mercoledì 18 gennaio 2012

cultura 2


sabato, 08 gennaio 2011



Daverio, viaggio in Alto Adige

MARCO RIZZA
Ieri a Bressanone, oggi (o forse domani) a Bolzano e Castel Roncolo. In questi giorni Philippe Daverio, critico d’arte tra i più noti, autore di programmi tv molto seguiti (basta ricordare «Passepartout» su Raitre), direttore della rivista «Art e dossier», sta girando l’Alto Adige con la sua troupe televisiva in vista di una puntata del programma «Emporio Daverio» in onda su Rai 5 (quella dedicata all’Alto Adige dovrebbe andare in onda i primi di febbraio). Si tratta, racconta, «di un progetto diverso da “Passepartout”. In “Emporio Daverio” cercherò di raccontare le città italiane. Una specie di “guida rossa” dell’Italia, ma più agile e divertente. Tra l’altro il progetto prevede anche una sua versione su Internet nella quale le puntate saranno più lunghe (e magari con qualche suggerimento di hotel o ristoranti, che la Rai non può fare) e soprattutto tradotte in più lingue: sarà il nostro invito ai turisti stranieri a non visitare solo Roma, Firenze e Venezia». Le tappe previste da Philippe Daverio nel suo viaggio altoatesino sono, oltre a Bressanone e Bolzano, anche Merano, Novacella e forse Termeno.
 In Alto Adige cerca qualcosa di particolare?
 
Diciamo che sono venuto qui per tentare di sciogliere il vecchio dilemma: questa terra è Alto Adige o Tirolo del sud?
 E la sua risposta qual è?
 
Ah, io dico che questo è Tirolo centrale! Il principe vescovo stava a Bressanone, i Conti del Tirolo stavano vicino a Merano... Qui era il cuore di tutto. Il bello per me è trovare i luoghi di sorgenza, i posti in cui le cose sono iniziate. Poi, certo, anche la storia recente è importante, ma per me è più interessante volgere lo sguardo più indietro.
 Per questo si è concentrato su Bressanone?
 
È una città magnifica. Il chiostro del Duomo è formidabile, il palazzo vescovile è meraviglioso. Sono luoghi splendidi che vanno raccontati molto più di quanto non si faccia oggi: rispetto alle sue bellezze Bressanone è poco conosciuta. E il Museo diocesano merita un’attenzione particolare. Ci sono opere scultoree del XII secolo commoventi, un piviale tra i più importanti al mondo insieme a quello di Ascoli Piceno... Con la mia trasmissione propongo un’ipotesi di turismo diversa: ecco, chi viene a Bressanone deve sapere che deve passare tre ore in questo museo.
 È stato anche a Vipiteno?
 
Sì, ma poco. Il problema dei musei è che ti portano via moltissimo tempo e poi ti ritrovi a fare le riprese esterne quando cala il buio... Bolzano la racconteremo in versione notturna, cosa che per altro aumenterà il suo fascino. Nell’Alto Adige che mostreremo in televisione inseriremo inoltre anche immagini estive.
 L’Alto Adige «italiano», novecentesco, le interessa meno?
 
Sì, lo trovo meno attraente. A parte la stazione di Bolzano, intendo.
 Sa che qui si è sviluppato un acceso dibattito sul destino dei monumenti fascisti? La sua opinione qual è?
 
Che vanno lasciati dove sono. Ormai sono lì... La storia è storia.
 Però c’è chi sostiene che offendono la popolazione sudtirolese, che sotto il fascismo ha sofferto molto.
 
Ma allora che facciamo, buttiamo via i monumenti di Napoleone in Francia? Per altro tenete conto che i milanesi adorano la marcia di Radetzky, che in realtà era peggio di Kappler...
 Bolzano ha un museo di arte contemporanea, Museion, verso il quale lei era stato molto critico all’epoca del caso della rana crocifissa. Come vede oggi questa struttura e il suo futuro?
 
Gli prevedo una vita molto difficile. Al Museion come a tutti i musei di questo tipo. L’arte contemporanea è un gran pasticcio, il mercato pesa tantissimo, ci sono 4-5 mercanti che orientano molte scelte e quindi servono direttori di musei con la schiena molto diritta per resistere... Però l’edificio è bello, mi piace.
 L’Alto Adige si candida col Nord-Est a Capitale europea della cultura. Cosa può portare di specifico in questo contesto?
 
Può contribuire a capire cosa sia il Nord-Est italiano oggi: può portare un contributo di modernità contrapposto a una visione nostalgica e tradizionalista del Nord-Est. Non solo moderna, direi postmoderna. L’Alto Adige ha capito come il passato serva a costruire il domani. Riprende alcune cose di ieri ma le orienta al futuro. Da questo punto di vista è una rarità in Italia. L’ultimo numero di «Art e dossier» l’ho intitolato proprio «Salviamo l’Italia dagli italiani». Per me Pompei è un territorio occupato: occupato dall’Italia, mentre invece appartiene a tutti. L’Alto Adige da questo punto di vista è un passo avanti.
Alto Adige 8-1-11
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giovedì, 06 gennaio 2011



Il bilancio della Polstrada: aumentano le contravvenzioni e i morti

SUSANNA PETRONE
BOLZANO. E’ aumentato il numero delle vittime della strada, così come gli automobilisti multati per eccesso di velocità. Stabile, invece, il numero delle patenti ritirate dagli agenti della Polstrada. Dal bilancio annuale emerge invece che è calato il numero di persone fermate ubriache alla guida dell’auto.
 Avrebbe potuto essere un bilancio positivo tutto sommato se non fosse che il numero di persone morte a causa di un incidente stradale è aumentato: nel 2009, infatti, le vittime erano tre, mentre nel 2010 sono morte sette persone a causa di un incidente stradale. Questo è quanto emerge dal bilancio annuale della polizia stradale di Bolzano, coordinata da Nazareno Sabbatini. Oltre 5 mila le pattuglie che hanno presenziato le strade altoatesine. Complessivamente sono sette le persone arrestate e 154 quelle denunciate. Nel corso dell’anno 2010 sono stati inoltre sequestrati 21 beni. I dati riguardano soprattutto furti e riciclaggio nazionale ed internazionale di autovetture.
 Tornando al bilancio: gli agenti della Polstrada hanno rilevato 369 incidenti stradali l’anno scorso. Otto in più del 2009. Complessivamente sono aumentate (+400) le infrazioni accertate nel corso dell’anno, che da 8.619 (nel 2009) sono passati a 9.093 (nel 2010). L’aumento è stato registrato soprattutto alla voce «velocità pericolosa ed eccesso di velocità». Due anni fa si trattava di 1.678 contravvenzioni, mentre nel 2010 sono arrivate a 2.150.
 Ma dal bilancio non emergono solo dati negativi. E’ sceso, infatti, il numero di persone fermate e multate per guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di droghe. Se nel 2009 gli automobilisti pizzicati ubriachi al volante erano ancora 110, nel 2010 il numero è sceso a 75. Sono diminuite anche le patente ritirate, che da 449 sono scese a 408 (le carte di circolazione ritirate nel 2010 sono oltre trecento, leggermente più dell’anno precedente). L’effetto positivo lo si nota alla voce «punti patenti decurtati»: nel 2009 i punti toccavano quasi le 20 mila unità, mentre nel 2010 sono di poco superiore alle 16 mila unità.
 Gli agenti impiegati nel corso dell’anno sono quasi cinquecento. Una parte delle pattuglie è stata impiegata esclusivamente per contrastare il fenomeno noto come «stragi del sabato sera». In parole povere: un’unità che ogni fine settimana ha pattugliato le strade altoatesine per garantire la massima sicurezza agli utenti della strada. Per quanto riguarda il rispetto dei limiti di velocità, la Polstrada ha utilizzato tutte le risorse tecniche a disposizione: autoveloce, telelaser e provida, sia sulla Statale sia sull’autostrada del Brennero. E’ stato impiegato inoltre il Centro mobile di revisione che si è occupato dei controlli che riguardano il trasporto professionale di merci e persone. Oltre 5 mila i veicoli controllati, di cui quasi 400 con il Centro mobile di revisione. Complessivamente sono stati organizzati 33 incontri presso scuole di ogni ordine e grado ed associazioni di categoria, nonché nell’ambito di eventi di particolare rilevanza sportiva o fieristica, per diffondere maggiormente la cultura della sicurezza stradale ai più giovani. Ventisei invece i controlli presso gli esercizi commerciali legati al mondo dell’auto: carrozzerie, officine e autosaloni.
Alto Adige 6-1-11
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giovedì, 06 gennaio 2011



Contributi comunali alla cultura: l’elenco dei 136 enti beneficiari

 BOLZANO. Per il 2011 sono previsti tagli ai contributi comunali in ambito culturale, ma intanto sono stati resi noti gli esborsi municipali 2010. E non per tutti è stato un anno di vacche magre, come si evince dalla tabella pubblicata qui sopra. Il meno esoso nelle richieste (o comunque il meno considerato nell’esborso) è stato il coro parrocchiale di Gries: l’unico, con 500 euro, sotto quota mille. Le associazioni e gli enti per i quali sono stati versati contributi sotto i diecimila euro sono la maggior parte, ossia 101 su un totale di 136. Quattordici gli enti ad aver ricevuto contributi fra i 10.000 e i 20.000 euro. Ad altri dieci ne sono stati concessi per cifre comprese fra i 20.000 e i 100.000 euro. Nove le associazioni, gli enti e le fondazioni beneficiate dai contributi più sostanziosi, sopra i 100.000 euro. In ordine crescente si tratta di: il Cristallo, la Comune, l’orchestra Mahler, la fondazione Mahler, l’orchestra Haydn, la fondazione Busoni, le Vereinigte Bühnen, il Teatro Stabile e, unica con importo sopra il milione di euro, la fondazione Teatro e Auditorium, con un contributo di 1.470.332 euro. (da.pa)
Alto Adige 6-1-11
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martedì, 04 gennaio 2011



Candotti: solo la poesia è arte

DENIS ISAIA

Jacopo Candotti a Bolzano, nel suo studio; che cosa sta facendo?
 «Mah... ho appena finito di bere il caffè, più in generale sto progettando l’ipotetica programmazione del nuovo spazio. È il mio nuovo studio, ma è soprattutto un ambiente di pensiero. Mi spiego meglio: vorrei che l’azione potesse trovare terreno fertile per la produzione di problematicità che possono svelare l’utilità di certi pensieri e l’inutilità di altri».
 Perché, c’è troppa roba sulla piazza?
 
C’è troppa simulazione e troppo poco margine per ragionare sulle ripercussioni del nostro operato, sulle reali responsabilità del nostro ruolo. Mi piacerebbe che questo nuovo spazio fosse un laboratorio di scultura a disposizione di altri artisti che non hanno un luogo per produrre i loro lavori e vorrei che condividessero con me una direzione.
 Da dove nasce questa necessità?
 
Ci troviamo in un paese marginale rispetto al sistema, quindi siamo costretti a fare i conti con una realtà frammentata. L’azione che può fare un artista italiano in Italia è quella di costruire dei ponti con altre piccole realtà di modo che si possa creare uno scambio attivo e costante. Il mio non sarà mai uno spazio espositivo e l’unico apporto visivo che ci sarà sarà lo spazio stesso. Niente mostre o curatori: è uno spazio fatto solo ed unicamente per gli artisti. E il contributo che gli artisti saranno chiamati a lasciare sarà di tipo verbale.
 A proposito di artisti, la galleria Lungomare ha ospitato il Suo progetto Azione Simboliche. Là disse che faceva fatica a capirsi con alcuni di loro perché sono comunicatori e non artisti. Cosa intendeva dire?
 
Quando penso all’arte mi riferisco alla poesia. Dove la comunicazione è priva di apporto poetico, si può chiamare in tutti i modi, come pubblicità, design di comunicazione, però non arte. La comunicazione è sempre uno strumento che sottende una forma di dimostrazione di una verità, invece mi piace pensare che l’opera d’arte possa avere la presunzione di essere fraintesa.
 Ma non crede che così facendo l’arte si nasconda dietro un’ombra?
 
Sì, ma è solo in una dimensione caotica che si può trovare un riscontro. Un’opera non può avere le idee chiare. Il cortocircuito che un lavoro innesca nel mondo, avviene grazie anche ad una sua inconsapevolezza, cosa che all’interno del mondo della comunicazione non esiste.
 Non percepisce il rischio per l’arte di finire nell’elitarismo?
 
Non ho mai avuto la pretesa di costringere una persona ad interessarsi di un argomento che non le interessa. Non a caso tutta l’arte che ha a che fare con una problematica di carattere sociale o politico, è una forma di comunicazione documentaristica che pone l’artista in una condizione di critica politica, ma non artistica. Fra l’altro spesso le domande che pongono non appartengono neanche al loro mondo. Per me gli artisti che si occupano direttamente di politica sono dei turisti alla ricerca di un nuovo viaggio. C’è in tutto questo una sorta di sfruttamento di una posizione sfortunata. Se io davvero pensassi di riuscire a trattare dei punti in modo che il mondo possa essere migliorato, entrerei semplicemente in politica, non mi occuperei d’arte. Ci pensi un po’: alla fine, questi lavori politici, hanno una capacità di presa minima, perché vengono guardati da pochi. Il canale che viene scelto per la divulgazione di questi elaborati è totalmente fuori posto. Tutto questo perché alla base, sono progetti in cui manca una linea poetica.
 La non conoscenza spesso nella Sua ricerca è un valore, vuole dire qualcosa o taciamo?
 
La scoperta parte dal presupposto di poter venire a conoscenza di qualcosa di nuovo. Fra i presupposti del mio operare c’è questo aspetto paradossale di cercare la non conoscenza. L’operato non è conoscenza, ma mistero.
 I Suoi lavori assomigliano spesso ad un discorso incompiuto.
 
È come se fossero dei feticci di un percorso di consapevolezza. Si relazionano soprattutto a quello che credo possa essere in quel momento la loro utilità reale.
 Ha studiato con Garutti, l’autore del Piccolo Museion a Bolzano. Cosa ne pensa del cubo di vetro in via Sassari?
 
È un lavoro che si commenta da solo. È una facciata sui passanti, un contenitore che può essere attivato.
 Come artista, come si trova in Alto Adige?
 
Svantaggiato. Al di là dell’appoggio di qualche progetto specifico, un artista che vuole far di questo lavoro di una professione, non ha alcun appoggio economico.
 Eppure i contribuiti per gli artisti sono generosi.
 
Sì, ma un artigiano scultore del legno se apre un’attività ha diritto al 40% di finanziamenti a fondo perduto, un artista invece si trova solo.
 Chiudiamo così, ci dica un oggetto che Le piace e perché.
 
Aspetti che mi guardo intorno un attimo. Il paravento, perché quando mi pare mi ci nascondo dietro e non mi vede più nessuno.
Alto Adige 4-1-11
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martedì, 04 gennaio 2011



Biblioteche: alla Lub nasce un polo dedicato all’arte e alla ricerca

Nata a Merano nel 1961, Elisabeth Frasnelli ha studiato germanistica e storia dell’arte all’Università di Innsbruck e Vienna. Si è formata presso la Biblioteca universitaria di Innsbruck e la Biblioteca nazionale austriaca a Vienna, specializzandosi nel settore bibliotecario, di informazione e documentazione. Ha frequentato corsi di general management e di amministrazione presso l’Eurac. Dal 1992 è attiva in ambito bibliotecario (Biblioteca provinciale Tessmann a Bolzano, Ufficio Biblioteche della Ripartizione provinciale alla cultura, Biblioteca Lub); dal 2001 al 2008 è stata presidente dell’Associazione altoatesina della biblioteche. Dal 2004 è direttrice della Biblioteca della Lub.

di Elisa Tessaro
Una collezione che abbraccia tutti gli ambiti disciplinari dei vari indirizzi di studio dell’università, ma non solo. L’ambizione di diventare un polo d’eccellenza per la ricerca, la formazione continua e l’informazione multilingue del territorio. Anche grazie a nuovi accordi. Uno sguardo disincantato alle nuove tecnologie: tutto 24 ore su 24 e «just in time». Parla Elisabeth Frasnelli, direttrice della biblioteca della Libera Università di Bolzano. Meranese, 49 anni, lavora nel settore bibliotecario provinciale da quasi 20 anni e da 7 è alla guida di quella universitaria. Temi d’obbligo dell’intervista: l’imminente ingresso del patrimonio librario della biblioteca di Museion e la collocazione della biblioteca della Lub così arricchita rispetto alla nascita del nuovo polo interbibliotecario che sorgerà proprio a Bolzano.
 Quali sono le caratteristiche della biblioteca della Libera Università?
 
La biblioteca ha mosso i primi passi già mesi prima dell’apertura dell’ateneo: fin dall’inizio è stata chiara l’importanza di creare una base di patrimonio preesistente all’attività didattica. Si tratta di un centro che risponde principalmente alle necessità formative delle diverse facoltà. Accordi con partner come l’Eurac, la biblioteca del Seminario Maggiore di Bressanone e Museion ci permettono di attuare una sana politica di coordinamento degli acquisti, senza doppioni. Con Museion, ad esempio, si sta ragionando in termini di rete già da un po’ di tempo: l’unione delle due biblioteche, cui stiamo lavorando, darà luogo a un patrimonio di grande valore scientifico, unico in tutto l’arco alpino.
 Ecco, parliamo di Museion. Perché il fondo del museo verrà collocato all’università e non, ad esempio, nel polo interbibliotecario di prossima costruzione?
 
Come già sottolineato dalla presidente Marion Piffer Damiani, lo spostamento della biblioteca di Museion all’università darà vita ad una collezione d’eccellenza dedicata all’arte e al design. Si vuole creare un punto di riferimento regionale - e in futuro per l’area che si estende fra Roma e Monaco - per la ricerca scientifica e l’approfondimento in questo ambito. L’accordo nasce anche per aumentare la visibilità alla biblioteca di Museion e rendere il suo ricco patrimonio più vicino agli utenti, che potranno accedere al prestito durante l’ampio orario di apertura della biblioteca universitaria (dal lunedì al venerdì dalle 8 alle 24, il sabato dalle 9 alle 17). Per quanto riguarda il polo bibliotecario penso che, se verrà realizzato presto, come spero, avremo due spazi d’azione, quello dell’università focalizzato sull’alta formazione e quello dell’offerta alla collettività di un servizio globale di public library multilingue a cui il nuovo soggetto saprà ottimamente rispondere.
 Dove sarà collocata la biblioteca del museo nei vostri spazi di Bolzano?
 
La collezione manterrà la sua identità anche nella sua nuova sede. Il fondo di Museion - attualmente 24.000 unità tra volumi, materiale multimediale e riviste specializzate - formerà un’unità riconoscibile e sarà collocato fisicamente al secondo piano della biblioteca dell’università. Siamo realisticamente pronti ad aprire la nuova sezione dal primo marzo.
 Immaginate progetti di collaborazione?
 
La sinergia con Museion potrebbe in futuro sfociare in attività di ricerca con la Facoltà di Design e Arti e di conseguenza spero si creino altre positive intersezioni con le attività della biblioteca universitaria. Con Museion è già nato il progetto di realizzare un’artoteca, servizio che permette di mettere a disposizione del pubblico a titolo di prestito una collezione di opere d’arte. Una proposta unica in questa forma in Italia che rappresenta un importante strumento per la promozione dell’arte contemporanea.
 Quali sono i punti di forza della biblioteca universitaria?
 
Abbiamo creato una collezione adeguata alle richieste degli utenti: le statistiche ci confermano che ogni libro viene preso in prestito almeno una volta all’anno, un dato confortante. Un innovativo servizio di consulenza aiuta inoltre gli studenti a fare della «vera» ricerca scientifica, usando un po’ meno Wikipedia e Google e un po’ più fonti bibliografiche dettagliate.
 Vi rivolgete solo agli studenti?
 
No, anzi: è importante sottolineare che la biblioteca dell’università è aperta a tutti gli utenti (i laureandi possono entrare autonomamente 24 ore su 24 con una tessera e utilizzare tutti i servizi self service). Con una quota annuale di dieci euro è possibile accedere al prestito e a tutti gli altri servizi della biblioteca - come la consegna non stop dei libri e i servizi on-line. Nella classifica delle biblioteche scientifiche stilata dal Deutscher Bibliotheksverband siamo risultati terzi dietro a Costanza e Düsseldorf grazie a un patrimonio librario recente, una vasta offerta, molte risorse elettroniche ed uno staff specializzato.
 E il suo potenziale di sviluppo?
 
Per il futuro contiamo di potenziare la biblioteca digitale e l’offerta delle risorse sui diversi supporti quali Blackberry o Iphone e di implementare le risorse elettroniche come banche dati ed e-book, che danno la possibilità di accedere ai servizi bibliotecari ovunque. Un altro importante nodo sarà l’intensificazione di collaborazioni con partner nazionali e internazionali, così come l’arricchimento del patrimonio della biblioteca nei settori delle scienze naturali, tecniche e tecnologiche, dell’arte e design. Vorremmo inoltre estendere l’accesso alla biblioteca 24 ore su 24 a tutti i nostri utenti.
Alto Adige 2-1-11
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martedì, 04 gennaio 2011



«Entro il 2012 la facoltà di Medicina»

BOLZANO. Presidente Durnwalder come sarà la facoltà di Medicina che si vuole realizzare a Bolzano?
 
«Dobbiamo avere il coraggio di sperimentare una cosa nuova a scavalco tra province e regioni. Un progetto pilota, dove si faccia una facoltà interregionale, coinvolgendo Trento e Bolzano. Fare una facoltà solo in Alto Adige ci costerebbe 30 milioni all’anno e dovremmo aspettare 20 anni per averla a regime».
 E allora come ci spieghi questo progetto?
 
«Prendiamo un capofila a nord ed uno a sud, per fare un anello di collegamento tra mondo tedesco ed italiano per una facoltà interregionale, magari facendo anche due semestri nell’area inglese (Stati Uniti o Inghilterra). Da una parte Innsbruck, dove però non hanno spazio per ampliare la clinica universitaria e dall’altro Milano o Roma che hanno interesse ad avere questo collegamento sovranazionale. Lezioni da farsi a Innsbruck, Milano-Roma, Bolzano e Trento, con la parte pratica presso gli ospedali dei due capoluoghi in regione»
 Ma a Bolzano ci sarebbero spazi e strutture come le aule per le lezioni?
 
«Abbiamo la Claudiana e poi i vari ospedali con il personale, con i primari che potrebbero fare i docenti ed i professori per l’insegnamento sia teorico che pratico. Il progetto ci costerà all’anno tra i 5 ed i 10 milioni»
 E quando si partirebbe?
 
«Volevamo iniziare già nel 2011, ma ho l’impressione che i tempi si dilateranno all’anno successivo. Comunque sono convinto di questo, perché abbiamo bisogno di nuovi medici e non possiamo arrivare tardi all’appuntamento».
 Cambiamo argomento, la Svp deve scegliere il nuovo presidente del consiglio provinciale e il futuro presidente del consiglio regionale. Chi prenderà questi posti?
 
«Mi sembra un’occasione per le donne, anche se c’è un pretendente maschile e poi Noggler e Schuler che sarebbero una prima scelta, ma non credo siano molto interessati». (I bene informati danno Rosa Thaler per il consiglio regionale e Julia Unterberger per la presidenza di quello provinciale, con Veronika Stirner come capogruppo Svp in Regione, ndr).
 E per quanto riguarda la decisione Svp in merito al presidente del consiglio provinciale spettante al gruppo italiano?
 
«È tutto aperto, Minniti ha lavorato bene, la Artioli è bilingue, Vezzali un giurista. Il punto è che tutti i partiti dell’opposizione italiana hanno ormai un solo consigliere e i Verdi con Dello Sbarba due, ma quest’ultimo mi ha detto di non essere interessato, quindi come aiuto alla maggioranza ci sarebbe solo un voto. In fondo non è un posto così interessante - solo di rappresentanza - e non credo la scelta sia neppure un grosso problema per la Svp».
Alto Adige 31-12-10
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categoria:cultura
martedì, 28 dicembre 2010



Gli insuccessi della scuola sono educativi

Da un po’ di tempo anche le autorità scolastiche provinciali hanno incominciato ad ammettere che la scuola, che con tanto impegno riformatore hanno contribuito a forgiare, non funziona. A farli capitolare non sono stati i richiami al buon senso e alla ragionevolezza dei tanti che da anni tentavano inutilmente di aprire loro gli occhi sulle incongruenze pedagogiche di questo progetto, ma i test Pisa. E così per sottrarsi ai rigori della sorte (”siamo primi al mondo” esultava solo sei anni fa il professor Viola; “siamo stati superati da molti” si rammaricava la settimana scorsa l’assessora Kasslatter Mur), spronano gli insegnanti a trattare le materie con approccio”pisano”, privilegiando cioè “la capacità di risolvere problemi in contesto reale”. Può darsi che una siffatta impostazione renda più esperti nell’affrontare i test Pisa ma certamente non più colti. Questo principio didattico di privilegiare il reale sull’astratto è la miglior sintesi della “nuova pedagogia”; a forza di ribadirlo ossessivamente come un mantra, alle autorità scolastiche deve essersi annebbiata la capacità di giudizio. Non si potrebbe altrimenti attribuire l’insuccesso didattico - come fa il professor Bertorelle - “all’astrattezza dell’impostazione idealistico-gentiliana che - così afferma - domina ancora in larga parte il nostro sistema culturale e scolastico”, o proporre come rimedio - come fa la professoressa Rauzi - un”insegnamento personalizzato” sulla base delle “sette forme di intelligenza” scoperte da Gardner. Possibile che non riescano a capire che le cause dell’insuccesso sono educative non intellettive e se non si provvede ad eliminare prima quelle ogni altro intervento risulterà inutile. Perfino un pioniere della “nuova pedagogia” come il professor Alberoni se n’è accorto: “A causare la ridotta capacità di concentrazione dei giovani è proprio il tipo di pedagogia in uso nella nostra scuola. Nessuno insegna più a loro come stare attenti e li rimprovera quando non lo fanno. Nessuno pensa più che si debba correggere con l’esercizio una tendenza sbagliata. Si crede che rimproveri creino frustrazioni e blocchino la libertà creativa. Il risultato è che molti non impareranno più a concentrarsi.
Alto Adige 28-12-10
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lunedì, 27 dicembre 2010



Cibo per un miliardo nella spazzatura

 ROMA. Un’abbuffata da 2,8 miliardi che si chiude con 1 miliardo che finisce direttamente nella spazzatura. E’ questo il poco poetico epilogo delle feste natalizie passate con amici e parenti a mangiare a tavola. Se a Natale, secondo le stime di Coldiretti, la crisi economica ci ha consigliato di risparmiare in caviale, ostriche, salmone e champagne e altri cibi e bevande ad alto costo non si è certo lesinato in bolliti, cappelletti, salumi, carni, spumanti, panettoni, pandori, pesci, formaggi e quant’altro. Ovvero la tradizione delle nostre festività.
 Il risultato è che è rimasto sulle tavole oltre un terzo delle portate preparate per la vigilia e per il pranzo di Natale, per un valore stimato in circa un miliardo che rischia molto concretamente di finire nel bidone della spazzatura. La previsione è sempre di Coldiretti.
 Ad essere gettati nei rifiuti sono soprattutto i prodotti già cucinati e quelli più deperibili come frutta, verdura, pane, pasta, latticini e affettati. A questo punto entrano in gioco le ricette creative e «antispreco». Secondo la Coldiretti polpette, frittate, pizze farcite, caponata e macedonia sono un’ottima soluzione per utilizzare gli avanzi secondo le preziose ricette della nonna.
 In un momento di difficoltà economica è infatti importante raccogliere l’invito alla sobrietà e - sottolinea la Coldiretti - ad utilizzare la fantasia e il tempo libero delle feste per recuperare con gusto i cibi rimasti sulle tavole.
 Una usanza molto diffusa che nel passato ha dato origine a piatti diventati simbolo della cultura enogastronomica del territorio come la ribollita toscana, i canederli trentini, la pinza veneta o al sud la frittata di pasta o le braciole di carne, involtini ottenuti dal rostbeef avanzato con l’aggiunta di salame e formaggio.
 Polpette o polpettoni a base di carne o tartare di pesce avanzati sono l’ideale per recuperare il cibo del giorno prima, ma anche le frittate possono dare - continua la Coldiretti - un gusto nuovo ai piatti di verdura o di pasta, senza dimenticare la ratatouille (la versione nizzarda dell’italianissima caponata realizzata con verdure stufate). La frutta secca in più può essere facilmente caramellata per diventare un ottimo “torrone” mentre con quella fresca si ottengono pasticciate, marmellate o macedonie.
 E per dare un nuovo sapore ai dolci più tradizionali, come il pandoro o il panettone, si ricorre spesso alla farcitura con creme o cioccolate fuse. O molto più banalmente possono servire da merenda e la colazione dei piccoli di casa almeno fino all’epifania.
AltoAdige 27-12-10
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domenica, 26 dicembre 2010



