolungo e Sassopiatto».
 Come mai le loro aree non rientrano nel parco naturale dello Sciliar?
 «A suo tempo, evidentemente non vi sono stati inseriti. Forse per ragioni di uniformità di territorio».
 Cosa è possibile fare?
 «Il presupposto fondamentale, per avviare l’iter di ampliamento dell’area prima al Ministero e poi all’Unesco, è ampliare i confini del Parco naturale dello Sciliar in modo da comprendere le due montagne».
Chi lo deve fare?
 «L’iter lo devono avviare i Comuni con le rispettive delibere. Poi la Provincia dovrà attuarlo e inoltrare la domanda Unesco al Ministero per l’Ambiente a Roma».
 Tocca ai Comuni quindi muoversi per primi. Pensa che vi siano o vi possano essere resistenze?
 «Non credo. Fra i diversi livelli di tutela, il concetto di patrimonio mondiale dell’umanità è quello che riscuote maggior interesse e considerazione, sia fra gli amministratori che fra la popolazione. Penso che sostanzialmente le maggioranze a livello di consigli comunali vi siano già e che anche il grado di accoglimento fra la popolazione sia elevato».
 Non pensa che la tutela di parco naturale possa incontrare resistenze per le possibili limitazioni dello sviluppo turistico.
 «Come ho detto, l’obiettivo del patrimonio dell’umanità Unesco è entrato nei cuori della gente molto più che ogni altro tipo di tutela. Del resto l’Unesco di suo non pone vincoli e non sviluppa delle regole ed anche il parco naturale non vieta di entrarvi. Ma il messaggio Unesco ha creato un feeling positivo ed esso avrà la prevalenza».
 Quanto durerà l’iter per arrivare alla domanda?
«Bisogna contare su un paio d’anni - conclude Laimer -. Uno per l’allargamento del parco e uno fra Roma e Unesco. Ma la durata della pratica non è importante. L’importante è avviarla».
Alto Adige 18-11-10
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venerdì, 12 novembre 2010



Dolomiti, il logo non si cambia

ALDO DE PELLEGRIN
BRUNICO. Per il neonato logo delle Dolomiti Unesco già non c’è pace e, stando alle reazioni successive alla sua pubblicazione, non ce ne sarà ancora per lungo tempo. Dopo le violente critiche, sia di natura artistica (Oliviero Toscani) che di natura estetica e politica (Reinhold Messner e Luis Durnwalder) anche la rete degli abitanti delle Dolomiti e di coloro che le Dolomiti le conoscono e le amano e basta, si è già animata per dire no e per cercare in qualche modo di giungere ad una revisione del verdetto della giuria anche se il presidente di turno della Fondazione Dolomiti Unesco, il bellunese Alberto Vettoretto ha già affermato che: «Il logo può piacere o non piacere, ma non si può tornare indietro». Anche sulle violente critiche, il presidente si appella alla democrazia senza alimentare la polemica: «Tutti possono certamente esprimere la loro opinione. Piaccia o no però, finora il marchio ha dimostrato di funzionare: tutti ne parlano! Del resto logo deve richiamare il bene Dolomiti, non rappresentarle, e confondere le due cose è un errore.» Vettoretto ritorna poi anche sulla scelta della giuria tecnica: «Hanno lavorato sulla base di criteri precisi, prefissati in un bando regolare!» Non vi è dubbio quindi sull’intenzione della Fondazione di utilizzare il logo del designer valdostano Arnaldo Tranti anche se è uno dei suoi stessi colleghi e concorrenti, il vicentino Andrea Chemello a svelare ed accusare: «i tre loghi vincitori non richiamano il bene da individuare, come dal bando. Al di là del gusto estetico, così è come scrivere un tema andando, come si dice a scuola: “fuori tema”. Personalmente mi lamento del fatto che i punti obbligatori da sviluppare erano molto chiari e nessuno dei 3 lavori vincenti li ha fatti propri. Allora le regole a che servono?»
 Un’opinione che, magari con minor fondamento normativo ma basandosi invece più sul buon senso, è condivisa dalla rete. Basta scorrere il web e Facebook infatti, e non è assolutamente difficile imbattersi nei blog e nei gruppi che si confrontano con il logo e dibattono il quesito se accettarlo o meno. A partire dai commenti sul nostro sito, www.altoadige.it che danno un giudizio plebiscitariamente negativo. Già da un paio di giorni al sito www.firmiamo.it si è aperta la raccolta di firme al motto: «Evitiamo che pubblichino quell’orrido!» in cui si sono già superate le 1100 firme; quasi contemporaneamente su Facebook si è aperto il gruppo multilingue: «Against the new Dolomites Logo - contro il nuovo logo delle Dolomiti!» i cui membri aumentano si può dire ormai di ora in ora. Per non parlare di www.ladinia.it, il sito di informazioni della Ladinia che ha avviato un’indagine per conoscere il grado di apprezzamento del logo, grado che finora, scorrendo i commenti fatica a discostarsi dallo zero. Servirà a qualcosa? Difficile dirlo, anche se la condivisione, magari discussa, è uno dei primi valori per un bene comune.
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mercoledì, 10 novembre 2010



Messner: logo Dolomiti, che errore

MARTINA CAPOVIN
BOLZANO. Niente da fare. Anche per Reinhold Messner, uno degli uomini-simbolo delle Dolomiti oltre che re degli 8.000, il logo del valdostano Arnaldo Tranti, è da bocciare: «Sembra New York», il secco commento.
 Non c’è pace per il marchio creato dal designer valdostano e scelto dalla giuria presieduta da Cesare Micheletti che rappresenterà la Fondazione Dolomiti Unesco nel mondo, ma che dal giorno della sua presentazione non ha ricevuto altro se non una valanga di critiche.
 Nemmeno l’alpinista altoatesino l’ha gradito, pur non lanciandosi in commenti troppo lapidari. «Non riesco semplicemente ad entrare nell’ottica del creatore - spiega Messner a margine della presentazione della sua ultima fatica editoriale - anche sforzandomi in quelle immagini non riesco a vedere le nostre Dolomiti, ma piuttosto la skyline di New York. Quelli rappresentati sembrano quattro grattacieli siti in cima ad una collina. Potrebbe essere il logo perfetto per una metropoli, ma di certo non per le la montagna più bella del mondo. Sono certo che tutti ci abitueremo a questo simbolo in pochissimo tempo, anche se purtroppo l’identificazione non c’è ora e non ci sarà mai. Chi ci ha lavorato avrebbe potuto fare di meglio, anche se ho visto gli altri simboli finalisti e non mi pare - conclude il re degli Ottomila - ce ne fosse uno migliore».
 Un voto insufficiente anche da Reinhold Messner dunque per quest’immagine definita da alcuni “una vergogna per le Dolomiti”, da alti “uno scherzo di cattivo gusto” e da Oliviero Toscani addirittura carta igenica. Una pessima scelta, secondo il noto fotografo e pubblicitario, quella di lasciare una decisione del genere nelle mani di esperti di marketing. «Le Dolomiti sono un’opera d’arte, questo logo invece è adatto per la carne in scatola», ha detto con proverbiale schiettezza.
 Ma sommersi da una valanga di giudizi negativi, vi ne sono anche alcuni di positivi, tra i quali quello dell’assessore al turismo Hans Berger. «Mi sembra eccessivo dire, come hanno fatto alcuni, che le Dolomiti non si meritano una cosa così brutta. E nemmeno - prosegue Berger - voglio unirmi alla folta schiera di persone che hanno bocciato questo simbolo, che secondo me, merita un giudizio positivo». Poi spiega l’assessore: «Per creare il logo e per sceglierlo tra tutti quelli proposti ci si è affidati ad una squadra di designers ed esperti di marketing, che sicuramente sanno fare il loro lavoro. Hanno scelto un’immagine simbolica, nella quale le quattro cime rappresentano i quattro versioni della scritta “Dolomiti”. Effettivamente se vi fossero state rappresentate le Tre Cime ci sarebbe stata una riconoscibilità ed un’identificazione maggiori. Ma credo anche che in questo modo saremmo rimasti chiusi in degli schemi antiquati. Sono un logo ed un messaggio moderni che si adattano, come ovvio che sia, ai nostri tempi. Non siamo mica rimasti fermi a cent’anni fa». Poi conclude: «Ci tengo inoltre a sottolineare che nessun politico ha messo “lo zampino” nella decisione. Noi facciamo il nostro lavoro, gli esperti hanno fatto il loro, e secondo me, l’hanno fatto bene».
 Insomma, una delle pochissime voci che si sono tolte dal coro dei delusi. Tra queste rarità, c’è il parere del pubblicitario trentino Loris Lombardini: «Nulla di geniale, ma tutto sommato non mi dispiace».
Alto Adige 10-11-10
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sabato, 06 novembre 2010



Dolomiti Unesco, il logo è di Aosta 

BOLZANO. E’ di Arnaldo Tranti, designer di Saint Cristophe (Aosta), il marchio (nella foto) che rappresenterà la Fondazione Dolomiti Unesco nel mondo. A palazzo Piloni sono stati presentati i primi tre lavori classificati nel concorso che ha visto 420 partecipanti provenienti anche dall’estero. «Questo logo», ha spiegato Cesare Micheletti, presidente della giuria tecnica, «riunisce in sè gli aspetti geologici, paesaggistici e culturali richiesti dal bando, proiettando però le Dolomiti in una dimensione moderna». La prima uscita ufficiale del logo sarà il 18-19 novembre ad Assisi.
 «E’ la prima volta che partecipo a un concorso, l’ho fatto perchè mi ha subito emozionato riuscire a evocare l’aspetto mitologico insieme a quello moderno e identitario delle Dolomiti», ha commentato Tranti. Secondo classificato al concorso indetto dalla Provincia di Trento, è Enrico Belloni di Seregno (Monza-Brianza), terzo Diego Moreno di Modena. Alla presentazione era presente l’intero cda della Fondazione, dal segretario generale Giovanni Campeol ai rappresentanti delle cinque province: l’assessore Mauro Gilmozzi di Trento, Ottorino Faleschini di Udine, Giuseppe Verdichizzi di Pordenone, Michl Laimer di Bolzano e l’assessore bellunese, Alberto Vettoretto a fare gli onori di casa, nella sua veste di presidente della Fondazione. «Siamo arrivati al momento clou: il marchio che oggi è stato depositato, servirà a far circolare il bene Dolomiti in tutto il mondo». Il logo da oggi in poi dovrà essere affiancato ai marchi istituzionali dei membri della Fondazione stessa e sarà utilizzato in tutta la cartellonistica e la segnaletica stradale.
Alto Adige 6-11-10
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sabato, 23 ottobre 2010



«Dolomiti Unesco»: scelto il logo

PAOLA DALL’ANESE

BOLZANO. Entro i primi di novembre il logo della Fondazione Dolomiti Unesco potrà essere utilizzato. Parola dell’assessore provinciale bellunese Alberto Vettoretto che due giorni fa, a palazzo Piloni ha riunito il consiglio di amministrazione della Fondazione per visionare il logo che la commissione esaminatrice ha selezionato e soprattutto «per definire il regolamento per l’uso del marchio stesso, regolamento indispensabile, per legge, per poter registrare il logo». Su come sia fatto il marchio che è stato scelto, vige ancora il massimo riserbo. «E’ molto bello», si sbottona Vettoretto che aggiunge: «Entro il 5 novembre la presentazione ufficiale».
 Ieri il consiglio di amministrazione della Fondazione Dolomiti Unesco, formato dai cinque assessori delle province che ne fanno parte, si è riunito per esaminare il logo scelto dalla commissione, tra quasi 300 proposte giunte alla Provincia di Trento. «Sul logo», dichiara l’assessore bellunese, «c’è stata l’unanimità non solo della commissione, ma anche del Cda della Fondazione. Ma ancora non possiamo svelare di cosa si tratta».
 Vettoretto punta l’attenzione «sul grande lavoro di sintesi che abbiamo portato avanti in un clima di condivisione e armonia tra tutte le parti, per definire il regolamento con cui il marchio dovrà essere usato. E non è stato facile, visto che ogni provincia ha regole diverse. Ma siamo riusciti in una sola giornata a stendere una bozza che dovrà essere approvata in tempi rapidi».
 Infatti è intenzione della Provincia di Belluno accelerare i tempi. «Noi stiamo lavorando, anche se da fuori non se ne accorgono e vogliamo che entro il 5 novembre prossimo tutto sia ultimato».
 Sarà proprio in quella data che il Cda della Fondazione si è dato appuntamento per votare il regolamento, dando così il via alla registrazione del logo. «In questo modo, dopo alcuni giorni, potrà essere utilizzato».
 In tutto sono 277 le proposte per il marchio della Fondazione Dolomiti Unesco pervenute alla Provincia autonoma di Trento, che ha gestito il bando di concorso. Al vincitore del concorso andranno 30 mila euro, al secondo classificato 10 mila euro, mentre il terzo classificato si aggiudicherà il premio di 5. mila euro.
 Ma la riunione di ieri è servita anche per espletare un altro adempimento necessario per il buon funzionamento della Fondazione, vale a dire la presentazione ufficiale del segretario generale Giovanni Campeol. «Il segretario ha illustrato quali sono gli step fondamentali da attuare per poter superare l’esame della commissione Unesco il prossimo anno. Tra questi ci sono l’attivazione del sito web, su cui stiamo lavorando alacremente, la divisione delle reti e anche la scelta della sede. Su questo fronte prossimamente rifaremo un altro giro tra i sindaci».
Alto Adige 23-10-10
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domenica, 17 ottobre 2010


Dolomiti: si litiga anche per le bici

ALDO DE PELLEGRIN

CORVARA. Ciò che le Dolomiti patrimonio dell’Umanità uniscono su carta, lo dividono negli interessi. Così dal Bellunese si lamentano forti disagi dalle giornate su due ruote e si chiedono «forti contropartite» per i comuni.

Il boom della gare ciclistiche e delle escursioni cicloturistiche sui passi e nei territori dolomitici sta evidentemente diventando troppo pesante per i comuni dell’alto Bellunese che, a loro modo di vedere, lamentano solo disagi dall’uso delle strade da parte degli amanti della bicicletta, ma soprattutto da parte degli organizzatori di tali eventi che non sono certo pochi, ma che, a matrice altoatesina, sono principalmente tre: la Maratona dles Dolomites, i Sella Ronda Bike day’s ed il Giro cicloturistico delle Dolomiti. Vi sono poi anche la Sella Ronda Hero in mountain bike e le varie TransAlp per un totale, hanno contato in provincia di Belluno, di ben 28 manifestazioni ciclistiche estive transfrontaliere o comunque sovraccomunali che interessano i loro territori.

Per questo ora, la provincia di Belluno intende adottare un vero e proprio regolamento e, allo scopo, l’assessore Ivano Faoro si è incontrato con i sindaci dell’Alto Bellunese e con i vertici di Dolomiti Turismo per giungere al 2011 «con una regolamentazione più serrata ed efficace delle manifestazioni su due ruote, prevedendo una forte contropartita per i territori attraversati». Il problema, dal punto di vista bellunese, è noto: certe manifestazioni portano molti più oneri che onori e chi ci guadagna, molto spesso, non sono gli operatori bellunesi ma quelli delle province limitrofe. Per agire in maniera efficace «c’è bisogno di uno strumento giuridico - prosegue l’assessore - altrimenti il rischio è di rimanere solo nell’ambito delle parole. Il regolamento ribadirà il principio generale che queste corse non debbono portare solo disagi bensì avere una contropartita per promuovere i nostri territori».

In campo altoatesino la risposta dell’assessore al turismo Hans Berger è chiara ed aperta al dialogo: «Il dialogo è sempre la migliore soluzione per dirimere le questioni e, da parte nostra, sicuramente non ci sono nè ci saranno problemi, se richiesti, per metterci ad un tavolo e discutere delle possibili soluzioni. L’obbiettivo è che, da queste manifestazioni, tutti ne escano vincitori anche se non si può dare colpa dei disagi a chi ha agito per primo ed agisce tuttora, a proprio rischio, per promuovere il territorio, tutto il territorio dolomitico.» Sul fronte di Corvara e della Maratona dles Dolomites, tirata esplicitamente in ballo non solo in questa occasione, Damiano Dapunt direttore dell’associazione turistica sottolinea: «Per quanto riguarda la Maratona dles Dolomites, ma anche i Sella Ronda Bike day’s siamo più che tranquilli. Con i comuni interessati c’è già l’accordo anche per l’anno prossimo mentre dal punto di vista della promozione turistica e del ritorno d’immagine mi sembra che non ci si possa davvero lamentare: la Maratona dles Dolomites va in onda in diretta Rai e irradia immagini di tutti i comuni ed i territori attraversati, quindi anche quelli del Bellunese mentre i Sella Ronda Day’s sono organizzati dalle quattro vallate attorno al Sella per cui anche Belluno è direttamente coinvolta nell’organizzazione. Delle 28 manifestazioni - conclude Dapunt - la gran parte sono giri cicloturistici organizzati in Veneto che salgono fino alle Dolomiti.»

Alto Adige 17-10-10



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domenica, 29 agosto 2010



Dolomiti difese a singhiozzo Quando fa comodo, la Provincia cambia le carte in tavola

Vorrei condividere con voi le nostre preoccupazioni per quanto riguarda il futuro delle Dolomiti (che tanto amiamo). Ho detto la nostra famiglia perché abbiamo la splendida fortuna di essere già alla terza generazione di frequentatori di queste località che sono un vero dono dell’onnipotente a tutti coloro che con sensibilità e semplicità sono in grado di godere del loro immenso valore. Vorremo unirci adesso alla moltitudine di persone che si rendono conto, e ne sono scossi, di alcuni cambiamenti repentini che stanno accadendo sotto i nostri occhi. Innanzi tutto ci preoccupa l’argomento della Strada di Antersasc, un luogo che per noi ha sempre rappresentato la bellezza vergine e solitaria di un Parco per altro molto frequentato. Sembrerebbe che la provincia di Bolzano istituisca i suoi parchi per difendere la Natura ma con la riserva di cambiare opinione nel caso interessi specifici (di pochi) si incanalino al di sopra dell’istituito. Ci ha fatto particolarmente specie l’affermazione letta e pronunciata apparentemente dal presidente della Provincia quando invita al Sig, Michil Costa “a portare lui il sale alle pecore”. Dal punto di partenza più vicino alla malga di Antersasc ci sono 400 mt. di dislivello scarsi e noi cittadini escursionisti per diletto siamo abituati a farne di solito almeno il doppio quasi tutti i giorni. Forse il Sig. Durnwalder non è abituato a camminare o forse vorrebbe che il sale oggigiorno si portasse in quota in Toyota, come succede in tanti fastidiosissimi casi in cui ci si trova affiancati sui sentieri dai vari possidenti di permessi, che sfrecciado ci impolverano, spaventano e riempiono di ottima aria di motori.potrei numerare ed elencare molti esempi. Noi personalmente crediamo che montanari veri non abbiano mai avuto bisogno di strade da 100.000 euro e che gli elicotteri non siano poi una cattiva soluzione, visto che anche amici nostri si fanno rifornire del gas per il riscaldamento in questo modo.
Passando al altri esempi vorrei ora approfittare della sua gentile disposizione per chiederle qualche chiarimento su ulteriori casi che ci hanno sorpreso al nostro arrivo quest’anno. Tra Corvara e Colfosco si è realizzato uno scavo enorme in un bellissimo prato vergine che sembrava l’eden e la sicurezza che la natura regnasse ancora tra i villaggi. Abbiamo chiesto spiegazione ad alcuni conoscenti ma ci sembra veramente incredibile che, al di là dell’utilità sociale di detta opera, ci si riprometta di divenire la nuova conca del cemento come Cortina, o delle costruzioni una sopra l’altra come in Val Gardena. Forse pensano questi signori che si venga delle città per vedere case e palazzi? Siamo certi che ci sia bisogno di servizi e di miglioramenti, ma se la popolazione civile residente non aumenta perché devono necessariamente aumentare gli edifici? Un caso simile stà succedendo nei prati vicino all’Hotel Contrin di Fontanazzo, i prati nei quali giocavamo da piccoli; siano essi appartamenti o sia pure un nuovo albergo mi piacerebbe sapere se sperano si riempirli davvero sempre tutti questi posti letto e se poi ci riuscissero che bella consolazione, valli piene e sentieri pieni, un vero paradiso per gli allocchi,.evviva evviva il rombo del motore!!!
Alto Adige 22-8-10
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sabato, 31 luglio 2010



Moso in Passiria è illuminata dallo splendore del “Granat”

Oggi s’inaugura a Moso in Alta Val Passiria la nuova stazione informativa “Granat” e i granati sulle pendici rocciose sopra la località di Moso sono il nuovo simbolo dell’Alta Val Passiria. Su invito del sindaco di Moso Wilhelm Mathias Klotz, all’inaugurazione ufficiale dell’infopoint con piattaforma di osservazione, realizzato nell’ambito del programma Interreg IV Italia Austria, partecipano anche l’assessore provinciale al turismo Berger e l’assessore provinciale ai lavori pubblici Mussner.

 Il “Granat” (lett. granato), la prima stazione del progetto “Le emozioni di Passo del Rombo” su territorio sudtirolese, è pronto. La forma e il nome dell’infopoint si ispirano alle tipiche formazioni geologiche della Val Passiria. “Attraverso la scelta mirata dei materiali trovati sul posto vogliamo evitare di alterare o compromettere l’impatto visivo del paesaggio”, ha commentato il noto architetto Werner Tscholl, autore, tra l’altro, del progetto di rivitalizzazione “Messner Mountain Museum Castel Firmiano” nei pressi di Bolzano.

Curioso e informativo
 Mentre la piattaforma di osservazione illuminata regala splendide viste su Moso e sull’Alta Val Passiria, la seconda struttura a granato funge da spazio espositivo nonché da infopoint turistico. All’interno, il visitatore potrà informarsi sulle peculiarità e curiosità dell’Alta Val Passiria. Immagini in grande formato e brevi porzioni di testo in tre lingue illustrano per esempio il curioso trasporto a valle del fieno di montagna e forniscono informazioni interessanti sullo storico lago Kummersee (lett. lago delle preoccupazioni) a Corvara in Passiria, sul nuovo Bunker-Mooseum a Moso, sulle cascate più alte dell’Alto Adige o sul paese di Stulles con il maggior numero di bambini d’Europa. Il chiosco interattivo collegato a Internet offre inoltre la possibilità di informarsi circa le attrazioni, le strutture ricettive e gli esercizi gastronomici dell’Alta Val Passiria.

Strada panoramica “Le emozioni di Passo del Rombo”
Il “Granat” è parte del progetto “Le emozioni di Passo del Rombo”, attualmente in fase di realizzazione sulla strada di valico che collega Moso in Passiria e Hochgurgl in Austria.

L’ambizioso progetto di musealizzazione della strada è stato promosso dal comune di Moso in Passiria in collaborazione con la società Timmelsjoch Hochalpenstraße AG e porta la firma dell’architetto Werner Tscholl. “Il nostro obiettivo è quello di offrire un valore aggiunto a chi transita su questa strada creando al tempo stesso impulsi economici sostenibili per l’intera regione,” ha commentato Maria Gufler, iniziatrice del progetto nonché vicepresidente dell’Associazione Turistica Val Passiria. Per info www.timmelsjoch.com
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sabato, 03 luglio 2010


Oltre novemila sui passi

 LA VILLA. Domattina alle 6.30, proprio difronte alla Gran Risa, la pista da sci mondiale, partirà l’edizione numero 24 della Maratona dles Dolomites. È la seconda nel cuore delle Dolomiti che dallo scorso anno hanno la «griffe» dell’Unesco che ha considerato i Monti Pallidi patrimonio naturale dell’umanità. L’arrivo è sempre a Corvara. Al via oltre 9000 atleti sorteggiati, provenienti da tutto il mondo. Sono i più fortunati visto che a casa ne sono rimasti quasi il triplo. I leggendari passi Campolongo, Sella, Pordoi, Gardena, Giau, Falzarego e Valparola - rigorosamente chiusi al traffico - consentiranno di cimentarsi nei tre percorsi di gara: il lungo di 138 chilometri e 4190 metri di dislivello, il medio di 106 chilometri e 3090 metri di dislivello ed il Sella Ronda di 55 chilometri e 1780 metri di dislivello. Ripresa televisiva, per il settimo anno consecutivo, anche per l’edizione 2010 a partire dalle ore 6.10 fino alle ore 12. Non solo gara nel corso della trasmissione, condotta da Alessandro Fabretti, ma anche ospiti in studio per momenti di cultura e tradizioni locali. Il supporto radiofonico sarà anche quest’anno affidato a Nbc Rete Regione.
Alto Adige 3-7-10
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venerdì, 02 luglio 2010