Tagli Cultura da Roma

FRANCESCA GONZATO
Anche le istituzioni culturali altoatesine pagheranno il mancato reintegro del Fus (il fondo unico statale per lo spettacolo) da parte del consiglio dei ministri. Le conseguenze più pesanti si annunciano al Teatro stabile di Bolzano: meno 36 per cento.
 Il Fus per il 2011 era sceso nelle previsioni da 408 a 268 milioni. Dopo la mobilitazione del mondo dello spettacolo il governo si era impegnato a reintegrarlo all’interno del provvedimento «milleproroghe». Il decreto è stato però approvato l’altro giorno dal consiglio dei ministri senza l’incremento per il Fus.
 Subiranno così ulteriori tagli le fondazioni altoatesine che ricevono finanziamenti statali. «I problemi più seri li avrà il Teatro Stabile», anticipa l’assessore alla Cultura Patrizia Trincanato.
 Teme che lo scenario sarà ancora più grave Sandro Repetto (Udc), ex assessore alla Cultura, che elenca: «In Alto Adige il Fus finanzia il Teatro Stabile con 600 mila euro, l’Orchesta Haydn con 2 milioni, la Fondazione Teatro con 90 mila, la fondazione del Premio Busoni con 50 mila euro all’anno. I soci, a partire dal Comune, dovrebbero attivarsi subito».
 Il direttore artistico del Teatro stabile Marco Bernardi conferma che se il Fus effettivamente non verrà ripristinato, «ci saranno conseguenze pesanti per noi come per tutto il mondo dello spettacolo italiano». Sono già due anni che lo Stabile fa i conti con riduzioni drastiche del finanziameno statale, nel 2011 vivrà l’ennesima sofferenza per il bilancio: «Visto che non ci sono sacche di sprechi, le conseguenza verranno pagate con tagli alle produzioni, alle ospitalità e alle giornate lavoro del personale».
 Il Tsb nel 2009 ha ricevuto un finanziameto statale di 670 mila euro. Nel 2010 questo era già stato ridotto del 20%, passando a 535.000 euro. «Ora la previsione è di un ulteriore 36% in meno, pari a circa 180 mila euro. Su un bilancio di 3,8 milioni è molto». Lo Stabile chiederà aiuto a Comune e Provincia? Bernardi: «Dobbiamo già ringraziarli per non avere ridotto la loro quota. E’ il massimo che possiamo chiedere». Infine uno sguardo oltre l’Alto Adige: «Come è emerso dalla protesta corale delle scorse settimane, è incomprensibile un governo che di fatto decide di cancellare lo spettacolo dal vivo in Italia. Forse le persone non lo sanno, ma il taglio al Fus equivale a dieci chilometri di autostrada. Non si dica che proprio la cultura debba essere sacrificata». Patrizia Trincanato aggiunge: «Il progetto di regionalizzazione del Tsb potrebbe controbilanciare in parte la perdita di fondi».
 Preoccupato anche il presidente dell’Orchestra Haydn Franz von Walther, «anche se per noi l’anno scorso su 1,9 milioni di finanziamenti statali abbiamo perso una cifra sopportabile. Siamo però in ansia per il 2011 e non voglio ancora credere che il governo non rispetterà l’impegno di reintegrare il Fus».
Alto Adige 24-12-10
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categoria:cultura
domenica, 26 dicembre 2010



PUNTARE SULLA CULTURA

GIORGIO TAVANO BLESSI
Le istituzioni pubbliche, locali e nazionali, sono impegnate da tempo in un confronto con il settore produttivo riguardo le politiche da attuare per il rilancio dell’economia. Pare che il punto di incontro tra le varie istanze e quindi la via d’intesa tra le parti, sia il sostegno di quei settori che presentano maggiori opportunità di sviluppo, e la elargizione di incentivi alle imprese innovative, ritenute fondamentali per garantire competitività al sistema locale. Sembra prevalere un comune indirizzo nel cercare da un lato di supportare quei settori che presentano maggiori opportunità di sviluppo.
e questo insieme alla costruzione di percorsi affinché venga incentivata l’innovazione nelle imprese. Una domanda sorge spontanea: qual è il settore economico che genera più valore? e come fare per alimentare processi di innovazione nel tessuto produttivo? La risposta ad entrambe le domande può arrivare da un ambito sempre più bistrattato e marginalizzato: la cultura. Ebbene sì, la cultura è economia!
 Il ruolo della cultura all’interno delle economie contemporanee è stato per lungo tempo ignorato, principalmente perché assenti sistemi di misurazione efficienti degli impatti socio-economici. Questo fino al 2006, quando un rapporto presentato dalla Commissione Europea rispetto al ruolo e peso della cultura nell’economie contemporanee, e praticamente passato sotto silenzio in Italia come in Germania, rende visibile in maniera chiara il valore di questa risorsa.
Cosa ha rilevato di interessante questo studio? Innanzitutto illustra gli elementi che compongono la dimensione culturale ed i settori produttivi afferenti alla cultura, suddivisi in industrie culturali, industrie creative e nucleo. Il nucleo è composto da attività performative ad esempio il teatro, concerti, mostre ed i beni culturali materiali come palazzi, monumenti, nelle industrie culturali è possibile trovare elemento come film e video, giochi elettronici, musica, libri e stampa, per ultimo le industrie creative formate dalle attività concernenti design, moda, pubblicità, e dal settore dell’informatica e telecomunicazioni.
 Successivamente, il rapporto ha posto a confronto la cultura con i principali settori produttivi europei, quali l’edilizia, o il manifatturiero. Ebbene, questo documento ufficialmente presentato dalla Comunità Europea attesta come il contributo al valore aggiunto della dimensione culturale sia pari al 2,6% del PIL europeo, mentre il settore delle costruzioni contribuisca per il 2,1%, il settore manifatturiero per il 1,9%. I dati inoltre illustrano come nel periodo preso in considerazione il settore culturale abbia assorbito l’1,85% di nuovi occupati, a fronte di una contrazione dell’impiego registrata in tutti gli altri settori durante gli anni presi in esame. In ultima analisi il documento attesta una crescita del settore culturale superiore del 12,3% rispetto alla crescita dell’economia in generale. Il peso economico a livello europeo delle industrie creative, e quindi della cultura, è tesi sostenuta anche dal rapporto sulla competitività europea, presentato alla fine di ottobre. Il documento affronta in maniera estesa il tema della competitività economica rispetto a vari settori produttivi, dedicando ampio spazio al tema delle industrie creative, definite come un settore ibrido, tra arte, commercio e tecnologia. Il documento illustra in maniera chiara come le industrie creative siano tra i settori a più rapida crescita nell’Unione Europea, rappresentando da sole nel 2009 il 3,3% del PIL complessivo dell’Europa ed il 3% dell’occupazione, un settore questo che ha registrato un aumento annuo dell’occupazione nel periodo 2000 - 2007 pari al 3,5%, rispetto al 1% relativo al resto dell’economia europea nel suo insieme. I risultati del rapporto Figel hanno fatto letteralmente sobbalzare studiosi e istituzioni, promuovendo un dibattito che in alcuni paesi - ad esempio Svezia e Spagna - ha coinvolto i governi nazionali in un percorso che sta ri-orientando l’intera strategia di politica economica, alla luce del ruolo della dimensione culturale nelle società contemporanee, ed in virtù delle interdipendenze, ovvero degli stretti legami, tra cultura e creatività. Gli studi seguenti il rapporto Figel, infatti, dimostrano come le industrie creative traggano i contenuti e le pratiche di lavoro per le loro produzioni dal settore culturale, e come questo sia vero per molti altri settori economici anche non affini a quello culturale che, ad esempio, sfruttano la cultura al fine di incrementare il valore di un bene o servizio. Senza la cultura, quindi non ci sarebbero le industrie creative. La cultura e le industrie creative generano nuovi posti di lavoro, ricoprono ruoli fondamentali nelle catene globali di valore e stimolano l’innovazione. Se, come affermato da molti, la devoluzione di denaro pubblico alla cultura si motiva principalmente se si può dimostrare che essa ha il carattere di un investimento, piuttosto che di una regalia fine a se stessa, vale a dire solo se essa funziona come moltiplicatore di potenzialità direttamente o mediatamente economiche, sia per quanto riguarda gli effetti sull’industria, sia per quanto attiene alla promozione di iniziative che puntino all’innovazione tecnico-scientifica che di opportunità di impiego, oltre che di benessere sociale, i dati provenienti dagli studi europei non lasciano dubbio al riguardo.
Serve ora un comune sforzo per sorreggere una progettazione ed un nuovo modello di sviluppo che promuova la cultura e le industrie creative quale colonna portante per il sistema locale, che dia la giusta centralità a questa importante risorsa. Un’occasione potrebbe essere la candidatura per Capitale Culturale Europea, un’occasione affinché il settore economico, le istituzioni, le organizzazioni afferenti alla dimensione culturale si incontrino e contribuiscano a costruire un piano integrato di azioni. E’ necessario investire risorse, risorse che devono provenire sia dal settore pubblico sia dal settore privato. Non è gettare soldi, ma è un investimento che come dimostrato ripaga, non solo in termini economici ma anche in termini di qualità della vita.
Alto Adige 24-12-10
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domenica, 26 dicembre 2010



 l’Alto Adige si apra

MIRCO MARCHIODI
BOLZANO. «È bello essere a casa», sta scritto sui nuovi manifesti pubblicitari della Zuegg. Scelta singolare per un’azienda che nel 1998, tra mille polemiche, decise di abbandonare l’Alto Adige per trasferirsi a Verona. «Ma le nostre origini sono sempre qui», assicura Oswald Zuegg, che continua a seguire da vicino le vicende altoatesine anche se l’orizzonte della sua azienda è sempre più orientato al mercato globale.
 Oswald Zuegg è uno di quelli imprenditori che sono sempre in giro. «La mia base è la macchina», ci scherza su. Zuegg ha appena chiuso l’operazione Russia: il nuovo stabilimento 120 chilometri a sud di Mosca oggi occupa 60 dipendenti e presto arriverà a cento. L’investimento è stato di 30 milioni: «Siamo diventati una piccola multinazionale», dice orgoglioso ricordando gli altri stabilimenti a Lipsia, a Berlino, in Polonia e i due italiani, quello di Avellino e quello di Verona, dove si trova la sede centrale. Il fatturato in questi anni ha continuato a crescere: dai 173,8 milioni del 2008 ai 180 del 2009 per arrivare ai 185-190 milioni del 2010.
 Sono ormai più di dieci anni che la Zuegg ha lasciato Lana. Quanto conta ancora l’Alto Adige per voi?
 
«Moltissimo, qui abbiamo le nostre origini. In più noi altoatesini sappiamo rispettare la cultura degli altri: questo è stato fondamentale quando abbiamo iniziato a muoverci in mercati come quello russo, dove sei tu quello che deve adattarsi mentre se ti comporti da dominatore hai già perso in partenza».
 E quanto è servito invece lasciare Lana per crescere anche all’estero?
 
«Sono sincero, restando a Lana non saremmo riusciti a diventare quello che siamo oggi. Penso ad esempio alla conquista del mercato francese: ci siamo entrati partendo da Berlino, è lì che abbiamo trovato il personale giusto».
 A Bolzano non c’era?
 
«Prendo me stesso come esempio. Dopo la maturità a Bressanone non sapevo l’inglese. L’ho dovuto imparare dopo. In Alto Adige si pensa spesso che basti il bilinguismo. Ma non è così, serve anche l’inglese, meglio ancora se si conosce anche il francese. Ma quando eravamo ancora a Lana non trovavamo nessuno che parlasse perfettamente inglese».
 La scarsa propensione a uscire dai propri confini si spiega con la mancanza di personale multilingue?
 
«Più in generale, io credo che sia un fatto culturale. In Alto Adige si sta bene, forse troppo. E quando stai troppo bene, non ti dai abbastanza da fare. Vale anche per le imprese, c’è il benessere, ci sono gli aiuti della Provincia e così alla fine manca la voglia di conquistare il mondo».
 Lei è stato presidente di Assindustria in Alto Adige: cosa ha fatto per cambiare questa mentalità?
 
«Dobbiamo essere più internazionali, per questo ho sempre combattuto per università e aeroporto. Sono i due strumenti per aprirci di più e portare turismo e imprenditori internazionali qui in Alto Adige».
 Ma ateneo e aeroporto sono piccoli, c’è chi dice che lo sono troppo: considera comunque vinte queste sue battaglie?
 
«Quella sull’università sì. C’è bisogno di tempo per far crescere un ateneo. La “Lub” è giovane ma sta facendo bene. Trovo ad esempio strategica la decisione di voler collaborare con altre università alla facoltà di medicina: è una scelta giusta, visto anche l’ottimo sistema sanitario che abbiamo».
 A proposito di sanità: Stefan Pan, che dopo di lei è il primo presidente di Assoimprenditori proveniente dalla sezione alimentari, sta portando avanti da mesi una battaglia per ridurre i costi amministrativi e investire di più in ricerca e innovazione...
 
«Pan lo conosco bene. Quando è stato eletto presidente di Assoimprenditori ho subito detto che era stata scelta la persona giusta. Mi aspettavo che all’inizio avrebbe avuto delle difficoltà, ma deve continuare a combattere. Il capitale dell’Alto Adige non sono i soldi, ma quello che c’è nelle teste dei nostri giovani. La società sta cambiando, è sempre più legata al “knowledge”, al sapere. È su questo che dobbiamo investire: le marmellate le puoi fare dappertutto, sono i servizi ad alto valore aggiunto che creano ricchezza sul posto perché è lì che vengono utilizzati».
 Invece qui si continua a discutere se è meglio usare il marchio “Südtirol” o “Alto Adige”...
 
«Quello che noi chiamiamo “corporate brand” deve essere unico. O hai le risorse e marchi forti come ha la Ferrero, che può permettersi un marketing su più binari, o devi fare una scelta. Noi ad esempio abbiamo ridotto al minimo la comunicazione col marchio dei succhi “Skipper” per puntare tutto sul marchio “Zuegg”. Deve fare lo stesso anche l’Alto Adige. Che sia “Alto Adige”, “Südtirol” o “South Tyrol” non importa, importa che poi il marchio sia unico».
 Altro problema altoatesino è quello del passaggio generazionale: alla Zuegg come siete messi?
 
«In azienda ha iniziato a lavorare la più giovane delle mie tre figlie, Martina. Lei rappresenta la quinta generazione, ma deve prima fare il suo apprendistato. Io ho lavorato 18 anni fianco a fianco con mio padre. L’azienda non è un’eredità, ma un’opportunità. È come un aereo, devi prima imparare a pilotarlo. Quando Martina sarà pronta a pilotare l’azienda Zuegg, toccherà a lei».
Alto Adige 23-12-10
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domenica, 26 dicembre 2010



«La Storia siamo noi» si occupa di Lager e Seifert

Nei primi mesi del 2011 sarà trasmessa una puntata di «La Storia siamo noi», nota trasmissione Rai condotta da Giovanni Minoli, dedicata al Lager di Bolzano e al suo boia, Misha Seifert, morto a novembre in un ospedale di Caserta ma da due anni detenuto nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere dopo essere stato condannato all’ergastolo. Nei giorni scorsi una troupe è stata a Bolzano dove ha effettuato riprese presso il Lager e, tra l’altro, intervistato proprio la storica Carla Giacomozzi. Sempre per quanto riguarda l’attività dell’Archivio Storico nell’ambito della ricerca sulla Seconda guerra mondiale, sarà riproposta anche nel 2011 l’iniziativa «La Memoria in rassegna» (in collaborazione col Comune di Nova Milanese), ossia la raccolta, catalogazione e presentazione al pubblico di videoproduzioni documentarie su Resistenza e Deportazione realizzate da enti, associazioni, istituti, associazioni, scuole e privati. Al momento le produzioni audiovisive raccolte sono 322 produzioni e sono disponibili in visione presso l’Archivio; si sta studiando il modo di metterne on-line almeno alcuni spezzoni.
Alto Adige 22-12-10
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sabato, 18 dicembre 2010



«Parliamoci in tedesco»

DAVIDE PASQUALI
BOLZANO. “Parliamoci in tedesco” va forte. Partito il 24 settembre, il progetto di volontariato linguistico ha finora coinvolto 460 “apprendenti” iscritti e 160 volontari per un totale di 620 persone.
 Dopo essere stato attivato con successo nella regione spagnola della Catalogna, il progetto è stato esportato anche in Alto Adige, suscitando un grande interesse fra la popolazione e superando di molto le aspettative, come fa notare l’assessore provinciale alla cultura italiana Christian Tommasini.
 Sono già una settantina le coppie formate e partite, mentre un’altra ventina sono attualmente in via di formazione. Oltre a Bolzano, dove c’è la maggior adesione, sono partite coppie a Merano, Bressanone e Brunico.
 Come hanno sottolineato gli organizzatori, un aspetto molto positivo è costituito dalla risposta inaspettata ed entusiasta da parte del gruppo linguistico tedesco, che ha mostrato l’orgoglio di donare, offrendo agli altri la propria lingua. Molte le personalità della società civile che hanno dato il loro appoggio, esprimendo una valutazione positiva e sottolineando la valenza interculturale, l’apertura verso l’altro e la possibilità di costruire rapporti e legami interpersonali che favoriscono la condivisione e la coesione sociale. Gli organizzatori hanno registrato anche l’adesione di diverse aziende ed esercizi commerciali, impegnatisi a collaborare al progetto venendo incontro agli apprendenti che si rivolgono a loro in tedesco, impegnandosi a non cambiare lingua. Il progetto ha suscitato interesse anche alla Lub e all’interno del mondo scolastico, dove alcuni istituti superiori hanno allacciato contatti per favorire l’incontro fra gli studenti maggiorenni dei due gruppi al di fuori dell’orario scolastico. Come ha ribadito il vicepresidente Tommasini, «è importante attivare percorsi nell’extrascuola per giungere a un effettivo plurilinguismo nella società. È bello constatare che diverse coppie abbiano instaurato un rapporto che va al di là del solo esercizio linguistico. Questo progetto, oltre a favorire l’apprendimento della lingua tedesca in situazioni quotidiane, permette a entrambi i partecipanti di entrare nelle abitudini, nella cultura e nelle tradizioni dell’altro». Come, ha proseguito, «un ringraziamento va a tutti per la partecipazione al progetto per l’entusiasmo dimostrato e la richiesta di divulgare il progetto tra i propri conoscenti, per favorire l’adesione di volontari al fine di far fronte alla consistente richiesta da parte degli apprendenti». L’iniziativa ha visto l’adesione anche di diversi migranti, permettendo così, oltre alla diffusione della conoscenza linguistica, una conoscenza interculturale, rafforzando il processo di interazione e scambio tra parlanti lingue diverse e un arricchimento culturale. E’ pervenuta da più parti - altoatesini di lingua tedesca e migranti - la richiesta di ampliare il progetto anche alla lingua italiana.
 Nell’ambito di una festa di natale allestita ieri al Centro Trevi, le coppie linguistiche già attive all’interno del progetto hanno assaporato tipici biscottini natalizi con sottofondo di musiche tradizionali di Natale e ricevuto un piccolo dono. Altri momenti d’incontro sono previsti per le nuove coppie che si formeranno nei prossimi mesi.
Alto Adige 18-12-10
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mercoledì, 15 dicembre 2010



Scuola Alto Adige , la novità è il biennio

BOLZANO. “Con l’approvazione da parte della giunta provinciale della riforma delle superiori, inizia una nuova fase per la scuola altoatesina”. Ne è convinto l’assessore provinciale Christian Tommasini che ha presentato i passaggi chiave della riforma: “Siamo l’unica Provincia italiana che non ha fatto tagli - ha spiegato - e in più abbiamo creato il biennio unitario, il nostro fiore all’occhiello”. Il via libera della Provincia alla riforma della scuola secondaria di secondo grado in lingua italiana rappresenta la fine di un lungo percorso che, iniziato in primavera, ha coinvolto tutti gli attori del mondo della scuola. Il testo delle indicazioni provinciali per la definizione dei curricoli, infatti, è stato elaborato da circa 80 docenti coordinati dall’ispettore Paolo Lorenzi, mentre la proposta relativa ai quadri orari è frutto dell’opera di un gruppo di lavoro formato dai dirigenti scolastici. “E’ stato un processo lungo - ha spiegato l’assessore Christian Tommasini - ma del quale dobbiamo essere orgogliosi. Essere riusciti a rinviare di un anno l’applicazione della riforma Gelmini ci ha consentito di lavorare sodo, e in maniera unitaria, per riorganizzare il nostro sistema scolastico salvaguardando le risorse e mettendo in campo un’offerta formativa all’altezza di una società in continua trasformazione come la nostra”. La scuola italiana ha mantenuto nella sostanza l’offerta già presente sul territorio, integrandola però con alcune novità. Per quanto riguarda i quadri orari, la media dei periodi di lezione varia dalle 35 ore settimanali dei licei alle 36 degli istituti tecnici. Il monte ore quinquennale per un percorso formativo di tipo liceale è di 4.958 ore, mentre nell’istruzione tecnica si tocca quota 5.100 ore. La riforma prevede inoltre una quota di “autonomia” pari al 20% del monte orario per le singole scuole. Campagna informativa per genitori e studenti dal 17 al 20 febbraio.
Alto Adige 15-12-10
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domenica, 12 dicembre 2010



Steurer: sul nazismo c’è l’oblio


MARCO RIZZA

Ha appena curato (insieme a Günther Pallaver) un libro sulle Opzioni. Per il futuro, dice, ha molti progetti in testa: «In particolare nel 2011 vorrei scrivere sui 50 anni sulla Feuernacht - dice -. Voglio continuare a fare storiografia impegnata. Non mi interessano le ricerche asettiche, lette solo dagli addetti ai lavori». Parla Leopold Steurer, uno degli storici sudtirolesi che dagli anni Ottanta ha cambiato il modo di fare storia in Alto Adige. Vipitenese, classe 1946 (coetaneo e compaesano di Alex Langer), non rinuncia all’idea che la storia «deve essere scientifica ma non neutra, deve mirare ad incidere sulla società».
 Che taglio avrà la ricerca sulla Notte dei Fuochi?
 
Vorrei tracciare la continuità tra volontari di guerra sudtirolesi con la Wehrmacht del 1939 (spesso pluridecorati, a volte prima indottrinati nei Ns-Schulung Kurse), poi padri fondatori dello Schützenbund nel 1958-59, e infine bombaroli. Ho raccolto due dozzine di biografie di questo tipo. Georg Klotz ne è un prototipo. I bombaroli del 1961 non erano “sudtirolesi medi”, o non tutti: molti avevano un humus culturale che affondava le radici nel nazismo.
 Di rapporto tra sudtirolesi e nazismo ha parlato anche nell’ultimo libro sulle Opzioni. Non teme l’accusa di essere un Nestbeschmutzer, un traditore?
 
Mah, una volta era molto peggio. Negli anni Ottanta venivamo attaccati con durezza per le nostre posizioni. Oggi la strategia è cambiata, preferiscono ignorarci.
 Nel volume sulle Opzioni ha pubblicato un interessante documento antihitleriano di Heinrich Mann. Ci sono altri testi inediti in quei saggi?
 
Da parte mia c’è un contributo su un documento finora sconosciuto, una lettera di Himmler al suo braccio destro Ulrich Greifelt della primavera del 1938, che dimostra come già in quell’anno fosse pianificata la «Um- und Rücksiedlung» di tutti i tedeschi d’Europa verso il Terzo Reich. Perché? Perché la Germania aveva bisogno di forza lavoro in vista del Piano quadriennale. E per riempire questo buco Greifelt pensa di portare nel Reich i tedeschi del resto d’Europa. Un altro aspetto nuovo che indago sono le opzioni dei giovani volontari di guerra.
 Di che si tratta?
 
I sudtirolesi che nel 1939 facevano il servizio di leva o stavano per farlo. Il Völkischer Kampfring Südtirols organizza nel settembre e ottobre, a guerra appena iniziata, le opzioni nelle caserme italiane. Tra ottobre e dicembre 2500 giovani sudtirolesi decidono di passare dall’esercito italiano a quello tedesco, come volontari. Trasferendosi in Germania si portano dietro le famiglie, e questo spesso prima delle Opzioni vere e proprie, che in Alto Adige iniziano a fine ottobre. La slavina delle Opzioni parte da questa palla di neve, giovani militari che optano in massa per l’esercito tedesco. Il Vks fa leva sulle nuove generazioni, soprattutto giovani maschi che scelgono la Grande Germania per motivi ideologici. E quindi scelgono la Wehrmacht, anche perché l’alternativa era fare la guerra per Mussolini, il nemico italiano.
 Il tema delle Opzioni è ancora una ferita aperta nella società sudtirolese?
 
Nei paesi si preferisce non parlarne. Anche perché la Svp nel suo proporsi come partito di raccolta tende a proiettare anche verso il passato questa comunità di popolo, quindi si preferisce tacere su quella guerra fraticida. Bisognerebbe parlare delle vittime del ’43-’45 e di chi invece aveva il potere... Non è un caso se in tanti archivi comunali siano spariti tutti i documenti di quegli anni.
 Quanto è stato elaborato nella comunità sudtirolese il rapporto avuto col nazismo?
 
I sudtirolesi fanno ancora fatica ad affrontare il tema. È cambiato qualcosa - anche grazie a libri come quello di Franz Thaler -, ma non abbastanza. All’indomani del 1945 è iniziata (e dura in parte tuttora) una vasta opera di riabilitazione culturale delle persone compromesse col nazismo, in nome dell’unità di popolo contro Roma. In generale è diffusa una visione manichea della storia di questa terra: tutto positivo prima del 1918, tutto negativo dopo.
 E il rapporto degli italiani di oggi col passato fascista di questa terra, come lo vede? Ha preso piede una rilettura critica o ancora no?
 
Vedo passi avanti, soprattutto da parte delle istituzioni. La decisione delle autorità militari nel 1996 di non deporre più corone davanti al Monumento è stata importantissima. Però mi sembra che in una fetta degli italiani ci sia ancora l’idea che in fin dei conti sotto il fascismo tutti abbiano sofferto, che fossimo tutti nella stessa barca. Invece no, il fascismo verso le minoranze linguistiche è stato un’oppressione «in più» rispetto a quella esercitata sugli italiani. Questo troppo spesso si dimentica. E non solo questo.
 Cos’altro?
 
Gli italiani, soprattutto nei decenni scorsi, dimenticavano troppo facilmente che la volontà politica dietro l’immigrazione italiana in Alto Adige fu proprio l’italianizzazione forzata di questa terra. Non certo gli operai della Zona, ma i funzionari statali avevano grossi privilegi qui, anche dopo il 1945. E questo gli italiani per decenni hanno finto di ignorarlo.
 Cosa crede che si dovrebbe fare col Monumento?
 
Va lasciato lì, ma non con quel cancello e quelle targhette del tutto insufficienti. Bisogna inserirlo in un percorso storico in 4 tappe: Lager, piazza Tribunale, il Monumento e IV Corpo d’armata che ospitò la Gestapo. In nessuna parte d’Europa esiste un posto come l’Alto Adige dove fin dagli anni ’30 si sono incontrate le due dittature sia come amici che come nemici. C’è una bellissima foto del ’32 che celebra l’incontro tra una delegazione nazista e una fascista davanti al Monumento per il decennale della Marcia su Roma. Ma quasi contemporaneamente lo stesso fascismo inizia a bollare come «irredentista» l’attività dei giovani sudtirolesi nazisti. Insomma al fascismo il nazismo va bene in tutta Italia tranne che qui, e viceversa. E questo va avanti fino al 1945. Solo qui i nazisti potevano definirsi antifascisti e i fascisti definirsi antinazisti. Tutto questo si leggerebbe molto bene in quel percorso storico cittadino. Bolzano dovrebbe fare come Norimberga.
 Perché Norimberga?
 
È stata uno dei simboli del nazismo, con le Reichsparteitage, le leggi razziali ecc. Poi il processo del ’45-46. Insomma un passato pesantissimo. E proprio per questo ha deciso di proporsi come città della pace e dei diritti umani, con un bellissimo centro di documentazione e un convegno annuale molto importante. Per Bolzano sarebbe un modello perfetto.
 Piazza Tribunale, alla quale ha accennato, è uno dei luoghi più controversi di Bolzano...
 
Il bassorilievo di Piffrader è perfetto per fare capire come la storia sia complessa, non semplice e lineare come vorrebbero quelli che ne danno una lettura solo etnica. Piffrader fece il monumento ai Kaiserjäger sul Bergisel ad Innsbruck, poi aderì al fascismo e fece quel bassorilievo, infine dopo la guerra fu eletto presidente del neonato Künstlerbund. La storia dell’Alto Adige è così: intricata.

La proposta: «Servirebbe una facoltà di Scienze umanistiche alla Lub»

Il progetto di realizzare un Istituto di ricerca storica in Alto Adige sta per concretizzarsi, e questo secondo Steurer sarebbe un passo positivo. Anche se, dice, l’ideale sarebbe «una facoltà di Scienze umanistiche alla Lub, da affiancare a quelle già esistenti. Se poi solo di storia contemporanea è da discutere: magari si potrebbe aggiungere linguistica e letteratura comparata. In atenei più grandi sarebbero tre facoltà mentre qui si potrebbero accorpare in una, che inciderebbe in modo positivo sulla società civile e sulla convivenza». E per quanto riguarda la candidatura a Capitale europea della cultura «mi sembra un buon progetto, in un contesto allargato possiamo profilarci come terra ponte tra due culture molto più di quanto non faremmo con l’Euregio. Il 2019 anniversario del 1919? Assurdo pensare che sia un problema».


Alto Adige 12-12-10
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sabato, 11 dicembre 2010


Ponte Talvera 1900

Storia: l’Alto Adige avrà dal 2011 un istituto di ricerca

Dopo anni di discussioni, finalmente il progetto sembra essersi concretizzato: dovrebbe essere presentato a febbraio l’Istituto di studi storici, un ente di ricerca finanziato (soprattutto) dalla Provincia ma che dovrebbe garantire autonomia nella propria attività scientifica grazie a un comitato di esperti di provenienza internazionale. L’idea è di aggregarlo a un’istituzione già esistente - quindi Eurac o Lub, come prime scelte - ma in questo senso non è ancora stata presa una decisione.
 Nei giorni scorsi, presentando un libro sulle Opzioni, la storica Martha Verdorfer ha lanciato un allarme: «A scrivere di certi temi di storia locale siamo più o meno sempre gli stessi da ormai quasi vent’anni: qui tutti parlano di una facoltà di Medicina per la Lub, ma io mi chiedo se non sarebbe il caso di istituire una facoltà di Storia...». Ecco: non nascerà una vera facoltà, ma qualcosa di simile vedrà probabilmente la luce l’anno prossimo. Si tratta di quell’Istituto di studi storici di cui da anni si parla - l’ultima volta la proposta era stata lanciata dall’assessora Kasslater Mur alla fine dell’anno hoferiano - ma che sembrava non concretizzarsi mai. La differenza rispetto a una facoltà è evidente - in un Istituto di questo tipo si fa ricerca ma non didattica -, ma non per questo il passaggio perderebbe di importanza.
 In questi mesi il gruppo di lavoro che si occupa della creazione dell’Istituto ha lavorato dietro le quinte. Il lavoro non è concluso, anzi: a quanto sembra mancano due elementi fondamentali. Il primo è la collocazione di questo Istituto. Si pensa di aggregarlo a un ente di ricerca già esistente, e la prima ipotesi era stato l’Eurac: ma qui la trattativa sembra essersi bloccata e così si è iniziato a pensare anche alla Lub. Ma la questione appunto non è ancora definita, così come non lo è il budget che sarà messo a disposizione: un’ipotesi è quella di ricavare parte dei finanziamenti dal fondo per i progetti di ricerca o dalle borse di studio per i dottorandi all’estero.
 Il quadro generale però è abbastanza chiaro. Si tratterà di un Istituto di storia regionale, intesa non come storia del Land, della provincia ma nel senso di regione alpina. «Dovrebbe occuparsi principalmente di storia contemporanea - dice Christine Roilo, direttrice dell’Archivio provinciale, che ha partecipato al tavolo di lavoro - ma prenderà in considerazione anche la storia moderna. Saranno fondamentali due elementi: la comparazione e l’interdisciplinarità, per esempio con collaborazioni con realtà già esistenti come l’Eurac». Nello statuto si dovrebbero indicare come punti qualificanti dell’Istituto «la professionalizzazione, l’internazionalizzazione e l’istituzionalizzazione della ricerca storica».
 L’Istituto non sarà formalmente integrato nelle ripartizioni provinciali. Riceverà i finanziamenti dalla Provincia (ma anche, negli auspici, da programmi di ricerca europei) ma sarà autonomo nell’attività scientifica. A garantirlo dovrebbe essere un comitato scientifico composto da 5-7 membri di provenienza internazionale che individuano le linee guida per la ricerca, stabiliscono i criteri per il reclutamento e valutano le ricerche alla loro conclusione. L’Istituto dovrebbe inoltre accompagnare ricerche di giovani ricercatori, per esempio dottorandi.
 Che dimensioni avrà? «Per il tipo di ricerca ipotizzata e per poter partecipare ai programmi comunitari - dice la Roilo - non dovrebbe avere meno di tre ricercatori, oltre a una direzione e a un’unità amministrativa. I ricercatori non solo saranno ovviamente di tutti i gruppi linguistici ma non è escluso che siano anche reclutati all’estero». L’Archivio provinciale non smetterà di fare ricerca ma bisognerà evitare doppioni.
Alto Adige 11-12-10
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giovedì, 09 dicembre 2010



Apprendimento del tedesco ecco le nuove guide didattiche

BOLZANO. L’assessore alla scuola italiana Tommasini, assieme al presidente ed alla direttrice dell’Istituto Pedagogico in lingua Italiana, Ivan Eccli e Laura Portesi, alla dirigente scolastica Mirca Passarella e alle referenti progettuali Adriana Panerari e Anna Maria Ventura, hanno presentato due volumi che ripercorrono le sperimentazioni svolte nella scuola primaria italiana dell’insegnamento veicolare del tedesco. Entrambi i volumi “Girotondo e Saltogiro” e “Con l’italiano ed il tedesco imparo lettere, suoni e cifre”, realizzati dall’Istituto Pedagogico italiano, propongono e documentano strumenti formativi per una didattica plurilingue. Inaugurano la nuova collana dell’Istituto Pedagogico “Quaderni di seconda lingua. Strumenti per l’innovazione didattica in sezioni bilingui e trilingui”, diretta da Mirca Passarella. La collana si rivolge agli insegnanti della scuola primaria e della scuola secondaria di primo grado che utilizzano la metodologia CLIL per l’insegnamento di discipline in lingua due o in lingua tre. Entrambi i volumi verranno diffusi nelle scuole della provincia e messi a disposizione dei docenti. Tommasini ha sottolineato l’importanza di questi strumenti che consentono di avvicinare con metodologie nuove gli alunni alla seconda lingua.
Alto Adige 9-12-10
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giovedì, 09 dicembre 2010



Le borse di studio riservate ai ricercatori

BOLZANO. La giunta provinciale ha dato il via libera ad un bando per favorire la mobilità e lo scambio dei ricercatori. Il concorso ha una dotazione finanziaria di 500 mila euro, ed è riservato sia a ricercatori altoatesini che a ricercatori stranieri. «Da parte nostra - commenta il presidente Luis Durnwalder - c’è la volontà di consentire ai ricercatori altoatesini di collaborare a progetti di livello internazionale, ma siamo anche convinti che gli enti e le strutture di ricerca presenti sul nostro territorio siano in grado di offrire una formazione interessante a studiosi stranieri. L’obiettivo è fare in modo che i ricercatori locali facciano in futuro ritorno in Alto Adige, ma ci piace anche l’idea di far stabilire sul nostro territorio persone provenienti dall’estero». Il bando di concorso, che mette in palio borse di studio per 500mila euro, sarà riservato per i due terzi ai ricercatori altoatesini che intendono specializzarsi all’estero.
Alto Adige 9-12-10
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venerdì, 03 dicembre 2010



 Tutti i beni culturali della provincia di Bolzano su Internet

Una banca dati unica per tutti gli archivi e gli enti che conservano beni culturali dell’Alto Adige, dotata di un portale web consultabile da chiunque vi acceda. Alla Provincia Autonoma - nello specifico dell’Assessorato alla cultura tedesca e con il sostegno della Ripartizione informatica - non è mancato il coraggio quando 7 anni fa è stato avviato questo mastodontico progetto. In un solo passo si è fatta carico di elaborare una sorta di inventario di tutto il patrimonio artistico, storico e archeologico locale, mettendosi in contatto le oltre 70 istituzioni che operano nel settore. Ha così proposto l’adozione di un sistema di catalogazione, rispettoso degli attuali standard internazionali, un software unico centralizzato per la raccolta e l’elaborazione dei dati, e una «vetrina» che per l’appunto è stata presentata ieri, insieme all’intero progetto. Il dispendio di risorse è stato ed è notevolissimo, anche se vi è stata la possibilità di attingere a fondi europei.
 Il catalogo è stato tenuto a battesimo in particolare dalle 10 istituzioni che hanno deciso fin da subito di scommetterci. Tra esse Museo Etnografico, Museo di Scienze Naturali, Touriseum e Museion. Dunque da oggi attraverso una pagina on line (www.provincia.bz.it/catalogo-beniculturali) è possibile ricercare e conoscere i dettagli dei beni culturali custoditi nelle istituzioni suddette. Attualmente la banca dati che sottende al portale comprende ben 110 mila oggetti e in una decina di anni - queste le intenzioni - il catalogo virtuale arriverà a contenere i dati relativi agli altri circa 70 enti locali ancora assenti. Proprio nei giorni della candidatura del a Capitale europea della cultura, senz’altro si tratta di un segnale importante di modernità.
 Con alcuni se e alcuni ma, però. Il prossimo lavoro di catalogazione con gli enti ancora non coinvolti sarà infatti difficilissimo perché vedrà come interlocutori istituzioni e operatori ancora in gran parte legati a vecchi sistemi di archiviazione cartacea. In più il nuovo catalogo dei beni culturali, se pur scattante dal punto di vista informatico, si dimostra oggi ancora piuttosto povero dal punto di vista multimediale, presentando di fatto solo testi e immagini, queste ultime tra l’altro della dimensione di un francobollo. Da questo punto di vista senz’altro è auspicabile, nel prossimo futuro, l’avvio di una sinergia con l’Ufficio Cultura questa volta dell’Assessorato in lingua italiana che da tempo ha avviato un moderno, seppur in parte artigianale, archivio di materiali audio video degli eventi culturali. Anche in questo senso, dunque, vi sono buone premesse che, attraverso una comunione di intenti, si possa dare il via a un percorso virtuso che porti alla realizzazione di nuovi «strumenti» che permettano alla popolazione locale, e non solo, di fruire della ricchezza culturale del nostro territorio mantenendo una sguardo creativo rivolto in avanti. (lu.st.)
Alto Adige 3-12-10
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categoria:cultura
venerdì, 03 dicembre 2010



Informatica: neolaureati subito assunti

ANTONELLA MATTIOLI
BOLZANO. «Tempi d’attesa per un lavoro di chi si laurea in Informatica? Zero». Un dato questo che riempie di orgoglio il preside di Scienze e tecnologie informatiche Giancarlo Succi che ieri, assieme a studenti e professori, ha festeggiato i 10 anni della facoltà.
 Per l’occasione niente cerimonie né discorsi ufficiali: tutto si è svolto all’insegna del pragmatismo che è il “linguaggio” del mondo dell’economia. In sala infatti più che autorità c’erano i rappresentanti delle aziende: Ae, Brennercom, Consorzio dei Comuni dell’Alto Adige, Raiffeisenverband, Sinfonet, Informatica Alto Adige, Fercam, Thun, Würth Phoenix. Gli studenti hanno presentato le loro tesi: le migliori - a giudizio delle aziende che le hanno votate - sono state quelle di Oana Tifrea, Daniel Hanspeter, Jessica Rodriguez. «Questo - dice il preside - è un momento importante, perché gli studenti incontrano le aziende presenti sul territorio». Succi crede fortemente in questo rapporto continuo tra università, mondo del lavoro, territorio. «Dalla nostra facoltà escono una quarantina di laureati all’anno e il lavoro lo trovano subito. I ragazzi lo devono sapere quando scelgono una facoltà. Anche perché c’è un altro particolare: gli stipendi, in questo settore, sono al top».
 Un messaggio questo raccolto dagli studenti che arrivano alla Lub da tutto il mondo: ci sono pachistani, afghani, brasiliani. «La nostra facoltà è quella che a livello nazionale ha il più alto numero e percentuale di stranieri. Abbiamo tre European master che consentono, dopo la laurea triennale, di conseguire la laurea magistrale frequentando un anno da noi e un anno in un altro Paese: un’esperienza che dà la possibilità di ottenere la doppia laurea».
 All’European master accedono in genere gli studenti che hanno superato una selezione e usufruiscono di una borsa di studio di circa 21 mila euro all’anno pagati dall’Ue. Qualcuno però ipotizza che la miglior conoscenza delle lingue (italiano, tedesco, inglese), che dal prossimo anno accademico verrà chiesta già al momento dell’iscrizione, possa ridurre il numero degli iscritti soprattutto ad Informatica. Timore subito fugato dal preside: «Non succederà nulla di tutto questo: chi si iscrive alla Lub vede le lingue come un’opportunità non come un ostacolo». Ma per chi arriva ad esempio dal Pachistan non sarà difficile conoscere discretamente bene le tre lingue?
 «Innanzittutto non si chiede loro di fare i traduttori e comunque la Lub offre corsi ad hoc per poter seguire al meglio da subito le lezioni».
 Intanto Succi pensa a nuovi corsi: il presidente del cdu Konrad Bergmeister, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico, ha parlato del nuovo indirizzo economico che verrà istituito ad Informatica.
 Mentre nel resto del Paese le università sono occupate per protesta contro la Riforma Gelmini, alla Lub è tutto tranquillo. Come si spiega? «Dipende molto dai messaggi che i professori trasmettono ai loro studenti. Per me la Riforma è molto buona. Anche se come tutte le cose perfezionabile. Mi preoccupa il clima che c’è altrove: nel 1968 frange estremiste di professori unite a frange estremiste di studenti hanno portato a quello che sappiamo».
Alto Adige 3-12-10
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categoria:cultura
giovedì, 02 dicembre 2010



Nord-Est capitale capitale della Cultura, ecco le firme

MARCO RIZZA
Questa del Comitato di gestione potrebbe essere la sede per inserire gli esponenti degli assessorati tedesco e ladino alla cultura. L’altro Comitato sarà quello scientifico, composto da esponenti del mondo della cultura e delle università (ancora da nominare) e che dovrebbe riunirsi per la prima volta a marzo: sarà quest’ultimo a predisporre il progetto vero e proprio per la candidatura. Avranno il compito di avviare le prime iniziative per creare la “rete” tra i territori, e di coinvolgere la società civile: università, mondo della cultura, imprese. Il progetto va presentato entro il 2012; nel 2013 ci sarà la decisione del Consiglio d’Europa. Al momento le candidature alternative a quella del Nord-Est sono tra l’altro quelle di Torino e provincia, L’Aquila, Siena, Matera, Palermo: ieri però i presidenti delle Regioni hanno espresso forte ottimismo sul fatto che «nessuna candidatura italiana può paragonarsi a quella di Venezia». Particolarmente secco il presidente veneto Luca Zaia, che ha ricordato la «figuraccia» in occasione del duello Roma-Venezia per le Olimpiadi: «Questo progetto non è compensativo e non è negoziabile, è una storia a sè. Una candidatura alternativa a Venezia è, sul piano della cultura, impensabile. Se Roma vuole la rissa, l’avrà, ma per noi la partita si chiude con questa candidatura: questo è il messaggio che lanciamo al resto d’Italia». In generale, comunque, tutti i presidenti hanno ribadito la necessità di «fare sistema».
 Per quanto riguarda i finanziamenti, il Protocollo dichiara esplicitamente che ogni ente aderente deve dotarsi di un proprio budget: insomma ognuno pagherà le proprie iniziative, e un fondo comune sarà creato solo per le esigenze di coordinamento e marketing. Ma Zaia ha annunciato che chiederà anche un fondo speciale a Roma.
 Significativo il fatto che al tavolo sedessero esponenti di Pdl, Lega, Pd, Patt, Svp: segno di un consenso trasversale al progetto. Nel suo intervento, il presidente della Provincia Luis Durnwalder ha sottolineato il senso della partecipazione altoatesina: arricchire il «mosaico di identità e di realtà culturali che fanno la ricchezza di questa macroregione». Ha poi aggiunto: «Abbiamo aderito a questo progetto perché siamo convinti del valore della diversità, dell’esigenza di promuovere la specificità dei territori quando tutti parlano di globalizzazione. Noi come terra di confine riteniamo questa candidatura significativa per le differenze che abbraccia, e partecipiamo con le nostre particolarità, a cominciare dai tre gruppi linguistici e da un’esperienza di soluzione pacifica della questione delle minoranze». Durnwalder per altro ha iniziato il suo intervento dicendo «vorrei rifare lo stesso errore che ho compiuto ad Auronzo (in occasione del riconoscimento Unesco alle Dolomiti, ndr) e rivolgere un saluto anche in tedesco»: cosa che ha fatto, riscuotendo un forte applauso (mentre ad Auronzo ci fu polemica). Presente a Venezia per la cerimonia anche l’assessore Christian Tommasini, che ha lanciato per primo in Provincia l’idea della candidatura col Nord-Est: «Qui sta nascendo un grande progetto di sviluppo, e noi ci siamo», ha detto. Per quanto riguarda i contenuti culturali del progetto, nessuno si è sbilanciato nei dettagli. Secondo Zaia «la Capitale può darci un valore identitario, e questa città diffusa chiamata Nord-Est può diventare per realtà visibile, valorizzando le sue eccellenze culturali».
Alto Adige 2-12-10
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lunedì, 29 novembre 2010



Liceo artistico e scienze umane al Pascoli

MAURIZIO DALLAGO
BOLZANO. Due sezioni di liceo artistico e 5 di liceo delle scienze umane. Questo per quanto riguarda le classi prime del Pascoli a partire dal prossimo anno scolastico. Al de’ Medici si istituiranno invece un corso quinquennale di istituto tecnico per il settore economico ad indirizzo turistico, due prime classi dell’istituto professionale per i servizi commerciali e due per i servizi socio-sanitari. A cui si aggiunge un corso di 5 anni di liceo delle scienze umane, opzione economico-sociale. Questa la soluzione finale dopo settimane di incontri, discussioni e coinvolgimento del personale docente e direttivo delle scuole bolzanine in lingua italiana. Il piano di distribuzione territoriale legato alla riforma delle superiori è ormai pronto e attende solo di essere approvato dalla giunta provinciale. «In pratica è stata trovata la soluzione che tiene conto dei rilievi di questi mesi», sottolinea l’assessore provinciale, Christian Tommasini. Quest’ultimo spiega nella risposta ad un’interrogazione in consiglio provinciale di Maurizio Vezzali (Pdl), come sia stata decisa la suddivisione dei corsi tra le due scuole superiori, quella di via Deledda a Firmian e l’altra in via San Quirino. «Parlare di “provenienza” e di “destinazione” rispetto agli indirizzi di studio è improprio, trattandosi di istituzione di nuovi indirizzi che non hanno né il Pascoli, né il de’ Medici. È pur vero che la natura “liceale”, pur non essendo solidale con un edificio o un quartiere cittadino, è invece radicata nelle abitudini della popolazione, ma è indubbio che si propone una rivisitazione del secondo ciclo e della sua distribuzione sul territorio che, a piccoli passi, porterà anche la cittadinanza a riconoscere gli istituti di erogazione della nuova offerta scolastica», sottolinea Tommasini. Vezzali voleva conoscere se «sia stata considerata dall’assessorato la notevole crescita degli iscritti dell’indirizzo gestito da sempre dal Pascoli e il probabile calo di iscrizioni nel caso di trasferimento dell’indirizzo scienze umane». «Questa considerazione è stata affrontata dal sottoscritto e dagli uffici competenti con le rappresentanze dell’istituto Pascoli, convenendo sulla necessità di mantenere il numero delle prime classi intorno alle 7 unità, con l’istituzione di 2 sezioni di liceo artistico e 5 di liceo delle scienze umane, delle quali due con opzione economico-sociale, per cui è anche improprio parlare di trasferimento, perché nessuno studente verrà trasferito d’ufficio dal Pascoli al de’ Medici», evidenzia Christian Tommasini. In pratica nel periodo transitorio di applicazione della legge - che dispiegherà i suoi effetti iniziali dal settembre del 2011 - sarà garantito a tutti gli studenti che abbiano iniziato un percorso in un determinato istituto, di poterlo completare nella medesima struttura, con minime variazioni legate all’adattamento del piano di studi al nuovo ordinamento. La scuola di via Deledda sarà utilizzata a pieno regime con l’attuale previsione di classi. «Limitando a sette il numero di prime, si previene la possibilità di superare la capienza massima che si potrebbe verificare, pur considerando un certo assotigliamento, verso la quinta, del numero delle classi», ancora l’assessore provinciale alla scuola italiana.
 Diverso il discorso dell’istituto in via San Quirino. Attualmente quest’ultimo è frequentato da 490 studenti. «Al de’ Medici si istituiranno un corso quinquennale di istituto tecnico per il settore economico a indirizzo turistico, due prime classi dell’istituto professionale per i servizi commerciali e due per i servizi socio-sanitari, che confluiranno dopo una verifica dei risultati di apprendimento alla fine della seconda in un triennio per ciascuno dei due indirizzi», spiega Tommasini. A questi indirizzi viene aggiunto un corso della durata di 5 anni di liceo delle scienze umane, opzione economico-sociale, che «raccoglie le eccellenze o i “diversi orientamenti” degli altri percorsi della scuola». «Il biennio così progettato è in linea con l’istanza più volte presentata dai docenti e dagli utenti del de’ Medici», conclude Tommasini.
Alto Adige 29-11-10
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categoria:cultura
domenica, 28 novembre 2010



«La letteratura si tuffi nel caos della vita»
Europa, libri, frontiere: parla lo scrittore


GABRIELA PREDA
Claudio Magris, uno dei più profondi scrittori e saggisti contemporanei, noto protagonista della cultura italiana ed europea, parla in questa intervista all’Alto Adige di storia, dell’Italia di oggi, di letteratura.
 Professor Magris, in «Utopia e disincanto» lei scriveva che la storia ci coglie sempre impreparati, mentre noi non facciamo che seguirla, rincorrerla. A che punto siamo oggi? C’è chi parla della fine di un sistema... Del resto, negli ultimi anni, si è ritrovato anche lei tra le voci italiane più critiche sui temi della giustizia, dei diritti e del loro «stravolgimento». Un giudizio sulla situazione attuale?
 
Non sono in grado - e credo non lo sia nessuno - di fare pronostici o profezie su quello che accadrà non dico nei prossimi anni, ma nemmeno nei prossimi mesi. Certamente la situazione attuale dell’Italia è disastrosa, indecente e grottesca; sembra caduta perfino l’ipocrisia, cosa certo detestabile, ma pur sempre, come è stato detto, «omaggio del vizio alla virtù», in quanto presuppone almeno la consapevolezza delle cose che non si devono fare e di quelle che si devono fare. La giustizia, i diritti, alcune insostenibili vicende pacchiane... C’è l’idea che una certa fase della cosiddetta Seconda Repubblica stia finendo ma, ripeto, non sono in grado di fare alcun pronostico.
 Che idea si è fatto sulle sorti dell’Europa? Le ricorda qualcosa della «Mitteleuropa internazionale oggi idealizzata quale armonia di popoli diversi» che descriveva nel suo libro «Danubio»?
 
La cosiddetta Mitteleuropa fa parte del nostro passato, è uno dei tanti tentativi, in parte riusciti e in parte falliti, in parte positivi in parte negativi, di realizzare una compagine in qualche modo sovranazionale. In questo senso, può darci grandi insegnamenti, ma come ogni esperienza storica del passato, e non certo quale modello da imitare, il che sarebbe ridicolo. In questo senso, ha assai ben poco a vedere col problema odierno di una costruzione di una Europa autenticamente unita. Anche il mio «Danubio», in fondo, attraversa la Mitteleuropa, ma non certo per nostalgia della Mitteleuropa (per carità!), né per proporla quale modello né per viverla quale immagine privilegiata dell’universo. È un libro più europeo che non mitteleuropeo.
 È d’accordo con chi sostiene che in Europa siamo troppo autoreferenziali o che non ci conosciamo bene neanche tra di noi? Che ruolo ha lo scrittore nella società di oggi?
 
Certamente non ci conosciamo bene e fin qui pazienza, anche se è grave. Ben peggiori sono le livide chiusure, non solo e non tanto nazionali quanto regionali, provinciali, comunali e via di seguito, i ringhiosi micronazionalismi locali che alzano il ponte levatoio per sbarrare l’ingresso al vicino e impedire il contatto con qualsiasi altro. Mai come oggi la conoscenza reciproca è stata ed è necessaria. Certo, se, come fa il nostro Ministro, si incomincia a mandare a casa i lettori di madrelingua straniera, che creano una delle premesse per la reciproca conoscenza ossia la conoscenza delle lingue, siamo ben messi... Quanto agli scrittori, non hanno nessun dovere particolare e bisogna smettere di credere che gli scrittori, anche grandi, la sappiano più lunga o siano spiritualmente sempre più elevati degli altri. Alcuni fra i più grandi scrittori del Novecento, che continuiamo ad amare perché comprendiamo l’itinerario che li ha portati a quelle aberrazioni ma che non potremo certo scegliere come guide, sono stati fascisti, nazisti, stalinisti. Si potrebbero fare tanti esempi. Lo scrittore ha certo una grande funzione perché, nella sua opera, non predica, non formula né enuncia programmi, non proclama che bisogna essere europei o democratici e così via, ma mostra concretamente - raccontando le vicende e il destino di singoli e concreti uomini e donne, delle loro passioni e delle loro incertezze e delle loro ambiguità - cosa significhi essere liberi o schiavi, aperti all’incontro con gli altri o chiusi e così via.
 Cos’è per Claudio Magris la scrittura?
 
Per rispondere a questa domanda occorrerebbe un libro intero; inoltre la risposta varierebbe, credo, da un giorno all’altro. La scrittura è insieme doganiere e passeur; trasgressione di confini per avventurarsi in dimensioni ignote e scoperta o addirittura costruzione di nuove frontiere, di nuove dimensioni, di nuovi modi di accettare o di incontrare l’altro. Si scrive per tante ragioni; credo soprattutto, almeno nel mio caso, per fedeltà; per lottare contro l’oblio, nell’illusione di poter strappare qualcosa alla cancellazione inesorabile operata dal tempo; si scrive soprattutto per amore; altre volte per protesta, per ribellione; talora per far ordine talora per disfare l’ordine precedente. Io ho l’impressione che scrivere significhi sempre trascrivere qualcosa che è sempre più importante di noi. La vita è originale, come diceva Svevo, più originale di quello che possono inventare gli scrittori, anche grandi; la verità, diceva Melville, è più bizzarra della finzione.
 Generalizzando, quali sono a suo avviso i maggiori pregi / difetti della letteratura contemporanea?
 
Impossibile rispondere a questa domanda, perché non esiste una letteratura contemporanea, ma esistono - su scala mondiale, ma anche su quella nazionale - tante letterature, autori, opere, tendenze diverse. In generale, un appunto che forse mi sentirei di fare alla letteratura occidentale è di aver abbandonato quel sentimento, fatto proprio ed espresso dalla più grande letteratura novecentesca (mi riferisco soprattutto alla narrativa) della disgregazione del mondo e della necessità di cercare il suo significato che sembra sparito, di riedificare il suo ordine che sembra infranto, senza civettare con quel disordine, ma nemmeno senza illudersi di poter restaurare tranquillamente un mondo ordinato, armonioso. Non si può più narrare in modo ordinato e armonioso; bisogna tuffarsi nel caos, nei gorghi, nel naufragio del mondo e della storia per cercare di trovarne un senso. Il civettuolo Postmoderno, che ci ammannisce tanti romanzi in cui alla fine tutto va a finire bene o comunque in buoni sentimenti, ha dimenticato la terribile lezione del Moderno, si è illuso che la ferita del Moderno, tuttora viva e bruciante, sia stata sanata.
 Lei ha cominciato a scrivere narrativa con «Illazioni sulla sciabola», un racconto... di terra, poi ha seguito il corso di un fiume con «Danubio», poi è arrivato a «Un altro mare», e così via. Quale «rotta» ha seguito?
 
Anche qui, una domanda che esigerebbe un intero libro per una risposta esauriente. Quando incomincio a scrivere qualcosa, non solo un libro ma anche un articolo (a meno che non si tratti di un articolo con un tema specifico) non so mai che cosa mi accingo a scrivere, che cosa scriverò. Non so mai, insomma, quale sarà il vero tema di ciò che scriverò, se riuscirò a portarlo alla fine (cosa di cui sono sempre incerto, ovviamente), perché il tema esplicito, quello magari indicato in un titolo, non è mai necessariamente quello vero. Così come un poeta può scrivere una poesia su un fiore ma per parlare, in realtà, non di quel fiore di cui pur descrive colori e profumi, ma della persona amata, così anche un romanzo e un saggio possono parlare di una cosa per raccontarne invece un’altra. Dovrei fare qui un elenco di tanti miei temi: il tema ricorrente dell’odissea, della fuga con o senza ritorno; dell’ordine e del disordine; del conflitto fra il «buon combattimento» morale, per citare San Paolo, e l’oscuro segreto impulso alla diserzione; di un tema centrale come da un lato l’importanza della ricerca dell’autenticità, di vivere la vita vera, e dall’altro il pericolo di illudersi di aver già raggiunto questa autenticità, di vivere la vita vera, condannandoci così a una vita tanto più falsa quanto più s’illude di essere autentica. Questo vale per la vita individuale come anche per la vita collettiva. È un tema che mi ha ossessionato sempre.
 Che autori/libri consiglierebbe ai nostri lettori? Una volta per esempio ha scritto che la Bibbia «è, insieme alla tragedia greca, il più grande sguardo gettato nell’abisso della vita ed è una linfa e radice essenziale dell’universalità umana e della nostra civiltà»...
 