E Bolzano capitale non vuole restare all’ombra di Venezia

Un sogno cullato fin dagli anni Novanta: candidare Bolzano come capitale europea della Cultura per il 2019, anno assegnato all’Italia per la prossima ambita designazione (dopo quelle di Firenze, Bologna e Genova), da parte dell’Unione Europea. Poteva sembrare un sogno quasi proibito che nel corso degli anni si è rivelato tutt’altro che un semplice sogno, se è vero che le dimensioni così come la fama nel mondo, si sono rivelati requisiti del tutto ininfluenti.
 Lo hanno dimostrato per esempio nel 2003 Graz in Austria, nel 2005 la semisconosciuta Cork in Irlanda, mentre nel 2012 saranno di scena di scena Maribor in Slovenia insieme a Guimaraes in Portogallo (dal 2009 infatti le “capitali” possono essere infatti più d’una in seguito all’allargamento della Comunità europea a 25 membri): tutti centri di dimensioni analoghe se non inferiori rispetto a Bolzano. Il “titolo” di capitale, in vigore per un intero anno, viene utilizzato da un crescente numero di centri minori per trasformare e far crescere completamente la loro base culturale e acquistare una visibilità internazionale.
 Fondamentale invece - come si legge nel testo varato dal Parlamento europeo e dal Consiglio il 25 maggio 1999 - è la stesura da parte delle aspiranti “di un programma tendente a valorizzare le correnti culturali comuni ai cittadini europei, promuovere manifestazioni che contribuiscano a instaurare cooperazioni culturali durature fra le città europee favorendone la circolazione, coinvolgere ampi settori della popolazione attenendosi a un’impostazione plurilinguistica, promuovere il dialogo, valorizzare i patrimoni storici e l’architettura urbana” e così via.
 Proprio il plurilinguismo è stata la “scintilla” che ha stuzzicato l’interesse del Comune già qualche anno fa, inducendo l’amministrazione Salghetti a mobilitare esponenti della cultura e dirigenti comunali del settore col compito di analizzare i requisiti e le strutture disponibili per individuare un tema conduttore tale da far risaltare il ruolo storico di Bolzano co il suo ruolo di ultrasecolare punto d’incontro e di scambio fra diverse culture, di conseguenza plurilingue per eccellenza.
 Da allora tuttavia l’idea è rimasta sottotraccia, fino all’improvviso scossone di qualche mese fa, sull’onda di una recrudescenza delle tensioni etniche coincise con l’anno hoferiano: superare divisioni e contrasti di stampo nazionalistico valorizzando la cultura come “vaccino” antiestremistico ed efficace stimolo per la collaborazione, tolleranza e comprensione di respiro pressoché continentale.
 Sulle prime un sia pur tiepido consenso politico di facciata, si è scontrato immediatamente con il “no” secco” dell’ex vicesindaco Oswald Ellecosta che ha chiamato in causa i noti “relitti fascisti”; tiepida anche l’accoglienza in Giunta provinciale dove, accanto alle perplessità circa i costi, è riaffiorata nell’area politica maggioritaria di lingua tedesca la visione di un capoluogo ancora troppo estraneo, in quanto a maggioranza “italiana” alla popolazione “tedesca” del territorio.
 Di qui la svolta in direzione di un allargamento all’Euregio alpina della “capitale” coinvolgendo sia Trento che Innsbruck: progetto arduo soprattutto per le implicazioni internazionali. A superare un’impasse che pareva senza via d’uscita invece ecco prospettarsi un’aggregazione di tutto il Nordest.
 Un autentico poker d’assi calato dal neo-presidente della Regione Veneto Luca Zaia a sostegno di un progetto che dovrebbe coinvolgere oltre che il Trentino-Alto Adige anche il Friuli-Venezia Giulia, una “cordata” guidata da un “jolly” del calibro di Venezia, in grado di neutralizzare anche una concorrente di tutto rispetto come Ferrara. La proposta ha avuto fortuna visto che nel giro di poche settimane è stata fatta propria anche dalla Giunta provinciale, sia pure scavalcando non senza qualche protesta, lo stesso Comune.
 Un progetto che pare quasi “blindato” ma che può suscitare qualche perplessità: quale spazio resterà per Bolzano al fianco non solo di Venezia, ma di realtà come Trieste in fatto di plurietnie e plurilinguismo, di cultura mitteleuropea, per non parlare del patrimonio artistico delle città venete; di quanto salirà il tasso di “visibilità” e di notorietà mondiale?
 Per una prima valutazione abbiamo avviato un “giro” di consultazioni dedicate a una serie di personalità ai vertici del mondo culturale bolzanino.
Alto Adige 30-6-10
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giovedì, 24 giugno 2010



L’Avs si era impegnato: cartelli in italiano

DAVIDE PASQUALI
BOLZANO. Monolinguismo sui sentieri di montagna: per il rinnovo dei cartelli in quota, l’Alpenverein Südtirol si era impegnato a utilizzare i toponimi italiani, così come i nomi propri in italiano dei rifugi, secondo le indicazioni fornite dalla Provincia. E si era consapevoli si trattasse di un obbligo di legge. Anche perché, in una missiva del 2007, l’assessore Widmann aveva sottolineato il carattere ufficiale, e quindi di pubblico servizio, delle linee guida elaborate dall’Avs per la realizzazione dei cartelli, da usarsi come base per i finanziamenti al riguardo da parte della stessa Provincia. E sempre in tema di sovvenzioni, le singole sezioni locali dell’Avs hanno usufruito di finanziamenti da parte dei Comuni. Proprio per la cartellonistica.
 Non sono opinioni, ma dati di fatto che si evincono dalla relazione finale sul “Südtirol-Wegeprojekt” elaborata dall’Avs e sottoscritta fra gli altri dall’allora referente del progetto, nonché odierno presidente dell’associazione, Georg Simeoni. E per sgombrare il campo dalle inesattezze (volute o meno) e dalle ondivaghe e fuorvianti opinioni emerse in queste settimane, è forse il caso di citare testualmente, a scanso di equivoci. Anche perché la relazione sul progetto sentieri, fino ad ora, non è che sia stata molto considerata.
 Per cominciare: la segnaletica in quota fa parte a pieno titolo del progetto cofinanziato da Ue, Stato e Provincia. «In conclusione - scriveva l’Avs a pagina 18 della relazione, nel 2007, al termine della digitalizzazione della rete sentieristica - è ora compito dei responsabili tecnici elaborare la cartellonistica in maniera conforme alle linee guida sulla segnaletica dei sentieri. Grazie ai collegamenti con la banca dati testè definita, sono determinate le mete da rappresentare sui cartelli e queste devono solamente essere attribuite al singolo cartello, così come il tempo di marcia, l’orientamento del cartello e altre informazioni complementari». Particolarmente interessante pagina 19, sulla Toponomastik: «Dato che il tema della toponomastica in Alto Adige, a causa della regolamentazione politica ancora mancante, è causa di opinioni discordanti e fonte di attriti interetnici, l’Avs si è impegnato fin dall’inizio dei lavori all’impiego dei toponimi in base al loro uso da parte degli uffici dell’amministrazione provinciale. Sono stati pertanto considerati i toponimi italiani, così come i nomi propri in italiano dei rifugi, secondo le indicazioni della competente ripartizione provinciale».
 Alle pagine 20, 24 e 25 vengono poi elencate le direttive per la realizzazione della segnaletica lungo i sentieri. Sono dunque ricomprese ufficialmente nel progetto - ribadiamo: cofinanziato dagli enti pubblici, come si evince dalla copertina della relazione - peccato che ci si dimentichi rapidamente di quanto scritto poche righe sopra: nessun riferimento all’adozione di qualsivoglia dizione italofona. Anche le immagini allegate sono illuminanti: tutto il software di supporto alla realizzazione della segnaletica è esclusivamente in lingua tedesca, nomi compresi.
 Passiamo infine al tema dei finanziamenti. Vale la pena leggere il capitolo 8 della relazione, a pagina 36. «L’adattamento della segnaletica dei sentieri alla situazione di progetto rilevata avrebbe dovuto aver luogo nella prima zona di rilevamento già da tre anni (ovverosia nel 2004) ma a causa della mancanza di finanziamenti non si era potuto procedere. Grazie all’accordo raggiunto con le amministrazioni comunali di volta in volta competenti, relativamente al finanziamento, questa parte del progetto ha preso avvio lo scorso anno (nel 2006)». Ciò che la relazione non dice, è se i finanziamenti siano stati negoziati dall’Avs centrale (cosa difficile) oppure siano stati racimolati dalle singole sezioni Avs. Se così fosse, c’è da dubitare che se ne trovi traccia nei bilanci dell’Avs centrale. Insomma, detta altrimenti: per accertare per filo e per segno come siano andate le cose e chi ne sia responsabile, occorrerà scandagliare anche i bilanci dei singoli comuni - deputati a concedere sovvenzioni pure alle associazioni turistiche, molte delle quali altrettanto complici dell’attuale monolinguismo in quota - come pure i bilanci delle singole sezioni Avs.
Alto Adige 24-6-10
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mercoledì, 23 giugno 2010


Bonatti fa 80 anni: festa a casa Messner

GIANFRANCO PICCOLI
 BOLZANO. Una festa di compleanno da favola. E la cornice ideale per le favole è un castello. Reinhold Messner ha fatto le cose in grande per l’amico Walter Bonatti, celebrità dell’alpinismo e dell’esplorazione che ieri ha compiuto 80 anni. Messner ha aperto prima le porte di Castel Firmiano, poi quelle (private) di Castel Juval, dove c’erano ad attendere Bonatti una sessantina di selezionatissimi invitati, tra i quali Erich Abram, 88 anni, unico altoatesino della spedizione italiana che nel 1954 conquistò il K2, con una coda di polemiche che si è trascinata fino al 2008. Poi tanti amici e pezzi da novanta dell’alpinismo mondiale di ieri e di oggi: solo per citarne un paio, Simone Moro (bergamasco come Bonatti e autore di alcune prime invernali sugli 8.000) e il roveretano Sergio Martini, coetaneo di Reinhold Messner e come lui capace di conquistare tutti e 14 i giganti della terra.
 A vederlo, di Bonatti non verrebbe da dire che è un arzillo vecchietto. Togliamo pure il vecchietto, come lui stesso conferma: «Con le esperienze che ho accumulato nella mia vita di anni ne ho 200, ma lo spirito è quello di un quarantenne», spiega commentando il traguardo imposto dall’anagrafe.
 Il legame tra Messner e Bonatti, che pur fanno parte di due generazioni diverse dell’alpinismo, è lungo tanto quanto la loro storia di scalatori ed esploratori. Reinhold va a pescare tra i ricordi di scuola per far capire cosa rappresentava per lui Bonatti: «A 12 anni uno dei pochi temi d’italiano che ho fatto l’ho dedicato a Walter: da ragazzino sognavo di essere lui. Il voto del compito? No, quello non me lo ricordo», ride il re degli 8000. Bonatti è uno dei primi ad intuire quello che potrà fare (e, in effetti, farà) Reinhold Messner, tanto che nel suo secondo libro, «I giorni grandi», pubblicato nel 1972, la dedica è proprio per l’alpinista altoatesino, «giovane e ultima speranza dell’alpinismo tradizionale». Un’amicizia fatta di stima, affetto, ma anche doni importanti, come la tuta e il sacco da bivacco usati da Bonatti durante la salita al K2 ed oggi esposti come cimeli nel Mountain Museum di Messner.
 Proprio l’amore per la purezza del gesto alpinistico, unito alla passione per la scoperta dell’inesplorato, uniscono nel profondo questi due giganti. «Io e Walter - ha detto ieri Messner - abbiamo la corresponsabilità di portare nel futuro l’alpinismo tradizionale». Lo «stile alpino», infatti, sembra aver ceduto il passo alle corde fisse e ai portatori che attrezzano le vie («Gli 8.000 sono ormai ferrate d’alta quota», ha sentenziato Messner più volte), alla ricerca del grado estremo piuttosto che dell’avventura. Per non parlare della caccia al record, vedi il tredicenne che ha raggiunto la vetta dell’Everest: «Che senso ha il record per un alpinista? - ha detto Bonatti - il record non significa nulla, lo lasciamo a chi corre in bicicletta».
 Bonatti, di sé stesso, dice di essere il figlio del fiume, non della montagna: «Sognavo le terre lontane di Jack London ed Ernest Hemingway - si racconta ancora l’ottantenne - ho avuto la fortuna di vederle più volte queste terre, prima come alpinista, poi come inviato di Epoca». Quando era bambino, la mente di Bonatti viaggiava lontano, laddove è poi davvero sbarcato: «Vedevo i relitti passare sul fiume Po, io ci salivo sopra con la fantasia e raggiungevo gli oceani; nei periodi di secca vedevo il deserto, mentre alle mie spalle c’era la foresta e all’orizzonte la linea delle Prealpi».
 Un uomo che ha sempre cercato di spostare, in modo «pulito», i limiti: «Ma non ero in competizione con nessuno, se non con me stesso», ha confessato ieri Bonatti. Il K2, con le sue polemiche, rimane, piaccia o no, il marchio cui è legato nell’immaginario collettivo: «Ma ho lottato sempre, per 53 anni, e alla fine mi hanno dato ragione: dalla mia avevo la forza della verità, perché due più due non può che fare quattro». Ad Erich Abram, compagno in quella spedizione, dedica parole speciali e cariche d’affetto: «Come un fratello, degli undici che hanno partecipato a quella spedizione è il solo vero amico», ha detto Bonatti. Che aggiunge: «Se non ci fosse stata quella porcheria, sul K2 ci salivamo noi».
Alto Adige 23-6-10

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lunedì, 21 giugno 2010



Toponimi, il rifiuto del Cai

ANTONELLA MATTIOLI

BOLZANO. «Siamo per il rispetto dello statuto: non firmeremo mai la proposta dell’assessore Berger così come ci è stata presentata. Per questo stiamo lavorando ad una nostra proposta». Giuseppe Broggi, presidente del Cai, dopo l’ultima frecciata dell’assessore provinciale al turismo, abbandona i toni diplomatici e parla in maniera schietta. Perché non vuole passare per quello che starebbe - come sostiene l’assessore della Svp - boicottando il raggiungimento dell’intesa sulla delicata questione dei toponimi.
 «L’Avs ha avuto tantissimo tempo per fare quello che ha fatto: ovvero cancellare i nomi italiani. Noi invece stiamo facendo un lavoro serio che richiede ovviamente tempo. I miei stanno verificando tutti i nomi riportati sulle carte dei sentieri, vale a dire i nomi che vengono utilizzati da coloro che vanno in montagna. Siamo rigorosi e per evitare contestazioni il lavoro delle nostre sezioni viene controllato da un cartografo».
 A che punto siete? «Ormai è questione di giorni. Ci manca solo la Val Pusteria. Poi, per quello che ci riguarda, abbiamo concluso. Consegneremo l’elenco dei nomi all’assessore Tommasini che ne discuterà con Berger». L’impressione però è che la vostra proposta sia lontana anni luce da quella di Berger? «La lista di nomi presentata da Berger è ridicola. Assurda. Contiene solo tremila nomi bilingui. È di fatto il database dell’Avs. Per noi i toponimi bilingui sono almeno il doppio. Del resto, è lo statuto a prevedere il bilinguismo dei toponimi: noi chiediamo il rispetto del principio. Non potremmo fare altrimenti. In ballo, come qualcuno vorrebbe far credere, non ci sono i nomi di un prato o di una malga, su cui nessuno discute, ma i nomi di cime, sentieri, corsi d’acqua».
 La situazione si complica. La colpa però non è del Cai ma di chi ha cancellato l’80% dei cartelli bilingui sui sentieri di montagna.
 Dopo aver messo la politica davanti al fatto compiuto, l’Alpenverein avrebbe voluto - come chiesto all’ultima assemblea di Castel Firmiano - che la Provincia avallasse l’operazione di epurazione linguistica. L’assessore Berger da settimane ripete che si punta ad un accordo di “buonsenso tra Avs e Cai” e al ministro Raffaele Fitto, che sollecita il ripristino dei cartelli bilingui, ha assicurato che entro il mese ci sarà la soluzione. Ma le posizioni di Cai e Avs sono inconciliabili: i primi pretendono il rispetto del bilinguismo, i secondi hanno già provveduto a cancellare gran parte dei nomi italiani.
 Il ministro Fitto, anche nell’ultima lettera inviata al presidente della giunta provinciale Durnwalder, lascia intendere che non accetterà ulteriori rinvii su una questione aperta ormai da troppo tempo. La Svp, compatta, fa barriera contro gli inviti al rispetto del bilinguismo che arrivano da Roma. L’onorevole Karl Zeller ricorda che la Provincia ha competenza primaria in materia di toponomastica (nel rispetto del bilinguismo però, ndr) e il ministro non ha voce in capitolo. I toni sono più o meno gli stessi di un anno fa, quando il commissario del governo aveva chiesto all’Avs il ripristino dei cartelli bilingui.
 Stavolta però le cose potrebbero prendere una piega diversa. La soluzione allo studio, secondo la deputata Michaela Biancofiore (Pdl), è quella dell’esercizio di poteri sostitutivi da parte del governo rispetto alla Provincia. In sostanza Roma, attraverso il commissario del governo, potrebbe ordinare la sostituzione dei cartelli monolingui. Ma tra i giuristi ci sono opinioni divergenti sulla reale possibilità di percorrere questa strada. Un’altra soluzione potrebbe essere quella dell’impugnazione delle delibere provinciali che però richiede tempi più lunghi.
 A questo punto sarà interessante vedere quali saranno le prossime mosse del ministro Fitto che ha chiesto entro fine mese una soluzione sui cartelli di montagna. Si dice però che più che gli ultimatum che arrivano dalla capitale a preoccupare la Provincia siano soprattutto le ricadute negative che la discussione sulla toponomastica potrebbe avere sul turismo. L’industria delle vacanze va alla grande e non ci si può permettere di aprire la stagione con le polemiche sui cartelli monolingui. Anche perché, soprattutto in estate, a riempire gli alberghi delle vallate altoatesine sono proprio le famiglie italiane. Inutile dire che non apprezzano quando trovano cartelli quasi esclusivamente in tedesco.
Alto Adige 21-6-10
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sabato, 19 giugno 2010



Le regole per affrontare l’alta montagna

Tempo di montagna: ogni escursionista, però, specie ci si spinge oltre le normali camminate e si punta sulle alte quote, dovrebbe memorizzare una sorta di vedemecum per evitare problemi. Vediamo dunque quali sono le regole principali cui attenersi.
- Conoscenza dell’ambiente alpino, passo sicuro e assenza di vertigini, buona condizione fisica.
- Informazioni dettagliate sull’escursione quali dislivello in salita e in discesa, lunghezza, tipo di percorso e terreno, difficoltà, tempi di marcia singoli e complessivi.
- Verifica di dove si trovano i punti di sosta quali punti di ristoro, rifugi, impianti di risalita e le fermate dei bus.
- Prima di partire informare i parenti, l’oste del rifugio, il proprietario dell’albergo dell’itinerario selto, della meta e dell’ora di ritorno prevista. Qualora cambiasse il programma dell’escursione, informare tempestivamente parenti o amici per evitare inutili operazioni di soccorso.
- Partire nelle prime ore del mattino, scelta indispensabile in caso di escursioni molto lunghe, per evitare il gran caldo durante il giorno e la tendenza a temporali pomeridiani.
- Durante l’escursione bere abbondantemente e fare pause regolari. Mangiare in diversi momenti cibi a contenuto energetico e leggeri.
- Non superate mai i limiti delle proprie capacità avendo il coraggio di rientrare in caso di affaticamento eccessivo o situazioni di pericolo. Percorrere sempre e soltanto i sentieri segnati evitando le scorciatoie. Evitare discese al buio.
Alto Adige 19-6-10
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mercoledì, 09 giugno 2010


Elisoccorso, esercitazione in alta quota

ORTISEI. Gli angeli dell’elisoccorso provinciale sono impegnati fino a sabato in val Gardena per il corso formativo «Terra Aria», che è anche l’occasione per confrontarsi sulle metodologie di intervento, analizzare i dati a disposizione e riuscire a migliorare ulteriormente il servizio. Il corso è organizzato dall’Aiut Alpin Dolomites, che vuole garantire a sanitari e medici una preparazione alpinistica e medico-scientifica di alto livello. Il responsabile scientifico è Michele Nardin. Quest’anno la proposta formativa «Terra Aria» è stata organizzata assiema a Hems (www.hems-association.com), associazione fondata nel 2008 in val d’Aosta. Il presidente Enrico Visetti, primario di rianimazione, anestesia e del servizio di elisoccorso valdostano è riuscito nell’intento di unificare le basi dell’elisoccorso dell’arco alpino e in parte anche dell’Appennino. Il corso - spiega il dottor Alexander Franz - si tiene in val Gardena per la parte estiva e dal 14 al 20 novembre a Solda per la parte invernale. I due corsi riconosciuti a livello provinciale e internazionale (diploma per Mountain Emergency Medicine) offrono a tutti i medici e infermieri in servizio presso le basi di elisoccorso (Aiut Alpin Dolomites, Pelikan 1 e Pelikan 2) la possibilità di aggiornarsi su tematiche mediche e alpinistiche. La partecipazione di 61 medici e infermieri provenienti da tutta Italia consentirà un confronto, sicuramente stimolante. La mattina è dedicata al miglioramento delle tecniche alpinistiche, mentre il pomeriggio è incentrato su tematiche scientifiche. «Discuteremo di terapie per pazienti in pericolo di vita, delle peculiarità degli interventi in ambiente ostile, di politraumatizzati, ictus e altro ancora». Il responsabile del corso è il primario del 118 Manfred Brandstätter, Michele Nardin e Alexander Franz curano la parte scienfitica e organizzativa, Olaf Reinstadler (Cnsas Solda), Georg Hölzl (Brd) e Othmar Prinoth (Cnsas e Aiut Alpin Dolomites) dirigono la parte tecnica e alpinistica. (m.bon.)
Alto Adige 9-6-10
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martedì, 08 giugno 2010


Per i passi la proposta di Messner «Chiusi al traffico a fasce orarie»

BOLZANO. Via le auto dai passi dolomitici: è la proposta che Reinhold Messner ha rilanciato domenica dal suo museo sul Monte Rite, nel Bellunese, all’inaugurazione della mostra dedicata al riconoscimento da parte dell’Unesco delle Dolomiti quali patrimonio dell’umanità.
 Il Re degli Ottomila è entrato nel dettaglio, parlando di passaggi a tempo: «Finestre orarie per far passare la auto e finestre orario per far passare le biciclette - ha detto Messner -. E poi navette per sostituire le auto. Si potrebbe cominciare dal Pordoi, ma non può essere una decisione presa dai sindaci, qui devono intervenire le tre Province».
 Una proposta alla quale l’assessore Florian Mussner replica ribadendo la posizione della Provincia Autonoma di Bolzano. «Dal punto di vista legislativo ed organizzativo siamo pronti all’introduzione del pedaggio - spiega l’assessore -, ma ovviamente attendiamo su questo fronte un’intesa con le province di Trento, che pare favorevole alla soluzione dai noi individuata, e Belluno, che invece è contraria a qualsiasi limitazione del traffico sui passi dolomitici».
 Ma dell’idea di Messner, Mussner che ne pensa? «Nel nostro piano sono previste iniziative analoghe a quelle proposte da Messner, come la chiusura al traffico periodica, un giorno al mese, in favore dei ciclisti. Noi puntiamo alla salvaguardia dell’integrità di una zona molto delicata dal punto di vista ambientale e gli studi dell’Eurac dimostrano che l’introduzione del pedaggio ridurrebbe il traffico sui passi. In più, con i fondi raccolti grazie all’introduzione del pedaggio si potrebbe finanziare la mobilità alternativa, quale ad esempio quella costituita da bus navetta ecologici», conclude Florian Mussner.
 La proposta di Messner è invece sostanzialmente condivisa dai Ladins Dolomites, che puntano però soprattutto alla tutela dei diritti dei residenti. «Non è possibile che un abitante di Selva per andare a Colfosco debba fare il giro dall’altra - spiega Albert Pizzinini, portavoce del movimento -. Noi siamo sicuramente favorevoli ad una riduzione del traffico sui passi dolomitici, la chiusura al traffico veicolare per alcune ore potrebbe essere una soluzione. Ma questi provvedimenti vanno inseriti in un contesto di rivalutazione dell’offerta turistica, specie di quella sostenibile. E allora ben vengano i bus navetta e spazio alle biciclette: quello delle due ruote è un turismo che ci potrebbe permettere di allungare la stagione».
 I Ladins Dolomites, invece, sono fermamente contrari all’introduzione del pedaggio: «Serve solo per fare cassa e non riduce il traffico - conclude Pizzinini -. La Provincia dovrebbe preoccuparsi invece di migliorare la sicurezza dei collegamenti nel periodo invernale, i passi sono chiusi troppo a lungo, il disagio per i residenti è eccessivo». (mdg)
Alto Adige 8-6-10
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mercoledì, 02 giugno 2010



Berger: non traduciamo i microtoponimi

DAVIDE PASQUALI
BOLZANO. «Non so chi abbia fornito il parere legale al ministro Fitto, perché a mio avviso tradurre la microtoponomastica non si può e non serve». Lo dice l’assessore provinciale Berger. «Comunque sia, mi interessa poco. La mia proposta è un’iniziativa di buon senso che mira a dare un servizio agli alpinisti. So che il Cai sta preparando la controproposta. La aspetto volentieri: se possibile arriveremo al compromesso».
 Il ministro Fitto, rispondendo a un’interrogazione sulla toponomastica monolingue lungo i sentieri di montagna altoatesini, presentata dall’onorevole Giorgio Holzmann, ha messo i puntini sulle i, illustrando la necessità del rispetto del bilinguismo da parte di chiunque sia concessionario di pubblico servizio e invitando la Provincia a non concedere contributi a chi non rispetti le norme dell’autonomia.
 L’assessore provinciale al turismo, Hans Berger, commenta: «Non sono molto d’accordo con quanto affermato dal ministro Fitto, almeno su un aspetto. Non so chi gli abbia fornito il parere legale sulla questione, ma mi interessa poco. Secondo me, non ha molto senso parlare di traduzione della microtoponomastica: è tecnicamente difficile se non impossibile e poi non è di alcuna utilità. Non serve a nessuno». Comunque sia, «l’unico fatto importate è questo: sui sentieri di montagna tutto deve essere fatto esclusivamente nell’interesse di chi li frequenta, siano alpinisti, turisti o gente del posto. Essenziale è fornire un servizio a chi gira sui sentieri e lì si deve orientare».
 A tale proposito, la proposta presentata da Berger all’Alpenverein prevede un elenco di «nominativi usati dagli alpinisti e normalmente nelle zone interessate; quando serve devono sicuramente essere bilingui».
 Berger tiene particolarmente a precisare: «La proposta mia e dell’Avs tende a questo: non vogliamo più assistere a queste liti sulla toponomastica. Non servono a nulla. Dobbiamo invece trovare una soluzione, e non ci interessa se giunga da destra o da sinistra, se sia più italiana o più tedesca». Quindi, apre l’assessore, «aspetto volentieri la prosposta del Cai. Purtroppo giungerà un po’ in ritardo per l’attuale stagione estiva, che sta per iniziare, ma servirà comunque a risolvere per il futuro. Se la proposta non sarà incentrata solo su questioni legali, se non avrà un’impostazione rigida e se rispetterà l’interesse degli alpinisti, sono disposto a prenderla in considerazione e a studiare un compromesso. Se si troverà una soluzione che andrà bene a tutte le parti, la porterò in giunta. Non sarà una legge, ma una soluzione. Basta che non ci siano di mezzo le accuse o la necessità di avere sentenze».
 D’accordo invece col ministro Fitto, «su tutta la linea», si dice il presidente del Cai Alto Adige Giuseppe Broggi. «Sui commenti espressi da Durnwalder, invece, preferisco dire che non ho parole. Non so come si faccia a pensare che la toponomastica tedesca sia a rischio se si inserisce pure l’italiana. La paura è infondata». Comunque sia, anche Broggi è per la ricerca di una soluzione di buon senso: «In questi giorni, termineremo nel giro di una settimana circa, stiamo elaborando la nostra controproposta a Berger, con l’appoggio e il sostegno del vicepresidente della giunta Tommasini. Alcuni aspetti ci vanno bene, per esempio Berger propone la segnaletica plurilingue per i segnali di pericolo, e quella va benissimo. Su altri aspetti siamo meno d’accordo, ma non cerchiamo certo lo scontro. Anche la nostra proposta sarà un sorta di elenco di nomi da usare. Non vogliamo certo il bilinguismo per il prato o il fienile privato, o un nome se non è usato da nessuno. Si tratta, come vuole Berger, delle indicazioni fornite dai nostri tecnici della sentieristica, dunque dagli alpinisti. Speriamo di trovare un accordo, anche con il sostegno del vicepresidente Tommasini».
 «Ci siamo incontrati col Cai lunedì sera», commenta il vicepresidente. «Stiamo lavorando seriamente da tempo, ci tengo a dirlo, solo sulla toponomastica di montagna. Tutti sono ormai d’accordo: ci sono stati degli errori e ora si deve recuperare, ripristinando il bilinguismo, specie nelle zone di grande visibilità, tipo ad Appiano. Al netto della magistratura, che accerterà le responsabilità, adesso dobbiamo trovare una soluzione, per questo sostengo apertamente il Cai».
Alto Adige 2-6-10