Impossibile rispondere. Accanto all’esempio che lei ha fatto direi l’Odissea, il libro dei libri, che ci parla ancora del nostro presente e forse di quello che ancora deve accadere. Ulisse che si fa legare sull’albero della nave ma con le orecchie aperte per sentire il canto delle sirene che invece i suoi marinai con le orecchie tappate non possono udire è già il borghese che si cautela con l’assicurazione Casco, all-risks; è già quasi un personaggio sveviano. E Omero è molto meno conservatore di Joyce, perché l’Ulisse di quest’ultimo alla fine della sua giornata torna a casa, torna agli affetti e ai valori di sempre, profanati, insozzati e messi in difficoltà durante il giorno ma mai cancellati dal suo cuore; torna nella sua Itaca. Mentre l’Ulisse omerico - non occorre aspettare quello dantesco - dopo essere ritornato, dopo aver fatto l’amore con Penelope, le dice che dovrà ripartire...
 Essere nato in un luogo di confine l’ha in qualche modo reso più sensibile a temi della pluralità, delle frontiere, del bilinguismo, delle identità composte?
 
Sì, credo di sì, e l’ho anche raccontato, parlando della curiosa esperienza da ragazzino, quando vedevo quella frontiera vicinissima a casa mia che allora era la Cortina di Ferro, dietro la quale c’era un territorio contemporaneamente sconosciuto e misterioso (il mondo dell’Est, il mondo di Stalin in cui non si poteva entrare, almeno sino alla rottura fra Tito e Stalin) e familiare, perché erano le terre che erano state italiane sino alla fine della seconda guerra mondiale e che conoscevo bene perché vi ero stato più volte. Ma non credo affatto che sia necessario nascere o crescere in una cosiddetta città di frontiera per essere più sensibili a questi temi. Inoltre oggi le frontiere sono altre e io provo un po’ di vergogna quando parlo di quelle frontiere di un tempo mentre ignoro le invisibili frontiere che, all’intero della mia stessa città, Trieste, dividono il mondo dove abito io e il mondo in cui abitano i miei nuovi concittadini, i cinesi, i senegalesi e così via...
Alto Adige 28-11-10
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categoria:cultura, letture
domenica, 28 novembre 2010



I genitori: alle medie 13 ore di tedesco

ANTONELLA MATTIOLI
BOLZANO. «Attualmente alle medie ci sono 5 ore di tedesco più 2 di veicolare in geografia alla settimana: noi chiediamo di arrivare almeno a 13». Michela Gaspari, mamma di due bambine che frequentano le elementari Manzoni, è la battagliera rappresentante dei genitori che fanno capo a «Mix-ling».
 Dell’associazione fanno parte famiglie italiane, tedesche e miste unite da un comune obiettivo: far sì che i figli diventino bilingui e parlando la lingua dell’altro, imparino a conoscere anche la storia e la cultura dell’altro. Michela Gaspari, mistilingue e insegnante di tedesco, avrebbe potuto iscrivere le figlie alla scuola tedesca, ma ha preferito quella italiana. Ha scelto le Manzoni, dove già da anni come alle Longon e in altre scuole della provincia, c’è una classe che fa metà ore in italiano e metà in tedesco.
 «Sono circa 14 ore in una lingua e 14 nell’altra - spiega Gaspari - e i risultati sono ottimi. I bambini, alla fine dei cinque anni di elementari, hanno un’ottima padronanza delle due lingue. Vogliamo che quest’esperienza prosegua in maniera organica anche alle medie, dove attualmente ci sono solo 7 ore di tedesco, di cui 5 normali e 2 veicolari in compresenza. Noi ne chiediamo almeno 13».
 L’idea è di aggiungere alle ore normali di tedesco, il veicolare in geografia, una parte di scienze, un laboratorio di matematica. La prima a partire sarà, nell’autunno del 2011, la scuola media Foscolo (dirigente scolastica Mirca Passarella anche delle elementari Manzoni): nei prossimi giorni il collegio docenti voterà il progetto. Quindi nell’autunno del 2012 toccherà alle medie Archimede (dirigente Marina Degasperi anche delle elementari Longon).
 Una commissione di cui fanno parte oltre alle due dirigenti scolastiche anche la sovrintendente Nicoletta Minnei, il direttore di ripartizione Ivan Eccli e l’ispettore di tedesco seconda lingua Franz Lemayr stanno cercando il modo migliore per dare continuità didattica alle esperienze positive iniziate alle elementari e superare gli ostacoli giuridici rappresentati dall’articolo 19 dello Statuto che prevede che la valutazione venga fatta nella madrelingua dello studente.
 «Ma se un bambino è mistilingue - si chiede Gaspari - qual è la sua madrelingua? Il rischio è che una terra come la nostra, che dovrebbe essere avvantaggiata per quanto riguarda le lingue, rischi di essere penalizzata da norme ormai obsolete».
Alto Adige 28-11-10
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categoria:cultura, provincia di bolzano
sabato, 27 novembre 2010



Storia condivisa, pronto il primo manuale

BOLZANO. Mentre Eva Klotz minaccia la secessione, battendo il ferro del passato che divide, c’è, invece, chi cerca di costruire un “storia condivisa” tra i gruppi linguistici. Questo almeno è l’obiettivo del primo volume del manuale di storia locale “Passaggi e prospettive”, opera destinata a finire sui banchi delle scuole superiori italiane e tedesche. Il passato dell’Alto Adige, dunque, viene raccontato da due storici locali di alto profilo come Carlo Romeo ed Erika Kustatscher. Romeo, professore al liceo classico “Carducci”, non è nuovo nell’indagine storica sull’Alto Adige viste le sue numerose iniziative didattico-divulgative che analizzano prevalentemente gli aspetti storici e culturali dei territori di frontiera. E’ lui, quindi, a presentare la prima parte dell’opera che tratta l’area tirolese dalla preistoria al tardo medioevo. «Si tratta del primo esperimento di storia condivisa, bisognava quindi ragionare su alcuni criteri di armonizzazione. Prima di tutto abbiamo dovuto rispondere alla necessità di sintesi scegliendo o tralasciando determinati argomenti. In secondo luogo è stato importante far dialogare la microstoria altoatesina con la macrostoria generale creando un giusto equilibrio tra i vari campi d’interesse della storia come l’economia, la politica, la religione o l’organizzazione sociale». Ne esce un’opera snella e leggibile anche per chi i banchi di scuola non li frequenta più. Il volume dove probabilmente si testerà in modo più approfondito il concetto di condivisione è il terzo che correrà dal 1919 fino ai giorni nostri. Dall’annessione all’autonomia, un terreno minato. «Questa è la vera sfida - sottolinea Romeo -. La storia del Novecento in Alto Adige è stato spesso raccontata in modo strumentale, utilizzata per fini etnici e politici. Ecco, noi avremo un approccio scientifico. Solo così potremo ricostruire in modo oggettivo quello che è accaduto. Il terzo volume partirà proprio dal 1919, per la grande importanza che riveste questa data per noi e per permettere un’analisi approfondita del periodo storico più delicato per i due gruppi linguistici attuali». Il secondo volume dovrebbe vedere le stampe nella primavera del 2011, il terzo prima della fine del prossimo anno. La copertina, però, è già svelata e lascia intravedere, tra le altre, un’eloquente immagine del Monumento alla Vittoria. Soddisfatti i tre assessori provinciali alla scuola. Così Tommasini: «Dietro quest’opera c’è stata un’approfondita riflessione politica. Se il nostro obiettivo è formare dei giovani consapevoli, la pubblicazione di questo manuale è un passaggio fondamentale». (a.c.)
Alto Adige 26-11-10
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categoria:cultura
venerdì, 26 novembre 2010



«La cultura contro gli estremismi»

MARCO RIZZA
A pochi giorni dalla firma del Protocollo d’intesa tra le Regioni coinvolte nel progetto di Nord-Est Capitale europea della cultura per il 2019 - la firma avrà luogo il primo dicembre nel corso di una cerimonia ufficiale a Palazzo Ducale a Venezia -, negli assessorati si inizia a pensare ai contenuti coi quali questa iniziativa epocale andrà riempita (ammesso che la candidatura si riveli vincenti rispetto ai concorrenti). Certo mancano ancora molto tempo: ma, come ripetono tutti i tecnici tra Trieste e Bolzano, «questa è una cosa che va costruita da oggi fino al 2019, non si può fare tutto alla fine». Ed è pure vero che la forza della proposta è anche quella di stimolare le proposte «dal basso», dal territorio, senza che per forza la politica se ne immischi direttamente. Ma è chiaro che proprio dalla politica arriveranno spunti e, soprattutto, la visione generale della manifestazione.
 È proprio in questo ambito che anche solo la candidatura di Bolzano e dell’Alto Adige alla rete del Nord-Est rappresenta una risposta politica alle tensioni di questi giorni a proposito dei referendum sull’autodeterminazione. Christian Tommasini, assessore alla cultura italiana, lo dice senza girarci troppo intorno: «Questa candidatura è per tutti i gruppi linguistici una scommessa su che tipo di futuro immaginiamo per la nostra terra - dice -. Siamo davanti a un bivio. Si può scegliere il modello “piccole patrie”, che in Europa ha tanti estimatori nella destra, e da noi nella destra sudtirolese: chiudersi nel proprio orticello etnico e sperare che i problemi della globalizzazione restino fuori dalla porta. Questa è una strada. L’altra strada è quella di puntare sulla nostra pluriculturalità, sulla stratificazione di culture della nostra terra, per darci un’identità europea. Quest’altra via è secondo me l’antidoto migliore all’idea politica che invece propone di chiudersi a riccio. Sappiamo che la modernità porta ansie e paure, e che la nostra società è sempre più complessa. Quali risposte dà la politica a tutto questo? Quale orizzonte di senso offriamo? Il percorso che imbocchiamo con questa candidatura (una sfida che parte oggi, non nel 2019) vuole valorizzare il nostro essere ponte tra culture».
 Dopo la firma, come detto, bisognerà iniziare a parlare di contenuti. Per ora si tratta di suggestioni, più che di vere proposte. Secondo Tommasini «bisognerà rafforzare la rete tra istituzioni. Immagino il Museion che collabora col Mart o col Guggenheim di Venezia, il nostro teatro che collabora con gli altri teatri di prosa veneti o con la Fenice, che porta qui l’opera... E ovviamente l’università, che per definizione è contemporaneamente ancorata al territorio e universale». Ma, appunto, c’è da tenere conto della pluralità di culture. Florian Mussner, assessore alla cultura ladina, è entusiasta del progetto e ha già diverse idee: «La Capitale - dice - sarà una grande vetrina per noi. Penso alla nostra lingua, ad esempio, che potremo fare conoscere a tutto il Nord-Est nella sua peculiarità, anche col lavoro dell’Istituto Micrà de Rü. E anche alla nostra scuola: paritetica, ormai nemmeno più solo trilingue perché abbiamo aggiunto inglese e spagnolo... Un modello scolastico unico di cui andiamo fieri. Poi ci sono i nostri musei e il nostro artigianato. Infine la natura: gran parte del patrimonio Unesco è nelle nostre vallate». Vallate: non solo Gardena e Badia. «Quando parlo di cultura ladina - conclude Mussner - intendo tutte le cinque valli. Sia nel bellunese che, soprattutto, in val di Fassa ci sono splendide cose da valorizzare».
 Sulla cultura tedesca c’è al momento un punto di domanda non trascurabile. Nella Svp sono emersi diversi pareri contrari. Ma si sono alzate anche voci nettamente favorevoli: politici come Hans Berger, molto autorevole nel mondo sudtirolese anche tradizionale, si è schierato apertamente in favore della candidatura. E il presidente Durnwalder ha appoggiato il progetto fin dall’inizio. «Nel progetto bisogna coinvolgere tutti - dice Tommasini - e in consiglio provinciale prenderemo molto sul serio i dubbi dei colleghi scettici. Apriremo un tavolo di discussione. Se uno dei problemi è la governance, ossia il rischio di contare poco, voglio essere chiaro: questo progetto nasce con l’assoluta condizione che tutti i territori stiano alla pari. La regia delle decisioni sarà concordata. E i soldi che investiamo finiranno nella quasi totalità nel nostro territorio: anzi proprio chi avrà più idee e iniziative potrà emergere nella rete dei territori».
 A proposito di soldi: per ora in Alto Adige i finanziamenti sono pubblici - già stanziato un milione per i prossimi due anni -, ma l’intenzione è quella di coinvolgere anche i privati, come per altro succederà in Veneto dove la rete di enti e istituzioni private e imprese coinvolte è già ampia. La Capitale della cultura potrà infatti essere anche una grande occasione di sviluppo economico: «In questi mesi si sta parlando molto di modernizzazione del nostro territorio - conclude Tommasini - e noi crediamo che alimentare un turismo culturale di qualità faccia parte a tutti gli effetti di questa strategia».
Alto Adige 26-11-10
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categoria:cultura
venerdì, 26 novembre 2010



Scuole italiane più bilingui

ALAN CONTI
BOLZANO. La scuola bilingue guadagna lentamente spazio e allargherà il proprio bacino d’utenza. È la stessa sovrintendente scolastica Nicoletta Minnei a confermare «che in futuro abbiamo intenzione di espandere il progetto portato avanti dalla scuola primaria Manzoni e secondaria Foscolo ad almeno altri 5-6 istituti comprensivi». Fossero tutti a Bolzano significherebbe che più della metà delle scuole cittadine in italiano offrirebbe un percorso di didattica nelle due lingue. La sperimentazione, che fa ampio uso dell’insegnamento veicolare di alcune materie, giunge quest’anno alla fine del ciclo elementare. In cantiere, quindi, la progettazione per il naturale proseguimento didattico. «Il gruppo di lavoro - continua Minnei - sta procedendo nei tempi previsti. Il passaggio alla scuola media, infatti, comporta delle criticità tecnico-giuridiche che vanno risolte con attenzione».
 C’è, ovviamente, la necessità di armonizzare la didattica con quanto fatto fino ad ora. «Vero. Molti istituti hanno già attivato in passato esperienze linguistiche, ma qui si tratta di creare un percorso che garantisca una continuità con la primaria». Fino ad oggi il progetto riguardava strettamente le scuole degli istituti comprensivi Bolzano VI (Manzoni-Foscolo) e Bolzano V (Longon-Archimede), ma la novità, come detto, è che altre ne seguiranno.
 Aprono una breccia, quindi, le proteste degli studenti che nelle manifestazioni della scorsa settimana hanno messo in primo piano l’importanza di un insegnamento bilingue più incisivo. «Con i colleghi dell’Intendenza tedesca - conclude Minnei - stiamo elaborando esperienze di scambio che siano più durature e approfondite anche alle superiori, così come chiesto dai ragazzi. I margini per migliorare questi strumenti ci sono e cercheremo di sfruttarli». Durante il convegno “Interculturalmente”, tenuto ieri mattina al liceo scientifico “Torricelli”, sulla sezione bilingue è intervenuto anche il Direttore di Ripartizione Ivan Eccli. «A Brunico il progetto è già arrivato alle medie e può essere un esempio. Dal punto di vista legislativo sappiamo che la legge provinciale prevede un 20% di autonomia per le scuole nell’organizzazione della didattica, ma esiste il riferimento alle linee guida che permette di allargare ulteriormente la percentuale. Aspetto legislativo molto importante per la sezione bilingue». Attenzione al progetto, con un tocco di scetticismo, arriva anche dall’Intendenza tedesca guidata da Peter Höllrigl: «Non possediamo documentazione, dati o materiale a sufficienza per dare un giudizio definitivo. Seguiamo l’esperienza didattica con interesse e la consapevolezza che si tratta di una richiesta che parte in modo particolare dal gruppo linguistico italiano». Lo stesso che invia sistematicamente i propri bambini nelle scuole d’infanzia tedesche. «Un fenomeno - ammette l’intendente - che rimane sempre stabile, mentre aumentano gli stranieri di circa 300 unità ogni anno». Difficile, quindi, aspettarsi un’esperienza bilingue nel mondo tedesco anche se gli studenti in corteo non erano solo italiani. «Sono scettico - chiude Höllrigl - perché ritengo più opportuno rafforzare quanto già è attivo senza aprire nuovi fronti didattici».
Alto Adige 26-11-10
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categoria:cultura
giovedì, 25 novembre 2010



Università: si punta al modello americano di Medical School

ANTONELLA MATTIOLI
BOLZANO. «La nuova facoltà di Medicina non sarebbe in nessun caso una facoltà tradizionale. Il nostro modello è la Medical School. All’estero sono una realtà, per l’Italia invece sarebbe una cosa nuova». Il presidente della Provincia Luis Durnwalder sta lavorando al progetto di una Medical school dell’Euregio. Sa benissimo che non sarà facile centrare l’obiettivo, ma è anche convinto che “bisogna provarci”. Ed è quello che si sta facendo: «Stiamo già trattando con Roma: se fosse possibile, vorremmo partire già nell’autunno 2011-2012». I tempi sono troppo ravvicinati per essere realistici, ciononostante c’è la volontà di andare avanti spediti.
 IL BLOCCO. «Innanzitutto - spiega Florian Zerzer, capo dipartimento della sanità - bisogna trovare il modo per aggirare l’ostacolo rappresentato dallo stop, deciso dal governo per i prossimi tre anni, all’apertura di nuove facoltà di Medicina. Anche per questo si sta pensando ad una soluzione di tipo transfrontaliero che coinvolga Alto Adige, Tirolo, Trentino. Tutti sono interessati al nostro progetto».
 MANCANO MEDICI. La necessità di creare una Medical School è dettata dalle previsioni secondo cui, nei prossimi anni, l’Alto Adige avrà grosse difficoltà nel reperimento di medici. «Noi - spiega Durnwalder - abbiamo calcolato che avremmo bisogno di un’ottantina di posti all’anno per i nostri studenti che s’iscrivono a Medicina. In tutto, tra Italia, Austria, Germania, ne abbiamo 50-60». Il problema è sorto con l’introduzione negli atenei del numero chiuso. Non solo. C’è anche il problema che gli altoatesini che studiano Medicina all’estero spesso non rientrano in Alto Adige, perché preferiscono lavorare nelle cliniche universitarie.
 Scartata la formula classica della facoltà di Medicina, la Provincia pensa ad un modello nuovo per l’Italia ma non per l’estero dove vanta una lunga tradizione e ottimi risultati.
 MEDICAL SCHOOL. Le caratteristiche di questo modello sono: organizzazione snella, collaborazione tra strutture regionali esistenti, costi di funzionamento contenuti. Durnwalder e i suoi tecnici hanno calcolato una spesa di circa 7-8 milioni di euro. Si partirebbe con una cinquantina di posti per arrivare ad un massimo di 80-100. Il progetto verrebbe realizzato in collaborazione con la facoltà di medicina di Innsbruck e una italiana. «I contatti - ammette Zerzer - ci sono già, ma al momento preferiamo non fare nomi». Inoltre ci sarebbe una sinergia forte con gli ospedali sul territorio. I modelli cui si ispira la Provincia sono ambiziosi: si parla della Harvard Medical School di Boston, della Mayo Medical School di Chicago e della Pmu di Salisburgo. «Stiamo guardando con grande interesse al modello di Salisburgo: lì la Medical School dura cinque anni invece di sei, perché sono riusciti a ridurre i periodi di vacanza e conseguentemente i costi. In base alle statistiche il 90% degli studenti delle Medical school si laurea in corso».
Alto Adige 25-11-10
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categoria:cultura, salute
giovedì, 25 novembre 2010



RILANCIARE LA CONVIVENZA

FRANCESCO PALERMO
Davanti all’iniziativa della SüdTiroler Freiheit di organizzare un referendum sull’autodeterminazione - per quanto autogestito, informale e giuridicamente privo di ogni significato - ci sono due possibli strade. La prima è la via della denuncia e della contrapposizione (da parte della Svp) o del vittimismo (da parte italiana). La seconda quella di utilizzare l’occasione come straordinaria opportunità per il rilancio dell’autonomia. La pavidità della classe politica indurrà a seguire la prima alternativa. La Svp si trincererà dietro il suo solito atteggiamento ispirato al criterio «il Sudtirolo sono io», anzi, c’est moi, in salsa ancien régime, menando fendenti sempre meno efficaci contro chiunque non segua (o sia ritenuto non seguire) la linea. Esaspererà così la logica schmittiana amico-nemico (in questo caso interna al grupo linguistico tedesco) e ribadirà il messaggio che ripete da tempo: noi siamo garanzia di benessere, il resto è un salto nel buio. Così facendo, rafforzerà lo zoccolo duro di chi già sostiene le tesi dell’autodeterminazione e si alienerà probabilmente le simpatie di chi a queste posizioni è vicino ma non se l’è finora sentita di sposarle in pieno.
In una parola, farà un favore a Klotz e compagni, che accusano il partito di parlare bene (di autodeterminazione) e di razzolare male. Gli italiani oscilleranno tra le posizioni nazionaliste, in questo caso ben sostenute da ragioni giuridiche (un referendum così non vale nulla), fingendo di dimenticare che l’obiettivo è tutto politico, e posizioni del classico disagio (ingrati, con tutto quello che hanno avuto perché continuano a non volerci?). In altre parole, posizioni assolutamente inutili e anzi controproducenti. Se ci fosse il necessario coraggio, invece, questa iniziativa potrebbe fornire uno straordinario trampolino per il rilancio e la modernizzazione dell’autonomia. Per la sua «fase due». Perché obbliga l’autonomia a guardarsi allo specchio, e può consentirle di trovare in se stessa le ragioni per contrastare derive autodeterministe che trovano oggi poca accoglienza nell’Europa integrata, ma se opportunamente concimate e lasciate germogliare producono comunque frutti avvelenati.
 La carta vincente per salvare l’autonomia può essere solo l’uso appropriato delle armi che la stessa autonomia offre. Che non sono né l’abuso del principio maggioritario in nome di un presunto monopolio della verità, né la sindrome vittimista di Calimero. Sono piuttosto la convivenza, l’inclusione, il rafforzamento dell’autogoverno, e la condivisione degli obiettivi strategici di fondo.
Nel concreto, la Svp dovrebbe vincere le pulsioni identitarie e la tentazione di inseguire la Klotz sul suo terreno, rilanciandosi invece come partito dell’autonomia. Un’autonomia necessariamente a vocazione territoriale più che etnica, e come fine in sé, non come tappa intermedia sulla via di una autodetrminazione futura. Lasciando che chi segue il sogno dell’autodeterminazione persegua legittimamente la sua idea (quegli elettori non sono ormai più recuperabili, o almeno non con politiche simili a quelle della Klotz ma necessariamente meno radicali), e puntando sull’idea forte dell’autonomia. Mettere sul piatto l’offerta politica dell’autonomia, senza negarne i difetti, ma dimostrando con coraggio che è la strada migliore, ed anzi l’unica percorribile. Più dell’opportunismo blockfrei, occorrerebbe un coinvolgimento più attivo nella politica nazionale per mostrare a Roma che senza il suo aiuto, e con i continui attacchi al bilancio provinciale, il rischio di un processo dall’esito incerto verso l’autodeterminazione diventa sempre più concreto. In altre parole, basterebbe che la Svp utilizzasse in modo intelligente la Klotz come negli anni ’60 e ’70 ha usato gli estremisti: come fattore di consolidamento dell’autonomia senza alternative. O ascoltate noi, e smettete di provare a considerarci una provincia come un’altra, o qui c’è il rischio di alimentare quei movimenti. Per giocare meglio sul tavolo romano, la Svp ha però bisogno di un diverso rapporto con gli italiani in questa provincia, rapporto che deve uscire dall’ambiguità per entrare in una fase di coabitazione effettiva. L’autonomia del territorio, insomma, ha bisogno dell’alleanza strategica e non solo tattica di tutti i suoi attori.
 Quanto ai partiti italiani, dovrebbero collaborare fattivamente e strategicamente con la Svp. Per convinzione, no per poltrone. E imponendo alcuni paletti irrinunciabili. Non è un caso che l’iniziativa autodeterminista venga nel momento in cui è meno facile per i sudtirolesi di lingua tedesca sentirsi «italiani». Nel momento in cui quello italiano, per chi ambisce ad un passaporto austriaco, è un passaporto di serie B (e infatti il secondo punto del programma della SüdTiroler Freiheit riguarda la doppia cittadinanza). Non era così al momento del voto sul Pacchetto, quando l’Italia, con tutti i suoi difetti, era in pieno boom economico. Non era così nemmeno (ancora) al momento della chiusura del pacchetto, poche settimane prima dello scoppio di tangentopoli. Oggi è necessario mettere in relazione le richieste di autodeterminazione e il declino drammatico dell’Italia. Perché dietro ogni rivendicazione identitaria si cela una questione di prestigio. Le identità sono tanto più forti e assertive quanto maggiore è il loro (reale o percepito) prestigio sociale. È per questo che, corrispondentemente, è cresciuta l’identificazione italiana con l’autonomia: una volta era chic per i tedeschi parlare l’italiano, vestirsi alla moda e conoscere i vini toscani; oggi sono gli italiani a sentirsi «superiori» ai propri parenti a sud di Salorno per il fatto di parlare tedesco e di fare i Törggelen.
 Anche in Catalogna - cui l’iniziativa «referendaria» si ispira - il processo è iniziato quando la Spagna si è fermata a seguito della grave crisi economica. E anche in Catalogna sanno benissimo che il futuro dell’autonomia dipende dal futuro prestigio della Spagna come Paese (multinazionale).
 Questa iniziativa ci offre l’occasione di guardarci allo specchio, come gruppi e come cittadini di questa terra. E di prendere in mano i nostri destini e quelli dell’autonomia in cui la stragrande maggioranza della popolazione (di tutti i gruppi linguistici) si riconosce. Oppure sarà una piccola goccia di veleno nella delicata miscela della convivenza. Sta a noi decidere cosa vogliamo farne.
Alto Adige 25-11-10
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categoria:cultura
martedì, 23 novembre 2010



La Provincia frena una crescita multilingue

Sono estremamente sorpreso dalla risposta del Presidente della provincia alla proposta del FLI di una scuola multilingue per il futuro dei nostri ragazzi. Ma mi fa piacere pensare che se lo stesso Presidente è rimasto con la sua politica sociale al 1948, riferendosi al rispetto dell’Art. 19 dello Statuto, voglia rispettare lo stesso statuto per quanto riguarda la toponomastica e, quindi, ritornare sugli accordi presi col PDL, tramite l’On. Fitto, e rinnegare gli stessi adottando perciò i nomi in italiano, come previsto dallo statuto, con l’aggiunta della nomenclatura tedesca, solo nei casi previsti dagli accordi dell’epoca. Certo che oggi, nel 2010, fare affermazioni sui quotidiani di questo genere, mi fa pensare che il presidente non abbia compreso l’evoluzione sociale degli ultimi settant’anni, o che tenda a mantenere ferma la cultura locale al dopo guerra. Sono altresì esterrefatto dal pensiero che i nostri figli debbano ancora confrontarsi con questa mentalità, invece di crescere e sviluppare tutti quei vantaggi che questa Provincia, malgrado alcune persone, può dare. Dobbiamo pensare a percorsi scolastici che diano degli atout prevalenti ai nostri ragazzi, visto che abbiamo la fortuna di avere questa possibilità senza oneri eccessivi.
E che a Enrico Hell venga contestato di muoversi in questo senso dall’alto del suo ruolo, e che si appoggi a un programma e a un gruppo che per scelta da sempre si muova nella richiesta di una formazione per il plurilinguismo ed una conoscenza della seconda lingua che permettano di essere competitivi sul mercato del lavoro, è assolutamente ottuso. La difficoltà oggi di trovare un percorso scolastico multilingue nella nostra Provincia è solo negligenza della direzione territoriale e, non ha senso non pensare almeno a un sezione scolastica continua con queste caratteristiche, in ogni scuola di qualsivoglia madrelingua sia, che culturalmente va comunque rispettata e integrata. Certo, probabilmente per mire elettorali, è meglio continuare a parlare di come scrivere i cartelli, che pensare a come non far perdere il treno all’ Alto adige (e ai nostri giovani) della crescita economica, sociale e politica.
A. R. Colciago
Alto Adige 23-11-10
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categoria:cultura, provincia di bolzano

lunedì, 22 novembre 2010



Capitale della cultura: opportunità da non lasciarsi sfuggire

BOLZANO. Nonostante le resistenze interne anche al suo partito, il presidente della Provincia Luis Durnwalder non ha alcuna intenzione di rinunciare alla candidatura di Bolzano come capitale della cultura del 2019. Proprio oggi la giunta provinciale dovrebbe autorizzare il “Landeshauptmann” a firmare il protocollo d’intesa tra tutti gli enti territoriali interessati (coinvolto l’intero Nord-Est, e quindi anche Trentino, Veneto e Friuli-Venezia-Giulia). Durnwalder non ha dubbi: «Si tratta di un’occasione da non perdere».
 Prima la prudenza dell’assessore alla cultura Sabina Kasslatter-Mur, poi la spaccatura del partito in commissione legislativa, infine i dubbi dell’Obmann Richard Theiner. In casa Svp la candidatura di Bolzano (assieme al resto del Nord-Est) a capitale della cultura per il 2019 non suscita grandi entusiasmi. Oggi se ne tornerà ad occupare la giunta provinciale e il presidente Luis Durnwalder si schiera apertamente.
 Presidente, appoggerà la candidatura di Bolzano a capitale della cultura?
 
«Assolutamente sì. Sono favorevole a questo progetto».
 Perché?
 
«Innanzitutto perché credo che sia un’occasione enorme per la promozione della nostra terra. Ogni anno spendiamo milioni di euro per fare pubblicità all’Alto Adige, ora abbiamo un’occasione per presentarci a tutto il mondo pagando meno di quanto investiamo per altri eventi».
 Eppure proprio nel suo partito, l’Svp, non mancano i contrari: come pensa di convincerli?
 
«Un’opportunità di questo tipo è unica. Lo è per presentare la nostra specificità, il nostro esempio di convivenza e di rispetto della minoranza, ma anche la nostra cultura a partire da eventi culturali come il Bolzano Festival con la Gustav Mahler Jugendorchester o Bolzano Danza, da gioielli architettonici e storici come il Duomo di Bolzano o di Bressanone e da musei come quello di Ötzi piuttosto che i giardini botanici di Castel Trauttmansdorff a Merano».
 C’è chi dice che Bolzano sarà l’ultima ruota del carro e sarà sacrificata rispetto a Venezia...
 
«Ormai la candidatura a capitale della cultura avviene in gruppo, come territorio, e non più come singola città. È una tendenza che dobbiamo rispettare anche noi, in futuro avverrà sempre così».
 Il 2019 è il centenario della divisione del Tirolo storico: il vostro capogruppo Pichler Rolle dice che è un anno delicato per una simile manifestazione...
 
«Non vedo il problema. Se ragioniamo così, allora possiamo trovare qualcosa ogni anno. Al contrario, io credo che si possa sfruttare l’occasione per presentare la nostra storia, ma soprattutto il modo in cui siamo riusciti a superare questa divisione diventando un modello per le altre minoranze etniche».
Alto Adige 22-11-10
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categoria:cultura
lunedì, 22 novembre 2010



" Ingegneria è la facoltà che ci serve "

BOLZANO. Se dal mondo della sanità è unanime il via libera alla facoltà di medicina per rispondere ad una carenza di dottori che nei prossimi anni rischia di diventare sempre più acuta, il mondo economico saluta con altrettanto entusiasmo l’annuncio della nascita della facoltà di ingegneria.
 «È sicuramente la facoltà che ci vuole in Alto Adige», afferma Marco Carlini, presidente dell’Useb, l’associazione degli imprenditori di lingua italiana che proprio sotto la guida di Carlini ha messo il rapporto tra economia e mondo della formazione ai primissimi punti del programma. Prosegue Carlini: «Nelle nostre imprese la richiesta di ingegneri è molto elevata. Da una parte c’è bisogno di ingegneri informatici, e per questo tipo di profilo professionale c’è la facoltà di informatica, dall’altra ha ragione il vicepresidente della Lub Borgo a premere per ingegneria meccanica, una specializzazione che farebbe comodo non solo alla “sua” Iveco ma anche a molte altre realtà del nostro territorio». Da Carlini arriva un accorato appello a giovani, genitori e insegnanti: «La facoltà da sola non basta, c’è bisogno anche di studenti che si iscrivono. Noi rappresentanti economici dobbiamo essere bravi a far capire che chi punta su questo tipo di formazione tecnica ottenendo non solo la laurea in ingegneria, ma anche “solo” il titolo di perito industriale, ha grandissime possibilità di entrare subito nel mondo di lavoro. I genitori, e questo è un problema che colpisce soprattutto il gruppo linguistico italiano, devono capire che il posto pubblico non è l’unico sbocco professionale per un giovane, ma che c’è anche l’industria che offre degli impieghi interessanti. In questo senso mi auguro che anche gli insegnanti si avvicinino di più al mondo dell’economia, che facciano capire ai giovani che anche il settore privato dà possibilità di crescita e di impiego».
 Sulla stessa linea anche Enrico Valentinelli, past president di Assoimprenditori e vicepresidente della cassa di Risparmio: «La facoltà di ingegneria è fondamentale, ma sarà importante migliorare l’immagine degli istituti tecnici e dell’industria. Solo così potremo avvicinare maggiormente i nostri giovani a questo tipo di formazione, che alle imprese garantisce giovani qualificati e adatti ai profili professionali che servono in questo momento, e al contempo assicurano ai giovani opportunità di trovare subito lavoro». (mi.m.)
Alto Adige 22-11-10
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categoria:cultura
domenica, 21 novembre 2010



«Due nuove facoltà»

ALAN CONTI
BOLZANO. «C’è un gruppo di lavoro che studia da tempo modalità e idee per rendere sostenibile il progetto di una facoltà di Medicina dell’Euregio». Walter Lorenz, rettore della Libera Università di Bolzano, parla dei nuovi ambiziosi progetti della Lub.
 L’attenzione del rettore è indirizzata innanzitutto alla cura di quanto viene già offerto dalla Libera università di Bolzano, ma anche a nuovi percorsi che però, per essere economicamente sostenibili, devono per forza coinvolgere l’intero Euregio.
 La voce è pacata, l’atteggiamento come al solito tranquillo e conciliante, ma il messaggio di Lorenz è chiaro: «Seguo con interesse il dibattito avviato dal vostro giornale sull’Università - sottolinea il rettore -, ma prima di ogni novità devo pensare a difendere i corsi che abbiamo in essere. Ovviamente tutto questo vale anche per i progetti relativi alla facoltà di Medicina e Ingegneria».
 Il mondo economico e quello sanitario, però, spingono decisamente per l’attivazione di due percorsi di studio che potrebbero portare nuova linfa al mercato del lavoro altoatesino. L’Università è disposta a seguirne l’onda d’entusiasmo?
 
«Certo, ma a condizioni ben precise e mi riferisco in particolare a Medicina. Per realizzare un corso economicamente importante non si può pensare di basarsi unicamente sulle forze dell’ateneo provinciale».
 Spazio, quindi, alle collaborazioni con Innsbruck e Trento.
 
«Logico. È l’unica strada per attivare la facoltà. Esiste, però, un gruppo di lavoro che studia da tempo modalità e idee per rendere sostenibile quest’idea. Non basta la necessità di formare medici all’interno dei nostri confini, ma è necessario fornire delle basi solide su cui intervenire. In quest’ottica la collaborazione con l’Euregio non è solo una bella possibilità di arricchimento culturale, ma anche e soprattutto presupposto imprescindibile. La politica, comunque, ci darà le risposte che cerchiamo. Non è però questa il mia prima preoccupazione».
 Quale, allora, la priorità?
 
«La difesa dei corsi già attivi. Bene, in questo senso, il discorso fatto dal presidente Bergmeister. Un ateneo giovane non può pensare di lasciare in secondo piano la valorizzazione delle facoltà che possiede, altrimenti perdiamo di vista l’obiettivo di fortificarci nel tempo. La valutazione dell’interesse su ogni singolo corso va proprio nella direzione di un miglioramento globale della nostra offerta».
 Si punta molto sul trilinguismo e le effettive competenze linguistiche...
 
«Qui va fatto un distinguo importante che implica anche un salto culturale. Dobbiamo tutti cominciare a pensare il trilinguismo della Lub come la vera e propria forza didattica dell’ateneo bolzanino e non solo come una conseguenza di trovarci all’interno di un territorio plurilingue. Sostanzialmente si tratta di un ribaltamento gerarchico delle due considerazioni, portando al centro quelle che sono competenze decisive nel mondo del lavoro di oggi: in questo modo la particolarità della nostra terra diventerebbe un surplus e non certo la causa di questo orientamento didattico. Non sono piccolezze e la maggiore preparazione va certamente in questa direzione. Teniamo presente, inoltre, che le riforme nazionali puntano su un sistema che, secondo parametri, classifichi in modo preciso le varie potenzialità degli atenei: contare su un livello linguistico eccellente permetterebbe alla Lub di guadagnare senz’altro un maggiore prestigio nel panorama accademico italiano».
 Si parla, infine, di introdurre l’etica in ogni corso, ma è veramente una mancanza?
 
«Da uomo che arriva dalle scienze sociali non posso di certo dichiararmi contrario a una maggiore attenzione posta all’etica. Ciò non toglie, comunque, che il tema sia già molto presente nei diversi corsi, anche perché l’etica riguarda moltissimi ambiti. Lo stesso metodo scientifico, con la ricerca della verità, può essere considerato un atteggiamento etico. Studieremo attentamente la situazione».


ANTONELLA MATTIOLI
BOLZANO. «Dal punto di vista finanziario il progetto è sostenibile. Se non ci saranno intoppi di carattere giuridico, vorremmo partire con il nuovo corso di laurea in ingegneria meccanica con l’anno accademico 2011-2012». Pietro Borgo, vicepresidente dell’Università, assieme al presidente Konrad Bergmeister, vuole fortemente questo nuovo corso. Entrambi ingegneri hanno il vantaggio di essere profondamente inseriti nel mondo del lavoro: Borgo è general manager dello stabilimento Iveco di Bolzano; Bergmeister, una cattedra all’ateneo di Vienna, spazia dalle infrastrutture (è amministratore delegato della Bbt per la parte austriaca) all’energia (il suo studio di Bressanone opera anche in questo settore). Per esperienza sul campo dunque sanno cosa cercano le aziende in Alto Adige e non solo qui. Ma sanno anche a cosa aspirano i giovani: un lavoro che dia loro soddisfazioni professionali ed economiche.
 Obiettivo che, secondo i vertici della Lub, si raggiunge aumentando la qualità dell’insegnamento in genere e la conoscenza delle tre lingue, oltre che offrendo corsi di laurea che diano reali possibilità occupazionali. Partendo da questi presupposti e da uno studio fatto da Assoimprenditori tra gli associati è emerso che c’è una forte domanda di ingegneri oltre che di tecnici di alto livello. In entrambi i casi ci sono grosse difficoltà nel reperimento.
 INGEGNERIA MECCANICA. Ma come sarà il nuovo corso di laurea?
 «All’interno della facoltà di Scienze e tecnologie esiste già un corso in ingegneria logistica e produzione. Si tratta però di una cosa molto specifica che dura tre anni ed è molto professionalizzante, nel senso che chi esce di là è già pronto per entrare nel mondo del lavoro, dove si occuperà di logistica, produzione, approvvigionamento di materiali. Però si tratta di una formazione particolare. Basti dire che all’Iveco su 80 ingegneri, solo 1-2 hanno questo tipo di formazione». L’obiettivo è ora la creazione di Ingegneria meccanica che conservi l’attuale corso triennale di logistica e produzione, aggiungendo un corso di laurea di meccanica propedeutica. «Che oggi non esiste né a Trento né ad Innsbruck, perché lì hanno altri indirizzi e con loro ci saranno delle collaborazioni. Il nostro progetto è dare agli studenti una forte preparazione di base per quanto riguarda materie come fisica, matematica, meccanica. A differenza del corso di logistica e produzione che è molto professionalizzante, questo invece, pur prevedendo la laurea alla fine del triennio, richiederebbe una prosecuzione e il conseguimento della laurea magistrale in meccanica industriale o in qualsiasi altro indirizzo».
 INNOVAZIONE. Borgo non ha dubbi: «Questo è il momento giusto per aprire il nuovo corso di laurea in ingegneria meccanica». Le aziende ne hanno bisogno: «Dagli anni ’70 al 2000 Iveco assumeva 15 ingegneri ogni decennio e il 70% veniva reclutato sul territorio. Tra il 2000 e il 2010 ne abbiamo assunti 65, ma solo 15 altoatesini». Quest’anno al corso di laurea in logistica e produzione gli iscritti sono raddoppiati passando da 20 a 40. «Forse parlare di queste cose e cercare di orientare i ragazzi serve a creare una sensibilità su questi temi». Ma c’è dell’altro. A rendere urgente la creazione di un corso di laurea in ingegneria meccanica c’è anche la volontà della Provincia di scommettere su innovazione e ricerca.
 «Ciò significa - insiste Borgo - che noi come Università dobbiamo creare i presupposti, per avere domani dei professionisti da impiegare in settori indispensabili per la crescita delle aziende».
Alto Adige 21-11-10

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categoria:cultura
domenica, 21 novembre 2010

Capitale della cultura. Theiner: «Coinvolgere anche il Tirolo»



MARCO RIZZA
Un contrario (Martha Stocker), un’astensione (Elmar Pichler Rolle), due favorevoli (Julia Unterberger e Sepp Lamprecht). La candidatura a Capitale europea della cultura nel 2019 non convince la Svp e l’Obmann Richard Theiner deve correre ai ripari: «Chiederemo di coinvolgere anche il Tirolo». Il tutto a pochi giorni dalla firma del Protocollo d’intesa, il primo dicembre.
 Il voto riguardava i 600 mila euro da inserire nel bilancio provinciale come primo finanziamento della candidatura dell’Alto Adige insieme al Nord-Est a Capitale europea della cultura: e la Svp è arrivata tutt’altro che compatta, nonostante lo stanziamento fosse stato approvato all’unanimità in giunta. Ora il dibattitp si sposterà nell’aula del consiglio provinciale - in commissione il finanziamento è stato approvato grazie ai voti di Urzì e Artioli, e nonostante l’astensione del verde Heiss -, ma quello emerso dalla commissione è un segnale forte del malessere dell’ala destra Svp. Non a caso l’assessora (Arbeitnehmer) Sabina Kasslatter Mur aveva lanciato l’allarme per tempo: «Voglio la garanzia che la cultura tedesca non sarà presentata come appendice di quell’italiana».
 Anche perché, come ha ricordato la Kasslatter e ribadito da Elmar Pichler Rolle, il 2019 sarà il centenario dell’annessione dell’Alto Adige all’Italia. Data delicata per una manifestazione culturale di marchio italiano. E quindi Richard Theiner lancia la sua idea: «Nessun problema rispetto al fatto che le regioni del Nord-Est si siano messe insieme per partecipare a questa candidatura - dice - ma da parte nostra vorremmo che si inserisse nel progetto anche il Tirolo. In questo modo si darebbe un quadro più vero della nostra cultura e della nostra identità. Tra l’altro nel partito non si è mai parlato ufficialmente di questa candidatura, se non in piccoli gruppi di lavoro, quindi quando affronteremo collegialmente il tema chiederemo di coinvolgere anche il Tirolo».
 Una ipotesi, questa, che da qualche tempo circola nei corridoi della politica come possibile compromesso. Fattibile? L’assessore alla cultura italiana, Christian Tommasini, tiene la porta aperta: «Formalmente la candidatura riguarda l’Italia, quindi non potrà esserci una adesione istituzionale - risponde -, ma dal punto di vista culturale continuo a ripetere che il valore aggiunto che come Alto Adige porteremo in questo progetto è proprio il nostro essere ponte con la Mitteleuropa. Quindi è chiaro che il coinvolgimento culturale del Tirolo ci sarà. Noi dobbiamo spingere sul concetto di integrazione europea e quale migliore messaggio di questo? Il nostro messaggio deve essere proprio questo: a 100 anni dall’annessione dell’Alto Adige siamo in grado di rivendicare un’identità europea che scavalca le frontiere ormai cadute». Ieri intanto il consiglio provinciale di Trento ha approvato l’articolo della Finanziaria che dà il via libera alla partecipazione trentina al progetto.
Alto Adige 20-11-10
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domenica, 21 novembre 2010



L’UNIVERSITA’ E IL SUO SOGNO

MAURO FATTOR
Ci sono alcuni passaggi del discorso pronunciato giovedì da Konrad Bergmeister in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico della Lub, su cui vale la pena fare alcune riflessioni. L’amministratore delegato, citando Popper e Platone, ha avanzato la proposta di introdurre l’etica come materia obbligatoria per tutti i corsi di studio. Una proposta stimolante, anche un po’ curiosa. E con qualche problema di fondo. Domanda numero uno: Etica o etica?”E” maiuscola” o “e” minuscola? Tra le due corre la stessa distanza che separa la verità come rivelazione dalla verità come ricerca, la fede dalla ragione. Non proprio una questione da niente Domanda numero due: posto che sia possibile circoscrivere un campo proprio dell’etica, di quale etica sta parlando Bergmeister? Cosa significa nelle intenzioni dell’amministratore delegato della Lub “introdurre l’etica” dentro i corsi universitari? Se le citazioni di Popper e Platone sono a ragion veduta, il rischio è quello di una trasformazione genetica della libera, - così si chiama - università di Bolzano. Spieghiamo perché. Popper non è un platonico, dunque tra i due non c’è continuità.
Perché allora citarli insieme? L’epistemologo austro-inglese è il filosofo della scienza intesa come processo dinamico, cioè come struttura perennemente rivedibile, modificabile, falsificabile. Il limite della sua analisi è quello di utilizzare strumenti di indubbia validità, prevalentemente di ordine logico-formale, che lasciano però molta parte del processo scientifico - per quanto concerne genesi e finalità del processo stesso - non tematizzata e non ulteriormente indagata. Insomma ci sono un bel po’ di zone d’ombra e quando Popper parla di “metafisica” pensa ad una cosa diversa dalla metafisica di Platone e la sua indagine resta metodologica anche quando entra con maggiore risolutezza nel campo della riflessione filosofica. L’etica di Popper attiene al metodo scientifico, non entra nel campo di quelli che vengono comunemente definiti”valori”. Ed è qui che entra in gioco Platone. Il mondo delle Idee o delle Forme pure è un mondo di realtà superiori ed è per molti versi un mondo religioso. Platone è il filosofo della verità e del bene comune, e non a caso il pensiero cristiano, da Agostino in poi, ha pescato a piene mani nel platonismo. Forse dunque, non è un caso che Bergmeister abbia espresso l’intenzione di intensificare la collaborazione tra la Facoltà di Teologia del seminario di Bressanone e la Facoltà di Scienze della Formazione. Mettere insieme Popper e Platone significa questo: un’università laica e aperta in senso popperiano per quanto concerne il metodo scientifico, e un’università platonica, nella declinazione confessionale offerta dal Seminario brissinese per quanto concerne gli aspetti etici - pardon Etici - della riflessione sui fini, sui valori e sui perché. Ancora più semplice: la scienza è laica ed è un territorio extramorale, i valori sono religiosi e vengono offerti e dibattuti agli studenti in regime di monopolio. Che c’è di male in tutto ciò? Assolutamente nulla. Basta dirlo ed essere chiari. Basta essere coerenti e sostituire la dicitura Libera Università di Bolzano con quella di Università Cattolica di Bolzano, per il resto va tutto benissimo. Se non che qualcuno potrebbe avere qualcosa da obiettare essendo totalmente finanziata dall’ente pubblico. Ma per ora non accade. La seconda cosa veramente importante che ha detto Bergmeister riguarda l’inasprimento dei criteri di iscrizione alla Lub per quanto concerne la conoscenza delle tre lingue: italiano, tedesco ed inglese. Più qualità e meno quantità, ha detto. Senza nulla togliere al carattere internazionale della Lub, sarebbe auspicabile che l’università di Bolzano adottando con sempre maggiore convinzione la strada del multilinguismo, fosse in sintonia con il resto del sistema scolastico e didattico provinciale. Così non è. Quella che è andata in porto pochi giorni fa è infatti un riorganizzazione-razionalizzazione del comparto senza vere riforme in termini di didattica. La libertà di organizzare le proprie risorse e i propri programmi in piena libertà tendendo all’obiettivo di un effettivo multilinguismo, sono un obiettivo ancora lontano. Perché fuori c’è un mondo che non spinge in quella direzione, verso il riconoscimento di quell’obiettivo come di un valore condiviso che travalica la semplice acquisizione di competenze linguistiche multiple e che riguarda invece la riorganizzazione intera della società sudtirolese su basi nuove. Restano una diffidenza e una paura di fondo, totalmente ideologiche, che impediscono al sistema di cambiare. Ancora nel 2007 l’onorevole Zeller della Volkspartei dichiarava candidamente che rendendo troppo appetibile la scuola italiana dal punto di vista didattico, c’era il rischio che i genitori di lingua tedesca iscrivessero poi lì i loro figli. Che tradotto significa: meglio un sistema scolastico mediocre ma con confini ben precisi tra italiani e tedeschi, che uno di eccellenza, magari trilingue, dove le identità collettive tendano invece a sfumare, da una parte e dall’altra. Opinione legittima, si intende, anche se le richieste che arrivano dal mondo della scuola e dagli studenti in primo luogo, sono di tenore sensibilmente diverso. Nel settembre 2009, nell’ambito del sesto convegno mondiale sul plurilinguismo organizzato proprio dalla Lub, l’olandese Durk Gorter, uno dei massimi esperti mondiali in materia, spiegava come il passaggio da un approccio monolingue a uno bilingue e poi ancora a uno plurilingue presupponesse un cambiamento del modo di pensare, delle abitudini culturali e in definitiva del modello di società. Un salto che le nuove complessità della dimensione europea in cui l’Alto Adige si trova ad operare e le sfide del mondo del lavoro imporrebbero di fare, ma che non si fa. Autocondannandosi consapevolmente alla marginalità. Eppure si potrebbe. Gorter raccontava come nei Paesi Baschi, che pure non solo il paese di Alice e che quanto a conflittualità etnica non hanno niente da imparare da nessuno, il sistema scolastico fosse aperto, con scuole solo in lingua basca, scuole in lingua basca e castigliana, scuole solo in lingua castigliana. Un sistema meno rigido di quello altoatesino che stava e sta gradualmente trasformando la società. Un sistema in cui ognuno può decidere quale quota di identità collettiva abbracciare e quando invece andare ad esplorare territori nuovi. Un sogno.
Alto Adige 20-11-10
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venerdì, 19 novembre 2010



Musei di Bolzano: il 26 aperti anche di notte

Dalle 16 fino all’una di notte per visitare gratis 7 tra musei e castelli del capoluogo. È la lunga notte dei musei di Bolzano, che si terrà il 26 novembre. Tra le novità: musica dalle 23 fino al mattino al Museion.
 All’iniziativa parteciperanno il Museo Archeologico, Museo Civico, Museo della Scuola, Museo di Scienze Naturali, Museo Mercantile, Museion e Castel Roncolo. Insomma, di tutto per tutti. Giunta alla nona edizione, l’iniziativa punta quest’anno a bissare e magari andare anche oltre il grande successo dell’anno scorso che ha visto ben 10.000 partecipanti. Proprio per la grande affluenza registrata nel 2009, quest’anno l’apertura è stata anticipata di un’ora. Saranno numerose le iniziative speciali organizzate per i più piccoli e per le famiglie, che nella scorsa edizione hanno partecipato con entusiasmo. Sarà una giornata speciale durante la quale un’atmosfera magica e insolita farà da cornice alle numerose proposte. Dai suoni della preistoria del Museo Archeologico alle avventure bolzanine di Casanova al Museo Mercantile, dalle lettura di quaderni e testi di una volta al Museo della Scuola alle performance artistiche del Museion... Previsti bus navetta gratuti. E per concludere la serata, dalle ore 23 presso il Museion verrà ospitato un evento dal nome After.Night.Clubbing con musica e bar: fino al mattino si alterneranno alla consolle i Broken Reform e dj Andrea Toro che saranno immersi negli scenari luminosi ideati dal Hack This Sound. Il programma dettagliato della serata si può trovare al sito www.lunganotte.it. (m.c.)
Alto Adige 19-11-10
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categoria:cultura
giovedì, 18 novembre 2010



Si farà la facoltà di Medicina

 BOLZANO. «Sì è vero in Alto Adige mancano medici e nei prossimi anni la situazione si farà pesante». Il presidente Luis Durnwalder si è messo al lavoro per affrontare quella che rischia di diventare una vera emergenza, annuncia novità a breve: «Una commissione ad hoc sta lavorando alla creazione di una facoltà di Medicina dell’Euregio che interesserà da vicino anche l’Alto Adige. Al momento non dico di più ma credo che potrò fornire dei particolari importanti già la prossima settimana».
 La questione è venuta fuori a margine della cerimonia che si è svolta lunedì ad Innsbruck e che ha visto il presidente insignito del titolo di senatore accademico onorario. Durnwalder conferma di averne parlato nel dettaglio.
 Alcune settimane fa era stato lo stesso assessore alla sanità Theiner a parlare dell’esistenza di un progetto che riguarda la facoltà di Medicina in fase di approfondimento dopo che dal Tirolo è arrivata la proposta di mettere a punto una sinergia per combattere la penuria di personale medico. A lanciare l’idea è stato l’assessore alla ricerca del Land Tirolo Bernhard Tilg: «I posti disponibili nella facoltà di Medicina di Innsbruck sono limitati, solo 20 altoatesini quest’anno hanno potuto accedervi e creare una nuova offerta sarebbe utile anche per Bolzano». Da Bolzano Theiner aveva risposto interessato ma con molta prudenza: «È uno dei possibili campi di collaborazione tra l’Alto Adige e il Tirolo che valuteremo se attuare o meno». Ieri il presidente Durnwalder è stato però più chiaro e più ottimista: «È stata messa in piedi una commissione che sta lavorando alla creazione di una facoltà di Medicina dell’Euregio che interesserà da vicino anche l’Alto Adige. Credo che potrò fornire dei particolari importanti già la prossima settimana».
 Una questione, quella della carenza dei medici, che preoccupa - non poco - gli addetti ai lavori. L’allarme l’ha lanciato alcuni mesi fa il presidente dell’Ordine dei medici Michele Comberlato: «Non ci rendiamo nemmeno conto che cosa succederà nel giro dei prossimi anni quando ci verranno a mancare medici. Dobbiamo trovare una soluzione in tempi stretti per non trovarci in serissima difficoltà». Sulla carenza di medici interviene anche il primario di Cardiologia - Walter Pitscheider - che dal primo dicembre diventa nuovo coordinatore sanitario del Comprensorio di Bolzano e che in un’intervista comparsa sulla “Tageszeitung” ha fatto sapere come «il problema sia reale e l’ospedale rischia di trovarsi fra pochi anni in serissima difficoltà». Questione ben presente al presidente dei primari dell’Anpo, il primario di Pneumologia, Giulio Donazzan: «Lo scenario cambia ed in corsia iniziano a mancare i medici. Il problema rischia di diventare veramente serio». Il primario offre anche una stima: «In dieci anni il 30% dei medici uscirà dal sistema sanitario pubblico dell’Alto Adige. Andranno in pensione e non so quanti potranno sostituirli». C’è una causa precisa: «Il numero chiuso. In Italia è stato istituito da molti anni, in Austria di recente. Nato per evitare la saturazione del settore, adesso è diventato un incubo in mezza Europa. In Alto Adige poi la nostra sanità inizia a non essere più così differenziata da essere attraente per l’arrivo di medici da fuori». Il presidente Anpo aggiunge un ulteriore elemento: «Le specialità sono sempre state a numero chiuso, ma la loro organizzazione è cambiata e ora è ancora più difficile che gli specializzandi lavorino nei reparti. Se devo dire, credo che l’emergenza ancora più seria riguardi gli specialisti. Nel triveneto Pneumologia è presente nelle facoltà di Padova, Verona, Udine e Trieste. Ma la specializzazione in malattie dell’apparato respiratorio è presente solo a Padova con tre posti all’anno».
Alto Adige 18-11-10
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mercoledì, 17 novembre 2010



«Capitale europea La cultura tedesca sarà essenziale» 

MARCO RIZZA
La partecipazione dell’Alto Adige alla candidatura del Nord-Est a Capitale europea della cultura nel 2019 «ha senso solo se serve a valorizzare il nostro territorio come terra-ponte tra più culture e più lingue. La valorizzazione anche della cultura tedesca non è un auspicio: è un dovere, uno dei punti cardine del nostro progetto». Così Christian Tommasini, assessore provinciale alla cultura italiana e principale «motore» della partecipazione dell’Alto Adige al progetto di Capitale europea, risponde alle perplessità sollevate dalla collega Sabina Kasslatter Mur, che ha paventato il pericolo che in questa candidatura «la nostra cultura tedesca venga presentata solo come una periferia di quella italiana». Tommasini giudica «assolutamente condivisibili» le richieste della Kasslatter Mur, e rilancia: «L’Alto Adige gioca in questa partita le sue caratteristiche di multiculturalismo e plurilinguismo nel cuore dell’Europa. È il suo punto di forza. Come altoatesini siamo davanti a una scelta: in Europa vogliamo essere una “piccola Patria” etnicamente chiusa o una terra aperta? Su questa chiave ci giochiamo il progetto. E tutti devono avere la piena consapevolezza che sarà determinante coinvolgere tutti i gruppi linguistici». Anche perché, prosegue, «il primo dicembre si firmerà il Protocollo e solo allora si aprirà la sfida sui contenuti. Stiamo pensando a un modello virtuoso: ogni regione farà parte di una rete nella quale emergerà chi ha più idee, più iniziative, più proposte. Chi sarà protagonista non lo deciderà qualcuno dall’alto: sta tutto nelle nostre mani. E già adesso nel Nord-Est siamo visti come un territorio con una fortissima offerta culturale, per altro moltiplicata per tre lingue, e quindi uno di quelli che “tirerà” di più».
 Insomma: «Quando dico che la cultura tedesca sarà assolutamente coinvolta nella sua specificità non esprimo un auspicio ma il senso stesso della nostra partecipazione. In questo progetto entrerà tutto: la cultura italiana e quella tedesca, la rete museale e l’università, la musica classica e quella popolare, il teatro e i castelli e anche il polo bibliotecario plurilingue... Deve maturare in tutti (politica, economia, società) la consapevolezza di quanto questa iniziativa sia strategica per il nostro sviluppo in chiave europea. Anche perché ormai è assodato che la cultura è un motore economico fortissimo».
 Anche Filiberto Zovico, una delle «anime» del progetto complessivo per conto di Nordesteuropa.it, tranquillizza l’assessora Kasslatter Mur: «La presenza dell’Alto Adige - dice - è fondamentale proprio per la ricchezza culturale che porta. È una porta verso la “vecchia Europa” e questa sarà una delle nostre carte vincenti come, in misura minore, la presenza di Gorizia e Trieste come porte per la “nuova Europa”. L’assessora ha detto delle cose giuste alle quali rispondo che l’Alto Adige entra in questo progetto non tanto per la sua “cultura italiana” quanto per la sua “cultura europea”, che comprende italiani e tedeschi. E infatti ci chiameremo “Capitale europea della cultura”, non “italiana”. Devo dire inoltre che mi sento in forte sintonia con quanto affermato sulla Capitale dal vescovo Golser». Nessun rischio di essere fagocitati da Venezia, anzi: «Accadrà il contrario: il turista americano o cinese in visita a Venezia scoprirà che a breve distanza c’è un posto dove si parlano tre lingue e vorrà andare a visitarlo. Questi timori sono diffusi in molte città di questo progetto ma il nostro non è un progetto che massifica. Il segreto della candidatura è comprendere le ragioni di tutti».