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martedì, 01 giugno 2010

Il ministro: cartelli bilingui, un obbligo

GIANFRANCO PICCOLI
BOLZANO. La toponomastica non può che essere bilingue, così come prevede lo Statuto di autonomia, e non ci può essere alcuna distinzione tra «micro» e «macro» toponomastica: il principio, formulato inizialmente per tutelare il gruppo linguistico tedesco, oggi deve essere utilizzato per garantire la pacifica convivenza. Così il ministro per i rapporti con le Regioni, Raffaele Fitto, ha risposto ad un’interrogazione presentata da Giorgio Holzmann in merito alla segnaletica in montagna, al centro anche di un’inchiesta (per ora senza indagati) della Procura di Bolzano.
 Netta l’indicazione del Ministero, che con il richiamo alla «pacifica convivenza», sembra quasi invitare l’amministrazione provinciale a non interpretare in modo strumentale (a favore del solo gruppo tedesco) le norme statutarie.
 Il ministro ha invitato al rispetto delle norme la Provincia e la stessa Alpenverein: «La Provincia non può ammettere a contributo - ha scritto Fitto nel documento di risposta a Holzmann - iniziative che non prevedano la collocazione di cartelli bilingue, né può liquidare alcuna sovvenzione per contributi ammessi, qualora al termine dei lavori sia riscontrata la presenza di segnali monolingue». «L’Avs - ha scritto ancora il ministro - quando effettua interventi per la segnalazione dei sentieri alpini è concessionario di servizio pubblico e come tale è tenuta all’osservanza delle disposizioni». Fitto ha quindi richiamato gli amministratori a non interpretare a favore di un solo gruppo linguistico le norme dello Statuto: «Le norme statutarie, volte ad assicurare l’effettiva applicazione del principio del bilinguismo nei riguardi della popolazione di lingua tedesca - ha scritto - non autorizzano certo una lettura che limiti l’uso della lingua italiana nella toponomastica».
 Luis Durnwalder, che ha già letto il documento firmato da Raffaele Fitto, non si stupisce dei toni: «Non c’è nulla di nuovo nelle parole del ministro - commenta tranquillo il presidente della Provincia - è la solita posizione, per altro in netto contrasto con la mia». Il pensiero di Durnwalder è noto: bilingui tutti i toponimi contenuti nelle leggi regionali e i toponimi italiani che sono entrati nell’uso comune. Tutto il resto (per intendersi: il prontuario di Tolomei) per Durnwalder è «una falsificazione storica, figlia del fascismo: non si può tradurre, ad esempio, Malga Kofler con Malga Cogolo». La verità, è che i cartelli dell’Alpenverein non traducono dal tedesco neppure la parola malga: «E questo è un errore, frutto di posizioni estremiste - risponde il Presidente - parole come malga, maso e via piuttosto che i tempi di percorrenza, devono essere scritti anche in italiano. Da questo punto di vista, so di essere in contrasto anche con alcuni gruppi tedeschi, come gli Schützen. La verità è che la mia - prosegue Durnwalder - è una posizione troppo “morbida” per la destra tedesca e troppo “dura” per la destra italiana. Ma non intendo modificare il mio pensiero».
 E una legge per mettere fine alla diatriba infinita? «Io sono per una legge che faccia da cornice alla questione della toponomastica, per il resto vale quanto ho detto prima. Io credo che si tratti soprattutto di una questione di buon senso: dove c’è un dubbio - conclude Durnwalder - si faccia un sondaggio tra la popolazione locale».
 Ieri sera c’è stato anche l’incontro tra Giuseppe Broggi, presidente provinciale del Cai, e l’assessore provinciale Christian Tommasini. Broggi ha messo a punto la «contro-proposta» sulla segnaletica in montagna. Il presidente del Cai, dopo le dichiarazioni dell’assessore Hans Berger all’assemblea dell’Alpenverein nei giorni scorsi, si era mostrato piuttosto tiepido: «Compromesso vicino? Vediamo...», aveva detto Broggi. Berger, in soldoni, ha proposto che siano bilingui tutti i nomi che vengono comunemente usati nelle due lingue, per il resto si traduca il traducibile. Una lettura che va stretta a Broggi: «Sia chiaro, il Club alpino non ha alcun’intenzione di pretendere che nomi di prati o masi siano bilingui nella segnaletica, ma sul resto non c’è nulla da interpretare: la legge parla chiaro. Qui non si tratta di tutelare i toponimi tedeschi, a quello ci pensa già lo Statuto d’autonomia, ma i diritti di tutti i gruppi linguistici. Forzature? Anche certe traduzioni in tedesco dei toponimi in ladino possono apparire forzature», è il commento finale.
Alto Adige 1-6-10
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venerdì, 14 maggio 2010


Dolomiti Unesco, è nata la Fondazione

ALESSIA FORZIN
BOLZANO. E’ nata ufficialmente ieri, con la firma di fronte al notaio dei rappresentanti delle cinque Province e delle due Regioni coinvolte, la Fondazione “Dolomiti - Dolomiten - Dolomites - Dolomitis Unesco”. «Palazzo Piloni è stato teatro di un passaggio storico per la nostra terra», ha detto il Presidente della Provincia di Belluno, Gianpaolo Bottacin.
 Una tappa che apre «innumerevoli opportunità, turistiche che economiche».
 Bottacin ha fatto gli onori di casa di fronte al parterre delle autorità presenti: c’erano l’assessore al turismo con delega alla montagna della Regione Veneto Marino Finozzi, l’assessore friulano Roberto Molinaro, Bottacin e Matteo Toscani per la Provincia di Belluno, per Bolzano l’assessore Michl Laimer, per Trento l’assessore Mauro Gilmozzi, per la Provincia di Udine il presidente Pietro Fontanini e l’assessore Ottorino Faleschini, per quella di Pordenone il presidente Alessandro Siriani e l’assessore Giuseppe Verdichizzi. Notaio Pasquale Osnato.
 Tutti i rappresentanti istituzionali hanno sottolineato l’importanza del momento, definito «storico» da più parti, perchè con la nascita della Fondazione si entra nella fase operativa del progetto. La Fondazione nasce a meno di un anno dalla proclamazione, avvenuta a Siviglia, delle Dolomiti Patrimonio dell’Umanità Unesco (era il 26 giugno 2009). Tra i suoi compiti ci sarà quello di «fare sintesi, tra istituzioni differenti che hanno mostrato comunque di sapere collaborare», ha spiegato il presidente (per un solo giorno) Matteo Toscani, e quello di programmare lo sviluppo del territorio tra turismo e conservazione.
 «Non è affatto scontato che si debba intervenire per garantire entrambi gli aspetti», ha detto l’assessore friulano Molinaro. «E non è scontato che si intraprendano azioni uniche per la valorizzazione e la tutela del territorio». E’ importante, infatti, tenere conto delle specificità, che sono tante, sono diverse, e non sono solo ambientali.
Alto Adige 14-5-10
 Quando si pensa alle Dolomiti, infatti, si pensa alle montagne, la natura, l’ambiente. Ma i Monti Pallidi sono anche sinonimo di cultura, con le minoranze linguistiche che le popolano, dai ladini ai friulani, e che devono essere valorizzate e tutelate.
 «Essere patrimonio mondiale non è né un dovere né un obbligo», ha aggiunto l’assessore bolzanino Michl Laimer, «è un onore, e una sfida culturale. In tutto il mondo ci sono 176 siti Unesco, e solo 2 in Italia. Uno di questi sono le Dolomiti».
 Anche Marino Finozzi ha affrontato l’argomento del futuro della Fondazione, che deve sì puntare a promuovere l’area, ma con «uno sviluppo che non si scontri con la conservazione». A tal fine Finozzi pensa all’educazione dei turisti «che verranno a visitare questo patrimonio. Andare per boschi, non è come fare un giro in giostra. Bisognerebbe camminare nei sentieri di montagna con lo stesso rispetto con cui si entra in chiesa: in silenzio, senza fare rumore, con l’animo aperto all’ascolto».
 Per quanto riguarda le cifre, la Fondazione ha un patrimonio iniziale di 70 mila euro, mentre 600 mila euro sono quelli destinati al fondo di gestione per il primo anno. Uno dei primi passi della Fondazione, che per tre anni sarà presieduta da un rappresentante bellunese, sarà la costituzione del Piano di gestione, per il quale Mauro Gilmozzi si augura «di creare un confronto con la gente che quotidianamente vive le Dolomiti. Dovremo attivare tutti gli strumenti che la Fondazione ha individuato per coinvolgere le persone». Gilmozzi è stato anche il primo ad affermare che «con la Fondazione si può iniziare a parlare di una politica per la montagna», nel suo complesso. «Essa può diventare uno strumento per la gestione sostenibile delle nostre montagne», ha concluso l’assessore veneto Finozzi.
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mercoledì, 28 aprile 2010


Filmfestival fra sacro e profano

TRENTO. Si alzerà domani il sipario sulla 58ª edizione del TrentoFilmfestival, il più antico e prestigioso festival internazionale dedicato al cinema di montagna in programma dal 29 aprile al 9 maggio. Il bolzanino Augusto Golin, curatore della programmazione ci presenta il cartellone di quest’anno.

di Augusto Golin
 Fissare un tema per un Festival prima di vedere i film che ci vengono inviati è operazione rischiosa, però permette di avere una griglia, o meglio un filtro, attraverso cui guardare i più di 300 lavori ricevuti. E’ stato così che quest’anno, su tutte le problematiche legate alla montagna, abbiamo scelto un tema di fondo che abbiamo reso in un titolo: “Sacri Monti, sacrilegi, sacripanti”.
 Del rapporto tra sacro e montagna si è molto parlato e non è una novità. Praticamente in ogni grande cultura del mondo sulle montagne, grandi o piccole, abitano gli dei oppure gli uomini vi si recano per parlare con loro. Sinai e Calvario, Kailash e Everest, l’Olimpo e i vulcani dell’America Latina, è tutto un susseguirsi di montagne sacre. E pure molto diffuso anche il concetto di salire come ascendere, un avvicinarsi a Dio implicito nel portarsi verso l’alto.
 A questo primo tema abbiamo dedicato il film di apertura della 58^ edizione, Der heilige Berg, la montagna sacra, di Arnold Fanck, capolavoro del cinema muto e del genere Bergfilm (venerdì 30 aprile), la serata di letture presentata da Giuseppe Cederna con Mauro Corona (domenica 2 maggio) e la lettura collettiva e integrale del libro di Bruce Chatwin “La via dei canti” il racconto della cosmogonia degli aborigeni australiani (giovedì 29 aprile). Ma anche nel concorso c’è uno straordinario film in anteprima italiana, di Elisabetta Sgarbi, “L’ultima salita” (1/5 e 4/5) dove la Passione di Cristo e le 14 stazioni della Via Crucis, diventano metafora dell’ascendere; ma non mancano i film sulle culture altre come “Himalaya Chemin du ciel” della francese Marianne Chaud (1/5 e 4/5), già premiata a Trento l’anno scorso.
 Sul secondo tema i film sono più numerosi perché il tema è di grande attualità. Quello che ci si chiede è il perchè di fronte a questo dilagare del sacro, le montagne stesse siano anche i luoghi dei peggiori sacrilegi. Qui non si parla di atti rivolti contro il sacro o gli dei che le abitano, ma contro le montagne stesse. Disboscamenti, impianti funiviari, speculazioni edilizie, cementificazione selvagge dei bacini fluviali, la montagna vista solo come un luna park, un parco dei divertimenti, un sacrilegio insomma. Quindi più che alla sacralità della montagna lo sguardo si sofferma su chi, questa stessa montagna, la profana. Pensiamo allo sfruttamento dell’acqua, l’estrazione del petrolio in ambienti di straordinaria bellezza, miniere a cielo aperto che si mangiano montagne, e uomini che si mangiano animali in via di estinzione, un tabù da inventarsi. In questo ambiente abitato dal sacro e profanato dagli uomini, si muovono personaggi strani che qui abbiamo chiamato, simpaticamente, sacripanti. Sacripante è un personaggio dell’Orlando Furioso, re di Circassia e, come molti altri paladini di Francia e non, si era innamorato della bella Angelica. Ma poiché non era il solo, litiga un po’ con tutti. Forse per questo il vocabolario di italiano definisce “sacripante” persona di notevole corporatura, che fa esibizione della propria forza. Altrimenti viene definito come persona furba, di grande destrezza. Quest’ultima versione è quella che più si addice al nostro caso.
Alto Adige 28-4-10
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venerdì, 26 marzo 2010


Due conferenze in un’unica serata dedicate alla scienza e alle Dolomiti

 Due in uno stasera a partire dalle ore 21 al Museo di scienze naturali in via Bottai 1. Due esperti del Gruppo divulgazione scientifica Dolomiti “E. Fermi” di Belluno, illustreranno al pubblico due tematiche scientifiche diverse ma proposte entrambi come un accattivante viaggio nella storia della scienza. Si comincia con Fabiano Nart, chimico, mineralista e ricercatore in un importante istituto di certificazione scientifica. “Da Newton ad Einstein, la gravitazione” s’intitola la sua conferenza: uno sguardo nel passato alla scoperta di come si sia evoluta la concezione del moto dei pianeti dall’uno all’altro di questi due grandi scienziati. La seconda conferenza della serata, intitolata “Nel cuore delle Dolomiti”, sarà una panoramica geologica e geomorfologica su queste meravigliose montagne, da poco dichiarate patrimonio dell’umanità da parte dell’Unesco. La propone Danilo Giordano, geologo, mineralista ed esperto di fossili dolomitici. Giordano spiegherà al pubblico le ragioni che rendono le Dolomiti un tesoro naturale davvero unico al mondo. Entrambe le conferenze sono gratuite e si tengono in lingua italiana.
Alto Adige 26-3-10

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martedì, 16 marzo 2010


San Vigilio e Cortina unite da un treno







ALDO DE PELLEGRIN

MAREBBE. Mentre lo studio d’architettura Salvalaio di Bolzano sta elaborando lo studio di fattibilità commissionatogli unitariamente, a inizio 2010, dai Comuni di Cortina d’Ampezzo e di Marebbe, la possibilità di un futuro collegamento ferroviario fra l’Ampezzano e il Marebbano, in tunnel sotto i parchi naturali, sta prendendo sempre più forma concreta.
 Già lo scorso fine settimana, la giunta comunale di Cortina d’Ampezzo, guidata dal sindaco Franceschi, presentando l’accordo di programma con la Regione Veneto sul piano di assetto territoriale, ha definito l’idea del collegamento ferroviario in tunnel fra Cortina e San Vigilio di Marebbe la vera rivoluzione e una fra le sfide principali per il rilancio del sistema ampezzano.
 A San Vigilio intanto il sindaco Fortunato Ferdigg, che comunque a maggio passerà il testimone per sua decisione personale, al momento preferisce non sbilanciarsi: «Ne abbiamo certamente parlato e ad inizio anno i due Comuni hanno pariteticamente assegnato l’incarico per uno studio di fattibilità all’architetto Salvalaio di Bolzano, ma al momento questo è anche tutto quello che mi sento di poter dire, visto che la decisione, almeno dal punto di vista del Marebbano, è stata quella di discuterne quando vi saranno e avremo sul tavolo dei piani concreti».
 Probabilmente infatti, nella legislatura che sta per finire poco ha ancora da succedere e di questo ne è cosciente anche l’attuale sindaco: «Se sarà e saremo ancora in carica ne parleremo noi, ma è più verosimile che tocchi alla nuova amministrazione portare avanti l’idea, se si deciderà di portarla avanti. Quello che è certo fin d’ora è che dovrà essere un collegamento turistico e su rotaia che porti dei vantaggi alla mobilità fra i due centri ladini ma anche all’ambiente».
 In sostanza l’idea è quella di un tunnel, di circa 5 km di lunghezza, che sottopassi il parco naturale di Fanes Sennes e Braies che sul versante ampezzano diventa Parco naturale delle Dolomiti d’Ampezzo entrando dal rifugio Pederù sul versante marebbano per “uscire” al tornante Sant’Uberto, sulla strada che porta a malga Ra Stua nell’Ampezzano. Da qui si dovranno ragiungere, sempre con una mobilità ecocompatibile, i due centri abitati, distanti entrambi circa 11 chilometri dai portali dei tunnel.
 Per San Vigilio l’idea potrebbe essere quella di prolungare la linea fino in paese, risolvendo così anche il problema della mobilità da e per Pederù mentre per raggiungere Cortina si potrebbe sfruttare il tracciato della vecchia Calalzo Dobbiaco.

Alto Adige 16-3-10
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sabato, 30 gennaio 2010


A Londra le Dolomiti marchiate Unesco presentate dagli altoatesini di Südstern




 BOLZANO. Le Dolomiti marchiate Unesco faranno presto il giro del mondo e la rete di propagandisti più vasta e capillare sarà rappresentata dai 1200 altoatesini dell’Associazione Südstern che all’estero hanno raggiunto posizioni di rilievo nelle nazioni che li ospitano. Nell’ambito dell’annuale incontro organizzato a Londra proprio da Südstern, verrà infatti presentato oggi alle ore 18, per la prima volta all’estero, il logo che sarà riportato sui manifesti e il materiale pubblicitario del neo proclamato patrimonio naturale dell’Unesco, unitamente ai criteri adottati per la protezione del territorio. Ambasciatori del marchio saranno il re degli 8000, Reinhold Messner, e l’assessore provinciale all’ambiente, Michl Laimer. «La rete degli altoatesini all’estero - spiega Laimer - può rappresentare un moltiplicatore eccezionale di effetti positivi per il nostro territorio, e questo evento garantisce un ritorno di immagine in tutta la Gran Bretagna».
 Dalla scorsa estate le Dolomiti sono nell’elite mondiale dei 176 territori dichiarati dall’Unesco patrimonio dell’umanità, riconoscimento di valore inestimabile, se si pensa che l’Italia ha un solo altro territorio con lo stesso “marchio”, le isole Eolie.
 Oggi la manifestazione sarà ospitata nel Victoria Park Plaza di Vauxhall Bridge Road, una scelta non certo casuale, quella dell’albergo londinese, visto che uno dei dirigenti della struttura, Kurt Kuen, è proprio di origini altoatesine. «Per noi altoatesini all’estero - spiega Kuen - è un grande onore poter celebrare la nostra terra e pubblicizzare al meglio la sua meravigliosa natura».
 Messner parlerà della sua vita e del suo rapporto con le Dolomiti, Laimer presenterà un filmato sulle nostre montagne. L’organizzazione della serata è curata dai rappresentanti di Südstern Kurt Kuen, Anita Hohenegger, Felix Plazza, Stephan Kofler, Doris Salzburger e Christian Girardi con il sostegno di aziende altoatesine. (gi.an.)

Alto Adige 30-1-10
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lunedì, 14 dicembre 2009


È tra le montagne dolomitiche, il regno di Fanes in Alto Adige, la Tofana bellunese, che ...


PAOLO PIFFER


È tra le montagne dolomitiche, il regno di Fanes in Alto Adige, la Tofana bellunese, che trovano spazio gli ultimi racconti di Erri De Luca - «Il peso della farfalla», «Visita a un albero» - pubblicati da Feltrinelli (7,50 euro).
 Non più di 70 paginette scritte grandi e dallo spessore di un gigante. Perché lo scrittore napoletano, tardivo alla letteratura quasi avesse dovuto soppesare il tempo prima di coricarsi sulla parola scritta, sale in quota ben sapendo come raggiungere la vetta, con passo fermo e cadenzato, scevro da ogni retorica alpina, consolatoria quanto frusta.
 D’altronde, le montagne dolomitiche le conosce bene, spesso viene ad arrampicarci senza tanti orpelli di chiodi e moschettoni, e in silenzio, ma anche pronto a rifiutarle. Come quando, tre anni fa, disse no al premio Itas per la letteratura di montagna per il suo “Sulle tracce di Nives”.
 Ne “Il peso della farfalla” De Luca tratteggia un elegia dolomitica che ha nel senso e nella percezione della morte il suo procedere. La montagna è il teatro di vite che stanno per arrivare a conclusione, concatenate l’una all’altra.
 Il grande camoscio che da vent’anni è incontrastato monarca del branco e il cacciatore-bracconiere che di camosci ne ha uccisi 300. Il loro non è uno scontro, non è lotta. Piuttosto, reciproca e fatalistica consapevolezza di stare per arrivare al termine del loro percorso terreno. E di essere così indissolubilmente legati da non potere, e volere, essere l’uno estraneo alla fine dell’altro. Sono due solitari, il cacciatore salito in montagna dopo un passato rivoluzionario.
 Il camoscio fattosi forte e re dopo essere rimasto solo per la morte della madre, uccisa dal cacciatore, e della sorella, ghermita da un’aquila. E’, come di pochi contemporanei, scrittura raffinata quella di Erri De Luca, ricca di immagini, di suggestioni e, nello stesso tempo, asciutta, che va dritta al cuore. Densa di una poesia in prosa, capace di toccare le corde profonde del vivere, e del morire.
 La farfalla bianca che si «sedeva» sulle corna del re sarà quel peso in più, lieve ma ineluttabile, che farà crollare a terra il cacciatore che sulle spalle porta il camoscio ucciso, fattosi uccidere, forse. Li ritroveranno a primavera, «incastrati da poterli separare solo con l’accetta. Sul corno sinistro del camoscio era stampata a ghiaccio una farfalla bianca».
 Figure forti, come il cirmolo colpito dal fulmine, con le radici nel vuoto che raschiano la vita, e resistono. Al quale si accompagna il visitatore, l’alpinista che in parete ha visto la tempesta, le scariche sulla roccia poco prima della cima. E che ha resistito. «Gli alberi di montagna scrivono in aria storie che si leggono stando sdraiati sotto... Esistono in montagna alberi eroi, piantati sopra il vuoto, medaglie sopra il petto di strapiombi. Salgo ogni estate in visita a uno di loro. Prima di andare via monto a cavallo del suo braccio sul vuoto. I piedi scalzi ricevono il solletico dell’aria aperta sopra centinaia di metri. Lo abbraccio e lo ringrazio di durare».

Alto Adige 13-12-09
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lunedì, 07 dicembre 2009


Guide, crescono le «vocazioni»


guide alpine


 BOLZANO. Una professione in salute, che, dopo qualche anno di stanca, sta raccogliendo un numero scescente di «vocazioni». Ieri, a Castel Flavon, si è svolta l’assemblea annuale delle guide alpine dell’Alto Adige, guidate da Toni Stocker. Presenta anche Hansjörg Haller, direttore dell’Ufficio turismo e alpinismo della Provincia.
 I numeri parlano chiaro: 12 le nuove guide alpine nel 2009, 11 gli aspiranti. Valori che incidono non poco sull’economia generale dell’associazione, che in provincia raccoglie circa 180 iscritti.
 Il volto del professionista della montagna sta cambiando - come spiega il vice presidente, Enrico Baccanti - sempre più manager e con un’attenzione che si sposta anche oltre i confini dell’Alto Adige. La metà degli iscritti vivono di montagna, ben oltre i confini delle stagioni. Ad estate o inverno conclusi, ci sono le falesie di Arco, le isole greche, i trekking e le ascese in America piuttosto che in Nepal. Una visione che si sposa con la storia del Collegio, uno degli ispiratori dell’associazione internazionale (l’Uiagm). Recentemente Othmar Prinoth (notissimo anche per il suo impegno nel soccorso in montagna) è stato inserito come membro d’onore nell’Uiagm: una grande soddisfazione per tutto il «movimento». Nel 2011, inoltre, sarà il Collegio altoatesino ad ospitare il campionato internazionale di sci per guide alpine, con ogni probabilità sulle nevi di Solda.
 L’abusivismo in parete «è modesto» - ha detto ancora Baccanti - ma i numeri lievitano parecchio se sia parla di escursionismo. Il Trentino è corso ai ripari introducendo una nuova figura professionale: «Anche noi auspichiamo un intervento legislativo». Ovviamente, in termini di formazione, sempre sotto l’ombrello delle guide alpine. La formazione e la prevenzione rappresentano un pilastro dell’attività del Collegio, impegnato (con l’appoggio dell’assessorato) nei corsi sui rischi della neve già nelle scuole medie.
 Recentemente è stata chiesta alle guide alpine una consulenza sullo stato di salute delle ferrate in Alto Adige: «Noi speriamo - ha concluso Baccanti - che questo si traduca presto in una regolamentazione». Fino ad ora, infatti, la manutezione è stata affidata a buon senso e buona volontà. (g.f.p.)