   La sfida
Molte altre città candidate

 Sono molte - «spuntano come funghi», riassume Filiberto Zovico - le candidature a Capitale europea della cultura per il 2019, anno in cui sarà l’Italia a ospitare l’iniziativa. «Ma tra tutte quelle emerse finora - dice Zovico - non ce n’è una che possa paragonarsi a noi come peso, ampiezza del progetto, ricchezza della proposta. C’è Palermo, c’è Ravenna che sta coinvolgendo le città della costiera romagnola, ci sono altre città: nulla di paragonabile al nostro progetto di candidatura di Veneto, Friuli Venezia Giulia, Alto Adige e Trentino». Per presentare la candidatura c’è tempo tutto il 2012 (si deciderà nel 2013) «ma è chiaro che i programmi bisogna farli subito. Noi siamo già quasi in ritardo».
Alto Adige 17-11-10
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lunedì, 15 novembre 2010



Biblioteca on-line  ma niente italiano

BOLZANO. La biblioteca provinciale Tessmann ha lanciato il nuovo servizio di digitalizzazione dei documenti e prestito on-line “Biblio 24”. Un’iniziativa salutata con entusiasmo e l’orgoglio dei pionieri: un’offerta simile, infatti, rappresenta una novità per l’Italia ma, purtroppo, non per l’italiano. Nel catalogo disponibile, infatti, non v’è traccia di documenti nella lingua di Dante, con buona pace degli studenti di lingua italiana. A farsi portavoce dello scontento studentesco è Sara D’Elia che racconta la sua esperienza. «Mi sono recata alla Tessmann - spiega - perché ho provato attraverso il sito a cercare qualche rivista italiana, ma non riuscita a trovare nulla. Ero sorpresa, ma dagli uffici della biblioteca mi hanno confermato che non esiste alcun tipo di disponibilità nella nostra lingua». Ovviamente la mancanza riguarda solo l’apparato elettronico perché, paradossalmente, nel catalogo cartaceo i documenti in italiano esistono eccome. «Certo, si possono trovare diversi testi - continua D’Elia - e questo rende ancora più fastidiosa quella che non esito a definire una discriminazione in un terra plurilingue come la nostra». In sede di presentazione, però, non era stato fatto alcun cenno alla mancanza «e nemmeno sul sito è possibile trovare una sola riga che specifichi e avverta della mancanza di libri, riviste o supporti in italiano. Si mettono bene in evidenza i 7.000 articoli in offerta, ma nulla che giustifichi un’assenza grande come una casa. Non solo, nemmeno in ladino è possibile scovare nulla: solo tedesco». La speranza, però, è che in futuro la situazione possa essere raddrizzata: «No - ribadisce D’Elia - perché dagli uffici della biblioteca mi hanno fatto sapere che non c’è in programma alcun tipo di digitalizzazione italiana, semplicemente perché si sono affidati a un servizio tedesco. Non mi sembra che si possa trattare di un impedimento serio e accettabile, soprattutto considerando che le Tessmann non è una raccolta privata, ma una biblioteca provinciale e quindi, presumo, finanziata con soldi pubblici». La struttura di via Diaz, infatti, riceve una quota di finanziamento annuale stanziata dalla Giunta Provinciale e nel decreto del presidente emanato il 24 gennaio 2000 si trova una precisazione in evidente contrasto con il servizio “Biblio24” che specifica per la Tessmann “compiti precisi nel raccogliere scritti e opere di autori altoatesini, della storia e della cultura del territorio con particolare riferimento agli scritti in lingua italiana”. Il piano annuale di finanziamento delle biblioteche pubbliche emanato dalla Provincia per il 2009, comunque, prevedeva un importo complessivo di 5,3 milioni di euro, con 3 milioni per il personale e investimenti per 1,4 milioni di euro. Dalla biblioteca, però, nessun commento, salvo una conferma «sulla mancanza di documenti digitali in italiani offerti dal servizio su internet». Dalla Fondazione Carispa, sponsor del servizio spiegano che: «I documenti sono tutti in tedesco perché si appoggiano su una piattaforma tedesca e non esiste un omologo Italiano». (a.c.)
Alto Adige 15-11-10
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venerdì, 12 novembre 2010



Capitale della cultura Il primo dicembre la firma del Protocollo

MARCO RIZZA
La candidatura del Nord Est - Bolzano e Alto Adige compresi - a Capitale europea della cultura nel 2019 arriva a una svolta decisiva: il primo dicembre a Venezia, nella cornice del Palazzo Ducale, avrà luogo la cerimonia ufficiale per la firma del Protocollo d’intesa da parte del sindaco di Venezia Orsoni - città capofila del progetto - e dei presidenti delle Regioni coinvolte: Luca Zaia per il Veneto, Luis Durnwalder per l’Alto Adige, Lorenzo Dellai per il Trentino e Renzo Tondo per il Friuli Venezia Giulia. Si tratterà di una cerimonia in pompa magna (per l’Alto Adige sarà presente anche l’assessore alla cultura italiana Christian Tommasini) che sancirà definitivamente la coalizione tra i territori del Nord Est per partecipare alla competizione. Che la Capitale europea della cultura nel 2019 spetti all’Italia è già deciso, ma da qui alla fine dell’anno prossimo - quando scadrà il termine per la presentazione delle candidature - potrebbero farsi avanti altre realtà «pesanti»: per questo il Nord Est ha già iniziato a muoversi, e il tavolo tecnico sta proseguendo con le riunioni per definire governance, forma dei finanziamenti ed equilibri interni. Tutti argomenti che però non saranno contemplati nel Protocollo del primo dicembre ma demandati a un documento successivo, probabilmente all’atto costitutivo.
 Proprio il tema degli equilibri tra le varie realtà territoriali è uno dei più delicati nel dibattito in corso. «Il principio ispiratore è la pariteticità e su questo stiamo lavorando», conferma Katia Tenti, che per conto del Dipartimento provinciale alla cultura italiana partecipa al tavolo tecnico. La Provincia di Bolzano è stata la prima tra le istituzioni che partecipano al progetto a stanziare i fondi - un milione di euro, di cui 600 mila per il 2011 e il resto per il 2012 -, anche come «pungolo» agli altri: ma è chiaro che non può correre il rischio di vedersi fagocitare da realtà più grandi come il Veneto. Non a caso fin dalla prima riunione del tavolo tecnico è stata messa sul tavolo la proposta della pari rappresentanza di tutte le realtà territoriali.
 Per altro l’assegnazione a un territorio della Capitale europea della cultura è anche un’occasione di rilancio dell’economia: secondo uno studio nel 2008 - la capitale fu Liverpool - l’evento fruttò un miliardo di euro in solo afflusso turistico. E in un recente convegno svoltosi all’Eurac, il professor Pier Luigi Sacco è tornato a sottolineare come in tutti i Paesi (occidentali e asiatici) con l’economia più sviluppata gli investimenti in cultura sono massicci anche in questo periodo di crisi.
 Una volta firmato l’accordo veneziano, aggiunge la Tenti, «potrà entrare più nel vivo anche l’organizzazione e la preparazione dell’evento sul territorio: quindi con attività promozionali, comitati, ecc». E questa nuova spinta dovrebbe coinvolgere anche il mondo culturale tedesco: «Il presidente Durnwalder firma per tutti, non solo per il nostro gruppo linguistico», conclude.
Alto Adige 12-11-10
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categoria:cultura
mercoledì, 03 novembre 2010



Lub: laurea con certificato linguistico

BOLZANO. Con la laurea gli studenti che usciranno dalle facoltà della Lub otterranno anche il certificato europeo C1 (il massimo è C2) che attesta la conoscenza di due lingue e il B2 per una terza. Si tratta ora con la Provincia per avere il patentino. Nell’ultimo cdu il presidente Bergmeister ha ottenuto il via libera per quelle che sono le linee guida. È la conferma che il nuovo consiglio ha cambiato marcia, trasformando in valore aggiunto una caratteristica intrinseca della Lub: il trilinguismo.
 Una vita spesa tra mondo accademico (docente all’università di Vienna), lo studio di ingegneria di Bressanone, l’incarico di amministratore del Bbt per la parte austriaca, Bergmeister è dotato di grande pragmatismo: per questo ha deciso di sfruttare meglio il trilinguismo delle facoltà bolzanine.
 «Il nostro ateneo - aveva detto nella conferenza stampa dei primi 100 giorni Bergmeister - si vanta di essere trilingue, ma non c’è un riconoscimento ufficiale che rappresenti un valore aggiunto spendibile dagli studenti nel lavoro. Questo è il salto che si vuole fare. Questo è l’obiettivo al quale sta lavorando il cdu. Ci sono però problemi giuridici e politici da risolvere». Bergmeister è andato avanti e in questi mesi assieme ai vertici della Lub si è fatta una verifica dei livelli di preparazione necessari per raggiungere conoscenze linguistiche di standard elevato. Adesso c’è il via libera del cdu.
 Al momento della preiscrizione si verificherà il livello di conoscenza di una seconda lingua. Quindi allo studente l’università darà la possibilità di frequentare un corso gratuito di 6 settimane in modo da superare il test a settembre. Poi, durante l’intero ciclo di studi, si potranno seguire corsi di lingua (italiano, tedesco, inglese) in modo da poter frequentare senza problemi le lezioni e quindi sostenere gli esami che si svolgono nella lingua del professore. «In questo modo - dice soddisfatto Bergmeister - assieme alla laurea i nostri studenti otterranno anche il certificato C1 spendibile a livello europeo che attesta la conoscenza di due lingue. Per la terza si avrà un certificato B2». Ora si punta anche al conseguimento del patentino di bilinguismo che comunque è riconosciuto solo a livello locale. Così il presidente del cdu: «Stiamo trattando con la Provincia per far sì che ci sia un’automatismo tra il conseguimento della laurea in una università trilingue come la nostra e il patentino di bilinguismo».
Alto Adige 3-11-10
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categoria:cultura
martedì, 26 ottobre 2010



Arriva la minilaurea al Conservatorio

BOLZANO. Arriva la minilaurea al conservatorio Monteverdi. La giunta provinciale ha approvato ieri gli ordinamenti didattici di 20 corsi di diploma accademico di primo livello (minilaurea) al conservatorio Monteverdi (direttore Felix Resch) e ha istituito tre nuovi corsi riferiti a canto, oratorio e musica sacra. Via libera dunque ai 20 corsi di diploma accademico di primo livello in basso tuba, musica elettronica, strumentazione per orchestra a fiati. Sono stati inoltre approvati gli ordinamenti didattici di altri corsi già avviati in via sperimentale. E’ stata inoltre autorizzata l’ammissione nell’anno accademico 2010-2011 dei corsi di «Lied e oratorio» e di «Musica sacra in lingua tedesca». Sono corsi molto richiesti nel mondo di lingua tedesca ma dovranno essere disciplinati in base al vecchio ordinamento.
 La giunta si è occupata ieri anche della gara d’appalto, con base d’asta di un milione, che assegnerà la realizzazione del canale televisivo informativo dedicato ai turisti per il quale nei mesi scorsi è stata riservata una frequenza televisiva. E’ previsto un 30% di spazio pubblicitario.
 Entro fine gennaio 2011 la Provincia dovrà recepire la segnalazione certificata di inizio attività (la “Scia”) che in base alla legge statale consente di avviare un’attività privata dopo comunicazione all’amministrazione competente. In Alto Adige, ha annunciato il presidente Durnwalder, saranno previste alcune limitazioni. Verrà stilare una lista delle attività ammesse con segnalazione e di quelle che richiedono particolari presupposti.
Alto Adige 26-10-10
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domenica, 24 ottobre 2010



Polo bibliotecario bilingue a Ora

MASSIMILIANO BONA
ORA. Dall’estate prossima le due biblioteche, quella italiana e quella tedesca, saranno per la prima volta sotto lo stesso tetto. Ci sarà un solo bancone per i prestiti, ma i patrimoni librari resteranno separati.
 Sono anche queste prove pratiche di convivenza in una realtà, come quella della Bassa Atesina, dove l’interetnicità è comunque di casa e la Volkspartei soffre non poco la vitalità delle liste civiche. «La cultura - sottolinea il vicesindaco Claudio Mutinelli di Insieme/Miteinander - è universale e questa è stata una delle scelte più lungimiranti, anche sotto il profilo dei costi, degli ultimi 10 anni del Comune di Ora. È un sogno che si avvera e sono convinto che nel medio periodo sarà possibile arrivare anche ad un archivio e ad una catalogazione unica dei testi».
 Nei giorni scorsi c’è stato l’atteso sopralluogo, per fare il punto sui lavori, al quale hanno partecipato la giunta e i direttivi delle due biblioteche. La parola d’ordine è integrazione, come testimoniano del resto le proficue riunioni tenutesi nell’ultimo periodo. I previsti interventi al nuovo polo bibliotecario - che ospiterà anche il centro Elki e una microstruttura per l’infanzia - avevano subito una battuta d’arresto perché era andato deserto l’appalto per la realizzazione della facciata. «L’importo a base d’asta - spiega il sindaco Roland Pichler - era di mezzo milione di euro, ma siamo dovuti salire a 560 mila per attirare l’interesse delle aziende del settore». Ad aggiudicarsi i lavori è stata la Pro Metal di Roveré della Luna, che realizzerà una struttura in metallo e vetro, che assomiglierà al foyer dell’aula magna. Il completamento di questo lotto dei lavori è fondamentale per il rispetto della tabella di marcia, perchè solo quando saranno ultimate le facciate potranno iniziare a lavorare gli altri artgiani. A breve pertanto saranno eseguiti l’impianto idraulico, quello elettrico e il tetto e a seguire sarà la volta dei pavimenti e dell’arredamento.
 Non ci sono problemi - come sottolinea il sindaco Pichler - per il finanziamento. I fondi, fatta eccezione per i mobili, sono infatti già integralmente garantiti da contributi. «In linea di massima - prosegue il sindaco - dovremmo riuscire a rispettare la prevista data di consegna, ovvero il luglio 2011. Il nuovo polo bibliotecario è destinato a diventare un motivo di vanto per il nostro Comune».
 La gestione dei libri, come detto, resterà separata, in quanto i sistemi di catalogazione sono diversi e unificarli sarebbe stato eccessivamente problematico. Sabrina Toso della biblioteca italiana si aspetta molto «dalla collaborazione a livello di promozione della lettura, soprattutto per quanto attiene le generazioni più giovani. Con due biblioteche sotto lo stesso tetto sarà più facile invitare le persone a leggere libri anche nell’altra lingua. Un neo? La soluzione ideale, alla luce dell’unificazione delle due strutture, sarebbe che entrambe le biblioteche fossero comunali. La Dante Alieghieri, seppur riconosciuta dalla Provincia, è una biblioteca di circolo». Soddisfatta anche Martine Mittermair della biblioteca tedesca. «Il punto dei prestiti in comune è importante, perché l’obiettivo non è lavorare affiancati, ma collaborare realmente».
 Sul fronte personale invece il Comune ha pubblicato il bando per coprire un posto da bibliotecario di settimo livello.
Alto Adige 24-10-10
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venerdì, 22 ottobre 2010



Sepúlveda racconta Franz Thaler

FRANCESCO COMINA
È un grande uomo. Lo ricorderò nei miei libri». Era commosso il grande scrittore cileno Luis Sepúlveda, uno dei narratori più amati al mondo, dopo la giornata passata a casa di Franz Thaler a Sarentino nel marzo del 2008. Fu una giornata intensa. Il fotografo argentino Daniel Mordzinski, fece numerosi scatti. La moglie di Sepúlveda Carmen Yanez, poetessa cilena torturata a Villa Grimaldi dai militari di Pinochet, sentiva una vicinanza straordinaria con l’uomo che sfidò le Ss e finì a Dachau: «Conosciamo la violenza della dittatura - disse - condividiamo il medesimo sogno di pace e di fratellanza». Thaler sorrideva, come sempre, con il suo bicchiere di vino rosso in mano e la sigaretta accesa. Abbracciava tutti e tentava di parlare il suo stentato italiano.
 Sono passati due anni e Luis Sepúlveda ha mantenuto fede alla promessa. Nel suo nuovo e attesissimo libro, «Ritratto di gruppo con assenza» (Guanda) in uscita nelle librerie di tutta Italia, tratteggia anche la figura di Franz Thaler.
 Sepulveda verrà in regione a presentare il suo libro il 12 e 13 novembre su invito del Centro per la Pace. Venerdì 12 alle ore 20.30 parlerà all’Auditorium Santa Chiara di Trento intervistato dallo scrittore napoletano Bruno Arpaia nell’ambito dei «Dialoghi internazionali: se vuoi la pace prepara la pace» organizzati da Centro per la Pace e Provincia di Trento. Sabato 13 novembre alle ore 11 il dialogo pubblico fra Sepúlveda e Arpaia si terrà nella Libera Università di Bolzano con la presenza del presidente Konrad Bergmeister e del rettore Walter Lorenz.
 Il capitolo in cui si parla di Thaler si intitola «Alchimia della luce, del rispetto e del miracolo». Sepúlveda racconta la maestria del fotografo Daniel Mordzinski, la sua capacità di cogliere l’attimo migliore per imprimere sulla carta brandelli di vita in un incontro di luci e di ombre. Mordzinski - le cui foto accompagneranno anche il prossimo romanzo dell’autore cileno, «Ultime notizie dal Sud», di cui Sepúlveda sta finendo di correggere le bozze - ha seguito Sepúlveda in tutti i suoi viaggi nel mondo, ha raccolto migliaia di fotografie che col tempo ampliano la mostra dedicata allo scrittore: «Non ho mai conosciuto un fotografo rispettoso come Daniel Mordzinski - scrive Sepúlveda -. Ha lo strano dono di rendersi invisibile, trasparente, quasi incorporeo, finché qualcuno non domanda: ma dov’è Daniel? E allora lui appare da dietro e dice: ho un’idea...».
 Disse proprio così a Sarentino nella bottega di Franz Thaler: «Mettetevi intorno alla stufa che faccio qualche scatto». Ecco come lo ricorda Sepúlveda: «In un paesino tirolese - si legge nel libro a pagina 91 - lo aspettava Franz Thaler, eroe novantenne sopravvissuto ai campi di concentramento, antifascista ieri, oggi e domani, che si guadagna la vita incidendo splendide miniature sul metallo. Certo quell’uomo invitava a scattare fotografie epiche alla luce di ciò che raccontava con estrema umiltà: aveva fatto la cosa giusta al momento giusto. La macchina fotografica di Daniel si fissò sulle sue mani di uomo giusto perché l’essenziale della storia era là, e sulla stufa a legna che riscaldava quella piccola casa tirolese, emanando un calore generoso e necessario».
 Franz Thaler mostrò a Sepúlveda gli oggetti del suo artigianato: portachiavi in pelle, incisioni su cinture, cappelli, ricami di grembiuli. Sorrideva e fumava. Ad un certo punto il gatto di Thaler saltò sulle spalle di Sepúlveda e la scena venne immortalata. Tutti risero pensando alla «Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare» il racconto più famoso di Sepulveda divenuto anche un cartone animato di successo.
 Si andò tutti a mangiare in un tipico ristorante di Sarentino: Franz con il suo cappello tirolese, Daniel con la sua macchina sempre pronta a colpire, Carmen emozionata, quasi in lacrime e Sepúlveda con il suo sigaro e solito volto pieno di misteri. Ma prima di entrare nel Gasthof (Sepúlveda che ha vissuto vent’anni in Germania e parla bene il tedesco) si avvicinò a Thaler e gli mise una mano sulla spalla conversando per qualche minuto.
 «La vita è piena di storie» scrive nel suo libro. Le storie di Sepúlveda sono infinite e misteriose. Nel libro c’è un po’ tutto: il Cile del grande sogno socialista di Allende, il circolo musicale della cantante Violeta Parra e dei suo figli, le brigate muraliste che accendevano Santiago di mille colori e tante utopie, i ricordi degli amici del Gap (Grupos de amigos personales de Salvador Allende), gli eroi fragili che difesero il presidente fino all’ultimo disperato tentativo di resistenza che culminò con il suicidio al palazzo de la Moneda prima che venisse bombardato, l’incubo del golpe con l’esilio dello scrittore durato fino al 1990 e la partecipazione alla guerriglia in Nicaragua con i combattenti della Brigada Internacional Simòn Bolivar. E poi ci sono i tanti amici e maestri incontrati, da Ryszard Kapuscinski a Mario Benedetti a Neruda.
 E fra tutte queste celebrità internazionali anche il sudtirolese Franz Thaler, sopravvissuto a Dachau, antinazista «oggi e domani».

L’esiliato e il Dableiber
Luis Sepúlveda, cileno, è nato nel 1949. Ha iniziato molto giovane a scrivere racconti. Di formazione marxista, arrestato e torturato dopo il golpe di Pinochet, fu poi condannato all’esilio e visse in diversi Paesi sudamericani, prima di trasferirsi negli anni Ottanta in Germania. È stato un militante di Greenpeace. Vive in Spagna. È autore di romanzi tradotti in tutto il mondo; il suo primo grande successo internazionale è stato «Il vecchio che leggeva romanzi d’amore».
 Franz Thaler, sarentinese, nato nel 1925, Dableiber, è stato internato dai nazisti a Dachau dopo essersi rifiutato di arruolarsi nella Wehrmacht. Ha pubblicato con Raetia «Dimenticare mai».
Alto Adige 22-10-10
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venerdì, 22 ottobre 2010



Riforma della scuola, una politica senza coraggio 

MARCO BERTORELLE
Per la precisione, è stata annunciata la cancellazione dell’indirizzo “classico” e di quello “musicale”. Sono un italiano in ambiente tedesco e cerco di avere un rapporto onesto e responsabile con tutti a scuola, colleghi e studenti innanzitutto. Ebbene c’è qualcosa che vorrei sottolineare e qualcosa aggiungere al dibattito in corso.
 Primo: due anni fa una mia classe IV ha ospitato alcuni studenti italiani, del «Carducci» indirizzo classico: Max, Lisa, Michele, Tiziano, Michela. Direi il fiore del «Carducci». Dovreste provare cosa significa collaborare con studenti di tale livello e motivazione, quale arricchimento sanno portare alle lezioni, alla dinamica culturale della classe. Se poi è una classe tedesca, sono due «mondi» che si guardano, si studiano, si ammirano, simpatizzano anche. Non è un valore questo? Se non fosse più possibile questo scambio, sarebbe un’occasione persa per tutti. Se poi riflettiamo di «quali» ragazzi stiamo parlando, comprendiamo che è l’intera società sudtirolese-altoatesina al livello potenzialmente dirigenziale ad averne un danno e non è poco. Per gli allievi frequentanti l’indirizzo «musicale» poi - seconda vittima designata - il ragionamento potrebbe essere contiguo: in un contesto di scuola superiore riformata, orientata a preparare in senso ampio allo studio universitario - diversamente dalla scuola professionale per sua natura indirizzata al mondo del lavoro - è proprio necessario sopprimere un corso unico in provincia per competenze perseguite? Anche qui chi ci ha lavorato mi ha raccontato di ragazzi con particolare flessibilità e disponibilità intellettuale, potenzialmente di nuovo una parte del tesoro della nostra provincia. Rinunciarci? Dopo averlo poi ufficialmente battezzato due anni or sono?
 Secondo: in 20 anni non ho mai assistito ad un’intera comunità tedesca che si stringe attorno alla sua Preside nella ribellione estremamente civile (sottolineo, civile: o forse vorremmo altre forme di protesta più «creative» per usare un eufemismo?) ad una scelta pesante vissuta come un’imposizione dall’alto. Si tentano forme democratiche di dissenso, ci si espone pubblicamente, si fa uso accorto dei mass media senza distinzione di appartenenza linguistica (altra novità) ma che risposta si ottiene? Un «assordante silenzio» si direbbe, culminato nel confronto pubblico disertato dall’intera controparte di venerdì scorso nell’Aula Magna della scuola. C’erano studenti che ponevano domande - anch’io con i miei dubbi di non firmatario (ancora) del documento di protesta -, la Preside, qualche personalità ma è mancato il contraddittorio per deliberata scelta delle autorità. Qui non c’entra Santoro, anzi, vien fatto di chiedersi (cioè gli studenti si saranno chiesti) quale forma di democrazia pratichiamo in Alto Adige se i responsabili non ritengono loro dovere rispondere delle probabili scelte future con il rischio, se necessario, dell’impopolarità contingente?! Ai miei tempi ricordo la coraggiosa Preside Zancan dello Scientifico «Torricelli» sfidare noi studenti in corteo. La ricordo con il sottile disagio di chi era nella massa a quel tempo, ma nonostante tutto provava ammirazione per quella esile, canuta anziana che dimostrava tale coraggio civile, senso dello Stato si direbbe. O forse meglio ancora ricordare l’indimenticabile protesta del Pannella imbavagliatosi per oltre 20 minuti alla trasmissione «Tribuna elettorale»: incredibile, interminabile, eloquente nel suo mutismo. Cosa avrebbe dovuto fare l’assemblea delusa di venerdì? Quale spettacolare forma di protesta viene richiesta da questa democrazia monca?
 Terzo: e per congedarmi due concreti quesiti. Confrontando le attuali bozze di riforma italiana e tedesca si nota come il mondo tedesco «accolga» tranquillamente nel panorama dell’offerta formativa tre istituti privati come il Liceo dei “Francescani” ed il Liceo Pedagogico “St. Maria” di Bolzano accanto al Liceo “Vinzentinum” di Bressanone. Ben diversamente procede il mondo italiano che non nomina né l’istituto delle «Marcelline», né il Liceo Scientifico «Rainerum». Possibile? In discussione ovviamente non è la bontà degli istituti (fra l’altro un mio figlio frequenta il “Rainerum”), ma la possibilità di adottare due criteri diversi per appartenenza linguistica a situazioni formative apparentemente del tutto simili. A ben guardare però anche il prossimo Liceo delle Scienze Umane in lingua italiana permetterà l’opzione musicale, mentre nel mondo tedesco al momento non è prevista alcuna apertura in tal senso. E chiudiamo sorpresi: perché tutte le scuole pubbliche hanno dichiarato i numeri degli iscritti ma non quelle private? Non sarebbe necessario (e trasparente) per farsi un quadro realistico dell’intera offerta formativa nella provincia, per poter giudicare con cognizione e senza pregiudizi la bontà o meno della riforma?
 In gioco, insomma, mi pare qualcosa di più della semplice sottoscrizione, qualcosa che ha a che fare con l’esercizio autentico della democrazia nella nostra provincia. Non è poca cosa, tantomeno per un professore quotidianamente impegnato nella dialettica con gli allievi.
Alto Adige 22-10-10
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giovedì, 21 ottobre 2010