Alto Adige 7-12-09
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domenica, 06 dicembre 2009


Tamara Lunger: La ragazza degli Ottomila


Tamara Lunger


GIANFRANCO PICCOLI



 BOLZANO. Catapultata sul palcoscenico principale, invitata da attori che l’Oscar (quello dell’alpinismo) lo hanno già vinto. «Lo so, una cosa del genere è unica, è un sogno. E un’opportunità che non intendo lasciarmi scappare». Tamara Lunger, 23 anni, ha già programmato lo stop agli studi, nonostante sia ad un passo dalla laurea breve in scienze motorie ad Innsbruck. «Un anno per capire dove voglio arrivare, cosa posso fare». In testa, un solo obiettivo: salire un 8000.
 Lo scorso settembre Tamara era nella cordata di Simone Moro, l’alpinista bergamasco (e moglie bolzanina) che sta scrivendo pagine memorabili sulle vette himalayane, con delle prime assolute invernali e senza ossigeno. La salita al Cho Oyu con Tamara - uno dei 14 Ottomila della terra - è però saltata per le difficoltà ad entrare nel Tibet, blindato dalle autorità cinesi, soprattutto a ridosso dei festeggiamenti per l’anniversario della Rivoluzione.
 Diciamo la verità. Tamara non ha ancora fatto nulla di speciale in montagna. E’ tutta «colpa» di Simone Moro se questa ragazzona di San Valentino in Campo, un fisico davvero potente, è stata buttata in mezzo ai riflettori: «E’ lei il futuro dell’alpinismo femminile», ha sentenziato qualche tempo fa Moro. Scatenando l’inevitabile interesse mediatico attorno alla ventitreenne della val d’Ega.
 La domanda: perchè proprio Tamara? Quando il Destino tesse le sue trame, lo fa partendo da lontano. La moglie di Simone Moro, Barbara Zwerger, eccellente arrampicatrice, è stata insegnante di ginnastica di Tamara alla scuola media: «Lei mi ha portato la prima volta in falesia». Poi ha conosciuto il grande alpinista bergamasco in occasione del ballo della maturità: «Li ho invitati tutti e due e sono venuti. Ho chiesto a Simone: “Perchè non mi porti con te su un 8000?”. E lui mi ha detto di sì».
 Una di quelle promesse che poteva tranquillamente finire nel cestino. Invece? «Invece... Per quattro anni non l’ho più sentito. Poi l’ho “incontrato” nuovamente su Facebook e sono tornata alla carica: “Allora, quando mi porti con te?”. E lui: “In settembre”. Non ci volevo credere». Con quella spedizione c’erano anche Hervè Barmasse, ed Emilio Previtali, altri due nomi grossi dell’alta montagna.
 «Siamo rimasti “solo” 23 giorni, un’esperienza straordinaria». Con qualche inevitabile difficoltà di acclimatamento: «A 6.200 metri ho sofferto un po’ - ammette Tamara - ma ci vuole tempo per abituare il corpo. Una sera mi sono svegliata dopo un’ora e mezza di sonno, convinta fosse mattino...». La vetta, però, deve attendere: «In marzo provo il Lhotse con una cordata guidata da Denis Urubko, che poi tenterà una nuova via con Simone sul Lhotse».
 Sia chiaro, a Tamara le porte di questo mondo non si sono spalancate per caso. Alle spalle ha tanti anni di agonismo ad alto livello: slittino, orienteering, corsa, disco (è stata vice campionessa italiana juniores). Poi lo scialpinismo, passione ereditata da papà Hansjörg. Tamara fino allo scorso anno è stata nella nazionale under 23: «Ma ho dovuto lasciare per problemi alle ginocchia, soffrivo troppo. Ad un certo punto vedevo le avversarie sempre davanti...». In questi anni si è forgiata il fisico e la mente.
 Abbandonato l’agonismo, si è dedicata all’escursionismo puro e lo scorso inverno è stato da sogno per gli appassionati delle pelli: «Tutto sommato lo preferisco alle gare, che hanno “appena” 1.500 metri di dislivello. Io sotto i 3000 metri non ho soddisfazione».
 La montagna è...? «Tutto. E’ la mamma che abbraccia e culla il bambino. Al momento non penso ad altro». Ma la Grande Madre dà la vita e la toglie... «Sì, ne sono consapevole. Nella mia prima spedizione ho conosciuto Roby Piantoni e Tomaz Humar, una persona straordinaria. Non ci sono più». I tuoi genitori? «Mi appoggiano. Ma quando sono morti Piantoni e Humar mi hanno detto: “Ecco, adesso capisci cosa potremmo provare se succedesse a te”. Sono però convinta che la paura non deve fermare una passione autentica». La paura che Tamara ha già assaporato: «Un giorno ho detto ad un mio amico: mi piacerebbe fare la Nord dell’Ortles. Il giorno dopo ero sulla parete ghiacciata. Si è staccato un pezzo di seracco e dietro di noi c’erano otto alpinisti. “Sono tutti morti”, mi sono detta. Per puro caso nessuno si è fatto male. Poi è arrivata la neve e per il rientro abbiamo impiegato otto ore. Ho pensato: ma chi me l’ha fatto fare? Tre giorni dopo, però, volevo essere di nuovo lassù».
 Lo spirito di chi ama davvero la montagna. E per Tamara, se sono rose, fioriranno.

 BOLZANO. Tamara Lunger è nata il 6 giugno 1986. Vive tra San Valentino in Campo (Cornedo) e il rifugio Croce di Lazfons (2.302 metri), che la sua famiglia gestisce da 11 anni. Studia scienze motorie ad Innsbruck ed è stata nazionale di scialpinismo. Non è fidanzata: «Penso solo alla montagna».

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domenica, 06 dicembre 2009


«Il marchio Unesco? Una patacca»

         


     


Mauro Corona attacca. Messner: «Basta proteste»

 BOLZANO. Ancora Dolomiti patrimonio naturale mondiale, e ancora polemiche. Stavolta fra alpinisti: Mauro Corona e Reinhold Messner.
 «Il riconoscimento Unesco per le Dolomiti patrimonio dell’umanità? Vale zero, è una patacca!». È la convinzione dello scrittore ertano Mauro Corona, che si scaglia contro la politica per la montagna «che premia solo i paesi della “neve firmata”». Per l’arrampicatore, scultore e lettissimo scrittore di montagna, «il marchio è solo una patacca, che i politici si appuntano sul petto. In realtà non fanno nulla per la montagna, ma la vogliono soltanto annientare». Corona ha ben chiari quelli che a suo dire sarebbero i veri problemi delle comunità montane: «Stanno rubando e privatizzando l’acqua - ha attaccato - fanno passare migliaia di camion per portare via la sabbia dai torrenti con la scusa di drenarli. Bisogna decidere: o i tir o l’Unesco, perché qui stanno distruggendo tutto». «Basta con le proteste, non servono a nulla», dice in risposta l’alpinista Reinhold Messner. «Non sono solo i politici ad avere le loro responsabilità. Il marchio Unesco è appena nato e si è istituita la fondazione che lo gestirà. I tempi della politica sono certamente lenti. Ma non sono solo i politici a dover riempire il marchio Unesco di contenuti e fatti. I personaggi come me o Mauro Corona hanno responsabilità grandi, sicuramente più di quelle degli amministratori locali. Se noi parliamo, tanta gente ci ascolta». Motivo per cui, afferma Messner, «dobbiamo proporre, non protestare».
 Il tempo della protesta sarebbe finito, e da tempo: «Fino a 20 anni fa anche io protestavo, giravo il mondo per protestare. I verdi hanno continuato a farlo: proteste e basta, motivo per cui non hanno trovato seguito e, per lo meno in Italia, sono praticamente scomparsi. Io invece ho scelto la via delle proposte, come il mio museo della montagna». Criticare è facile, spiega oltre, ma non è utile. «Piuttosto Corona scenda in campo, si candidi, si faccia eleggere dal popolo. Dovrebbe provare a fare qualcosa di concreto, magari in qualità di assessore al turismo in area dolomitica. O comunque proponga delle soluzioni». Sfruttare il territorio si può, «ma la ghiaia dei torrenti e gli alberi dei boschi, appartengono alle popolazioni di montagna. Sfruttiamoli, ma le ricadute devono rimanere in montagna. E basta lasciare intatti ghiaioni, rocce e ghiacciai». (da.pa)

Alto adige 6-12-09
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martedì, 24 novembre 2009


Dolomiti bollenti, caldo record


montagne bollenti?

GIANFRANCO PICCOLI

BOLZANO. Il calendario dice che siamo quasi in inverno, ma in alta quota le temperature sono letteralmente estive. Sabato sono stati «abbattuti» record che duravano da decenni: lo zero termico era vicino ai 4000 metri, come nei mesi più caldi dell’anno.
 «Mai registrate massime in alta quota così elevate dal 1984, quando sono iniziate le rilevazioni - ha spiegato ieri Günther Geier, previsore dell’ufficio meteorologico della Provincia di Bolzano - lo zero termico era intorno ai 4000 metri: temperature così normalmente le troviamo a ridosso dei mesi estivi, di certo non in novembre inoltrato».
 Qualche esempio: sul Pisciadù, gruppo del Sella, a quasi 3000 metri di quota, sabato scorso è stata toccata una massima di 7,4 gradi sopra lo zero. A Capanna Presena, 2.730 metri di quota, di gradi ce n’erano addirittura 11. A Cima Signal, sul confine con l’Austria, a poco meno di 3.400 metri, la colonnina di mercurio ha sfiorato i 5 gradi. Scendendo di quota, aumenta la temperatura: 13 gradi sulla cima della Paganella (2.125 metri), ad esempio. Non c’è da meravigliarsi se le nevicate delle scorse settimane che avevano imbiancato le montagne del Trentino Alto Adige si siano squagliate velocemente. Chi aveva annunciato aperture degli impianti con ampio anticipo rispetto al tradizionale esordio di Sant’Ambrogio, ha dovuto fare marcia indietro, in attesa che dal cielo arrivino notizie diverse. Con queste condizioni, non solo la neve se n’è andata, ma neppure i cannoni per la produzione artificiale (servono 1-2 gradi sotto lo zero) possono essere messi in funzione.
 Ma cos’è successo? «Sono arrivate sulla nostra regione masse d’aria subtropicali provenienti dall’Africa - ha spiegato ancora Geier - il fenomeno, in sé, non è eccezionale, si è verificato più volte anche negli anni scorsi. Quello che caratterizza queste masse, però, è la dimensione, davvero notevole». Mentre in alta montagna si «bolliva», a fondovalle invece il clima era molto più rigido: «E’ il fenomeno dell’inversione termica - spiega ancora il previsore - le masse d’aria calda sono più leggere e non sono riuscite ad intaccare l’aria fredda del fondovalle. Così, mentre in montagna anche di notte si registravano valori positivi, nelle valli la temperatura è scesa sotto lo zero».
 Una situazione che dovrebbe proseguire ancora per qualche giorno: «Già la scorsa notte l’aria si è raffreddata un po’ - dice Geier - alla fine della settimana ci aspettiamo un cambio deciso. Domenica dovrebbe tornare il brutto tempo, con pioggia e neve - conclude il previsore - sopra i 1.500 metri di quota».
 Insomma, in montagna si tornerà ad assaporare un po’ di autunno. A fare gli scongiuri, sono soprattutto gli operatori turistici. Se non arriverà la neve fresca, sperano almeno nel freddo per poter azionare le batterie di cannoni. L’8 dicembre è davvero vicino.


Alto Adige 24-11-09
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venerdì, 23 ottobre 2009


Cartelli, la convenzione li prevede bilingui


cartelli segnavie


 BOLZANO. L’inchiesta del procuratore Guido Rispoli sui cartelli di indicazione dei sentieri rigorosamente in sola lingua tedesca, sta portando ad un primo risultato concreto. Gli accertamenti sui documenti acquisiti in Provincia e all’Alpenverein hanno confermato che la convenzione sottoscritta nel 2004 tra i due soggetti prevede, nella sostanza, il rispetto del bilinguismo. Insomma, dalle carte in mano al procuratore sembrano esserci pochi dubbi sul fatto che, sino ad oggi, qualcuno, sulla questione della segnalatica di montagna abbia più volte «giocato» sulla carenza di informazioni riguardo al progetto di intervento finanziato con denaro pubblico.
 In realtà la convenzione tra Provincia autonoma e Alpenverein (sottoscritta nel novembre 2004 un mese dopo l’approvazione della delibera della giunta provinciale) all’articolo 2 (punto C) prevede (anche in relazione ai cartelli dei sentieri da rinnovare) l’impegno dell’Alpenverein all’utilizzo di tutti i toponimi ufficiali e non.
 Una formula che deriva dalla mancata approvazione (per specifica volontà politica) di una norma di attuazione sulla ufficializzazione di tutti i toponimi di lingua tedesca in Alto Adige. In sostanza allo stato attuale gli unici toponimi ufficiali in Alto Adige sono quelli italiani. Proprio per questo motivo la convenzione prevede l’utilizzazione da parte dell’Avs dei toponimi ufficiali e non (cioè di quelli tedeschi e conosciuti a livello locale e valligiano). Su questo tema la Procura della Repubblica si sta muovendo con assoluta cognizione di causa secondo una logica prettamente giuridica.
 Posto che la convenzione impone all’Alpenverein la salvaguardia anche di tutti i toponimi ufficiali, il procuratore ha cercato (e trovato) il fondamento giuridico sulla base del quale poter considerare «ufficiale» un toponimo altoatesino.
 Al riguardo è già nel fascicolo del procuratore Rispoli copia della legge 2 febbraio 1960, numero 68, riguardante norme sulla cartografia ufficiale dello Stato e che indica, tra le fonti ufficiali, la cartografia relativa alle 114 tavole dell’istituto geografico militare di Firenze. Il procuratore ha dunque chiuso alla perfezione il cerchio in pochi giorni riuscendo a individuare il fondamento giuridico dei toponimi ufficiali dell’Alto Adige. A questo punto l’ultima parte dell’inchiesta riguarderà la verifica dei cartelli realizzati dall’Alpenverein e la denunia di eventuali abusi o omissioni. A tal proposito, per evitare perdite di tempo e impegni a lunga scadenza degli uomini della polizia giudiziaria, il procuratore ha acquisito e sequestrato nella sede dell’Alpenverein tutta la documentazione relativa ai cartelli realizzati con finanziamento pubblico. Il raffronto tra quanto prevede la convenzione e quanto realizzato, segnerà il destino dell’inchiesta. La convenzione conferma, tra il resto, l’incarico di natura pubblica conferito dalla giunta all’Alpenverein. Altri accertamenti sull’uso dei toponimi sono in corso nei confronti del Cai, dell’ufficio parchi naturali, del parco nazionale dello Stelvio e di varie associazioni turistiche. (ma.be.)

Alto Adige 23-10-09
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mercoledì, 21 ottobre 2009


Alpi, il lato oscuro
Il male di vivere tra natura mitica e falso folklore





FIORENZO DEGASPERI


Qualche anno fa passò, sugli schermi del Filmfestival della Montagna di Trento la pellicola di un giovane regista austriaco, tirolese per l’esattezza. Raccontava di una terra adattata inesorabilmente ai ritmi urbani, costretta a creare mucche di plastica.
 Non solo, caprioli che brucavano l’erba e si spostavano su rotaie e, una volta sollevata l’erba, un cumulo di immondizie. Ovvero l’altro versante della montagna, preda dell’ingordigia del turismo di massa. L’antropologo Christian Arnoldi, nato in Val di Non ma cittadino del mondo, assegnista di ricerca in Sociologia della devianza all’Università di Bologna nonché ricercatore al Museo degli Usi e Costumi di San Michele, ha fatto di più. Nella sua recente ricerca, “Tristi montagne. Guida ai malesseri alpini”, (Priuli&Verlucca, euro 16.50), ha smontato le varie teorie romantiche e moderniste che si sono sovrapposte alla dura realtà di chi in montagna ci vive quotidianamente mettendone in luce il “lato segreto e oscuro”. Segreto perché qui, nei paesi dell’arco alpino, vige un’omertà di fondo, oscuro perché il male che attanaglia giovani e anziani, donne e uomini, è fatto di solitudine, angosce, spaesamento. Fino ad arrivare al suicidio - le tabelle che riguardano la morte, assurda come la chiamava Pavese, sono più che un campanello d’allarme, con l’apice in Val di Sole, in certe valli piemontesi e nelle selvagge terre sarde -, agli omicidi, all’alcoolismo imperante, alla droga tentacolare.
 Un’altra montagna quindi, fuori dai canoni pubblicizzati sui depliant patinati, oltre l’individualismo esasperato dell’alpinismo d’assalto. Il “buon selvaggio” di rousseiana memoria, dilagante nella letteratura romantica dell’Ottocento e del Novecento e che oggi rimbalza nella pubblicità delle località turistiche si scontra con la brutalità del tasso etilico e delle auto schiantate a velocità folle. «Uscire a cena nel periodo non turistico è un dramma - si lamenta un giovane della Val di Sole - dobbiamo girovagare per tutta la valle». Così alla montagna reale si sovrappone, storicamente, l’immagine di altre montagne, alcune di queste vicine alla realtà, altre lontanissime. Chi vive nei paesi si trova schiacciato tra forze contrastanti, tra la frequenza massiccia in certi mesi dei non luoghi - centri commerciali, le sale d’aspetto delle funivie, i desolanti parcheggi -, al più completo silenzio-assenza di qualsiasi servizio, tra il falso folklore riportato in vita a uso e consumo dei turisti - non più chiamati come una volta “ospiti” - ad una feroce urbanizzazione kitsch. Le prime settanta pagine sono un pugno nello stomaco: una sequela impressionante di morti, suicidi, stragi, tratte dalla cronaca dell’arco alpino degli ultimi anni. Poi, intelligentemente e sapientemente, Christian Arnoldi va all’origine del malessere, ne svela i retroscena, mettendo a nudo filosofie e caricature di una simbolizzazione, soprattutto dell’immaginario che il cittadino ha fatto e sta facendo sull’ambiente montano condizionandone pesantemente il presente e il futuro. L’arricchimento facile e veloce - impianti di risalita, strade asfaltate fin sulle porte delle malghe e dei rifugi, discoteche in quota, la montagna-diysneland - ha portato chi sulla montagna ci vive sull’orlo di un abisso emotivo. Le tabelle dei suicidi e delle tragedie umane sono, per chi vuole leggerle, più che un campanello d’allarme.


«Tempi e spazi sempre più urbanizzati alla ricerca dell’identità perduta»

SANDRA MATTEI


Una ricerca durata anni, tra la raccolta di dati e l’indagine sul territorio, tra le valli di Sole, Non, Fiemme e Fassa. E’ il libro “Tristi Montagne. Guida ai malesseri alpini” dell’antropologo Christian Arnoldi.
 Il suo libro si apre con un capitolo dedicato ai fatti più tragici degli ultimi anni: la vicenda di Cogne e l’omicidio della suora a Chiavenna. Vivere in montagna provoca delitti più efferati?
 
No, evidentemente si tratta di episodi che possono succedere in montagna come in pianura. La mia analisi parte dalla condizione di disagio, più evidente in montagna, perché qui si vive il contrasto tra l’immagine della montagna come isola felice e quella reale della solitudine e dell’isolamento che è tipica di un ambiente complesso, con difficoltà di collegamenti e di relazioni.
 Il turismo che pubblicizza la montagna come luogo accogliente e rigenerante, ha accentuato dunque il disagio?
 
E’ una medaglia a due facce: da una parte il turismo alimenta lo stereotipo della montagna, dall’altra gli abitanti si sentono costretti in un complesso di norme rigide, che dovrebbero rappresentare l’immagine del montanaro, con seri principi e profondi valori che da un montanaro ci si aspetta.
 Vuol dire che le popolazioni alpine non sempre si riconoscono in questa identità che si è costruita nel tempo?
 
Prima di tutto va chiarito che l’immagine della montagna si è trasformata nel tempo, è il prodotto di una serie di strutture immaginarie, anche molto differenti tra loro. Si è passati dalla percezione di un ambiente ostile a quella “sublime” dei Romantici nell’Ottocento, per arrivare poi alla nascita dell’alpinismo e del turismo, che ha modificato radicalmente il paesaggio e la sua rappresentazione. Da un lato l’ambiente è sfruttato, ridotto a dimensione urbana, dall’altro lo si idealizza.
 Ma il turismo non produce gli stessi effetti negativi dappertutto?
 
Sì, ma chi va in vacanza sulla riviera romagnola non si aspetta la pace, la natura incontaminata, di solito cerca ritmi e divertimenti analoghi a quelli urbani. In montagna è diverso, perché pur diventando sempre più simile alla città, deve difendere la vita che sta scomparendo, attraverso il recupero della memoria, degli antichi mestieri, di tutti quei riti e quelle tradizioni, che vengono rappresentate nelle feste e nei musei etnografici.
 Che relazione c’è tra questo fenomeno e quello dei suicidi, dell’alcolismo, del disagio in generale?
 
Per fortuna i fatti che ho citato nel primo capitolo del libro sono le punte più drammatiche del disagio che si vive in montagna. Quella che le popolazioni vivono sono condizioni complesse e contraddittorie. Io le ho divise in tre dimensioni: la prima è quella della comunità con le sue rigide regole, nonostante le trasformazioni degli ultimi 50 anni (passaggio da un’economia di sussistenza ad una capitalista). Il complesso di regole che determinano i rapporti tra individuo e territorio, sono riassumibili nel rispèt, ovvero nella riservatezza, nella difficoltà di comunicare il disagio. La seconda è quella del villaggio vacanze: i turisti influiscono su tempi e spazi (per esempio le code agli impianti, i parcheggi affollati, eccetera) diversi da quelli tradizionali. La terza è quella dello spazio museo: la necessità di ricostruire una montagna ideale, che è quella del folklore, degli ecomusei, delle desmontegate. Una dimensione mitica che si infrange con quello che è diventata oggi la montagna.



Alto Adige 21-10-09
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martedì, 20 ottobre 2009



Cartelli, l’Avs risponde al prefetto


 BOLZANO. Cartelli sui sentieri: inizia un nuovo capitolo. Il Commissariato del governo ha acquisito i dossier delle associazioni e degli enti coivolti nella segnaletica, con l’aggiornamento della situazione sul territorio. Spetta ora a Palazzo Ducale decidere le prossime mosse, mentre prosegue, su un altro versante, l’inchiesta del procuratore Guido Rispoli.
 Il commissario del governo Fulvio Testi all’inizio di settembre aveva chiesto a Avs, Cai, enti parchi e aziende di soggiorno di inviare entro oggi una relazione sulla segnaletica in montagna gestita da ogni ente o associazione, con le indicazioni sulla lingua utilizzata nei cartelli e le azioni già avviate per ripristinare il bilinguismo.
 Ieri è partita la risposta dell’Avs, fa sapere il presidente Georg Simeoni. E c’è anche la risposta del Cai. Ma la partita riguarda a pieno titolo anche le associazioni turistiche, i cui cartelli solo in tedesco sono segnalati al pari dei contestati cartelli dell’Alpenverein. Dal 2006 le associazioni turistiche hanno ricevuto dalla Provincia 156 mila euro per la segnaletica. Questo il dato fornito dall’assessore Hans Berger rispondendo a una interrogazione di Alessandro Urzì (Pdl). Dei 156 mila euro concessi a 13 associazioni turistiche (previsti 12.500 a Bolzano-S. Genesio), 34.500 sono già stati liquidati (17.500 in Val Casies, 4.400 a Chienes, 9.600 a Parcines, 3000 a Falzes).
 Simeoni non rivela ancora, «per correttezza verso il prefetto Testi», il contenuto della lettera dell’Avs, ma anticipa di avere ribadito la posizione ormai nota dell’associazione: disponibili a un compromesso, secondo la linea del presidente Luis Durnwalder. Vale a dire, riportare bilingui i nomi di Comuni e frazioni, le diciture come «sentiero», «rifugio», «malga» e poco altro. All’Avs hanno fatto qualche conto: l’operazione arriverebbe a costare 390 mila euro. «Mi sembra decisamente una cifra elevata», è il commento del presidente del Cai Giuseppe Broggi. Quanto al Cai, ha informato il Commissariato del governo di avere riscontrato in Val Badia, nei sentieri affidati alla propria gestione, alcuni vecchi cartelli non trilingui. Broggi: «Abbiamo già dato mandato di sostituire tutte le tabelle non regolari». Simeoni invece chiarisce: «Siamo disponibili a fare un certo lavoro, purché sia la giunta provinciale a fornirci indicazioni: non possiamo risolvere il problema della toponomastica in Alto Adige». Ma la giunta negli ultimi tempi ha mandato un segnale preciso verso l’Avs, come dimostra la sospensione di un contributo da 100 mila euro e del progetto «rinnovo della segnaletica dei sentieri altoatesini» perché, come ha spiegato Berger, «la nuova segnaletica non è stata effettuata nel completo rispetto del bilinguismo». Simeoni commenta il congelamento: «Ci aspettavamo qualcosa del genere, dopo le polemiche di questa estate». Eppure l’Avs continua a negare di avere stravolto la segnaletica in montagna, rendendola in larga misura monolingue: «Il 99 per cento dei nuovi cartelli rispecchia la versione precedente». Ma sarà appunto il Commissariato del governo a valutare le risposte. Intanto Pius Leitner (Freiheitlichen accusa: «Basta scaricare le colpe sull’Avs. Le direttive devono arrivare dalla giunta, che sembra però intenzionata ad attendere l’input dei magistrati» (fr.g.)

Alto Adige 20-10-09
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mercoledì, 16 settembre 2009



«Nei parchi livelli di tutela inadeguati»


Franco Pedrotti, docente emerito all’ateneo di Camerino e figura storica del mondo scientifico trentino, ha scelto l’Eurac di Bolzano per dire la sua sulle aree protette in regione. E non è stato tenero.
 Sono oltre 300 gli ecologi da tutta Italia che da ieri e fino a venerdì si riuniranno all’Accademia Europea di Bolzano per partecipare al convegno annuale della Società Italiana di Ecologia. Pedrotti, invitato nelle vesti di relatore, ha presentato un lavoro sulla varietà e complessità degli ecosistemi forestali in Trentino-Alto Adige e sul ruolo delle aree protette nella difesa di questo patrimonio verde. «In realtà - ha detto il docente di Botanica - tanto in Trentino quanto in Alto Adige il livello della conservazione garantito dalle aree protette è basso. In definitiva si tratta di normative che garantiscono livelli blandi di tutela del paesaggio e poco più. In Alto Adige non esiste alcun regime differenziato di gestione del patrimonio forestale o faunistico e in Trentino quelle che esistono vengano aggirate continuamente o vanificate. Basta vedere cosa sta succedendo con il collegamento Pinzolo-Campiglio o con quello del Rolle, che sono entrambi in zona protetta. Prima o poi però qualcuno dovrà porre la questione all’Unesco, trattandosi di area dolomitica, perchè le contraddizioni sono macroscopiche». Il convegno bolzanino è stato organizzato dall’Accademia Europea in collaborazione con l’Università di Innsbruck, Università di Bolzano e Istituto agrario di San Michele. Filo conduttore dell’edizione 2009 è la rilevanza della dimensione spazio-temporale nello studio dei sistemi ecologici. Tempo e spazio influenzano infatti notevolmente i risultati delle ricerche e sono variabili che devono essere tenute in considerazione per interpretare correttamente i dati di cui si dispone. L’estinzione di una specie, ad esempio, non è un evento allarmante di per sé, ma lo può diventare in base alla velocità con cui avviene. La stessa osservazione vale per la dimensione spaziale: considerare la portata dei cambiamenti climatici in Alto Adige o a livello mondiale conduce a risultati e conclusioni completamente diverse. Alla conferenza prenderanno parte anche ricercatori di fama internazionale come Christian Körner, di Basilea, che terrà una relazione sugli effetti del cambiamento globale sull’ecosistema alpino. Ha aperto il convegno l’intervento di Ferdinando Boero, professore dell’Università del Salento, dedicato al bicentenario di Darwin. All’interno del convegno è prevista anche una serata aperta al pubblico dedicata al tema della divulgazione scientifica. L’appuntamento è per oggi alle 18. (m.f.)