Ma qui si risparmia solo in cultura

GIACOMO FORNARI
E ancora la profonda sensibilità della classe politica che, nella musica, ha visto una grande possibilità di espressione. Secondo il principio del “dimmi come suoni e ti dirò chi sei”, i gruppi linguistici hanno difeso e proposto in modo assolutamente pacifico i tratti distintivi dei propri repertori. Troppo lusso, forse. Ma alla base vi sono state delle scelte precise. In un’intervista ad “Amadeus” dello scorso novembre Renzo Caramaschi spiegava come Bolzano fosse la città con maggior investimento per cultura pro capite, spiegando anche come certi eventi, apparentemente costosi, avessero poi benefici sul bilancio e, quindi, positive ricadute sull’intera collettività. Difficile pensare quindi che in un simile contesto la musica possa essere considerata voluttuaria od accessoria. Nello “Stato”, Platone riteneva la musica base di ogni conoscenza. Egli, infatti, sosteneva che attraverso quest’arte fosse possibile imparare altro. E meglio. Con Platone è stata fondata l’idea non solo di un’educazione musicale in senso stretto, ma di un’educazione globale attraverso la musica.
 Una riforma della scuola che non tenga conto di queste acquisizioni pedagogiche, considerate ovvie all’estero, rischia di frantumarsi dietro quel realismo ingenuo che vuole la scuola come una palestra di avviamento al lavoro. E’ chiaro che un liceo musicale può essere frequentato da un futuro medico o da un futuro avvocato che, attraverso la musica, avranno acquisito metodologie preziose sotto il profilo cognitivo. Sempre nello “Stato”, Platone riteneva indispensabile l’approccio estetico. In questo senso, la chiusura dimostrata in certi ambienti nei confronti della cultura classica può avere conseguenze importanti sotto il profilo culturale. Non che non si possa e non si debba riformare la scuola (liceo classico compreso). Ma è pur vero che prima di demolire un modello, bisogna sapere che cosa si vuole ottenere e perché. Forse il greco potrebbe non sembrare utile, ma io non potrei immaginare la mia vita senza.
Anche nella discussione di riforma degli Istituti per l’educazione musicale della Provincia autonoma, temporaneamente passato con il voto contrario dei due assessori italiani, è mancato e manca un tassello importante. Quello del metodo. All’inizio si è parlato di esigenze di risparmio di bilancio, di per sé comprensibili in una fase di crisi. Ma subito dopo si è scoperto il vaso di pandora, e cioè che risparmi su vasta scala si possono ottenere soltanto tagliando le spese non autofinanziate. In questo senso, l’unica voce è quella (non indifferente) degli stipendi. Una via, questa, che per fortuna nessuno vuole minimamente percorrere. Un’altra ipotesi capace di spiegare la riforma, era stata formulata in direzione di un miglior coordinamento con la scuola. Ma tra un miglior coordinamento ed un’integrazione tecnicamente impervia corre molta distanza.
La trasversalità del ruolo del personale docente degli istituti musicali, che copre utenze dai 2 ai 100 anni e in situazioni le più disparate, la difficoltà di gestione di complesse graduatorie statali, il possibile conflitto di interessi tra personale di tipo statale o ex-statale di addestramento e reclutamento diverso, più che creare un’ottimizzazione delle risorse potrebbe portare addirittura a possibili collisioni, a numerosi ricorsi rischiando di compromettere un meccanismo che ci sembrava perfetto. Forse troppo per poter durare all’infinito.
Ovviamente non è logico che tutto resti fermo come ai tempi della fondazione (1977) di queste strutture. Ma sembra meno utile che le cose vengano stabilite per legge, prima che ci si sia occupati dei veri problemi che ogni ristrutturazione porta giocoforza con sé. Vale quindi la pena di domandarsi se i possibili disagi ed il malcontento possano valere tanto quanto un’idea di riforma che piove improvvisa senza che se ne sia mai fatta parola. La storia insegna che riformare in modo condiviso è più facile che imporre i cambiamenti a comma di legge. Comunque sia a perderci, qui, è un’idea veramente platonica di stato che aveva fatto dell’Alto Adige un modello musicale all’avanguardia che, invece, ora sembra essere pericolosamente scalfito. Platone ci insegna che lo Stato nel quale l’arte è cibo dell’anima si rivela come il punto di incontro tra culture e civiltà diverse. Purtroppo Platone appare al momento irrimediabilmente lontano.
Alto Adige 21-10-10
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lunedì, 18 ottobre 2010




Uniti per salvare il liceo tedesco

PAOLO CAMPOSTRINI
E che è giusto vada combattuta senza distinzione di lingua o di censo. Nella quale dovrebbe sentirsi coinvolto chiunque abbia a cuore il nostro destino di doppia minoranza inquieta, di isola sbattuta dalle correnti della storia, preda di chiunque passi di qui con la sola intenzione di semplificare questioni complicate (da Hitler a Mussolini, da Tolomei alla Klotz), giocando con la pigrizia degli ignoranti.
 Ma la sopravvivenza del Walther non è solo una trincea che potrebbe essere occupata trasversalmente da italiani e tedeschi di buona volontà: è il terreno su cui misurare la capacità della classe dirigente provinciale di confrontarsi con la modernità. Una giunta che mantiene con i nostri soldi ridotte elettorali ospedaliere, muovendosi con operazioni vellutate laddove dovrebbe mostrare ben altro piglio, ritrova d’incanto vigoria privatizzatrice proprio nell’unico settore, quello della cultura superiore e dell’istruzione, dove il pubblico è ancora l’unico collante tra le generazioni e le classi sociali, capace di svolgere una primaria funzione strutturante nell’interesse di tutti. Una giunta incapace di comprendere che lasciare ai privati uno dei pochi ambiti decisivi per il futuro di una comunità è una giunta che ammette una carenza strategica, che non sa distinguere tra tagli e tagli ma che affonda solo dove sa che potrebbe pagare costi elettorali minimi. E che dunque agisce per interessi tattici, senza una cornice complessiva di riferimento.
 Il «pubblico» del Classico tedesco è un pubblico buono. Uno dei pochi per cui vale la pena di battersi. E uno dei pochi per cui vale farlo insieme, italiani e tedeschi. Perchè è giusto che i ragazzi sudtirolesi (ma anche gli altoatesini che lo frequentano) non debbano pagare la retta ai Francescani per leggersi Sofocle in greco o Machiavelli in italiano. Per questo il Walther è al centro dell’interesse dell’«Alto Adige»: non perchè è tedesco ma perchè è un magnifico liceo.
Alto Adige 18-10-10
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domenica, 17 ottobre 2010


Bertagnolli: salviamo la musica

FABIO ZAMBONI
Quando un’artista come Gemma Bertagnolli, nota ai cultori di musica vocale per essere una delle interpreti più sensibili, intelligenti e versatili del nostro panorama musicale, apprezzata per la sua grazia e dolcezza, ma anche per la sua determinazione, si avvede che la misura è colma e decide di parlare lo fa in modo chiaro e diretto, senza perifrasi, come alcuni dei personaggi che lei ha più volte magistralmente interpretato...». Così Gaetano Santangelo, direttore dela prestigiosa rivista di musica classica Amadeus, esordisce nel commentare la lettera aperta del soprano bolzanino Gemma Bertagnolli che verrà pubblicata con ampio risalto nel prossimo numero, quello di novembre. Una lettera che denuncia i rischi che il mondo italiano della musica non solo classica corre dopo i pesanti tagli ministeriali alla cultura.
 Gemma, che non ha certo problemi di lavoro gettonata com’è in tutt’ Europa, e anche oltre, come raffinata interprete del Barocco, lancia un grido d’allarme a tutto il mondo musicale italiano aprendo fra l’altro un ampio fronte di discussione su facebook che sta coinvolgendo un gran numero di appassionati e musicisti, compresi artisti del calibro di Ottavio Dantone e Fabio Biondi. Perché? Lo abbiamo chiesto a lei.
«Quando il ministro Bondi - lasciato senza soldi a fronteggiare le proteste del mondo dello spettacolo per i tagli che sta facendo - chiede aiuto a Tremonti e si sente rispondere che «la cultura non si mangia», è troppo forte la sensazione che chi ci governa non capisca il ruolo della cultura, dell’insegnamento e della fruizione della musica. I tagli terrificanti sulle politiche culturali hanno portato alla cancellazione di festival importanti come quello di Viterbo e quello di Jesi e alla crisi profonda di tanti teatri».
Ma di fronte alla crisi, la cultura può essere chiamata a fare dei sacrifici?
Certo. Si può razionalizzare, ottimizzare le risorse, ma senza eliminare i servizi. Si può risparmiare sulle spese fisse di gestione di tanti teatri italiani, che sono dei carrozzoni con personale in esubero. Per salvare le strutture più costose, bisogna cambiare meccanismo: il problema è quello dei cachet gonfiati, del costo del personale. I tagli che sono stati fatto in Italia sono indiscriminati, e rischiano di ripercuotersi su tutta l’attività musicale, anche quella minore, quella quotidiana, quella delle scuole. Il vero problema è il tipo di atteggiamento rispetto alla fruizione della cultura, che dovrebbe essere un bene civile, sociale. In una società in cui monta la barbarie - e basta dare un’occhiata alla cronaca quotidiana - non si può rinunciare alla musica e alla cultura. È la civiltà contro l’inciviltà. In Italia si fanno pochi grandi eventi, per pochi spettatori, e non si pensa al teatro come a un posto famigliare. Manca il confronto quotidiano con la propria capacità critica, che la tivù ha azzerato. Sempre meno manifestazioni, sempre meno concerti, sempre meno capacità di confronto, di giudizio. E poi: tutti quelli che studiano musica, cosa la studiano a fare se non ci saranno occasioni per suonarla?
È vero che i politici sono poco disposti a fare sacrifici, ma anche i cantanti lirici potrebbero dare l’esempio tagliando dei cachet faraonici. O no?
Tanti miei colleghi limerebbero volentieri, per poter lavorare in condizioni ottimali. Il problema è quello che sta intorno al cachet dei cantanti. Ad esempio le grosse lobbies delle agenzie, che tengono sotto ricatto le direzioni artistiche dei teatri. Un sistema da risanare.
E in Europa non succede?
In Germania ad esempio i teatri hanno delle compagnie stabili che fanno un sacco di produzioni e di repliche, sono tutti stipendiati, pieni di lavoro, poi ogni tanto chiamano degli ospiti per arricchire il cartellone. In Europa ci sono molti più spettacoli, magari meno “eventi” ma con cartelloni più capillari.
Dal discorso generale sulla musica, a quello personale: che cosa sta facendo, Gemma Bertagnolli?
Sono diventata una “cantante barocca”! Nel senso che negli ultimi tempi la mia carriera ha preso una svolta: sempre meno opere liriche e grandi allestimenti, sempre più concerti come solista con affermati ensemble e orchestre specializzate nel barocco. Migliora anche la qualità della vita: viaggio di più ma sono di più a casa, perché le settimane di prove sono sostituite dallo studio personale. Ultimamante ho registrato parecchi cd, ai miei eventuali fans segnalerei un concerto al festival di Ambronay con Fabio Biondi, che si può vedere sul web.
Progetti?
Oltre al cd “Christmas at San Marco”, il cd appena uscito, una vera chicca, ne ho altri sei che devono uscire a breve. Per quanto riguarda i concerti, in novembre canterò alla Pietà de’ Turchini di Napoli un lavoro di Haendel (Aci Galatea e Polifemo) nel luogo in cui è stato composto, poi subito dopo a Berlino Potsdam con arie di Boccherini e Mozart con la Brandenburger Kammer Orchester.
Gemma Bertagnolli è stata applaudita a Bolzano nel Flauto magico e nel Matrimonio segreto di Cimarosa, produzioni della Fondazione, ma risale al 2003 l’ultima apparizione nella sua città, che nel frattempo è diventata una bella piazza per l’opera. Come mai?
Beh, bisognerebbe chiederlo a chi organizza gli spettacoli. Comunque l’ultima apparizione bolzanina non è stata “classica”: risale a un paio di anni fa, quando ho cantato l’Ave Maria di De Andrè nella band Il Suonatore Jones, al Carambolage. Adoro il barocco ma esco volentieri dai suoi confini...
Alto Adige 17-10-10
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domenica, 17 ottobre 2010


Parte il progetto «Lo scrigno dei libri»

 Domani alle 11, nella sala al secondo piano del municipio di Laives, presente il sindaco, verrà presentato il progetto «Lo scrigno dei libri».

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venerdì, 15 ottobre 2010



La lingua dei giovani tra telefonini e chat Se ne parla oggi al Trevi

ANDREA MONTALI
Il primo ospite dell’edizione 2010 del progetto «Lingua e cultura: l’italiano in movimento» (voluto dall’assessorato provinciale alla cultura italiana insieme a Istituto pedagogico e Accademia della Crusca) è Lorenzo Coveri, professore ordinario di Linguistica italiana all’Università di Genova. Oggi alle 20.30 al Centro Trevi in via Cappuccini a Bolzano terrà un incontro-conferenza insieme al ricercatore della Lub Lorenzo Sprafico. Coveri è anche membro del «Giornale degli Amici dell’Accademia della Crusca» e del Comitato scientifico dei «Cahiers de Linguistique Sociale». I suoi studi vertono principalmente sulla dialettologia e sulla sociolinguistica dell’italiano contemporaneo, con una particolare attenzione al linguaggio giovanile. Proprio su quest’ultimo tema parlerà oggi.
 Come si è trasformato il linguaggio giovanile con l’avvento dei nuovi mezzi di comunicazione, dal telefonino agli sms alla rivoluzione di Internet?
 
Innanzitutto distinguerei fra la «lingua dei giovani» e «il linguaggio giovanile». Le nuove generazioni sono in grado di padroneggiare la lingua in maniera consona alle circostanze: come quando comunicano con un adulto, nel mio caso un professore universitario. Altra cosa è il linguaggio giovanile, di cui si avvalgono per sentirsi parte di una collettività. Alcuni termini, utilizzati dai giovani nel gruppo dei pari, nelle chat, nei social network o via sms, sono ormai di uso comune, come ad esempio «essere stato beccato» o, dalle vostre parti, «fare blaun» quando si marina la scuola.
 Le nuove forme di comunicazione possono inaridire la lingua?
 
Non credo. La lingua adottata dai giovani riflette i cambiamenti della società ma il linguaggio giovanile non ha una sua grammatica, che rimane sempre e comunque quella italiana. Semmai, parlerei di un fenomeno di «scritturalità», dove la lingua scritta si avvicina sempre di più a quella parlata, cosa che accade soprattutto nelle e-mail, che spesso appaiono come una vera e propria trascrizione della comunicazione orale. Quello dei linguaggi giovanili è un fenomeno vistoso, ma non così rilevante per la struttura interna di un idioma.
 Quali sono i suoi campi d’indagine?
 
Oltre ai lavori sul tema redatti da altri studiosi, anche i già citati luoghi virtuali e gli spazi di aggregazione classici come la scuola. Altre fonti sono i programmi televisivi, ad esempio «Zelig», e testi letterari come «Jack Frusciante è uscito dal gruppo» di Brizzi, o i libri di Melissa P.
 Non sono fonti datate, per un linguaggio in continuo movimento?
 
Il linguaggio giovanile ha una sua storicità, e ci sono dei termini che si tramandano di generazione in generazione. Per monitorare i cambiamenti, durante il mio intervento a Bolzano distribuirò ai docenti un questionario, per valutare le novità, e focalizzare l’attenzione sulla specificità del territorio.
Alto Adige 15-10-10
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categoria:cultura, giovani
venerdì, 08 ottobre 2010



MAYR-NUSSER  AGITA ANCORA

PAOLO VALENTE
Ricorre in questi giorni l’anniversario del rifiuto di Josef Mayr-Nusser di prestare il giuramento ad Adolf Hitler. Correva l’anno 1944. Dopo decenni di imbarazzato silenzio la chiesa e la società altoatesine riconoscono oggi in quest’uomo un testimone da prendere a modello per il suo atto e per le motivazioni che lo ispirarono. Il 2010 è stato dedicato dal vescovo Golser alla memoria di questo giovane padre di famiglia che nel momento della scelta volle essere coerente alle sue convinzioni e per questo pagò con la vita. Da alcuni anni è in corso anche la causa di beatificazione. Tuttavia sarebbe fuorviante ridurre il “Nusser Pepi” ad un innocuo santino. La sua è una figura controversa che continua a far discutere. Anche dopo sessantaquattro anni da quel tragico “no” che il 24 febbraio 1945 lo avrebbe condotto alla morte sul treno fermo alla stazione di Erlangen, durante il trasporto verso il lager di Dachau. Deve far discutere, non può essere altrimenti. In molti ancora si chiedono se valesse la pena lasciare un figlio orfano e una moglie vedova “solo” per dar retta alla propria coscienza. Ecco già qui uno dei punti chiave.
SEGUE A PAGINA 10
Mayr-Nusser fu un uomo la cui coscienza non si era lasciata addomesticare dalla propaganda. Allora non era un fatto scontato. Egli e i suoi compagni dell’Azione cattolica seppero sempre trovare il modo per raccogliere informazioni alternative al pensiero di regime. Si mantennero critici sia verso il fascismo italiano che verso il nazionalsocialismo tedesco. Ecco un motivo per cui egli continua a dare fastidio. Rimane un dito puntato sull’arrendevolezza delle coscienze dei suoi contemporanei. come dire: non è vero che non si poteva dissentire, in coscienza. Certo, serviva la fatica e il coraggio di andare oltre le apparenze. Mayr-Nusser era uno come tanti altri. Non aveva studiato più di tanto. Però la sua coscienza aveva saputo educarsela e pertanto era in grado di riconoscere le contraddizioni e i pericoli insiti nelle ideologie totalitarie del tempo. La grande maggioranza invece aveva taciuto o applaudito, in certi casi con vero entusiasmo. Ma se fu scomodo allora lo è anche adesso. Non viviamo forse oggi in un’epoca in cui la coscienza è asservita alla società dei consumi e alle sue dinamiche, in cui si esalta la superficialità ed ogni valore, anche il più alto, viene subordinato al successo, alo profitto, al farsi strada a scapito degli altri?
Ecco, gli altri. bene ricordare che Mayr-Nusser non pronunciò il suo “no” solamente per compiacere alla propria coscienza (che è già molto). Lo fece per dare una testimonianza. Perché era convinto che se nessuno avesse mai avuto il coraggio di esprimere il suo dissenso, il male incarnato dal nazi-fascismo avrebbe continuato a trionfare indisturbato. un “no”, il suo, pronunciato per gli altri. Di conseguenza è un atto dalla forte valenza “politica”. Questo è un altro punto controverso. Si indica Mayr-Nusser come un martire della fede. E ciò è corretto. Perché egli trasse molte delle sue motivazioni dall’esperienza cristiana e dalla lettura del Vangelo. Ovvero non poteva aderire ad un’ideologia che elevasse un uomo a fonte suprema del diritto e della morale. E ammettere che questa sottomissione comportasse l’eclisse della libertà individuale e perciò della responsabilità. Tuttavia queste sono motivazioni che si ricavano da una fede vissuta in modo autentico ma anche dal rispetto umano tout court. Ogni uomo di qualsiasi credo o che si professi non credente ha in sé gli strumenti della ragione che lo portano ad escludere la violenza, la sopraffazione, il dominio dell’uomo sull’uomo. Ecco, Mayr-Nusser è, se vogliamo, un martire dell’umana responsabilità. morto perché ha dichiarato, col suo atto, che il nazismo era una ideologia anti-umana ancor prima che anti-cristiana. Hitler fu un nemico dell’umanità e di conseguenza anche di una comunità cristiana che voglia essere (come deve) al servizio dell’uomo e della sua libertà.
 Perciò Mayr-Nusser può dare fastidio oggi anche a quei credenti che ritengono che la cittadinanza attiva, la responsabilità civica, l’impegno “politico” debbano essere tenuti a debita distanza dalla propria vita di fede. Oppure a quei “laici” (o sedicenti tali) che ritengono che la fede non debba incarnarsi in comportamenti coerenti e magari scomodi. Mayr-Nusser dà fastidio anche adesso perché o lo si condanna (ma qualcuno a suo tempo lo ha già fatto, no?) o si raccoglie la sua sfida: quella di bandire l’indifferenza, di aprire gli occhi, di negarsi alla propaganda per quanto sottile essa sia. A costo di pagare le proprie scelte con la fatica, la derisione, l’esclusione e, in alcuni casi con la vita.
Alto Adige 8-10-10
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categoria:cultura
mercoledì, 06 ottobre 2010




TAGLI, NON SONO  TUTTI UGUALI

GIORGIO DELLE DONNE
«Tutti gli animali sono uguali, ma qualcuno è più uguale degli altri!”, si leggeva nella “Fattoria degli animali”, la splendida satira del sistema comunista staliniano scritta dopo l’esperienza della Guerra di Spagna dal socialista libertario Orwell, basata su una storia di animali, come nelle favole di Esopo e Fedro, a dimostrazione dell’assurdità di quelle rivoluzioni che, trasformatesi in regime, tradiscono i propri ideali. Nell’Alto Adige della «vollautonomie» gli animali che hanno giustamente rivendicato una autonomia territoriale per difendere la minoranza nazionale negano l’autonomia agli animali localmente minoritari, quelli che nello Stato sono maggioranza, sprezzantemente definiti “lo Staatsvolk”, impedendo loro di studiare la lingua locale come meglio credono, obbligandoli a rimanere monolingui in un territorio ed in un’epoca plurilingue, ed esercitando anche in questo caso un potere esclusivamente basato sui numeri, gli stessi numeri che, se applicati a livello nazionale li schiaccerebbero inesorabilmente. Gli animali localmente maggioritari accusano i minoritari di avere aderito ad un regime totalitario di massa fascista.
Ma dimenticandosi di avere massicciamente optato per Hitler. Pur essendo animali che si considerano evoluti, sono certamente contrari alle teorie di Darwin, che descriveva l’evoluzione storica della specie, e convinti assertori della teoria del creazionismo, secondo la quale l’Universo è stato creato da Dio, che ovviamente non poteva che parlare la loro lingua ed avere denominato questi luoghi solamente in una lingua, la loro. Da ferventi cattolici, credono all’immortalità dell’anima, e ritengono che poco meno di un secolo di appartenenza territoriale di questa provincia ad uno Stato che non è il loro sia una inezia storicamente insignificante, che non può caratterizzare la toponomastica della fattoria. Le diverse stalle della fattoria non sono curate allo stesso modo. Nella stalla grande concentrano la maggior parte degli animali alloglotti, quelli che parlano un’altra lingua, come venivano sprezzantemente definiti loro dai fascisti, sia quelli dello Staatsvolk sia gli altri stranieri di recente immigrazione, concentrati nella stalla grande e nelle scuole dello Staatsvolk, caricando queste scuole del compito (difficoltà e costi compresi) dell’integrazione, salvo poi lanciare segnali d’allarme in vista del prossimo censimento, per la possibilità che gli animali ultimi arrivati nella fattoria si aggreghino con i penultimi arrivati, obbligandoli a spartirsi diversamente il mangime.
 Nella cartografia della stalla grande hanno scritto “hic sunt leones” e malvolentieri sopportano la cattiva gestione dei numerosi e diversi animali presenti, così eterogenei ed incapaci di fare gruppo e per questo inesorabilmente destinati a diventare gregge, dove galli e galletti pasquali spagnoli si pavoneggiano ed ogni tanto strepitano i classici ruggiti del coniglio. Nella grande stalla hanno concentrato anche l’aeroporto, l’inceneritore e tutto ciò che può rovinare la salute degli animali della splendida fattoria, la cui salute è considerata talmente importante da giustificare la presenza di veterinari pagati come primari in strutture ospedaliere periferiche così costose e sovradimensionate che nemmeno la ricca fattoria svizzera potrebbe permettersele. Ogni tanto il padrone del maso si preoccupa della sostenibilità economica della fattoria e propone di tagliare le razioni di fieno dei viziatissimi animali di periferia, ma visto che esiste una divisione etnica del territorio, oltre che del lavoro, gli animali della periferia che ululano come il padrone del maso raccolgono qualche firma e fanno telefonare al boss dai loro pastori e tutto muore lì, mentre quando i rumorosissimi a sgarrupatissimi animali della stalla grande si sono ribellati alla scelta di costruire proprio lì l’inceneritore ed hanno proposto di fare un referendum sono stati subito zittiti ed accusati di fare demagogia populistica ed egoistica oltre che dal padrone del maso anche dal leader dei rospi verdi locali, che normalmente strepita ed appoggia le rivendicazioni di protesta degli altri animali delle stalle di periferia.
 Ogni tanto il sindaco della stalla grande va dal padrone del maso per perorare la causa del suo recinto, e per farsi ascoltare ed evitare la fila delle sei del mattino porta con sé come Renzo anche quattro capponi, dei galli opportunamente castrati per meglio raggiungere i risultati di peso ambiti, i quali, invece di solidarizzare tra loro o compatirsi per l’imminente certa fine loro predestinata, si beccano tra loro aggiungendo dolore a dolore. Perché, essendo animali, non hanno coscienza storica e non traggono insegnamenti dalle generazioni precedenti, vivendo solamente l’esperienza presente, di istinti e fiuto di animale politico.
Perché, come diceva Orwell, “Tutti gli animali sono uguali, ma qualcuno è più uguale (e animale) degli altri!”
Alto Adige 6-10-10
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domenica, 03 ottobre 2010



IL FLIPPER DELLA STORIA

MAURO FATTOR
La questione toponomastica mette a fuoco un’idea di tempo e di storia. O meglio, l’idea di tempo che condiziona il dibattito politico e che determina il peculiare atteggiamento verso gli eventi storici comune alla Volkspartei e ai partiti che si trovano alla sua destra, cioè alla totalità dei partiti di lingua tedesca dell’Alto Adige con l’esclusione dei Verdi interetnici. L’idea è quella di un tempo ripiegato su se stesso.
 Un tempo tendenzialmente immobile, privo di profondità e schiacciato su pochi eventi. Per il buon senso comune, affermare che non si dà storia senza tempo può sembrare un’ovvietà, eppure il tempo di Durnwalder è proprio lì a dimostrare il contrario: è un tempo antistorico. Sembra una cosa complicata, ma non lo è affatto. Basta immaginare un monolite: ogni punto è eternamente identico a se stesso e non c’è distanza percepibile tra i singoli punti. Duro e refrattario. Detta così a qualcuno verrà in mente il monolite di «2001 Odissea nello spazio» di Kubrick. Perfetto. Quello di cui parliamo è identico, ma a solcare la sua superficie ci sono tre profonde fratture in corrispondenza del 1809, del 1918 e del 1922. Sono quelli i buchi neri che si divorano tutto, che attirano a sé e inghiottono tutto ciò che passa nelle vicinanze esattamente come accade con i buchi neri in astrofisica, divoratori di materia. Il tempo presente che tocca il monolite si infila immancabilmente dentro una delle tre fratture. Quella tre fratture temporali, che segnano le discontinuità decisive della storia recente (sud)tirolese, sono la griglia attraverso cui vengono vagliati l’oggi e ogni possibile futuro. Una specie di cronoflipper, si potrebbe dire. Un flipper in cui uno butta la pallina e sta lì a vedere che traiettoria prende, dove rimbalza e dove si infila. Si infilerà nel 1809 o nel 1918? Oppure nel 1922, quando Mussolini prese il potere? Non c’è evento o fatto rilevante, soprattutto su temi anche vagamente identitari, che riesca ad evitare queste forche caudine. Ed è in virtù di questo meccanismo che i monumenti del Ventennio restano fascisti per l’eternità; che l’adunata degli alpini nel 2009 risultava incompatibile con il bicentenario della rivolta hoferiana; che i toponimi italiani - a 90 anni dalla loro introduzione - sono sempre e solo ancora «le fantasiose invenzioni di Tolomei» e mai i nomi che una comunità riconosce come propri. Quelle tre fratture infatti comprimono selettivamente su pochi eventi del passato tutto ciò che accade qui e ora, ridando senso e nuova vita a regimi morti e sepolti e persino alle pietre mute. È negato qualsiasi sviluppo temporale e l’eterno ritorno dell’identico ripropone all’infinito gii stessi paradigmi. Una condanna o un’ossessione, a scelta.
 Tutto ciò ha effetti talvolta paradossali, alcuni dei quali persino grotteschi. Altri invece sono sinceramente preoccupanti. Tra quelli grotteschi da segnalarne uno fresco fresco: la possibilità di mettere in rete il Museion di Bolzano con il Mart e il Guggenheim di Venezia dentro un progetto di NordEst capitale della cultura, viene prospettata come la ricostituzione del Triveneto fascista. Ancora: il Cai - che propone una ragionevole lista di soli 2775 toponimi contro gli 8000 circa del Prontuario - viene dipinto sulla stampa di casa Athesia come l’associazione che «scommette ancora su Tolomei». E ancora: sulla Zett l’ex-capitano del Tirolo Wendelin Weingartner, fa la lezione all’Italia, Paese che, dice lui, si trova a metà del guado nel fare i conti col proprio passato fascista (il che, detto da un austriaco, fa quasi sorridere). «Chi vuole conservare il Monumento alla Vittoria - tuona Weingartner, allergico a qualsiasi complessità - vuol dire che ancora non ha tagliato i ponti con il regime che lo ha espresso. Perché un simbolo è eternamente un simbolo». Dunque i fascisti sono ancora qui, tra noi. Sono tutti coloro che si sono espressi per la storicizzazione della monumentalistica del Ventennio: storici dell’arte, urbanisti, architetti di lingua italiana e di lingua tedesca, uomini di cultura. Tutti fascisti, secondo la logica di Weingartner, condivisa da ampi settori della società sudtirolese. E qui veniamo, appunto, all’aspetto più preoccupante della questione. Che la pregnanza simbolica sia mutevole e non fissata in eterno, e che sia il tempo il motore della mutazione, è un dubbio che pare non fare breccia.
 Come già aveva efficacemente segnalato il sociologo Luca Fazzi proprio dalle colonne del nostro giornale, questo appiattimento del presente-futuro sul passato riproduce e ripropone implicitamente e con continuità un’identificazione pericolosa tra altoatesini di lingua italiana e fascismo. Questo apre la strada a processi di delegittimazione che minano il senso stesso dello Statuto di Autonomia e che fanno comprendere quanto siamo lontani dallo sfruttarne appieno le potenzialità. La società e la politica sudtirolesi non riescono ancora a fare serenamente i conti con la storia. Le tre fratture sembrano ferite eternamente aperte.
 Se a quarant’anni dal varo del Secondo Statuto e a vent’anni dalla quietanza liberatoria, in un quadro di consolidamento delle garanzie di autogoverno, l’unico spazio politico che si apre è per un forte blocco sociale a destra della Volkspartei, forse qualche domanda sarebbe opportuno farsela. Non c’è ancora superamento della storia nel senso di aprirsi al futuro, a nuovi scenari. L’idea è sempre e ancora quella di riportare il monolite alla compattezza primigenia. In questa logica revanscista di chirurgia storica ricostruttiva, si può gioire persino nello strappare un innocuo Lago Rodella alla controparte, restituendolo alla perfezione platonica di Radlsee. Ma questo non è superare la storia, questo è farci a cazzotti. Come coi monumenti. Io ti do l’Arco di Piacentini ma tu mi dai il Monumento all’Alpino. È un po’ come scambiarsi le figurine dei calciatori. I cultori della Panini ricorderanno - all’inizio degli anni ’70 - il mitico Pizzaballa, che nessuno conosceva. Pizzaballa, misconosciuto portiere prima dell’Atalanta e poi della Roma, è diventato quasi una leggenda. La sua figurina era praticamente introvabile e ha impedito a generazioni intere di bambini di concludere l’album con gli eroi della serie A. Qui, più o meno, è la stessa cosa. Siamo lì a scambiarci le cose, a barattare pezzi di identità e di storia, ma - da qualche parte - ci manca sempre un pizzaballa. Ci manca sempre qualcosa che ci consenta di dire: signori, il campionato adesso è finito. Chiudiamo l’album e pensiamo al prossimo.
Alto Adige 3-10-10
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domenica, 03 ottobre 2010