Alto Adige 16-09-09
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martedì, 25 agosto 2009



DOLOMITI UNESCO La prima idea nel 1993, poi rilanciata nel 2005 E’ un punto di arrivo, ma anche un nuovo inizio


Quasi una corsa a ostacoli: ecco come si è arrivati al riconoscimento



di Toni Sirena
 BELLUNO. Quindici anni dopo la prima proposta, cinque dopo l’inizio della fase di costruzione della candidatura, le Dolomiti diventano patrimonio dell’umanità. Oggi ad Auronzo si suggella ufficialmente il prestigioso riconoscimento che apre scenari nuovi per le Dolomiti.
 La scelta di Auronzo risponde alla logica del progetto, ed è una condizione posta dal presidente della Repubblica: la cerimonia viene fatta in un luogo importante delle Dolomiti, ma non nel luogo simbolo della «montagna dei vip», cioè Cortina. Il messaggio è chiaro: il riconoscimento dell’Unesco non va alla montagna famosa, quella del gran turismo. Il progetto non serve a questo, non per questo le Dolomiti sono state iscritte nell’elenco dei beni dell’umanità. Il loro non è un valore di mercato, le Dolomiti sono un bene e non una risorsa da sfruttare con le logiche che hanno segnato i destini della montagna (arricchimento da un lato, spopolamento e abbandono dall’altro).
 Il cammino è stato lungo. La prima idea fu lanciata nel 1993 in un convegno di una serie di associazioni, tra le quali Mountain Wilderness, Cai, Fondazione Angelini e altri. Rilanciata dalla Provincia di Belluno nel 2005, ha seguito un percorso difficile, non privo di momenti di arresto, ostacolata apertamente da persone e forze legate a una vecchia idea di «sviluppo» (impiantisti e immobiliaristi in primo luogo).
 L’idea si è modificata per via, facendo i conti con la realtà che spesso non coincide con le ambizioni. Superando pragmaticamente gli ostacoli senza tuttavia smarrire l’ispirazione originaria. Si può definire a ragione un esempio positivo di capacità di tenere la barra, di trasformare in progetto concreto (politico, amministrativo) un’idea partita dal basso, di mettere d’accordo realtà diverse in nome di un disegno unitario e condiviso, di accogliere sollecitazioni e nello stesso tempo respingere velleitarismi.
 L’idea iniziale era di proporre una candidatura come «sito culturale». Perché le Dolomiti non sono solo cime e vette, ma anche valli, pascoli e paesi. La montagna è un paesaggio culturale, è un territorio antropizzato che si è trasformato in una lunga storia di sedimentazione di lavoro, civiltà, culture, lingue e popoli a contatto. Tutto il contrario di una «selvaggità» che è, a ben vedere, il lato opposto di una stessa medaglia: da un lato la montagna disneyland, il parco giochi di un’area urbana che guarda alla montagna, alternativamente, come territorio di servizio o di sfruttamento; dall’altro, e per reazione, una montagna vergine, immacolata, lasciata a se stessa e alle dinamiche «naturali». Né sfruttamento né naturalità selvaggia, ma un territorio in cui montagne e uomini si incontrano e interagiscono, e si cambiano a vicenda. L’idea ha incontrato molti ostacoli, tra i quali la constatazione dell’unicità delle Dolomiti, geologica e paesaggistica. Inoltre, l’Italia aveva già una quarantina di «siti culturali», e solo uno «naturale». Alla fine, pur essendo il riconoscimento «naturale», nel dossier e nel piano di gestione si riconosce che il paesaggio montano è per sua natura «paesaggio abitato», è una natura antropizzata.
 La seconda difficoltà con cui ha dovuto fare i conti è stata la frammentazione dei «cuori» (cioè delle montagne e dei gruppi montuosi individuati), ritenuta eccessiva dall’Unesco. Dunque si sono ridefiniti i perimetri, accorpando e semplificando. Per la prima volta l’Unesco ha riconosciuto un bene naturale «seriale», costituito cioè da una serie di siti e non da un «continuum» interamente perimetrato.
 La terza questione è stata la definizione di chi dovesse gestire il sito Unesco. L’Unesco chiedeva di avere un unico punto di riferimento, un unico organismo di gestione. Le Dolomiti sono divise amministrativamente tra Province autonome (Bolzano e Trento), Province di regioni a statuto speciale (Pordenone e Udine), Province ordinarie (Belluno): ordinamenti e regole molto differenziati. Si è deciso per una Fondazione, un organismo di gestione che mettesse tutte le cinque Province su un piano di pari dignità e che garantisse l’unitarietà richiesta dall’Unesco. Non una questione di quote, dunque, stabilita sulla base del territorio di competenza delle singole Province oppure, ancor peggio, dei soldi versati da ciascuna di esse. Senza questa condizione di «pari dignità» alla fine il progetto non sarebbe andato in porto e la candidatura bocciata. Non sarebbe stato possibile nemmeno che il coordinamento del progetto venisse assunto da Belluno.
 La Fondazione dovrà essere operativa entro il 2011. E questo vuol dire approvare lo Statuto, decidere la sede legale e quella - o quelle - operative, chiarire il piano di gestione (cioè le azioni concrete per gestire e valorizzare il sito Unesco coerentemente con la dichiarazione di «patrimonio dell’umanità»). Un lavoro impegnativo, che può essere svolto positivamente solo se verrà mantenuta l’ispirazione originaria: pari dignità, sviluppo sostenibile, apertura all’articolazione del territorio e alle popolazioni (associazioni, parchi, enti locali).
 Ma oggi a firmare l’invito alla cerimonia di Auronzo sono il ministero dell’Ambiente, le due Regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia e le due Province autonome di Bolzano e Trento. Sono sparite le Province di Belluno, di Udine e di Pordenone. Sarà così anche sulla targa che l’Unesco consegnerà al presidente della Repubblica e che Napolitano «girerà» al territorio? Lo vedremo oggi. Cos’è cambiato? Si è passati dal territorio ad altro, forse a giochi di potere, forse a equilibri politici, forse al voler ribadire la centralità (o il centralismo?) delle Regioni. Forse, sotto, c’è il timore di dovere in futuro cedere alla Provincia di Belluno le competenze in materia di turismo. Forse la convinzione, più volte espressa da Galan, che le Province non servano e che i Comuni debbano in futuro rapportarsi solo con la Regione. Forse questo ed altro. Di certo, le ostilità al progetto Unesco non sono mancate: perché «ci sono i vincoli» (Oscar De Bona), perché «è un ricatto culturale» (Antonio Prade), perché «comandano le Province autonome» (Bottacin e Toscani), ed altro ancora. Da Belluno e Venezia arrivano da alcuni mesi solo «attenzioni» per lo sfruttamento turistico ed economico del marchio. Il progetto Unesco potrà recuperare il disegno con cui si è arrivati al riconoscimento? Un lavoro che è stato premiato come «modello istituzionale» (parole di Francesco Bandarin, direttore del Patrimonio mondiale Unesco), dove prima dei «pesi» viene il territorio.

Alto Adige 25-08-09
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sabato, 22 agosto 2009



Dolomiti Unesco, Laimer attacca




 BOLZANO. Nervi tesissimi sulla Fondazione Dolomiti Unesco, che deve essere istituita ed è bloccata dal braccio di ferro con il Veneto. La Regione, rimasta fuori finora dal progetto, vuole entrare a tutti i costi. Insieme al Friuli Venezia Giulia, il governatore Giancarlo Galan ha trovato un alleato di ferro nel ministero dell’Ambiente. Ma il Cda previsto dallo Statuto su cui l’Unesco ha dato il via libera prevede la presenza solo dei soci fondatori coinvolti dall’inizio, le cinque Province di Bolzano, Trento, Belluno, Pordenone e Udine. L’assessore Michl Laimer: decidiamo noi le condizioni.
 Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano arriverà ad Auronzo (Belluno) il 25 agosto per la cerimonia ufficiale di consegna del riconoscimento delle Dolomiti come patrimonio Unesco. I soci fondatori, ovvero le Province di Belluno, Bolzano, Trento, Pordenone e Udine vi arriveranno nel pieno del caos provocato dall’azione decisa dalla Regione Veneto che, dopo il sigillo dell’Unesco, chiede di entrare tra i soci fondatori insieme alla Regione Friuli Venezia Giulia.
 L’assessore provinciale Michl Laimer attacca: «Non sarà né il ministero né la Regione Veneto a decidere di entrare nella fondazione. Solo noi Province possiamo modificare lo statuto. Sia chiaro: se andiamo avanti così blocchiamo tutto, è sufficiente Bolzano». Visto che il voto di Bolzano è fondamentale per modificare lo statuto, «dovranno trattare con noi».
 La Provincia ha già deciso quale sarà uno degli argomenti di scambio: la sede legale. Le candidature stanno fioccando, dall’Alto Adige, dal Bellunese, da Erto (Pordenone) ma Laimer punta su Bolzano: «L’Eurac sarebbe il posto giusto. E’ una realtà non politica, sede della Convenzione delle Alpi».
 Un passo indietro. Nel vertice della scorsa settimana ad Auronzo Trento (con l’accordo di Bolzano) è arrivata con una proposta di mediazione: la creazione di un organismo non previsto dallo statuto, un comitato di indirizzo e controllo con quattro membri: Bolzano, Trento, la Regione Veneto e la Regione Friuli Venezia Giulia, tutti con il 25 per cento a testa.
 Il Cda resterebbe invece riservato alle cinque Province.
 Assessore Laimer, quando ne discuterete?
 
«La prossima riunione sarà il 18 settembre».
 Arriverete divisi alla cerimonia con il presidente Napolitano. Non è un bel biglietto da visita per la futura Fondazione Dolomiti Unesco.
 
«Non è colpa nostra. Per quanto ci riguarda si può procedere alla costituzione della fondazione con le cinque Province: siamo noi che ci siamo impegnati per anni a costruire questo progetto, quando la Regione Veneto stava a guardare, o meglio cercava di stoppare. Non voglio nemmeno ricordare cosa è successo».
 Come è andata che adesso la Regione Veneto chiede di partecipare?
 
«Dopo il grande successo di Siviglia, quando l’Unesco ha detto di sì alle Dolomiti, ci è arrivata dal ministero dell’Ambiente una lettera con la richiesta di modificare lo statuto: secondo loro dovremmo portare a 7 i soci fondatori, con le due Regioni in più, e istituire un consiglio di amministrazione a 7. La lettera del ministero ci è arrivata con acclusa la corrispondenza tra Roma e la Regione Veneto, se qualcuno avesse dubbi sull’ideatore di tutto».
 Perché questo vi irrita?
 
«Perché non esiste che il Veneto pretenda di entrare, stravolgendo l’impostazione iniziale. Può chiedere e noi Province possiamo accettare di modificare lo statuto. Certo non lo faremo senza porre condizioni. Basta Bolzano per bloccare tutto».
 Il comitato di indirizzo proposto da Trento e da voi viene contestato dalle altre Province perché darebbe più peso alle Regioni e taglierebbe fuori loro.
 
«Non è un problema nostro. Devono risolverlo loro con le rispettive Regioni. Possono anche decidere di dividere il posto riservato alle Regioni con le Province, suddividendo il diritto di voto».
 E nel Cda?
 
«No, quello deve restare a cinque, con le Province».
 In cambio la sede legale?
 
«Certo, che sarà affiancata da sedi operative in ogni Provincia con la presidenza a rotazione».
 Che tempi avete?
 
«Nel giugno 2011 ci dovrà essere la fondazione e dovremo presentare il concetto turistico: c’è tutto da attivare, gli studi, il marchio, il sito».
 Come sarà il turismo con il bollino Unesco?
 
«Basato su un concetto di mobilità sostenibile e qualità. Chi teme ulteriori vincoli al territorio ricordi che i siti che abbiamo portato sono già tutti tutelati. E’ una stupenda occasione». (fr.g.)


I cinque comuni della Badia: «Noi la sede naturale»

 BOLZANO. Dolomiti & Unesco: la sede della Fondazione è ambita dalla Ladinia. La chiedono, con insistenza, tutte le valli attorno al Sella nella convinzione che possa essere «un giusto riconoscimento ad una minoranza linguistica che ha contribuito alla valorizzazione dei Monti Pallidi».
 Partendo da questa considerazione di fondo - fatta propria anche dalla presidente dell’Union Generela Elsa Zardini che ha sollecitato la sede in uno dei Comuni bellunesi che hanno chiesto l’annessione alla Regione Trentino Alto Adige - i sindaci dei cinque comuni della Badia - Corvara, Badia, La Valle, San Martino e Marebbe - hanno preso carta e penna ed hanno scritto di recente al presidente Luis Durnwalder e all’assessore Michl Laimer per chiedere, appunto, che la sede della Fondazione sia nella vallata ladina. Ma i singoli comuni non hanno trovato unità di intenti per quanto riguarda la location. In Alta Badia puntano su Castel Colz (sopra l’abitato di La Villa), Marebbe ha chiesto ufficialmente che la Fondazione venga ubicata a San Vigilio.
 A tal proposito proprio l’altra sera il consiglio comunale ha votato - all’unanimità - una mozione in cui fa specifica richiesta in tal senso. Dice il sindaco Ferdinand Ferdigg: «La nostra richiesta parte della considerazione di fondo che sul nostro territorio c’è l’area più vasta del parco naturale di Fanes Sennes e Braies, che San Vigilio ha un Centro Visite del parco autentica calamita ogni anno di migliaia di turisti, che vi sono inoltre diverse malghe, per quasi 400 capi di bestiame, dove i contadini possono continuare a svolgere il loro lavoro mantenendo quindi in vita quell’agricoltura di montagna che ha contribuito, e non poco, anche alla conservazione naturale delle Dolomiti». Il sindaco Ferdigg non nasconde certo gli ostacoli di una «concorrenza» molto agguerrita, che viene all’interno della stessa Ladinia. «Ma noi - aggiunge il sindaco di Marebbe - vogliamo diocarci fino a fondo questa chanche e la conferma è venuta proprio dal consiglio comunale che si è espresso all’unanimità a favore della mozione perchà la sede della Fondazione possa essere San Vigilio». Ferdigg sa, perfettamente, che la scelta della location sarà di natura politica: «L’importante - conclude - è che si tenga conto della Ladinia».
(e.d.)


Proposta di Frena: «Io scommetto su Colle S.Lucia»

 BOLZANO. La sede della fondazione Unesco a Colle Santa Lucia, il comune bellunese meno noto e più «povero» tra quelli dolomitici. La proposta arriva da Antonio Frena, segretario del Pd Altoatesino.
 «Ho letto con interesse - esordisce Frena - l’intervista a Elsa Zardini, presidente di Union Generela: sia ladino, ma soprattutto da segretario del Pd altoatesino, partito che si è sempre battuto per il ritorno alla provincia di Bolzano dei comuni di Cortina, Colle Santa Lucia e Livinallongo. Condivido pienamente quindi quanto affermato da Zardini - prosegue il segretario altoatesino del Pd - riguardo alla necessità in questo momento storico di una maggior attenzione per la Ladinia, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto della dissipazione del territorio e la temuta perdita d’identità della popolazione. Ma ritengo che proprio i riflettori puntati sulle nostre valli grazie al successo dell’operazione Dolomiti-Unesco, debbano mettere in evidenza quanto c’è ancora da fare sulla via dell’equiparazione economica e sociale fra i vari ambiti della Ladinia. Ben venga quindi la proposta di Zardini - prosegue Frena nel suo intervento - di localizzare la sede della fondazione Unesco in uno dei tre comuni rimasti nel Bellunese (lei indica Cortina), onde focalizzare l’attenzione su un referendum un po’ sottotono, ma si può fare ancora di più. Proporre per esempio come sede Colle Santa Lucia, il comune più piccolo, più povero e forse più dimenticato. Cortina, così come le altre pretendenti nelle due province autonome, ha già molto: la Ladinia sulla via della riunificazione - conclude il segreario del Partito democratico dell’Alto Adige - non può continuare a viaggiare a due velocità».

Alto Adige 22-08-09
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martedì, 18 agosto 2009



Catinaccio: 3 motivi per conoscerlo


 CAREZZA. Un’escursione in quota con triplice scopo: festeggiare l’ammissione del Catinaccio nel Patrimonio Unesco, far conoscere e spiegare agli interessati le meraviglie geologiche del gruppo dolomitico e scongiurare la realizzazione di un nuovo impianto di risalita sul costone Ratschigler, proprio nel cuore di questo paradiso. L’escursione geologica, gratuita e bilingue, è stata organizzata per domani dal comitato Pro Catinaccio. Guidati da un geologo, si percorrerà il sentiero del Masaré, ai piedi della celebre Parete Rossa. Intenzione del Comitato è anche quella di promuovere la futura realizzazione di un sentiero geologico Unesco proprio sul Catinaccio, aperto al pubblico interessato, con tabelle esplicative, pubblicazioni e quant’altro. Il ritrovo è stato fissato per dopmani alle ore 9 e 30, presso la stazione a valle della seggiovia del Paolina, a Carezza. L’escursione è libera e gratuita; durerà circa cinque ore. Occorrono scarponi e abbigliamento da montagna. Potrebbero risultare utili binocolo e martello (da geologo). In caso di maltempo la gita si terrà il giorno successivo, 20 agosto.

Alto Adige 18-08-09
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mercoledì, 12 agosto 2009



Catinaccio, escursione con tre scopi: Festeggiare il marchio Unesco, conoscere la zona e dire no al nuovo impianto a fune


È prevista mercoledì 19 agosto con la partecipazione di un geologo. Verrà percorso il sentiero del Masarè.

di Davide Pasquali
 CAREZZA. Un’escursione in quota con triplice scopo: festeggiare l’ammissione del Catinaccio nel Patrimonio Unesco, far conoscere e spiegare agli interessati le meraviglie geologiche del gruppo dolomitico e scongiurare la realizzazione di un nuovo impianto di risalita sul costone Ratschigler, proprio nel cuore di questo paradiso. L’escursione geologica, gratuita e bilingue, è stata organizzata per mercoledì 19 agosto dal comitato Pro Catinaccio, fondato nel 2008 per tutelare questo paradiso naturale dagli attacchi indiscriminati da parte di speculatori e impiantisti. Guidati da un geologo, si percorrerà il sentiero del Masaré, ai piedi della celebre Parete Rossa.
 Come spiegano i portavoce del comitato, «abbiamo intenzione di festeggiare l’ammissione del gruppo del Catinaccio nel patrimonio naturale mondiale tutelato dall’Unesco. Per questo abbiamo pensato fosse il caso di farne conoscere le meraviglie geologiche a tutti: amanti della natura, escursionisti, villeggianti e popolazione locale».
 Intenzione del Comitato è anche quella di promuovere la futura realizzazione di un sentiero geologico Unesco proprio sul Catinaccio, aperto al pubblico interessato, con tabelle esplicative, pubblicazioni e quant’altro. Il luogo prescelto è molto noto agli appassionati di geologia, tanto che solo pochi anni fa il Museo di scienze naturali dell’Alto Adige girò un documentario sulla nascita delle Dolomiti - poi diffuso in tv e tramite dvd - proprio nella zona scelta per la gita. Si tratta del sentiero del Masaré, ai piedi della Roda di Vael.
 Il ritrovo è stato fissato per mercoledì 19 agosto, alle ore 9 e 30, presso la stazione a valle della seggiovia del Paolina, a Carezza. Dapprima il dottor Lorenz Keim, geologo e grande esperto del Catinaccio, terrà una breve spiegazione introduttiva, sia in italiano che in tedesco. Dopo la salita in seggiovia fino al rifugio Paolina, si raggiungerà l’Aquila, ossia il monumento a Christomannos. Di qui si svolterà verso il sentiero superiore del Masaré, che verrà percorso fino all’innesto con quello che conduce al passo del Vajolon. Il ritorno verrà effettuato per il sentiero del Masaré basso. L’escursione è libera e gratuita; durerà circa cinque ore. Occorrono scarponi e abbigliamento da montagna. Potrebbero risultare utili binocolo e martello (da geologo). In caso di maltempo la gita si terrà il giorno successivo, 20 agosto. Per altre informazioni contattare Norbert Dejori, 339 7937101, oppure il sito internet www.weltnaturerbe.eu.

Alto Adige 12-08-09
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domenica, 02 agosto 2009



Grazie all’effetto Unesco escursionisti in aumento Canyon spesso affollato


Conferma dal Geoparc di Aldino: sempre più turisti Resta impraticabile la scala vicino alla cascata

di Ezio Danieli
 ALDINO. Al Geoparc - e quindi nel canyon del Rio delle Foglie (Bletterbach) - è un vero e proprio boom di visitatori e di escursionisti. Le visite guidate quasi non bastano più per soddisfare le varie richieste. E le manifestazioni proposte risultano, spesso, il tutto esaurito. Merito anche del sito che è parte integrante delle Dolomiti classificate dall’Unesco «patrimonio naturale dell’umanità».
 La conferma viene dai responsabili del Geoparc dove, proprio ieri, c’è stata la simpatica gara del tiro con le biglie che ha richiamato tantissime persone, soprattutto famiglie: «È vero, rispetto all’estate scorsa il numero degli escursionisti è notevolmente aumentato. Non abbiamo ancora statistiche ufficiali ma il bilancio, finora, è molto positivo». C’è un unico rammarico: non è praticabile la scala di ferro a ridosso della cascata. È stata distrutta da una frana e per ripararla bisognerà aspettare ancora del tempo. «Ma il giro nel canyon - dicono al Geoparc - lo si può fare ugualmente». E infatti, come detto, il numero degli escursionisti è in continuo aumento con gli ospiti italiani che sono molti di più rispetto alle scorse estati quando erano soprattutto i provenienti da Oltrebrennero i protagonisti di quel «turismo ambientale» che è diventato decisamente più di un «trend», grazie alle offerte che Madre Natura ha donato anche in questa zona.
 È il caso di ricordare che chi intende avere una rappresentazione della storia geologica delle Dolomiti non ha che da recarsi nella gola del Rio delle Foglie-Bletterbach ed in particolare al Gran Canyon delle Dolomiti. In nessun’altra zona delle Alpi la stratigrafia della dolomite è così ben evidente. L’area del Rio delle Foglie è una gola intagliata dal torrente di circa 8 chilometri e profonda fino a 400 metri, che ha messo in luce uno spaccato di stratigrafie geologiche risalenti a 250 milioni di anni fa. Quest’area di soli 271 ettari guarda sulla valle dell’Adige, tra Aldino e Redagno. L’unica cima notevole è il Corno Bianco Weisshorn (2.317 metri). L’intera area è compresa nel Parco Geologico del Rio delle Foglie. Sono presenti fossili di animali (eccezionale il calco di un piccolo sauro intero) e di piante.

Alto Adige 02-07-09
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martedì, 21 luglio 2009



Una Via GeoAlpina per i tesori di roccia delle alte quote


Parte da Corvara la Via GeoAlpina, il progetto transfrontaliero della Commissione Italiana dell’Anno Internazionale del Pianeta Terra in collaborazione con l’Associazione italiana di Geologia e Turismo, che vuole portare il grande pubblico nei luoghi europei più importanti e spettacolari per le scienze della Terra. I percorsi italiani verranno inaugurati oggi a Corvara in Alta Badia, nel corso della conferenza stampa di presentazione, alla quale parteciperanno alcuni dei massimi esperti italiani di geologia e di geomorfologia. Giovedì 23 luglio, invece, verrà organizzata un’escursione speciale di geologia aperta al pubblico. Si partirà alle ore 9.15 dalla Cabinovia del Boé, per poi prendere la seggiovia Vallon e raggiungere il rifugio F. Kostner. Durante l’escursione di media difficoltà, verranno illustrate le caratteristiche geologiche e geomorfologiche dell’itinerario inserito nella Via GeoAlpina. Il rientro è previsto per le ore 16. Il costo dell’escursione è di 10 euro comprensivo di materiale illustrativo, che contiene una cartina geologica specifica e documentazione scientifica sulle Dolomiti.
Sarà dunque possibile viaggiare lungo i nuovi itinerari, alla scoperta delle meraviglie geologiche e della loro evoluzione che, nel corso del tempo, hanno influenzato anchela vita degli abitanti: origini,storia e tradizioni.
Per ogni percorso saranno stampate delle Guide plurilingue e basterà collegarsi ad internet per avere un quadro completo degli itinerari, ai quali è collegata una scheda scaricabile gratuitamente con tutte le spiegazioni e le descrizioni dei siti geologici contenuti.
 A Corvara, particolare attenzione verrà dedicata all’itinerario standard denominato Dolomiti Uno, da Auronzo di Cadore al Gruppo del Sella, che parte da un’altitudine di 1011 metri per salire fino ai 3153, con cinque tappe giornaliere per un totale di 57 chilometri. Il percorso, che inizia da Somadida (Auronzo) per arrivare fino al Piz Boè, si snoda tra il Veneto e l’Alto Adige, consentendo di visitare le Dolomiti bellunesi,e altoatesine. Le Dolomiti rappresentano uno straordinario museo naturale a cielo aperto e sono diventate da poche settimane «Patrimonio Mondiale dell’Umanità Unesco».
L’iniziativa internazionale Via GeoAlpina, secondo progetto simbolo dell’Anno Internazionale del Pianeta Terra (IYPE), dopo il successo del portale OneGeology, prevede una serie di percorsi gratuiti che si snodano in tutti i Paesi dell’arco alpino. In questo modo, gli escursionisti che amano le montagne (ma anche i fiumi e perché no il mare) di Italia, Austria, Francia, Germania, Slovenia e Svizzera, potranno visitare alcuni dei luoghi più affascinanti d’Europa, guidati attraverso una serie di itinerari. Per quanto riguarda l’Italia, sono previsti finora quindici percorsi, tra cui quelli sul Carso e le Alpi Carniche, sulle Dolomiti friulane, bellunesi, trentine e altoatesine, i Monti di Carducci sulle Alpi Retiche, le Cime di Segantini in Lombardia e le Vie dei Graniti, i sentieri valdostani che sconfinano in Francia e quelli nella zona del parco del Beigua, in Liguria, dove “le Alpi incontrano il mare”. Insomma, un modo inedito di coniugare turismo e geologia, divertimento ed educazione, che prevede per il futuro diversi altri eventi in località alpine, con gli studiosi nell’inedita veste di accompagnatori lungo gli itinerari. I massimi esperti europei del settore spiegheranno come è nato il paesaggio alpino e perché edilizia, agricoltura e posizione degli insediamenti umani dipendano in maniera rilevante dalla sue caratteristiche geologiche. Il tutto con un linguaggio semplice e accessibile, ma rigorosamente scientifico. La Via GeoAlpina si sviluppa lungo sei paesi: Austria, Francia, Germania, Italia, Slovenia, Svizzera, attraversando luoghi geologicamente molto ricchi.

Alto Adige 21-07-09
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sabato, 18 luglio 2009



Catinaccio, a rischio il marchio Unesco



BOLZANO. «L’Unesco ha ragione: sulle Dolomiti turismo oltre il limite. Nuovi pericoli per il Catinaccio».
 L’allarme viene lanciato dai consiglieri provinciali dei Verdi Heiss e Dello Sbarba. «Vanno respinti - dichiarano - i nuovi tentativi del comune di Nova Levante di realizzare ad ogni costo la pista sotto la Roda di Vael, che mette in pericolo il progetto “Dolomiti patrimonio dell’Umanità”. Le Dolomiti, proseguono, «hanno già raggiunto il limite massimo per infrastrutture e afflusso turistico. Il monito lanciato dall’Unesco richiama gli amministratori alla propria responsabilità. In primo luogo devono ascoltarlo gli amministratori di Nova Levante, il comune competente per il Catinaccio». Come denuncia il comitato civico “Pro-Rosengarten”, il comune e l’associazione turistica di Nova Levante stanno cercando di trovare un modo per realizzare ugualmente la nuova pista sotto la Roda di Vael, nonostante sia stata bocciata da un voto del consiglio provinciale, da migliaia di cittadini e dalla stessa giunta provinciale che non l’ha inserita nel nuovo piano per le piste da sci. «Eppure sembra che a Nova Levante l’amministrazione tenti ugualmente di riproporre la pista, abbassando leggermente il tracciato, che entrerebbe comunque profondamente all’interno dell’area di rispetto del progetto Unesco, rischiando di comprometterlo». Come mostra l’esempio di Dresda, «l’Unesco interverrebbe severamente contro questo scempio all’interno di una delle aree del progetto Unesco “Dolomiti patrimonio dell’umanità”, escludendo immediatamente l’area Catinaccio-Sciliar-Latemar dal prestigioso riconoscimento. Con la loro insistenza, gli amministratori di Nova Levante e le lobby economiche locali rischiano di compromettere anche economicamente non solo il loro territorio, ma quello di una area molto più vasta, il cui futuro è sempre più legato a un turismo sostenibile e distribuito sulle quattro stagioni, un turismo reso più credibile dalla certificazione Unesco».

Alto Adige 17-07-09
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sabato, 18 luglio 2009



Basta barbari in moto sulle Dolomiti dell’Unesco



 Perfettamente inutile sbandierare con enfasi il raggiungimento del traguardo Unesco-Dolomiti. Ogni fine settimana migliaia di motociclette con il loro frastuono assordante appestano l’aria e le strade delle nostre montagne. L’orda di barbari d’Oltrebrennero (90% dei motociclisti) può finalmente scatenare i più bassi istinti motoristici, perché nei loro Land non li tollerano più: sono troppo pericolosi e rumorosi. Paradossalmente per loro ci sono finalmente le “Dolomiti”, dove tutto è consentito.
 Autorità assenti: nessuno controlla, nessuno punisce, nessuno limita. Con grande gioia degli albergatori che, posso capire, lavorano molto con loro. Ma, per favore, lasciamo perdere la storia del patrimonio Unesco, perché è una presa in giro. Qualcuno si sieda una giornata sul bordo di una strada dolomitica e capirà di cosa sto parlando. E’ una vergogna, con il consenso di chi governa.
Graziano Stefenelli

Alto Adige 16-07-09
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lunedì, 13 luglio 2009



Unesco, Cortina si candida



BOLZANO. La giunta comunale di Cortina d’Ampezzo (Belluno) ha espresso parere favorevole all’ipotesi di stabilire sul proprio territorio la sede della Fondazione Unesco per le Dolomiti ed ha messo a disposizione uno spazio nello storico e prestigioso palazzo del “Comun Vecio” nel centro di Cortina, in Corso Italia. «A differenza di altri Comuni - afferma il sindaco di Cortina Andrea Franceschi - Cortina non si è proposta ma è stata candidata a Siviglia da Matteo Toscani, assessore della Provincia di Belluno e da Oscar De Bona, assessore della Regione del Veneto. Al di là dei motivi soggettivi per i quali ogni amministratore pubblico propone legittimamente il proprio paese - dice - ritengo che Cortina abbia veramente tutte le carte in regola per valorizzare ancora di più il marchio Dolomiti nel mondo questo perchè geograficamente si trova a ricoprire un ruolo di cerniera tra le diverse province coinvolte, perchè ha una storia ricca di tradizione e la presenza delle regole d’ Ampezzo ne è una conferma ulteriore, perchè è conosciuta in tutto il mondo e unanimemente viene considerata la “Regina” delle Dolomiti». Insomma per il sindaco Cortina ha tutte le carte in regola.

Alto Adige 12-07-09
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mercoledì, 08 luglio 2009


«Marchio Unesco: ladini da tutelare»

La presidente della Generela: i Monti Pallidi non sono soltanto rocce e boschi


IL GRUPPO SELLA, AL CENTRO DELLE DOLOMITI, SI PRESENTA COME UN MASSICCIO DAI PODEROSI ALTIPIANI, DAI QUALI SCENDONO DA TUTTE LE PARTI LE RIPIDE PARETI.
COSTITUISCE LA CHIUSURA DELLE QUATTRO VALLI LADINE DELLE DOLOMITI; VAL DI FASSA, VAL GARDENA, VAL BADIA E LIVINALLONGO



 BOLZANO. «Le Dolomiti patrimonio naturale dell’umanità: un grande, prestigioso riconoscimento che deve servire anche per una maggiore attenzione nei confronti dei ladini, della loro storia e delle loro esigenze»: è il messaggio che lancia - con estrema fermezza - Elsa Zardini, presidente dell’Union Generela, l’associazione culturale che raggruppa le vallate attorno al Sella.
 Prosegue la Zardini: «I ladini per problemi legati all’alloggio, alla speculazione edilizia, alla vendita delle seconde case sono costretti a lasciare le loro vallate. Di conseguenza debbono abbandonare ciò che hanno cercato di mantenere per secoli. Sforzi in tal senso ne sono stati fatti grazie alle Viles, alle Regole Ampezzane, alla vicinanza in Badia e allo stesso maso chiuso. Ma queste regole bisogna mantenerle e valorizzarle nel rispetto della cultura dei ladini. Ecco perchè chiediamo, soprattutto in questo momento, maggiore attenzione per la Ladinia. Le Dolomiti, intese anche e soprattutto come patrimonio naturale dell’umanità, non sono soltanto rocce e boschi. Sono soprattutto persone che vivono fra i Monti Pallidi. È a loro che bisogna guardare per capirne le esigenze e quindi rispettarle».
 Elsa Zardini, di sfuggita, entra nel merito anche della discussione sulla sede della Fondazione: «Da cortinese è ovvio che mi farebbe piacere se la sede fosse proprio a Cortina che è in posizione centrare rispetto al territorio dolomitico. La decisione, è ovvio, sarà politica. Io spero, vivamente, che la scelta sia concordata nel rispetto di quello che la Generela sostiene da sempre, ovvero che nei confronti della Ladinia bisogna lavorare assieme per raggiungere risultati concreti. E questo impegno comune serve anche, e soprattutto, per capire le problematiche della Ladinia in modo tale da affrontarle poi con la dovuta attenzione per poterle - mi auguro - risolverle».

Alto Adige 08-07-09
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mercoledì, 08 luglio 2009


Fondazione Unesco la sede a Belluno
Dolomiti, la scelta è provvisoria


BELLUNO. A pochi giorni dalla proclamazione delle Dolomiti come patrimonio dell’umanità, Belluno sarà, per un anno, la sede provvisoria del coordinamento delle 5 province che costituiranno la Fondazione Unesco. Ma toccherà a Bolzano fare da collante organizzativo. La decisione ieri a Trento.
 Sul tavolo l’ipotesi che la sede legale della fondazione, una volta costituita, sia fissa e quella operativa a rotazione. Per adesso è stato stabilito un compromesso. La prima riunione operativa si svolgerà il 28 luglio sul monte Rite, sede del museo delle Nuvole di Reinhold Messner. La riunione di Trento era stata spacciata come un incontro di natura tecnica ma oltre ai funzionari pubblici c’erano anche i rappresentanti politici delle Province interessate - Belluno, Trento, Bolzano, Udine e Pordenone - che hanno concordato decisioni politiche contribuendo, almeno per il momento, a smorzare le polemiche sulla location della sede della fondazione.
 Il summit è stato convocato da Michl Laimer, assessore all’ambiente della Provincia di Bolzano. Alla fine gli assessori Toscani, Gilmozzi, Laimer, Faleschini e Grizzo, le scelte le hanno fatte e hanno anche aperto ad una possibile partecipazioni delle regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia. C’è tempo un anno e mezzo per costituire la fondazione ma già oggi a Roma (ore 16) le 5 Province incontreranno il ministro Prestigiacomo per riferire.
 Nei giorni scorsi le Province avevano espresso le proprie candidature, ovviamente ognuna pro domo sua. Belluno punta tutto su Cortina, Bolzano invece propone l’Accademia europea, il Trentino avanza la rotazione, Udine e Pordenone se ne stanno defilate.

Alto Adige 08-07-09

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martedì, 07 luglio 2009



«Rifugi, bisogna intervenire subito»


Rif. Cima Libera – Müllerhütte

Dolomiti patrimonio Unesco: all’Eurac nascerà un istituto di ricerca sulla medicina alpina d’urgenza 

BOLZANO. La Provincia vuole intervenire subito per evitare ulteriori danni ai rifugi alpini che nel 2011 passeranno dal Cai alla stessa Provincia. «Siamo pronti a sostenere tutte le spese, questo ci permetterebbe di evitare danni ulteriori alle strutture», ha spiegato Durnwalder.
 Sono 24 i rifugi alpini attualmente gestiti dal Cai che nel 2011 passeranno alla Provincia. Alcuni di questi sono in difficoltà a causa dei mancati investimenti negli ultimi anni e il primo di questa lista è il rifugio Gino Biasi al Bicchiere, che è stato costretto a chiudere. «Da più parti - ha sottolineato Durnwalder - si chiede l’intervento della Provincia che però non può fare nulla fino a quando non sarà proprietaria delle strutture. Per questo sono stato incaricato dalla giunta di prendere contatto con i responsabili del Cai per chiedere il permesso a intervenire già prima dell’effettivo passaggio di proprietà. In questo modo, a nostre spese, potremmo effettuare dei lavori di manutenzione che permetterebbero di evitare ulteriori danni».
 Sempre in tema di montagna, la giunta si è occupata di una nuova proposta. Dalla Provincia è arrivato il via libera alla creazione di un Istituto di ricerca sulla medicina alpina d’urgenza. «Ora che le Dolomiti sono state riconosciute patrimonio mondiale dell’umanità dall’Unesco - ha motivato questa decisione il presidente - ci sembra giusto dare vita a qualcosa di unico a livello internazionale. Visto che nel campo della medicina alpina siamo molto esperti e abbiamo delle ottime competenze, riteniamo questa idea molto valida». L’istituto di ricerca potrebbe essere creato come ente autonomo oppure appoggiarsi ad un’altra struttura, «l’Eurac, che ospita già il segretariato della convenzione delle Alpi, oppure l’ospedale», ha detto Durnwalder che ha anche annunciato che nei prossimi giorni a Roma si terrà il primo incontro relativo alla fondazione che dovrà gestire il patrimonio naturale delle Dolomiti. Per la Provincia sarà presente l’assessore all’ambiente Michl Laimer. In giunta è stato sfiorato anche l’argomento del pedaggio sui passi dolomitici: «Un metodo buono per controllare il traffico, ora che le Dolomiti hanno ottenuto questo importante riconoscimento», ha riferito Durnwalder.

Alto Adige 07-07-09
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lunedì, 06 luglio 2009



Tre Cime di Lavaredo, l’abbraccio dei seimila


Appello al G8 per l’Africa con una gigantesca catena umana

AURONZO. Sono arrivati in 6 mila ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo per stringere in un abbraccio la montagna con una catena umana e lanciare un messaggio ai grandi del G8: le Dolomiti abbracciano l’Africa. E tra la folla c’era anche un pezzo di Alto Adige, con il sindaco di Dobbiaco Mayer, assieme a colleghi trentini come l’assessore alla Cultura del Comune di Trento Lucia Maestri e l’ex consigliere provinciale Giorgio Viganò.
 Un colpo d’occhio meraviglioso quello di migliaia di persone strette per mano e piccolissime di fronte all’imponenza delle Tre Cime. «È stata una giornata importante, frutto di anni di lavoro e ancora più significativa nell’anno in cui le Dolomiti sono state proclamate patrimonio dell’umanità», commenta a sera l’assessore Maestri, che ha portato il saluto del Comune di Trento.
 Per circondare completamente le cime sono mancate all’appello meno di cento persone, ma il messaggio è arrivato comunque. La catena umana è durata una mezz’ora poi si è sciolta attorno a mezzogiorno e in molti hanno proseguito il giro delle Tre Cime: «Abbiamo camminato per 3 ore, un po’ di fatica perché c’era ancora un po’ di neve, ma è stato stupendo». In cima ha incontrato Giorgio Viganò, arrivato in bici fino al Rifugio Auronzo per poi proseguire a piedi.
 Mentre una fiumana di gente (solo Dolomitibus ha mobilitato 50 pullman) conquistava i posti assegnati, davanti al rifugio i testimoni hanno raccontato la loro Africa. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha mandato un suo messaggio, in cui ha ricordato come «l’impegno per vincere povertà e sottosviluppo sia un dovere civile e morale a difesa della dignità dell’uomo e un investimento sul futuro comune a beneficio di tutti» e ha espresso apprezzamento per l’iniziativa di sensibilizzazione sull’importanza della Cooperazione allo sviluppo e al dialogo tra i popoli».
 Bruno Zandegiacomo, sindaco di Auronzo, parla di «giornata storica», accogliendo il vescovo Andrich, l’assessore De Bona, il vicepresidente della Provincia, Piccoli, con l’assessore Toscani, il consigliere regionale Bond, l’ex presidente della Provincia Reolon, i sindaci dei Comuni della zona.
 E alle Tre Cime sono arrivati anche Moni Ovadia, Gualtiero Bertelli, il presidente dell’Uncem, Borghi, i rappresentanti di un’infinità di associazioni, a cominciare da Piergiorgio Da Rold di “Insieme si può”, l’anima dell’organizzazione, per finire con Salviato, presidente di Bancaetica, e il campione di fondo Pietro Piller Cottrer con i suoi bambini. A tutti i partecipanti è stato consegnato un sasso rosso. Rosso di tragedia, ma anche di vergogna.

Alto Adige 06-07-09
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venerdì, 03 luglio 2009



Dolomiti: «Il Centro Crepaz al passo Pordoi è una sede ideale»




 BOLZANO. Sono «patrimonio dell’umanità» ma le Dolomiti rischiano di vedersi appannata la festa dal braccio di ferro sulla sede della Fondazione. Il Governatore Galan insiste per Cortina, il senatore Santini (Forza Italia) fa una proposta.

Il senatore Giacomo Santini ha ha proposto che la sede della Fondazione per le Dolomiti sia al Centro «Crepaz» del Cai a Passo Pordoi: «Come sempre la politica e la burocrazia irrompono con il piede pesante: Bolzano propone come sede l’Istituto Eurac, Trento rivendica diritti di territorialità, Cortina dice che è da loro la sede naturale ed anche Udine e Pordenone si fanno avanti. E allora che cosa di meglio per dribblare questa mortificante diatriba che affidare ad una istituzione prestigiosa e al di sopra di ogni conflittualità la titolarità di essere sede della Fondazione e affidataria dei suoi destini? Questa istituzione è il Club Alpino Italiano. La sede ideale potrebbe essere a Passo Pordoi, presso il Centro Crepaz, la casa alpina del Cai dove si svolgono attività di ricerca scientifica e iniziative per la tutela della montagna... Nel corso di un incontro a Roma con il Presidente del Cai, professor Annibale Salsa, l’idea è stata avanzata e sembra proprio che solleverebbe notevole entusiasmo ovunque».

 Quasi contemporanea, all’agenzia Ansa, la dichiarazione del Governatore del Veneto Giancarlo Galan che ha riproposto come sede la “capitale” delle Dolomiti, Cortina d’Ampezzo. Ha poi ribadito, in merito al marchio Unesco, i suoi timori: «Non vorrei che producesse nuovi vincoli, perchè la montagna, specie quella non assistita, quella senza prebende di Stato, senza agevolazioni a fondo perduto, ha bisogno di tantissime cose per poter competere con il resto della montagna privilegiata, che sta oltre il confine». Quindi il Governatore del Veneto rilancio la sede della Fondazione a Cortina «perchè non c’è dubbio al mondo che la maggior parte delle Dolomiti sia in territorio veneto».

Alto Adige 03-07-09
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domenica, 28 giugno 2009


LE DOLOMITI PATRIMONIO DELL’UMANITA’



Un territorio che batte con 9 cuori di pietra tra boschi e valli d’or

Nove gruppi dolomitici per un’ estensione complessiva di 142 mila ettari, cui si aggiungono altri 85 mila ettari di aree cuscinetto, per un totale di 231 mila ettari, suddivisi tra le province di Trento, Bolzano, Belluno, Pordenone e Udine: questo il nuovo patrimonio dell’umanità sancito dall’Unesco ieri a Siviglia.
 Ne fanno parte il gruppo formato da Pelmo e Croda da Lago, tra Cadore, Zoldano e Ampezzano; la Marmolada, fra Trentino e Veneto e comprendente la cima più alta delle Dolomiti (3.343 metri) e il ghiacciaio più significativo; il gruppo formato dalle Pale di San Martino, Pale di San Lucano e Dolomiti Bellunesi, tra Veneto e Trentino; il gruppo delle Dolomiti Friulane e d’Oltre Piave, le più orientali, suddivise fra Pordenone e Udine; le Dolomiti Settentrionali, fra Alto Adige e Veneto e comprendenti i frastagliati Cadini, le candide Dolomiti di Sesto, le austere Dolomiti d’Ampezzo, le lunari Dolomiti di Fanes, Senes e Braies; il gruppo Puez-Odle, tutto in territorio altoatesino, parco naturale; il gruppo formato da Sciliar, Catinaccio e Latemar, a cavallo fra Alto Adige e Trentino; le Dolomiti di Brenta, le più occidentali, dove vive ancora l’orso bruno, tutte in territorio trentino; il Rio delle Foglie, canyon unico al mondo, le cui stratificazioni rocciose dei più diversi colori e gli innumerevoli fossili di animali preistorici permettono di leggere come in un libro aperto la storia geologica della Terra.
 La candidatura delle Dolomiti era arrivata in Spagna forte del parere positivo espresso nelle scorse settimane dall’Iucn (l’Unione mondiale per la conservazione della natura), l’organismo internazionale incaricato di esaminare in prima istanza e candidature dei beni naturali Unesco. Sinora in Italia il riconoscimento come bene naturale era stato assegnato solo alle Isole Eolie.


PELMO-CRODA DA LAGO


Pelmo




Croda da Lago


 Il gruppo del Pelmo-Croda da Lago (tutto in provincia di Belluno) ha un’estensione di 4.343 ettari, cui si aggiungono 2.427 ettari di zona cuscinetto. Il massiccio principale è costituito dal Pelmo (3.168 metri), un titano che si eleva tra Cadore e Zoldano.
 La sua forma richiama un trono tanto che viene chiamato il Caregon del Padreterno. Accanto sorge il Pelmetto (2.990 metri) alla cui base sono state trovate orme fossili di dinosauro. La Croda da Lago (2.701) si trova nell’Ampezzano. Altre cime sono la Rocchetta Alta (2.412) e la Rocchetta Bassa (2.047), il monte Formin (2.657) e il Nuvolau (2.574). L’Iucn: «E’ paesaggio scenografico con un’ampia serie di formazioni rocciose comprendenti torri, altipiani, cenge e ghiaioni, e testimonianze dell’ultima grande glaciazione». Numerosi i fossili.

PALE, BELLUNESI, FELTRINE


Pale di San Martino

Le "anime gemelle": Torre (a sinistra) e Spiz di Lagunaz  nel gruppo delle Pale di San Lucano

 Il terzo compendio dolomitico è un insieme di più gruppi, riuniti sotto la dizione Pale di San Martino San Lucano-Dolomiti Bellunesi-Vette Feltrine, estesi su un totale di 31.665 ettari tra Trento e Belluno.
 L’insieme si presenta come un grande ferro di cavallo ed è “una delle più complete serie stratigrafiche delle Dolomiti dal primo Paleozoico al Cretaceo”. Le Pale di San Martino sono segnate da una serie di ghiacciai (il più grande, la Fradusta). Tra le principali cime, il Cimon della Pala (3184). Le Pale di San Lucano sono ciclopiche muraglie, a picco per 1.500 metri. A nord la Civetta (3.220), il più colossale monoblocco delle Dolomiti. Dolomiti Bellunesi e Vette Feltrine, impervie e selvagge, sono nel Parco nazionale Dolomiti Bellunesi.

MARMOLADA


Marmolada

 La vetta della Marmolada raggiunge i 3.342 metri, la più alta di tutte le Dolomiti: dalla sua imponenza le deriva il nome di “Regina delle Dolomiti”. Fra Trentino e Veneto, si estende su 2.207 ettari.
 Anche Papa Wojtyla salì in vetta nel 1979. La parete sud precipita per oltre 600 metri. Nella valutazione Iucn la Marmolada figura tra i gruppi che spiccano per particolare bellezza, idoneo per ricerche geologiche, paleontologiche e glaciologiche. Tra i sottogruppi, l’Ombretta-Ombrettola, la Catena della Cima Uomo, i Monzoni-Vallaccia, il Collac-Buffaure, le catene del Padòn e dell’Auta. Tra le cime a nord il Gran Vernel (3.210) e il Piccolo Vernel (3.098), il Piz Serauta (3.069) e punta Rocca (3.309).

CATINACCIO-ROSENGARTEN



Torri del Vaiolet

 Le Torri del Vajolet sono tre spettacolari guglie, universalmente note: sono il cuore del gruppo del Catinaccio (Rosengarten, Giardino delle Rose), che assieme allo Sciliar/Schlern e al Latemar, si estende su 9.302 ettari, al confine fra le Province di Trento e di Bolzano (lo Sciliar solo Bolzano). Catinaccio e Sciliar si affacciano sulla terrazza di Fiè/Voels-Siusi/Seis, che digrada sulla Valle d’Isarco.
 Visto da sud lo Sciliar appare come un pianeggiante altipiano al quale sembrano addossati due caratteristici aguzzi campanili, Punta Santner (2.413 metri) e Punta Euringer (2.394). Visto da nord è un imponente massiccio roccioso, striato da canaloni e ripide gole. Il gruppo nel corso della giornata cambia continuamente di colore fino a diventare rosa, rosso e poi violetto alla sera. Le cime principali sono il Catinaccio d’Antermoia (3.002 metri), le Torri del Vajolet (sui 2.800 metri), la Roda di Vael (2.806), la Cima Catinaccio (2.981), la Croda di Re Laurino (2.813).
 Il terzo gruppo del compendio è il Latemar.

FRIULANE E D’OLTREPIAVE


Dolomiti friulane (Monte Cridola, Cima Monfalcon, Forcella Scodavacca)

 Sono la parte più orientale e si estendono per 21.460 ettari su tre province e due regioni: Belluno in Veneto, Pordenone e Udine in Friuli, comprese tra Piave e Tagliamento, Val Tramontina e Val Cellina.
 I gruppi principali da nord a sud sono la Cridola (2.581 metri), i Monfalconi (Cima Monfalconi, 2.548), gli Spalti di Toro (Cadin di Toro, 2.386) e Duranno-Cima Preti (2.706). La valle del Vajont è diventata tristemente famosa per la tragedia del 1963. Tra le cime c’è il famoso Campanile di Val Montanaia (2.173 metri). Dal punto di vista naturalistico, sono tra i gruppi più selvaggi e meno antropizzati di tutte le Dolomiti, protetti e valorizzati dal Parco Naturale delle Dolomiti Friulane.

PUEZ-ODLE



 Il gruppo Puez-Odle è situato totalmente in Alto Adige (in tedesco Puez-Geisler). E’ un complesso piccolo, esteso su 7.930 ettari. Può essere definito il “sito di lavoro geologico delle Dolomiti”.
 L’intera area è tutelata come Parco naturale, ultimi bastioni a nordovest delle Dolomiti tra Gardena, Badia, Val d’Isarco e Val di Funes. La parte nord è dominata da due massicci: le Odle di Eores/Aferer Geisler, con il Sass da Putia (2.875 metri) e le Odle di Funes/Geisler. La parte sud è occupata da un ampio bastione arroccato attorno al Col de Puez (2.725), con pascoli e splendidi laghetti alpini. Tra le cime più note il Sassongher (2.665 metri). Se il Puez è grigio e lunare, le Odle sono una spettacolare sequenza di guglie arditissime, di colore chiaro e brillante.

BRENTA


Dolomiti di Brenta

 Le Dolomiti di Brenta sorgono all’estremità occidentale dell’area dolomitica e si presentano come un’isola di dolomia fra i gruppi granitici dell’Adamello e della Presanella.
 Unico gruppo dolomitico a ovest dell’Adige, il Brenta è tutto in territorio trentino, tutelato nel Parco Adamello-Brenta. Nell’area sopravvive l’ultima colonia di orsi bruni autoctoni delle Alpi. Lungo 42 km e largo 15, il Gruppo di Brenta (tra Val di Sole, Val di Non, Sella di Andalo, Giudicarie Esteriori, Val Rendena e Campiglio), si presenta come una colonna vertebrale di roccia, un susseguirsi di vette, campanili, bastioni, ghiaioni, vedrette, canaloni e altipiani rocciosi. Caratteristica è la presenza di laghi, il più grande dei quali è il lago di Molveno. L’area è di 11.135 ettari.

DOLOMITI SETTENTRIONALI


Monte Paterno e Tre Cime

 L’area si sviluppa su 55.586 ettari tra le province di Bolzano e di Belluno. Ne fanno parte le Dolomiti di Sesto, i Cadini, Braies-Prags, Fanes e Sennes, le Tofane, il Cristallo e le Dolomiti Cadorine.
 Presentano la più completa serie stratigrafica di tutte le Dolomiti. Tra le cime, il Paterno, le Tre Cime di Lavaredo, i Rondoi-Baranci e i Tre Scarperi, il Cristallo (3.221), emblema di Cortina, il Pomagagnon, il Popena (3.152). A ovest sorge un vastissimo comprensorio, formato dall’area di Braies, dall’alpe di Sennes e dall’alpe di Fanes. E ancora le Conturines, le Tofane, con la cresta del Lagazuoi, la Croda Rossa il Cavallo. Al, di là del Passo Falzarego, il gruppo dei Sett Sass. L’area sudorientale è dominata da tre massicci: il Sorapis (3.205), le Marmarole e l’Antelao (3.264).

RIO DELLE FOGLIE


Chi volesse avere una rappresentazione della storia geologica delle Dolomiti non ha che da recarsi nella gola del Rio delle Foglie-Bletterbach, in Alto Adige, al Gran Canyon delle Dolomiti.
 In nessun’altra zona delle Alpi la stratigrafia della dolomite è così ben evidente. L’area del Rio delle Foglie è una gola intagliata dal torrente di circa 8 chilometri e profonda fino a 400 metri, che ha messo in luce uno spaccato di stratigrafie geologiche risalenti a 250 milioni di anni fa. Quest’area di soli 271 ettari guarda sulla Valle dell’Adige, tra Aldino e Redagno. L’unica cima notevole è il Corno Bianco-Weisshorn (2.317). L’intera area è compresa nel Parco Geologico del Rio delle Foglie. Presenti fossili di animali (eccezionale il calco di un piccolo sauro intero) e di piante.

Alto Adige 27-06-09







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lunedì, 25 maggio 2009


Le valli delle Dolomiti e i confini territoriali


La Regione Dolomitica, com'era conosciuta fin dal XVII secolo, è racchiusa tra le linee di un grande triangolo, i cui lati sono costituiti a sud est dal limite settentrionale della Pianura Veneta, a nord ovest dalla linee di depressione della Valle dell'Adige e della Valle dell'Isarco e a nord est dalla linea della "faglia Insubrica" che corre lungo la Val Pusteria/Pustertal e la Valle del Gail/Gailtal fino all'Alta Valle del Piave. Un'estensione territoriale diversa, è quella comunemente indicate negli atlanti e nei testi come Alpi dolomitiche, inserite nel più ampio contesto geografico delle Alpi orientali, che trovano i loro limiti in una linea ideale che corre lungo l'Alta Valle del Piave e il vallone sulla direttrice Belluno-Feltre, incontra ad ovest Alta Valle dell'Adige e la Valle dell'Isarco, per proseguire lungo la Val Pusteria, la Valle di Sesto e ricongiungersi con l'Alta Valle del Piave. Infine, vi è una terza confinazione che riguarda le Dolomiti vere e proprie, caratterizzate dall'affioramento dei massicci montuosi costituiti da dolomie e calcari a formare il tipico paesaggio dei monti dalle cime esuberanti e frastagliate, con altissime cime e pareti verticali di un incantevole colore bianco rosato. E questo è il paesaggio dolomitico conosciuto in tutto il mondo, racchiuso tra la Croda Rossa di Sesto/Sextener Rotwand a nord delle Tre Cime di Lavaredo/Drei Zinnen, il monte Peralba, il monte Terza Grande, il monte Duranno, il monte La Schiara, i Monti del Sole, la linea della Valle del Cismon, le Pale di San Martino, il Gruppo del Latemar e lo Sciliar/Schlern, il Gruppo del Puez-Odle e Odle d'Eores, il monte Muro/Maurerkofel, il monte Serla/SarIkofel e la Cima Nove/Neunerkofel a nord delle Tre Cime di Lavaredo.
Le Dolomiti centrali, settentrionali, orientali, meridionali e occidentali
Dolomiti meridionali: il monte Duranno, La Schiara, i Monti del Sole;
Dolomiti occidentali: il Catinaccio, il Latemar , lo Sciliar.
È chiaramente una divisione dettata da esigenze pratiche, senza alcun riferimento storico e non tiene conto dell'appartenenza dei massicci montuosi o delle singole montagne ai territori delle diverse amministrazioni regionali, provinciali e comunali.
Le valli delle Dolomiti
Valli principali e alcune valli laterali e secondarie che per la loro collocazione fisica, o per gli insediamenti umani del passato o attuali, hanno una particolare rilevanza nel contesto ambientali o storico delle Dolomiti.
La Val Badia/Valbadia/Gadertal
Percorrendo la strada N. 49 della Val Pusteria, a San Lorenzo di Sebato/Sankt Lorenzen, vicino a Brunico/Brunek, si raggiunge l'imbocco della Val Badia/Valbadia/Gadertal dove sfociano nel fiume Rienza, tributario di sinistra dell'Isarco/Eisack, il tranquillo torrente Aurino/Aurin e l'impetuoso Rio Gadera/Gran Ega/Gaderbach.
Da San Lorenzo di Sebato la strada N. 244 s'incunea tra le montagne dolomitiche, con direzione prevalentemente da nord a sud, una valle profonda.

Il percorso della Val Badia vera e propria, inizia con una forra incassata che a Longega divide con un ramo secondario la vallata e attraversando Marebbe (valle S. Vigilio) raggiunge Fodara Vedla, via naturale verso l'Ampezzano e il Cadore;


mentre il ramo principale prosegue verso San Martino in Badia/San Martin de Tor, dove si biforca nuovamente con un ramo che porta ad Antermoia e Longiarù (passo Eores -Plose); più avanti un altro ramo da Pederoa/Pidró conduce a La Valle/La Val/Wengen, mentre il ramo principale prosegue verso Badia/Abtei e La Villa/La Ila/Stern, dove la valle si divide nuovamente, dapprima verso Val di San Cassiano e i confini vallivi del Passo di Valparola, Passo Falzarego e la Valle d'Ampezzo/Val d'Anpezo e poi a Corvara nei due rami terminali della testata valliva del Passo Campolongo verso Livinallongo/Fodom e del Passo Gardena/Jéou de Frea/Gródenjoch verso la Val Gardena/Gherdèina/Gróden.
La Val Badia deve il suo nome al fatto che molti campi, prati, boschi, pascoli e masi della valle facevano parte del beneficiario del castello di Castelbadia/Sonnenburg, fatto erigere nel x secolo dal conte Otwin di Lurngau e Pustrissa (Pusteria), ereditato intorno al 1000 dal figlio Volkhold e da questi donato nel 1018 alle monache Benedettine, che ne fecero una "badia", cioè un convento delle suore della nobiltà tirolese, conosciuto come Castelbadia poiché sorge allo sbocco di questa valle nella Pusteria. Da antiche mappe pare che, almeno dal XIII secolo in poi, i possedimenti di Castelbadia/Sonnenburg si estendessero da Plícha a Colfosco lungo il versante della valle sulla destra del Rio Gadera e, in misura minore, anche sul versante sinistro, dove anche il principe vescovo di Bressanone l Vasco da Pursenù dal 1027 aveva possedimenti e giurisdizione propria. .
Abitata fin dalla preistoria, come dimostrano i numerosi reperti rinvenuti in più punti della valle e conservati nel Museo della Cultura Popolare dei Rumanc dl Sela o Ladini Sellani con sede nel Ciastel de Tor a San Martino in Badia/San Martin de Tor e nel Piccolo Museo Ladino/Piciul Museum Ladin, con sede a San Cassiano/San Ciascian.


Tra le alte montagne dalle rocce rosate che circondano la valle, famose in tutto il mondo, vanno ricordate la Cima delle Conturines/Piz dies Conturines (3064 m), la Cima Lavarella/Piz Lavarela (3055m), il Sasso delle Dieci/Sas dies Diesc/Zehner (3026 m), il Sasso della Croce/Sas dla Crusc/Kreuzkofel (2907 m), il Sassongher (2667 m) e il Putia/Sas de Putia (2875 m).
Oggi la Val Badia, nella parte che ancora si regge su un'economia agro-forestale, costituisce uno dei più interessanti esempi di paesaggio rurale alpino in cui l'uomo vive in un rapporto armonico con la natura.

Val Gardena/Gherdéina/Gróden


La Val Gardena/Gherdéina/Gròden si raggiunge a sud da Bolzano/Bozen e a nord-est da Bressanone/Brixen, percorrendo l'autostrada A22 della Val d'Isarco/Eisacktal e uscendo ai caselli autostradali di Ponte Gardena/Waidbruck o di Chiusa/Klausen e poi salendo lungo la statale 242 d, oppure, sempre da Bolzano o da Bressanone, percorrendo la statale 12 fino a Ponte Gardena, da dove si devia per la statale 242  bis risalendo la valle che si estende per circa 40 chilometri insinuandosi, con andamento da sud-ovest verso nord-est, tra i monti dolomitici. È raggiungibile anche superando il Passo Sella/Sella Joch (m 2244), provenendo dalla Val di Fassa/Val de Fascia o il Passo Gardena/Gródner Joch (m 2121) provenendo dalla Val Badia/Valbadia/Gadertal. Il nome Gardena deriva dal termine prelatino grdaina o gardaina = pascolo, da cui il nome locale gherdéina, l'italiano gardena e il tedesco gróden. Ancora oggi nella parlata locale di dice gwardaina per indicare un pascolo minore, di solito utilizzato per le greggi di pecore. Certamente abitata fin dai tempi della preistoria da un popolo a noi ancora misterioso, questa valle, come le altre valli dolomitiche, venne invasa dai legionari romani di Tiberio e Druso che nel 15 a.C. vinsero la resistenza di Reti e Vindelici, gli ultimi popoli liberi delle Alpi, assoggettando le genti della montagna al potere di Roma.
Fin dai tempi antichi, la naturale via d'accesso alla Val Gardena è sempre stata la profonda gola che si apre là dove le acque del Rio Derjon/Gròdnerbach confluiscono nel fiume Isarco/Eisack.
Sulla destra del fiume Isarco, si erge per 200 metri d'altezza una poderosa rupe con imponenti edifici circondati da un'alta cinta muraria: Convento di Sabiona/JeolKloster Sàben. Recenti rinvenimenti archeologici, hanno consentito di stabilire che sulla sommità della rupe, in epoca preistorica esisteva un luogo di culto dedicato alla dea Tinàrez o alla dea Reithia e forse anche un munito fortilizio, mentre la tradizione ricorda in quel luogo un tempio romano dedicato a Reithia sabionese, a Diana-Reithia e alla dea egiziana Iside, venerata anche dai romani. Di certo si sa che sul Monte Sacro di Sabiona esisteva una chiesa cristiana, i cui resti vengono fatti risalire al IV secolo.
Alla fine della seconda guerra mondiale, le abitudini di vita della gente della Val Gardena e delle altre valle dolomitiche cambiano radicalmente e da un'economia quasi esclusivamente di tipo agro-silvopastorale e artigianale si passa ad un'economia prevalentemente basata sul turismo estivo e invernale.
In Val Gardena, c'è l'uso di segnare annualmente con il gesso bianco sulla porta d'entrata le lettere C.M.B. (oppure K.M.B.) e la data. Questi segni comunemente ritenuti le iniziali dei re Magi: Kaspar, Melchior e Balthasar, hanno il seguente significato originario: Christus mansionem benedicat, a testimonianza che la casa è stata, in quella data dell'anno, benedetta dal sacerdote che passa di famiglia in famiglia.
Le scuole materne, elementari e medie sono trilingui, con l'obbligo per gli insegnanti di impartire lezioni in italiano, tedesco e nella parlata dell'idioma locale (lingua minoritaria).
L'ambiente della montagna gardenese è tra i più suggestivi delle Dolomiti: comprende ampi prati lavorati di fondovalle che nella buona stagione di coprono di una straordinaria varietà di fiori colorati, grandi boschi di conifere, pascoli d'alta quota estesi e ricchi di erbe appetite agli animali al pascolo, alte montagne (Gruppo Sella, Puez-Odle, Sassolungo) la cui bellezza è conosciuta in tutto il mondo. Numerosi sentieri consentono infinite possibilità di svago, di passeggiate attraverso suggestivi ambienti montani, ricchi di specie anche rare di flora e fauna e, in alcuni casi, moderni impianti di risalita consentono di avvicinare la montagna anche a coloro che non possono, o non vogliono, affrontare lunghe passeggiate.Gli originari sono chiamati Gardenesi /de Gherdéina/Gródner.

Castelrotto e l'Alpe di Siusi/Kastelruth und Seiser Alm


L'Altopiano di Castelrotto/Kastelruth si raggiunge da BolzanoBozen o da Bressanone/Bixen percorrendo l'autostrada A22 della Valle dell'Isarco/Eisacktal e la strada statale numero 12, o dalla Val Gardena/Gróden superando la sella del Passo Pinei. Il capoluogo è costituito dal centro abitato di Castelrotto/Kastekruth, il più esteso e popoloso agglomerato urbano dell'Altipiano.
Altri comuni dell'Altopiano sono Fié alla Sciliar/Vòls am Schlern e Tires/Tiers. Numerosi caratteristici masi disseminati in mezzo ai prati, fitti boschi e ampi pascoli d'alta quota, completano il paesaggio dominato dalle alte montagne dolomitiche che sovrastano l'Altopiano, tra le quali le più note e famose sono le cime del massiccio dello Sciliar/Schlern, la Cima di Terrarossa/Roterd Spitz, il Sassopiatto/Ptattkofel e, più lontano, il Sassolungo/Langkofel.
In tutta l' area valliva è molto sviluppato ed apprezzato dai forestieri l'agriturismo, che qui si pratica da più di cinquant'anni. Tra le numerose manifestazioni culturali e della tradizione locale, le più seguite sono quelle che riguardano la commemorazione del menestrello e poeta Oswald von Wolkenstein, che si svolgono ogni anno in più giornate e in tutti i paesi dell'Altopiano di Castelrotto/Kastelruth.

La Valle di Fassa/Val de Fascia


La Val di Fassa (in ladinoVal de Fascia e in tedesco Fassatal) è una delle principali valli dolomitiche ed è situata nel Trentino nord-orientale.
Costituita da sette comuni, è attraversata per intero dal torrente Avisio, un affluente di sinistra del fiume Adige. La valle è circondata da alcuni dei più importanti massicci delle Dolomiti: i Monti Pallidi, la Marmolada, il Gruppo del Sella, il Sassolungo, il Gruppo del Catinaccio, ma anche da montagne a tipologia non dolomitica quali il Buffaure e i Monzoni.
È l'unica valle trentina (assieme alle valli di Gardena e Badia in Alto Adige e alla valle di Livinallongo e parte della conca ampezzana in Veneto), dove tuttora si parla la lingua ladina (più precisamente il ladino dolomitico).
La Val di Fassa è collegata alle altre valli dolomitiche attraverso numerosi valichi: il Passo San Pellegrino collega Moena con la Valle del Biois (BL) il Passo di Costalunga connette Vigo con la Val d'Ega (Alto Adige), mentre da Canazei è possibile raggiungere Livinallongo (BL) tramite il Passo Pordoi e la Val Gardena (BZ) tramite il Passo Sella.
Le attività che si svolgono in valle sono legate principalmente al turismo, sia estivo che invernale. Le località sciistiche della valle fanno parte del consorzio Dolomiti Superski, il più esteso al mondo. Gruppo del Sella, chiamato Sellaronda.
Nella valle è molto forte la tradizione popolare, legata alla cultura ladina. In valle sono conosciute favole, leggende e racconti popolari legate ai maestosi monti che le fanno da contorno. A Vigo di Fassa, centro amministrativo della valle, hanno sede l'Istituto Culturale Ladino Majon di fascegn e il Museo Ladino.
E' probabile che la valle abbia avuto le prime forme di popolazione organizzata, già a partire dalle tribù indigene che frequentavano le valli dolomitiche fin dall'età mesolitica.
Queste comunità, forse di stirpe etrusca o paleoveneta, dapprima nomadi stagionali e poi sedentarie, vennero raggiunte dai popoli indoeuropei provenienti dal nord, che adoravano la dea Reithia o Tinarèz. Furono loro che nel periodo preistorico indicato come periodo retico, costruirono il ciaslir (antico luogo di culto pagano) di Vigo di Fassa/Vich de Fascia.

La Valle d'Ampezzo/Val d'Anpézo


Nel cuore delle Dolomiti, si apre un'ampia conca valliva attorniata da alte montagne, attraversata dal nord a sud da uno spumeggiante torrente: è la Valle d'Ampezzo/Val d'Anpézo il cui abitato principale, Cortina d'Ampezzo, è conosciuto e rinomato ovunque come centro turistico estivo e invernale, frequentato da un numero sempre crescente di turisti provenienti da ogni parte del mondo.
E' posizionata tra il Cadore (a sud strada N. 51) e la Val Pusteria (a nord strada N. 51), la Val d'Ansiei (a est strada N. 48) e l'Alto Agordino (a ovest strada N. 203). È circondata a 360° dalle Dolomiti, che conferiscono alla vallata una bellezza unica al mondo.
Tra le montagne più famose si ricordano le Tofane a ovest, il Pomagagnon a nord, il Cristallo a nord-est, il Faloria e il Sorapiss a est, il Becco di Mezzodì, la Croda da Lago e le Cinque Torri a sud. Il centro urbano è all'incirca a 1224 m s.l.m., ma la vetta più alta è quella della Tofana di Mezzo (ovvero il picco centrale dell'omonimo massiccio) con i suoi 3244 m.
Inoltre, è da segnalare la cospicua presenza di acque nel territorio, sotto forma di torrenti, ruscelli e piccoli laghi (Ghedina, Pianozes, d'Ajal...), costantemente alimentati anche d'estate dalle nevi che si conservano ad alte quote. In molti di essi è praticabile la pesca sportiva. Infine è da ricordare il fiume Boite, che, raccolte le acque del bacino idrografico della valle ampezzana, sfocia come affluente nel Piave.
Particolare conformazione rocciosa è la Gola di Fanes, un orrido naturale con cascate e percorsi attrezzati.
I primi abitatori della valle erano certamente gente proveniente dalla pianura che si estende a nord dell'Adriatico, erano nomadi stagionali, cacciatori e raccoglitori che passavano in montagna il periodo della buona stagione e il clima. Presumibilmente la gente nomade dei cacciatori e raccoglitori passava più tempo in montagna che in pianura.

Val de Códalóngia


La Val Codalunga (in ladino locale Val Codalongia) è una valle delle Dolomiti, in provincia di Belluno.
Il principale corso d'acqua è il rio Codalunga, che nasce ai piedi del Monte Cernera.
La Val de Códalóngia inizia dai pascoli del Giau e scende tra il monte Pore/Spiz de Poure/Fursil e il monte Cernera fino alla confluenza con la Val Fiorentina nei pressi dell'abitato di Selva di Cadore. La valle è percorsa da una strada piena di tornanti che da Colle di Santa Lucia porta al Passo Giau/Ju de Giao, da dove si accede alla Valle d'Ampezzo.
La Val de Códalóngia, Colle di Santa Lucia e il Fursil (monte Póre) vengono menzionati per la prima volta in un documento del 748 come aggregati alla Pusteria.
Con decreto del primo settembre 1177, l'imperatore Federico I Barbarossa concede al convento di Novacella il diritto di sfruttamento delle miniere scoperte, o più probabilmente riscoperte, sulle pendici del Fursìl (monte Póre).
Territorio austriaco fino al 1918, gli abitanti originari di Colle di Santa Lucia nella Val de Códalóngia sono ladini tirolesi in virtù della loro parlata, della cultura e della storia affini a quelle della Val Badia, Val Gardena, Val di Fassa e Ampezzo.

La Valle del Cordevole. L'Agordino


Da Belluno, o da Feltre, percorrendo la strada statale "Agordina" 203, si entra nell'Agordino. Questa valle dolomitica, conosciuta anche come Valle del Cordevole dal nome del torrente di fondovalle, il più lungo delle Dolomiti, che percorrendola per tutta la sua lunghezza dal Passo Pordoi raggiunge la Val Belluna dove si getta nel fiume Piave, viene tradizionalmente divisa in Conca Agordina, Valle del Bióis, Val Pettorina, Val Fiorentina e Alto Cordevole. L'insieme di queste valli, che vanno dal Passo Pordoi e il Passo Falzarego al Passo di Valles, dal Passo Staulanza al Passo Fedaia e dal Passo Duran al Passo Cereda, occupa un'importante settore delle Dolomiti tra il Tàmer, la Marmolada, l'Agner e il Civetta, i Monti del Sole e il Gruppo del Sella.
Di notevole importanza la documentazione e le strutture storiche che la valle ancora conserva: nel medioevo, ad esempio, nell'Agordino esistevano numerosi villaggi e una serie di castelli, tutti in collegamento tra loro. In tal modo, chi controllava i castelli, sorvegliava costantemente l'intera Valle del Cordevole e le valli adiacenti.
I casati nobiliari di più antica origine, erano rappresentati dalle famiglie dei da Avoscano, dei Sommariva, dei della Valle e dei da Voltago, famiglie che, per meriti diversi, si erano guadagnate un posto nel Consiglio dei Nobili dì Belluno.
Opere d'arte: la chiesa arcidiaconale di Agordo e la chiesa di San Simon di Vallada Agordina, entrambe considerate tra i più importanti tesori artistici, dichiarate monumento nazionale e poste sotto la tutela della Sovrintendenza della Belle Arti.
Con il passare del tempo e lo sviluppo della società civile, il turismo gradualmente ha prevalso sulle altre fonti economiche e per soddisfare nel migliore dei modi le sempre più numerose richieste del turismo di massa, gli imprenditori agordini si sono riuniti in un consorzio denominato "Dolomiti Stars".
Gli abitanti originari vengono chiamati Àgordini (esclusi i fodomi di Livinallongo e i coltesi di Colle di Santa Lucia).

La Val Imperina


Da Belluno, prima di raggiungere Àgordo, sulla sinistra si scorge la stretta e profonda Val Impenna, percorsa dal torrente Impenna, che rientra nei confini amministrativi del comune di Rivamonte Agordino ed è inclusa nel Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi.
Qui fin dai tempi antichi esisteva uno dei principali centri minerari d'Europa per l'estrazione e la lavorazione dei minerali contenenti rame e argento. Le testimonianze storiche pongono l'inizio dello sfruttamento delle miniere di Val Impenna già in epoca romana, ma il primo documento che menziona le miniere è del 1160, quando vengono citate e documentate le ricchezze minerarie della zona.
Nel 1962 le miniere chiusero definitivamente.
Nel 1996 la Regione del Veneto, la Comunità Montana Agordina e il Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi, hanno dato inizio a un lodevole lavoro di recupero degli edifici più importanti, ritenuti di notevole interesse storico e culturale. È previsto anche il recupero di un tratto di miniera e perfino il ricollocamento sui binari della vecchia locomotiva della linea Agordo-Bribano. I fabbricati oggetto di recupero vengono via via destinati ad attività museali ed espositive.

La Valle di San Lucano


Da Taibón Agordino, poco a monte di Agordo, si entra in una valle percorsa dal rio Tegnas, stretta tra il monte Agnèr, con la vertiginosa parete nord di 1600 metri, la più lunga delle Dolomiti, e le Pale di San Lucano: Spaventose pareti riservate a pochissimi, grandissimi, alpinisti. È la splendida Valle di San Lucano, un tempo chiamata Val Bissèra, per le tante bisce che la infestavano. Al centro della valle, raggiungibile con l'autovettura, si trovano alcune strutture ricettive anche come punto di partenza per gite, escursioni e ascensioni.
Nella Valle di San Lucano si possono ancora vedere le "buse del fèr", le miniere dalle quali si estraeva il minerale ferroso, esaurite nel Settecento.

La Valle del Bióis


Valle del Biòis, o val di Canale, è una valle longitudinale situata in provincia di Belluno (Veneto) ed è considerata una tra le più belle valli dolomitiche situata in posizione centrale fra la Marmolada (3.343 m), il Monte Civetta (3.220 m) e le Pale di San Martino (3.192 m), coronata dal gruppo del Focobon (3054 m) e dalle Cime D'Auta (2.650 m).
Si estende, per 20 km, dal Passo di San Pellegrino fino a Cencenighe Agordino dove confluisce nella Val Cordevole.
Tra i centri più importanti della valle vi è Canale d'Agordo (anticamente Forno di Canale fino al 1964) con la Chiesa Arcipretale di San Giovanni Battista che domina sull'intera valle. Un altro edificio importate è la birreria, che fu fondata da Giuseppe Zannini (o Danìni) la birreria fu edificata circa nel 1897, intorno agli anni '20 i fratelli Luciani, Sante, Luigi e Giovanni vi fondarono la Birra Pedavena.
Lungo il percorso della valle sono situati i comuni di Falcade (1.200 m), Canale d'Agordo e Vallada Agordina.
La valle è collegata alla provincia autonoma di Trento da due passi, il Valles (2.030 m) ed il San Pellegrino (1.918 m) , che rispettivamente portano a Predazzo (Val di Fiemme) e a Moena (Val di Fassa).
Deve il suo nome al torrente Biois che nasce dal Passo di San Pellegrino per poi incontrare sul suo fondo valle Falcade (in dialetto Falciade) principale località di questa vallata e rinomato centro turistico sia estivo che invernale con i suoi moderni impianti di risalita, che portano tra le più belle e panoramiche piste delle Dolomiti, e le piste di fondo dotate di illuminazione ed innevamento programmato.
Dopo Falcade si trova Canale d'Agordo (Canal) paese natale di Albino Luciani, al secolo Giovanni Paolo I. Da Canale si sviluppa lateralmente alla Valle Del Biois la Val di Gares spettacolare valle glaciale che termina in un suggestivo circo glaciale dove è adagiata la frazione di Gares (1.380 m). Da questa località partono alcune tra le più belle escursioni dolomitiche che portano sulle vette delle Pale di San Martino.
L'ultimo comune che si incontra è quello di Vallada Agordina (La Valada) che si sviluppa in una moltitudine di graziose e caratteristiche frazioni. Da segnalare la Chiesa di San Simon (Monumentale) un vero e proprio gioiello intriso di storia e di fede, che per secoli è stata il punto di riferimento culturale di questa straordinaria valle.

La Val Pettorina


La Val Pettorina, lunga e stretta, laterale di destra della Valle del Cordevole, con alla testata la Marmolada (Passo di Fedaia), scende tra il Piz de Guda e il monte Pezza fino a Caprile, dove il torrente Pettorina confluisce nel torrente Cordevole. Caratteristici di questa valle agordina sono i grandi boschi e la presenza della più alta montagna delle Dolomiti, la Marmolada, in parte ricadente nel territorio di Rocca Pietore/La Rocia, unico comune della valle che amministra un vastissimo territorio. Dalla frazione di Malga Ciapèla parte una moderna funivia che porta fino sulla cima della Marmolada. Degna di nota è anche la profonda forra dei Serrai de Sotagùda, dove passava la vecchia strada che metteva in comunicazione l'Agordino con la Val di Fassa. Oggi la vecchia strada dei Serrai è percorribile solo a piedi e per raggiungere la Val di Fassa è stata costruita una moderna strada che passa su un ponte che a 130 metri d'altezza supera la forra. L'intera zona dei Serrai di Sottoguda è stata dichiarata Riserva Naturale Protetta.

La Val Fiorentina


Chiusa tra il Coldai, il Civetta e il monte Cernera, con alla testata l'incombente mole del Pelmo, solcata dal rio Fiorentina le cui acque confluiscono nel torrente Cordevole a Caprile, questa piccola valle dolomitica geograficamente inserita nell'Agordino, ma fin dai tempi antichi appartenuta al Cadore, è oggi meta di un crescente turismo estivo e invernale.
La Val Fiorentina si raggiunge salendo da Caprile lungo la nuova strada che costeggia il torrente, o percorrendo la vecchia carreggiata che passa per Colle di Santa Lucia e superando il ponte sul rio Códalóngia, oppure salendo dalla Val di Zoldo e superando il Passo Staulanza e ancora da Cortina d'Ampezzo attraverso il valico del Passo Giau scendendo lungo la Val de Códalóngia. L'unico comune della valle è quello di Selva di Cadore, un tempo importante centro di forni fusori per il materiale ferroso estratto dalle miniere del monte Póre/Fursil e oggi apprezzato centro turistico estivo e invernale, con numerose strutture ricettive e moderni impianti di risalita. Degna di nota l'antica chiesa di Santa Fosca a Pescul, che conserva importanti opere d'arte e il Museo Etnologico e Paleontologico della Val Fiorentina, dove è esposta la copia della sepoltura del Mesolitico rinvenuta a Mondeval de Sora, oggetti preistorici e calchi fossili di faune marine rinvenuti nelle stratificazioni rocciose delle montagne circostanti.

La Valle del Cismon


Lunga e ampia valle che dal Passo Rolle scende fino alla Valle del Schenèr che si affaccia sulla Valle del Piave e il Feltrino. Percorsa a fondovalle dal torrente Cismon e divisa in numerose valli laterali: Val Canali, Val Schenèr, Val Noana, Val Pradidali, la valle comprende i paesi di Fiera di Primiero, Sirór, Tonadico, Imèr, Mezzano e Transacqua, che con le loro numerose frazioni, compreso San Martino di Castrozza, fanno parte del "Primiero" il Medievale "Primòr", entità territoriale che si identifica sostanzialmente con la Valle del Cismon. Il territorio comprende anche due grandi invasi artificiali creati a scopi idroelettrici: il lago Noana e il lago Schenèr. Al Primiero vi si accede provenendo da Feltre e percorrendo la strada statale N. 50, da Agordo superando il Passo Cereda e da Predazzo nel Trentino passando per Paneveggio e il Passo Rolle.
Già territorio sottomesso all'autorità del vescovo di Feltre, nella storia di questa valle ha grande rilievo la nobile famiglia dei conti Welsperg, che esercitarono il potere amministrativo e giudiziario per oltre quattro secoli: dal 1401 al 1876, inizialmente dalla loro residenza di Castel Pietra, di cui rimangono ancora le possenti rovine all'inizio della Val Canali, e poi dai palazzi che si erano fatti costruire a Fiera di Primiero, ancora utilizzati come centri amministrativi anche attualmente.
Ricca di boschi e pascoli, l'economia della valle è passata da quella silvo-pastorale dei primi tempi storici, alla fiorente economia basata sull'estrazione dei minerali contenenti argento e rame dalle sue numerose miniere e i quasi cento forni che qui si trovavano, unitamente allo sfruttamento del legname dei boschi, scoprendo in tempi relativamente recenti la propria vocazione turistica, sviluppando in senso moderno l'importante centro sportivo invernale ed estivo di San Martino di Castrozza.

La Valle del Vanoi

Chi sale dal Feltrino lungo la Val Schenèr per raggiungere il Primiero, trova alla propria sinistra l'accesso per la galleria del traforo del Totoga e da Imer la strada del Passo Gobbera. Entrambe queste vie di comunicazione raggiungono la verde e boscosa Valle del Vanoi, posta tra il la Catena del Lagorai, il Gruppo Cima d'Asta e la Valle del Cismon. La principale caratteristica della Valle del Vanoi é costituita dalle bellezze naturali che offre al visitatore con i suoi boschi secolari, i pascoli d'alta quota, i laghetti alpini dalle acque azzurre, le guglie porfiriche della Catena del Lagorai, le limpide acque del torrente Vanoi che nei millenni hanno scavato e modellato la valle. Per gli appassionati delle escursioni estive questo è un vero paradiso e lo è anche per chi pratica lo sci alpinismo in inverno. Molteplici sono le ulteriori possibilità che offre la Valle del Vanoi ai visitatori: dall'arrampicata in roccia, alla discesa in canoa lungo il serpeggiante torrente di fondovalle, dal trekking, all'equitazione, dalla pratica del parapendio alla pesca sportiva.

La Valle di Zoldo



La Valle di Zoldo, o Val Zoldana, o anche Valzoldana, è un'area geografica della Provincia di Belluno.
Tra l'Agordino e il Cadore, si apre una lunga, profonda e verde valle (strada N. 251) con sviluppo da nord est a sud ovest che dal Passo
Staulanza scende fino al stretta del Canàl del Maè e Longarone, nella Valle del Piave.
È la Valle di Zoldo, percorsa dal torrente Maè, che s'incunea tra i gruppi rocciosi del Pelmo, del Civetta, la Moiazza, le Cime di San Sebastiano, il monte Temer, il Spiz de Mezzodì e il Sasso di Bosconero, aprendosi in ampie zone pianeggianti tra ripidi versanti coperti da fitti boschi di conifere.
Ne sono parte i comuni di Forno di Zoldo, Zoldo Alto e Zoppè di Cadore che, nonostante l'appellativo, è completamente inserito nello zoldano sia geograficamente sia per quanto riguarda i servizi. Inoltre, fa parte della Valle una porzione minima del comune di Longarone.
Sicuramente abitata in epoca romana, un tempo la maggior parte della valle appartene va al municipio di Julium Carnicum e gli abitanti erano iscritti alla tribù Claudia. Dopo cinque secoli di dominazione romana, seguirono le invasioni barbariche e poi quelle dei Longobardi e dei Franchi che lasciarono tracce evidenti negli usi, nell'ordinamento sociale e nei termini dialettali della valle.
La Valle di Zoldo è stata terra di emigranti fin dall'inizio del xx secolo. Gli Zoldani andavano lontano dalla propria terra in cerca di pane e fortuna. Alcuni partirono per le Americhe, altri diventarono gelatai facendo fortuna in molti paesi d'Europa. Oggi la popolazione della Valle di Zoldo gode di discreta agiatezza economica grazie al turismo estivo e invernale sviluppatosi in quest'ultimo mezzo secolo.

II Cadore


Da Belluno, anticamente Bellunum (o Belunum) denominazione che sembra derivare dal termine gallico Bellodunum, col significato di "sommità (o città) illuminata, splendente", definizione che si addice alla città divenuta romana sorta sul promontorio sporgente tra il torrente Ardo e il fiume Piave, luogo ben illuminato dal sole, percorrendo la strada statale n 51 di Alemagna in direzione nord si raggiunge Longarone/Longarón, paese tragicamente noto per l'immane tragedia accaduta nel 1963 a seguito della tracimazione dell'invaso artificiale del Vaiont
Il Cadore viene generalmente suddiviso nei seguenti sub-territori:
Un tempo nel Cadore, a Perarolo, c'era il "porto" per la raccolta del legname che giungeva dalle valli più a monte per fluttuazione: al porto i "menadasc" costruivano grandi zattere e guidavano il legname lungo il Piave fino al mare e all'arsenale di Venezia.
Sorretto da un'economia che aveva nel bosco e nel pascolo il centro dell'attività comune della popolazione fino all'inizio del XX secolo, oggi l'attività primaria del Cadore è la produzione degli occhiali, che qui è una tradizione che si protrae da più di due secoli. Le sapienti scelte degli imprenditori cadorini, hanno fatto del Cadore uno dei centri più importanti del mondo per la produzione di questo oggetto ormai divenuto non più solo un elemento di moda ed eleganza, ma strumento indispensabile di lavoro e sicurezza. La collezione di occhiali esposta al Museo dell'Occhiale di Pieve di Cadore, consente di ammirare quanto è stato fatto in sette secoli di storia di questo prezioso strumento.
D'importanza non minore, il turismo estivo e invernale interessa soprattutto i paesi del Cadore posti a quote maggiori (San Vito, Auronzo ecc.), dove il turismo ha frenato l'emigrazione ed è diventato fonte di ricchezza per molti.
Nel corso della prima guerra mondiale (1915-1918) il Cadore fu teatro di guerra. Si combatté una logorante guerra di posizione sulle Tofane ( il Sacrario di Pocol rende omaggio a 9707 caduti italiani)[3], sul monte Piana, dove è ancora possibile vedere le trincee e le postazioni di ambedue gli eserciti, oggi recuperate per motivi di testimonianza, e su tutta la linea del fronte dolomitico.
L'attuale Museo nelle nuvole, curato dall'alpinista Reinhold Messner è situato, ad oltre 2000 metri, proprio nel forte di Monte Rite, uno dei forti della linea di difesa Maè-Cadore

La Valle dell'Ansiei



Siamo sempre in Cadore, nella valle del torrente Ansiei che inizia il suo percorso al lago di Misurina (srada N. 48 bis, N.48) si getta nel fiume Piave in località Treponti, dove un tempo c'erano tre ponti convergenti e per secoli si erse un castello che venne distrutto dagli abitanti di Auruntium (Auronzo di Cadore).
Risalendo la valle poco oltre Treponti si entra nel falsopiano di Gogna, e nel centro industriale di Cima Gogna ai piedi del monte Tudaio. Qui, secondo la leggenda, un tempo si trovava la favolosa Agònia, la "città" dove l'oro e l'argento abbondavano e i nani custodivano meravigliosi tesori.
Superato l'incrocio con la strada per il Comelico, si raggiunge Auronzo dì Cadore. In corrispondenza di questo centro abitato, nel 1935 è stata eretta una diga per il contenimento dell'acqua del torrente, creando un grande invaso chiamato Lago di Auronzo. L'attrazione maggiore della valle è costituita dalle Tre Cime di Lavaredo, che in buona parte ricadono nel territorio della Valle dell'Ansiei e del comune di Auronzo di Cadore.

Il Comelico


Seguendo la statale 51bis che da Pieve di Cadore porta ad Auronzo di Cadore, poco dopo Cima Gogna si devia verso destra, entrando in una lunga galleria allo sbocco della quale in breve si raggiunge Santo Stefano di Cadore, nel cuore del Comelico Inferiore.
Il Comelico è costituito da valli aperte, verdi pendii prativi e assolati pianori sui quali sono adagiate belle borgate attorniate dal verde intenso dei boschi e dal verde chiaro dei pascoli alti. Chiuso tra il monte Tudaio, le Crode del Longerin e il monte Popera, il Comelico è una zona a vocazione turistica in via di espansione. L'ampia Val Visdende con i suoi grandi boschi di conifere e gli ampi pascoli, ricca di selvaggina, costituisce un incantevole angolo di natura dolomitica.
Le valli comelicensi si dividono in Comelico Inferiore e Comelico Superiore, che comprendono i comuni di Santo Stefano di Cadore, San Pietro, San Nicolò di Comelico, Comelico Superiore, Padola e Danta di Cadore.
In Comelico/Comélgo, gli originari vengono chiamati comélian e parlano un dialetto proprio cadorino
Dal Comelico dirigendo verso nord si accede alla Valle di Sesto/Sextental attraverso il Passo di Montecroce Comelico/Kreuzbergpass, verso est si raggiunge Sappada/Plodn e a sud, superata una lunga galleria stradale, si scende nel Centro Cadore o si arriva ad Auronzo di Cadore.

Sappada/Plodn

La Conca di Sappada/Plond, chiusa tra le alte cime del monte Rinaldo, il monte Peralba, il monte Siera e la Terza Grande, è costituita da una vasta zona pianeggiante coperta di verdi prati circondati da erti versanti ricchi di grandi boschi dì conifere. Nel territorio di Sappada, a 1836 metri di altitudine tra la Val di Sesis e la Val Visdente, nasce il fiume Piave che nel primo tratto del percorso raccoglie le acque di numerosi ruscelli tributari

Un tempo la gente del luogo viveva di un'economia argo-silvo-pastorale, alla quale si aggiunse per un certo periodo quella mineraria e della coltivazione del marmo, di cui era particolarmente pregiato quello del monte Peralba. Oggi l'economia dominante è basata sul turismo estivo e invernale e il paese si è dotato di moderne strutture di accoglimento e di impianti di risalita per soddisfare la sempre più numerosa clientela nazionale e internazionale.
Una strada regionale mette in comunicazione Sappada/Plodn ad est con Forni a Voltri in Carnia e ad ovest con San Pietro di Cadore, il Comelico e il centro Cadore.
Isola germanofona, la gente originaria parla un dialetto che deriva dalle antiche parlate della Valle del Gail in Austria. Di questa lingua minoritaria se ne riporta un esempio con la prima parte del Padre Nostro:
"Voter unser bo me himml pisct
dain nom sai gehailighit
dain sai Kronigreit
dain bìlle soll sain
me himml unt asou in der belt."


La Valle di Sesto/Sextental

La Val di Sesto (ted. Sextental) è una piccola valle che collega la val Pusteria al Cadore, attravero il Passo di Monte Croce di Comelico.
La valle è abbastanza ampia, con un confine poco marcato tra gli insiediamenti rurali e quelli di fondovalle. I due paesi che vi sorgono, Sesto e Moso sono cresciuti allungandosi al bordo della strada principale e formando un continuum in cui sono oramai indistinguibili le piccole frazioni: Ferrara, san Vito, Waldheim.
Alle loro spalle si estendono i prati verdi, i masi e i fienili. Al di là del rio Sesto, verso sud le case lasciano spazio ai lariceti e ai pascoli che si estendono fino ai contrafforti dolomitici. La corona di cime della Val Fiscalina e gli avancorpi settentrionali del gruppo Tre Scarperi si impongono, disegnando un lungo panorama di creste, pareti e pennacoli. Tanto che i valligiani hanno dato alle montagne toponimi numerici progressivi: Cima Nove, Cima Dieci, Cima Undici, Cima Dodici e Cima Una. Queste cime vanno a creare la Meridiana di Sesto, un gigantesco orologio naturale; seguendo la posizione del sole sulle vette delle Dolomiti di Sesto è possibile conoscere l'ora esatta.
Il centro della valle si trova nel paese di Sesto/Sexten con numerose frazioni sparse lungo il fondovalle pianeggiante attraversato dai torrenti Fiscalina/Fischleinbach e Rio di Sesto/Sextenbach affluente di destra del fiume Drava/Drau. I bagni curativi in Val Fiscalina, la cui attività è iniziata nella seconda metà dell'Ottocento, sono ancora apprezzati e frequentati dagli ospiti della valle ai giorni nostri.
A Sesto/Sexten sono ancora molto sentite le tradizioni, gli usi e i costumi di un tempo e durante le feste patronali si possono ancora ammirare gli antichi costumi indossati dalla gente originaria della valle. Anche la cultura qui è una tradizione e il paese si è dotato di importanti musei.


La Val Pusteria/Pustertal


La Val Pusteria o Valle Pusteria (in tedesco Pustertal, in ladino Val de Puster) è una valle delle Alpi orientali, situata tra Alto Adige (Italia) e Tirolo Orientale (Austria), nella direzione est-ovest tra Bressanone e Lienz.
La stretta valle è percorsa dalla Ferrovia della Val Pusteria, dalla Strada Statale 49 della Pusteria, dalla Rienza e, quasi sempre parallelamente a queste, c'è la pista ciclabile della Pusteria.
Da Sesto si scende a San Candido in Val Pusteria, dove si consiglia di visitare la Collegiata, il migliore esempio di edificio romanico delle Alpi orientali, una "fortezza di Dio" che contiene importanti opere d'arte. La chiesa venne costruita nel 1043, quando il Convento dei Benedettini, fondato nel VIII secolo dal duca bavarese Tassilo III, ottenne il capitolo di canonici nonostante l'assenza di una cattedrale.
Usciti dalla Val di Sesto e visitata San Candido, percorrendo la strada N. 49 della Pusteria da est ad ovest, lungo la grande faglia Insubrica che divide le Dolomiti dalla catena degli Alti Tauri/Hohe Tauern, in breve si raggiunge Dobbiaco/Toblach, interessante paese sudtirolese, con una bella chiesa barocca decorata con affreschi di Matî Pescoller. A Dobbiaco passava le sue vacanze anche Gustav Mahler (1860-1911), che qui compose la famosissima Das Lied von der Erde, una delle sue migliori composizioni musicali.
II versante sud della Val Pusteria è costituito dai fianchi delle montagne dolomitiche, che per Dobbiaco interessano le propaggini settentrionali della Rocca dei Baranci/Haunold (m 2966), la Cima Ganga/Gantkofel (m 2692), la Cima Nove/Neunerkofel (m 2581), tutte all'interno del Parco naturale delle Dolomiti di Sesto, divise dalla Val di Landro/Hóhlensteintal dai massicci del monte Serla/Sarlkofel (m 2378) e il Picco di Vallandro/Dùrrenstein (m 2839).
Inoltrandosi nella Val di Landro lungo la strada N. 51 di Alemagna con direzione sud, in breve si raggiunge il bel Lago di Dobbiaco/Toblachersee, luogo assai suggestivo frequentato in ogni stagione dell'anno, quindi proseguendo ulteriormente verso sud e risalendo il fiume Rienza/Rienz tra il monte Specie/Strudelkopf (m 2307) e il monte Rudo/Rautkofel (m 2826), si raggiunge il Lago di Landro/Dùrrensee, da dove si gode di una magnifica vista sulle Tre Cime di Lavaredo (m 2999), quindi si prosegue per Carbonin/Schluderbach, da dove, all'incrocio con la strada N. 48bs, si può salire verso il Lago di Misurina e il monte Piana (m 2324) teatro di aspri combattimenti durante la Grande Guerra, oppure proseguire per il Passo di Cimabanche e Cortina d'Ampezzo. Se non si è scelto il percorso della Valle di Landro/Hóhlensteintal, da Dobbiaco, proseguendo lungo la Val Pusteria, si raggiunge V'illabassa/Níederdorfe, poco altre, si può deviare a sinistra per salire lungo la valle laterale che porta al paese di Braies/Prag e il lago di Braies/Pragser Wildsee, uno splendido specchio d'acqua smeraldina ai piedi della Croda del Béco/Sas dla Porta/Seekofel (m 2810).
Ritornando sulla strada della Val Pusteria, proseguendo si raggiunge Monguelfo/Welsberg e la Val Casies/Gsiesertal e più oltre ancora il paese di Valdaora/Olang, da dove, percorendo la Valle di Anterselva/Antholzertal, si raggiunge il Lago di Anterselva, il Passo di Stalle/Stallersattel e l'Austria. Sul versante opposto, da Valdaora, salendo al Passo Furcia, si può raggiungere San Vigilio di Marebbe in Val Badia. La strada N. 49 della Val Pusteria prosegue per Brunico/Brunek, la cittadina sudtirolese famosa per il suo passato storico e la Sagra di Stegona. Brunico è una rinomata stazione turistica invernale, dotata dei moderni impianti di risalita di Plan de Corones. Da Brunico, una valle laterale porta a Campo Tures/Sand am Taufers, dove si trova uno dei píù belli e maestosi castelli del Tirolo: Castel Taufers, menzionato già nel 1130, oggi museo gestito dal "Sùdtiroler Burgeninstitut". Da Campo Tures si prosegue per Selva dei Mulini/Mùwald e la Valle Aurina/Ahrntal, conosciuta soprattutto per le sue specialità gastronomiche e le miniere di rame.

La Valle di Landro/Hòhlensteintal


La Val di Landro (in tedesco: Höhlensteintal) è una valle, caratterizzata da una relativamente scarsa presenza di opere umane, che collega Dobbiaco a Cortina d'Ampezzo o Misurina, o più precisamente la Val Pusteria con il Cadore o l'Ampezzano.
La valle è immersa nel verde dei boschi e dei prati e comprende i paesi di Dobbiaco, Landro, Carbonin e Misurina, è percorsa dal tratto iniziale del torrente Rienza che successivamente percorre tutta la Val Pusteria.
La valle fa da confine tra due parchi regionali naturali della Provincia Autonoma di Bolzano: il Parco naturale Fanes - Sennes e Braies ed il Parco naturale Dolomiti di Sesto.
Uno dei punti panoramici migliori per poter ammirare le Tre Cime di Lavaredo è sicuramente presso il Rifugio Locatelli, che si può raggiunge, dalla Val Fiscalina o dalla valle della Rienza, attraverso appositi sentieri, o per i più comodi, attravero una mulattiera che da rifugio Auronzo (raggiungibile in macchina) in un'ora porta al Locatelli.
La valle è famosa anche per l'omonimo lago, il lago di Landro (ted. Dürrensee), nel quale si riflettono alcune delle cime delle Dolomiti: il Cristallo e il monte Piana. Un altro lago che rientra geograficamente nella valle è il lago di Dobbiaco, che si trova nella parte settentrionale della valle.
L'ambiente naturale è caratterizzato dalla presenza di alte pareti rocciose che s'innalzano chiudendo la valle tra il monte Piano (m 2140), il monte Rudo/Rautkofel (m 2695), la Cima Bulla/Bullkofel, da un lato e il monte Specie/Strudelkopf(m 2307 dall'altra.

La Valle di Braies/Pragser Tal


Percorrendo la Val Pusteria/Pustertal, verso sud e i bastioni dolomitici, cinta dai pianori del Parco Naturale di Fanes, Senes e Baries/Naturalpark Fanes, Senes und Prags, s'insinua protetta dai venti una valle alla cui testata s'innalzano altissime guglie e massicce montagne. È la Valle di Braies/Pragser Tal in un'incantevole posizione naturale, ricca di prati, boschi e pascoli alti, dove la tradizione è ancora presente, il lavoro della terra ha ancora un grande valore sociale, i passi e i ritmi.
I Celti, che la scoprirono e la popolarono nel 1300 a.C., chiamarono Bracù la valle, allora paludosa e incolta. A San Lorenzo di Sebato gli abitanti del primitivo villaggio appartenevano alla tribù dei Saevantes e a Bracù pare si insediasse la tribù dei Laianci.
Chiusa tra la Croda Rossa d'Ampezzo e la Val Pusteria, la Valle di Braies/Pragsertal è caratterizzata dalla presenza di numerosi piccoli villaggi isolati: Braies Vecchia/Alteprags, Braies di Dentro/Innterprags, Ferrara/Schmideren, San Vito/Sankt Veit, Oberhaus, Porcara/Schweinberg, Braies di Fuorí/Ausserprags, Larici/Lercha, ricchi di storia e tradizione, con belle costruzioni contadine, masi e chiese che costituiscono e conservano preziose opere d'arte, campi di fondovalle tuttora lavorati secondo le antiche tradizioni contadine, stalle con numerasi armenti per la produzione di latte e dei suoi derivati tradizionali. Alla testata della Valle si trova lo splendido lago di Braies/Pragser Wildsee, un'autentica gemma azzurra incastonata nelle rocce bianco rosate delle Dolomiti ai piedi della Croda del Béco/Sas dla Porta/Seekofel, ambita meta turistica fin dalla fine del XIX secolo, luogo ricco di fascino e di leggenda.
La valle fornisce un ottimo punto di partenza per gite, escursioni, trekking e percorsi per mountain bike, con prodigiosi e memorabili panorami e tanti itinerari da scoprire.

La Valle di Funes/Vilinósser Tal

Nella media Valle dell'Isarco/Eisacker Tal, tra Chiusa e Bressanone, tra le alte guglie del Gruppo delle Odle-Gaisler e le Odles d'Eores/Aferer Gaisler, si apre verso est la Valle di Funes/Villnòsser Tal, che si estende fino alle estreme propaggini settentrionali delle Dolomiti e alla massiccia mole del Putia/Sas de Pùtia.
La valle di Funes si estende da Chiusa (523 m s.l.m.) fino all'ultimo centro abitato: Santa Maddalena (1.339 m s.l.m.). La valle è una delle poche rimasta quasi incontaminata.
È una valle ampia e solatia, con numerosi villaggi e masi immersi nei verdi prati del margine di boschi ricchi di piante forestali pregiate (famosi sono i boschi puri di pino cembro) ai piedi di alte montagne dalle cime aguzze, con il centro l'abitato di San Pietro eletto a centro amministrativo, culturale e religioso della valle.
Dotata di moderne strutture ricettive, la Val di Funes è uno dei luoghi più suggestivi e autentici delle Dolomiti, una vera perla racchiusa nel guscio dolomitico delle montagne più belle del mondo.

La Valle di Fiemme


La Val di Fiemme è una delle principali valli dolomitiche ed è situata nel Trentino orientale.
La valle, assieme alla Val di Fassa e alla Val di Cembra, costituisce il bacino idrografico del torrente Avisio, affluente di sinistra del fiume Adige. La valle è attorniata da diversi gruppi montuosi, tra cui il Latemar, il Monte Agnello, l'Alpe di Lusia e la catena del Lagorai.
La principale via di comunicazione della valle è costituita dall'arteria stradale che sale dalla Valle dell'Adige, la Strada Statale 48 delle Dolomiti, che giunta a Predazzo prosegue verso la Val di Fassa. La Val di Fiemme è connessa con altre valli del Trentino-Alto Adige e del Veneto anche grazie a numerosi valichi alpini: da Predazzo il Passo Rolle conduce a San Martino di Castrozza e in Primiero, il Passo Valles collega Paneveggio alla Valle del Bios, il Passo di Lavazè conduce in Val d'Ega (Alto Adige) e infine il Passo Manghen in Valsugana.
Fino al 1963 era attivo un servizio ferroviario, la Ferrovia della Val di Fiemme, che percorreva l'intera valle salendo da Ora fino a Predazzo.
L'economia della valle si basa sul turismo, sia invernale che estivo, su diverse attività artigianali e sullo sfruttamento delle risorse naturali. Un prodotto tipico dell'economia locale è il legno della foresta di Paneveggio, dalle eccezionali caratteristiche acustiche, utilizzato negli strumenti ad arco ed a pizzico più pregiati.
La Valle di Fiemme oggi è un territorio che ha attraversato trasformazioni della modernità decisive per l'intera comunità, pagando con alcune circostanze tragiche: le sciagure del Cermìs e il crollo della diga di Stava nel 1985, il prezzo di un veloce sviluppo.
Tra i più importanti luoghi di villeggiatura della valle, si citano Cavalese, Ziano di Fiemme, Panchià e Predazzo. Cavalese è il centro principale della valle e qui la storia ha lasciato segni profondi; da più secoli è la sede delle Magnifica Comunità di Fiemme e anche attualmente rappresenta il centro amministrativo, culturale ed economico più importante della valle.
Gli originari della Val di Fiemme vengono chiamati fiamazzi o fiammesi.


La Valle del Travignolo

Da Predazzo, verso est, una valle ricca di boschi si apre verso i monti delle Pale di San Martino e il Passo Rolle. Questa valle, percorsa dal torrente Travignolo affluente di sinistra del torrente Avisio/La Veisc e racchiusa tra la Catena dei Lagorai e le cime della Viezzena e i monti di Lusia, comprende le località turistiche di Paneveggio e Bellamonte, la grande foresta di Paneveggio che fa parte del Parco Naturale Paneveggio-Pale di San Martino e il lago di Paneveggio, un invaso artificiale creato con lo sbarramento del torrente a scopo idroelettrico. Dalla Val Travignolo, superato il Passo Rolle, si scende nel Primiero e la Valle del Cismon.

fonti:
- "Tutto quello che vorreste (e dovreste) sapere sulle Dolomiti", Dino Dibona, Newton & Compton Editori (interessante volume vera summa" di informazioni e di preziosi consigli)
- Wikipedia
- Google per carte stradali
postato da: apritisangia alle ore 04:26 | Permalink | commenti (1)
categoria:valli dolomitiche

1 commento:

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