I «COMPLESSI» DEGLI ALTRI

FRANCESCO PALERMO
Le tensioni identitarie sono una costante del nostro sistema autonomistico. Con una certa regolarità affiorano e si nascondono, come un fiume carsico, ma sono sempre lì, come un ingrediente imprescindibile di una elaborata pietanza. Che per alcuni sarebbe più gustosa senza quell’ingrediente, mentre per altri ne servirebbe di più per accentuare il sapore e, in definitiva, rischia di non essere mai abbastanza.
Forse conviene cercare di riflettere a mente fredda sui fattori di identificazione con questa autonomia, e sulle differenze di percezione. In entrambi i principali gruppi linguistici della Provincia - chiamiamoli così per comodità e per definizione statutaria, pur con tutte le approssimazioni del caso, data l’intrinseca eterogeneità di un “gruppo” identificato in base ad un solo criterio (la lingua o la “etnia”) trascurando tutti gli altri - si stanno registrando profondi cambi di prospettiva, ancora poco analizzati.
Tra gli italiani è sempre più palese una certa schizofrenia di gruppo: il consenso nei confronti dell’autonomia per come è, con i suoi pregi e i suoi difetti, è in forte crescita. La volontà di integrazione è fortissima, come emerge dalle pressanti richieste di luoghi di aggregazione, di più bilinguismo, di scuole miste, non a caso chieste sia da destra che da sinistra. Parimenti, cresce la frustrazione per non vedere ricompensati gli sforzi di avvicinamento all’altro gruppo: si resta fuori dal potere, le condizioni socio-economiche disaggregate per gruppi linguistici mostrano una netta gerarchia tra gli stessi, vengono continuamente rinfacciate la colpa storica del fascismo e la presenza tollerata ma non paritaria sul territorio. Nel contempo, la migrazione da altre regioni d’Italia è in costante crescita da diversi anni.
 Gli italiani si arrabbiano, reclamano più rispetto, ma nel contempo vogliono vivere qui a tutti i costi. Un paradosso? No, perché l’identificazione degli italiani con questa terra è legata principalmente ai servizi, alla qualità della vita, alla salute complessiva della società come luogo dove poter comunque sviluppare la propria personalità e crescere i figli.
Nel gruppo linguistico tedesco la situazione è opposta. Pur essendo maggioranza dominante in tutti i settori, non solo politico ed economico ma sempre più chiaramente anche nella implicita “gerarchia etnica”, resta forte il complesso di minoranza. Pur con l’aumento del benessere, della cultura, delle opportunità di viaggiare, la cultura dell’elite urbano-borghese, che si muove con piacere da una cultura all’altra, è recessiva. Se fino a qualche anno fa era “chic” poter essere “anche” italiani, quasi con un senso di superiorità rispetto ai nord-tirolesi che erano “solo” austriaci, oggi paradossalmente l’appartenenza all’Italia viene vista con crescente disagio. E questo soprattutto per la situazione n cui l’Italia è precipitata negli ultimi anni: la perdita di ogni prestigio internazionale ha promosso nelle minoranze alloglotte un senso di vergogna. Inoltre, l’identificazione del gruppo tedesco col territorio non è primariamente legata alla qualità dei servizi come per il gruppo italiano, ma è di tipo possessorio. Non si fa un confronto tra i buoni servizi di qui e quelli disastrosi del resto d’Italia (come fanno gli italiani), ma si dà per scontato che i servizi siano come sono - analoghi a quelli offerti in Austria - e si vedono gli aspetti negativi della perdita di prestigio legata al passaporto italiano.
Il problema di fondo resta tuttavia lo stesso: scarsa percezione dei problemi e persino delle psicosi dell’altro. Non è mancanza di comunicazione, perché quella c’è - forse insufficiente, ma molto più di un tempo. E’ mancanza di attenzione e sensibilità. Oggi i media in lingua italiana guardano in modo crescente a ciò che accade nel gruppo tedesco (riflettendo la domanda di integrazione dei loro utenti), ma raramente riflettono le relative sensibilità. I media in lingua tedesca assomigliano invece sempre più a quelli austriaci. Le notizie non solo dall’Austria ma persino dalla Germania sono in costante aumento (dalla politica allo sport), l’immagine anche grafica dei giornali e il look dei presentatori televisivi è molto più vicina ai corrispondenti media austriaci di quanto lo fosse alcuni anni fa.
Il gruppo italiano accresce il proprio strabismo vedendo con un occhio la propria condizione di inferiorità, e con l’altro i servizi e la qualità della vita confrontandoli con la situazione dei parenti a sud di Salorno. Il gruppo tedesco per contro aumenta l’unidirezionalità dello sguardo, e nonostante le maggiori opportunità è meno pluriculturale di un tempo. Quando Durnwalder parla agli”italiani” parla di Bolzano capitale europea della cultura insieme al Nord-Est, quando parla ai “tedeschi” dice basta alla Vetta d’Italia.
Se si ritiene che questo sia un problema, occorre parlare di più dei “complessi” dell’altro. Agli italiani va spiegato, ad esempio, perché la toponomastica bilingue, che a loro pare un’ovvietà, è così problematica per gli altri, e al gruppo tedesco va fatto capire che “gli italiani” non sono una massa indistinta, e che soffrono ad essere marginalizzati, anche più quando ciò accade involontariamente, per semplice indifferenza.
Parlare meno e in modo diverso dei problemi di gruppo e cercare di vedere la prospettiva del governo di un territorio che riguarda tutti potrebbe essere un primo passo. Se si decide di mantenere sette ospedali o di accorpare alcuni servizi, occorre consapevolezza del fatto che questo è letto in modo diverso nei due gruppi linguistici. Idem con l’aeroporto, con la democrazia diretta e con tante altre cose.
 Porsi sempre la domanda di come la vede l’altro potrebbe essere un buon esercizio da fare tutti. Magari pensando non solo ai gruppi principali ma anche ai ladini e ai diversi gruppi immigrati. Una piccola ginnastica mentale che potrebbe fare molto più di tanti proclami.
Alto Adige 3-10-10
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giovedì, 30 settembre 2010



L’esercito nazista visto da un sudtirolese

BOLZANO. Le foto di Luis Raffeiner e i suoi ricordi degli anni di guerra passati al fronte russo come soldato della Wehrmacht stanno alla base di una mostra itinerante organizzata dall’Ufficio Educazione Permanente in collaborazione con l’Archivio provinciale, le due biblioteche provinciali e l’Edition Raetia: la mostra sarà presentata ufficialmente domani. La maggior parte delle foto sono state scattate da Raffeiner prima e durante la campagna di Russia. Se le prime mostrano scene di cameratismo e di vita quotidiana durante l’addestramento, le successive documentano distruzioni e crimini commessi al fronte. Su 13 pannelli si affronta il problema del legame tra la «grande» Storia e l’esperienza soggettiva, con tutti gli interrogativi che ne scaturiscono. A completare la mostra è una videointervista a Luis Raffeiner, registrata su incarico del Museo dell’Olocausto di Washington nel dicembre 2009. Rispetto alla maggior parte dei testimoni oculari sudtirolesi, che raccontano della guerra tacendone i crimini, Raffeiner fa un passo in avanti: parla delle azioni illegittime commesse dai tedeschi anche laddove lui stesso fu coinvolto. Un esempio che meriterebbe di essere imitato: in ogni paese vivono ancora testimoni di quegli eventi che avrebbero molto da raccontarci. Per Raffeiner la “verità” è importante, lo sottolinea spesso. Ma è anche vero che, pur essendo stato attore di questa guerra di annientamento, Raffeiner si rappresenta piuttosto come una vittima. Talvolta, mentre racconta, si rifugia nel ruolo di osservatore non direttamente partecipe degli eventi bellici oppure riassume l’inesprimibile attraverso la formula «Voi non potete immaginare». In Alto Adige a tutt’oggi manca un’aperta discussione sui crimini di guerra ai quali anche i soldati sudtirolesi presero parte sia come Ss che come membri della Wehrmacht.
 La mostra sarà bilingue ed è stata studiata anche per le scuole, per le quali saranno possibili anche visite guidate.
Alto Adige 30-9-10

"Ero in guerra: impressioni di un sudtirolese dalla campagna di Russia": è il titolo della mostra itinerante con le foto e le testimonianze di Luis Raffeiner sul fronte russo della Seconda guerra mondiale promossa dall’Ufficio provinciale educazione permanente in collaborazione con l’Archivio provinciale, le biblioteche provinciali Teßmann e Claudia Augusta e la casa editrice Raetia.
La maggior parte delle foto sono state scattate da Raffeiner prima e durante la campagna di Russia. La mostra viene completata da un’intervista-video con Luis Raffeiner registrata su incarico del Museo dell’Olocausto di Washington nel dicembre del 2009. La mostra è bilingue e si presta particolarmente all’esposizione nelle scuole, biblioteche, comitati ed agenzie di educazione permanente.




La presentazione della mostra è in programma a Bolzano

venerdì 1° ottobre,alle ore 10.30
nella Sala stampa della Provinciaa Palazzo Widmann, in via Crispi 3.


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martedì, 28 settembre 2010



I Lager nazisti raccontati ai più giovani

Saranno 150 i giovani altoatesini che prenderanno parte al viaggio del «Treno della memoria» che li porterà a visitare alcuni dei luoghi più simbolici dell’Olocausto. Il percorso educativo è stato proposto dall’associazione «Terra del Fuoco» e realizzato grazie alla collaborazione e al sostegno della Provincia. Il «Treno della Memoria», giunto alla sua settima edizione sul territorio nazionale, vedrà la partecipazione di ragazzi di età compresa tra i 17 e i 24 anni provenienti da tutta la provincia. «Il progetto è un percorso di conoscenza e di impegno che si propone di stimolare nei giovani la consapevolezza del loro ruolo di cittadini attivi e consapevoli, coltivando il valore della memoria dell’olocausto e della shoah, affinché ciò che e’ accaduto durante la seconda guerra mondiale non si ripeta mai più. Un percorso di crescita culturale e personale», commentano gli assessori Tommasini e Kasslatter Mur.
 Il percorso educativo si fonda sui principi dell’educazione non formale tra pari e si articola in tre diverse fasi: l’approfondimento storico sugli avvenimenti della Seconda guerra mondiale; il viaggio in treno a Cracovia (durata complessiva di sei giorni) con visita ai campi di Auschwitz - Birkenau ed al Ghetto ebraico della città; quattro incontri successivi al viaggio per riflettere sull’esperienza e guardare al futuro.
 I ragazzi, suddivisi in otto gruppi, saranno accompagnati nel percorso e nel viaggio da 16 giovani educatori volontari della Provincia di età compresa tra i 20 e i 32 anni. I ragazzi dai 17 ai 24 anni potranno prendere parte al progetto iscrivendosi entro il 20 ottobre. Per informazioni ed iscrizioni contattare Verena Hafner presso l’Arbeitsgemeinschaft der Jugenddienste (verena@jugenddienst.it - 0471/402106) o Luca Bizzarri presso il Servizio Giovani (luca.bizzarri@provincia.bz.it - 0471/411292). Il Treno della memoria è un progetto dell’Ong «Terra del Fuoco» nata nel 2001 a Torino, promossa da un movimento di giovani per il sostegno al processo d’integrazione europea basato sulla dignità e sui diritti delle persone.
Alto Adige 28-9-10
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lunedì, 27 settembre 2010



Referendum facile, premio ai Comuni

BOLZANO. Nasce il premio per la democrazia diretta. Verrà attribuito a coloro che si impegnano maggiormente nella realizzazione di nuove forme e regole valide «per la partecipazione democratica delle cittadine e dei cittadini alla ricerca delle decisioni migliori».
 L’Iniziativa per più democrazia da questo anno conferisce annualmente la «Rosa della Democrazia».
 La prima edizione ha visto in questo fine settimana la consegna del premio ai comuni di Fiè, Lana, La Valle, S. Candido, Ortisei, Varna, e Verano.
 Una rosa rossa in un cilindro di vetro nel 1972 era stato un elemento di una performance artistica di Joseph Beuys. Da allora la rosa è simbolo di iniziative mosse dal rispetto della dignità dell’essere umano che perseguono la realizzazione, sempre più avanzata, dell’idea della democrazia. E questo è il simbolo utilizzato per il premio.
 Questa la motivazione per l’onorificenza sull’attestato: «L’Iniziativa per più democrazia onora la decisione di queste amministrazioni comunali di non prevedere un quorum di partecipazione come condizione per la validità di un voto referendario comunale. Tale decisione è esemplare e ha carattere di modello per la regolamentazione dei diritti democratici della partecipazione politica diretta. Essa è segno di una nuova fiducia della rappresentanza politica nella capacità delle cittadine e dei cittadini di decidere loro stessi quando e in che modo la loro partecipazione al voto è importante». La “Rosa della Democrazia” e l’attestato sono stati consegnati da gruppi di cittadini del rispettivo Comune ai sette sindaci e alle amministrazioni comunali. Anche i Comuni di Dobbiaco e Terento hanno cancellato il quorum di partecipazione dallo loro statuto. Riceveranno presto l’attestato.
Alto Adige 27-9-10
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lunedì, 27 settembre 2010



Avviato il volontariato linguistico per imparare il tedesco

BOLZANO. E’ partito il «volontariato» linguistico per imparare il tedesco, un progetto coordinato dall’ufficio bilinguismo e lingue straniere della Provincia. Il primo appuntamento è stato tenuto a battesimo dall’assessore Christian Tommasini, che ha avuto accanto a sé una delegazione di politici e amministratori della Catalogna. E’ infatti da un’esperienza della bilingue regione catalana che l’assessorato ha preso riferimento. Questa forma di tandem linguistico è basata sull’adesione volontaria di persone che intendono migliorare la propria conoscenza del tedesco, soprattutto parlato, e persone di madrelingua tedesca che mettono a disposizione il proprio tempo. Verranno formate «coppie linguistiche» che periodicamente si incontreranno per sessioni di conversazione in tedesco. Lo schema presentato prevede dieci incontri settimanali di un’ora.
 Il progetto è aperto a maggiorenni che dispongano di conoscenze minime di tedesco. Questi incontri, viene sottolineato, daranno la possibilità all’apprendente di acquisire fluidità e sicurezza nella lingua del volontario, favoriranno lo scambio reciproco di esperienze, di conoscenze linguistiche e culturali e saranno motivo, perché no, di nuove amicizie». La comunicazione interculturali tra i due gruppi linguistici, è la filosofia, «rappresenta un fattore necessario, se non indispensabile per oltrepassare le barriere sociali». Informazioni all’ufficio bilinguismo e lingue straniere di via del Ronco 2 (0471-411272, www.infovol.it).
Alto Adige 27-9-10
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categoria:cultura
venerdì, 24 settembre 2010



Democrazia diretta, il comitato vuole la legge

BOLZANO. Il 25 ottobre dello scorso anno 114.884 dei 148.815 votanti (ovvero l’83 per cento di chi si recò alle urne per il referendum) si espressero a favore della proprosta dell’Iniziativa per più Democrazia in Alto Adige. Si trattò di un tentativo di miglioramento concreto della legge sulla democrazia diretta. Solo il 16,8 per cento (cioè 23250 elettori) votò contro. A seguito del mancato raggiungimento del quorum il referendum venne dichiarato nullo. Sarebbero bastati 7344 elettori in più. A quasi un anno dal ricorso alle urne la Volkspartei, sulla base del risultato ottenuto, ha promesso di portare in consiglio provinciale una riforma della legge attualmente in vigore. La promessa è però, sino ad oggi, rimasta disattesa. Nel febbraio scorso l’assemblea dei soci dell’iniziativa ha deciso di elaborare una sua proposta di riforma della legge in vigore. In particolare la proposta prevede l’abbassamento del quorum, la garanzia dell’obbiettività dell’informazione, la possibilità di portare a referendum anche le delibere della giunta provinciale e la presenza di una clausola a protezione dei gruppi linguistici.
Alto Adige 24-9-10
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mercoledì, 22 settembre 2010



Patentino, la giunta ha firmato il certificato di morte E adesso? Una scuola trilingue

Patentino, la giunta ha firmato il certificato di morte E adesso? Una scuola trilingue Una sentenza europea,sollecitata dalla moglie del propugnatore del bilinguismo precoce altoatesino, ha annullato il monopolio dello storico Patentino. Una sentenza del tribunale amministrativo di Bolzano ha annullato un Concorso di Stato,”annullando” la stessa ricorrente, quasi per nemesi. Il fuoco di sbarramento dell’avvocatura ed una interpretazione amica ha “annullato la sentenza di annullamento”. Il Patentino aveva la stessa certezza del diritto. Prima era a scadenza. Poi pensarono bene di renderlo eterno. Ora eridotto ad una parvenza di esame. Non costava nulla farlo. Anzi, se lo andavi a sostenere ti davano un giorno libero pagato, ti rimborsavano le spese di viaggio e ti pagavano un bel pranzo a Bolzano. Certo, per convincere l’amministrazione che questo era previsto da una legge ancora vigente dovetti ricorrere all’aiuto del Procuratore della Corte dei Conti. E fu spiccio col mio Gran Capo: “Lei e’un cretino. La legge e’ chiarissima. Paghi il Suo dipendente”,gli disse. Mi dispiacque per il Gran Capo. Sono convinto che la colpa fu del suo vice, esperto di diritto, che ha fatto carriera pur avendo la lingua biforcuta. Aprirono una voce in Bilancio per pagarmi “i pranzi del Patentino” nei migliori ristoranti di Bolzano per 19 anni.Pochi sanno che possono chiedere l’indennità di missione per il Patentino. Era un Esame di Stato strano:la prima volta che andai all’orale uno dei quattro della Commissione, a me che osservavo che la Norma non prevedeva per l’orale del Patentino A la traduzione di “Quattroruote” e dello “Spiegel”, ma “un colloquio di uguale difficoltà in lingua italiana e in lingua tedesca”, ribattè:”A noi non interessa la Legge.Lei deve solo dimostrarci di sapere perfettamente le due lingue!”Ad un Esame di Stato,non si applicavano le Leggi dello Stato! Feci un Ricorso Straordinario al Presidente della Repubblica Cossiga: a Roma non sapevano che pesci pigliare. Rimandarono le carte a Bolzano, fecero confezionare la risposta sballata da 6 esperti di diritto distaccati al Commissariato e me la rispedirono da Roma in busta dell’Ufficio Legale della Presidenza della Repubblica.Mi era sbollita la rabbia. Ora scopro che si vola in Germania per risparmiare tempo per la certificazione della conoscenza del tedesco.Si spendono 2000 euro. Per fare il Patentino spendevo 20.000 lire (10 euro).Certo, ci ho messo quasi 20 anni, ma vuoi mettere la soddisfazione di chi studia da se.Anche a Bolzano si poteva accorciare:si andava a lezioni private, talvolta da chi doveva esamine. Era vietato, ma vuoi mettere: si risparmiavano anni. Poche fatiche, con la modica cifra di due stipendi. Ora la Giunta ha di fatto decretato la morte di una Norma di Attuazione. Dato che ci siamo, eliminiamo tutto, facciamo come nelle valli ladine: un referendum popolare per una vera scuola trilingue.
Alto Adige 22-9-10
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domenica, 19 settembre 2010




Golser: la cultura è convivenza

Giancarlo Ansaloni
Monsignor Golser, come giudica l’iniziativa di candidare Bolzano a capitale europea della cultura con il Nordest, e ritiene che la Chiesa abbia titoli per partecipare a questa manifestazione?
 «Bolzano è una città che mostra come la cultura unisce. Nella nostra regione convivono pacificamente persone di culture e di religioni differenti che considerano la convivenza un compito fondamentale in quanto residenti in questa Diocesi, la cui vocazione consiste proprio nell’impegno per una convivenza pacifica tra i gruppi linguistici. È una grande ricchezza imparare gli uni dagli altri, godere di questa grande opportunità di poterci agganciare a due culture. I due maggiori gruppi etnici che convivono in Alto Adige sono come i due polmoni che danno forza e vita alla nostra terra. Soltanto quando ci sono reciproche amicizie e mutua conoscenza risulta facile riconoscere nell’altro gruppo linguistico non una concorrenza ma una possibilità di apertura a un mondo più grande, e questo in vista della vocazione della nostra terra di essere un ponte fra le culture».
 Secondo Lei, Bolzano può contare su peculiarità tali da riuscire a mettersi in luce pur fra tante città del Nordest che godono di prestigio addirittura mondiale, come Venezia o Verona, di fronte alle quali uscirebbe probabilmente soccombente se si mettesse in competizione con esse,soprattutto in fatto di patrimonio artistico e culturale e, tutt’altro che ultima, anche di tradizione religiosa?
 
Bolzano rispecchia la diversità europea. Per quanto riguarda l’aspetto culturale offre molto. Certamente questa città è una famosa meta turistica, grazie al territorio, all’ospitalità, ai monumenti e alle bellezze naturali. Ciò che però contraddistingue Bolzano è il fatto di essere una città che ha una grande tradizione di volontariato e di solidarietà e questo è un vero bene culturale. In questo contesto è da menzionare l’impegno di molti volontari che offrono la loro disponibilità a coloro che vivono ai margini della società. È da menzionare anche la presenza e la varietà di numerosi ordini religiosi a Bolzano. Non si può contare e misurare l’impegno di queste comunità, ma è sicuramente una grande ricchezza da non sottovalutare.
 Alla luce di quanto sopra, quali potrebbero essere gli elementi distintivi, che la Chiesa locale potrebbe mettere sul tappeto, forte di una storia plurisecolare che abbraccia praticamente tutti i settori della vita civile?
 
La Chiesa viene considerata come luogo di celebrazioni, come luogo di opere d’arte e luogo di silenzio. La città si caratterizza anche per l’arte di molte Chiese, per le visite guidate e per i concerti proposti nelle Chiese. Bolzano è attenta anche alla salvaguardia del creato - puntando anche sul trasporto ecologico. Noi per esempio abbiamo installato dei pannelli fotovoltaici sul tetto del Centro Pastorale.
 Il Vecchio Tirolo è stato teatro di forti conflitti religiosi, superati non sempre in modo incruento; oggi l’erede del Vecchio Tirolo, l’Alto Adige - Südtirol, si è trovato ad affrontare conflitti di natura etnica di fronte ai quali la Chiesa è riuscita a giocare un ruolo di protagonista nel processo di pacificazione che ha evitato rischi di scontri sanguinosi. Secondo Lei l’esperienza dell’opera di pacificazione esercitata nel corso degli ultimi decenni, guardando ai positivi risultati raggiunti in fatto di convivenza può essere presa in considerazione in qualche modo come tema fra le diverse iniziative inquadrate nel programma della manifestazione?
 
 Lei parla della politica repressiva del Fascismo nei confronti della comunità tedesca in Alto Adige che ha colpito profondamente la Chiesa. Molte associazioni cattoliche, tra cui per esempio anche la Kolping, non hanno più potuto svolgere le loro attività. Anche il Liceo dei Canonici Regolari di Sant’Agostino a Bressanone e quello dei Benedettini a Merano sono stati chiusi nel 1926. La Sovrintendenza scolastica ha persino cercato di imporre la lingua italiana per l’insegnamento di religione. È stato deciso quindi di insegnare religione al di fuori dell’ambito scolastico ufficiale. Senza successo il regime fascista ha tentato di italianizzare le celebrazioni liturgiche. La Chiesa di allora si è impegnata notevolmente nell’ambito delle cosiddette “Katakombenschulen”. Infatti, era proibito l’insegnamento della lingua tedesca sia a scuola che privatamente. Per questo sono state impartite di nascosto lezioni di tedesco ai bambini sudtirolesi. In parte hanno insegnato anche i sacerdoti durante le lezioni di religione.
 La memoria aiuta a capire meglio e a far riflettere su quanto la Chiesa abbia contribuito negli ultimi decenni a costruire una comunità dove si vive insieme in pace.
 
E non va dimenticata la testimonianza di fede che tanti hanno vissuto in situazioni difficili. Vorrei citare Josef Mayr-Nusser che è stato un grande testimone e martire della fede del Novecento, la cui figura merita di essere annoverata fra le più nobili della nostra terra.
 La maggior parte degli interpellati ritengono che l’iniziativa Bolzano Capitale debba avere una prevalente funzione (suggerita peraltro dal regolamento europeo del concorso) di crescita culturale, di identificazione e approfondimento della conoscenza della realtà, rivolta soprattutto alle popolazioni locali grazie al confronto e allo scambio con le altre realtà regionali coinvolte, sia pure senza trascurare l’aspetto turistico che avrebbe comunque una funzione “divulgativa”. Lei è d’accordo con questa visione e quali benefici potrebbero derivarne per la convivenza in questa nostra terra?
 
A noi, come Diocesi, spetta il compito di promuovere gesti e iniziative che contribuiscano a far sì che questa convivenza non rimanga solo una teoria ma che si realizzi concretamente. In questo modo si contribuisce al fatto che Bolzano diventi una città del dialogo, anche e non per ultimo grazie alle iniziative del “Giardino delle religioni”, e grazie alle manifestazioni ecumeniche e interreligiose.
Alto Adige 19-9-10
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categoria:cultura, sociale
domenica, 19 settembre 2010



Italiani fascisti, lo stereotipo

Luca Fazzi
E, da parte dei vertici Svp, di apertura. In questo clima di rinnovato ottimismo sembra che l’affermazione secondo cui solo i cartelli su terreno pubblico devono essere bilingui si scontri con il posizionamento su terreni privati di circa l’80% della cartellonistica viene visto come un dettaglio di poco conto. Anche se non più tardi di qualche settimana fa l’onorevole Karl Zeller individuava nella proprietà privata della grande parte dei terreni dove sono posizionati i cartelli l’escamotage per mantenere monolingue la quasi totalità della nuova toponomastica Avs. In questo clima surreale i politici di ogni ordine e grado sono andati a nozze offrendo onestamente il peggio di sé. L’Obmann della Svp ha posto come priorità assoluta l’eliminazione dello stele di Mussolini di cui la grandissima maggioranza di bolzanini sia italiani che tedeschi non è in grado di risalire al posizionamento. Spagnolli, che per cinque anni è stato sindaco assolutamente immobile sulla questione, dopo avere ricevuto il là da parte della giunta provinciale si è fatto paladino della rimozione della cancellata del monumento. L’affermazione però più significativa per rintracciare i non detti che spesso dietro questi dibattiti si celano è stata quella secondo la quale gli italiani di Bolzano hanno votato in maggioranza contro l’introduzione del nome di piazza della pace. L’idea che gli italiani siano dei nazionalisti pervade da anni il dibattito politico locale. Il cosiddetto disagio ad esempio è ancora oggi da parte di molti esponenti di spicco del partito di raccolta e di tutti gli oltranzisti dell’estrema destra nazionalista un problema di mancato adattamento di persone che pensano ancora di essere in Italia e persino che sostiene che la provincia di Bolzano è territorio italiano - affermazione che da un punto di vista amministrativo non fa un piega - viene trattato come un erede dei colonizzatori fascisti degli anni’30. Stesse argomentazioni. Quindi stessa mentalità. Quindi nemici, corpi estranei. “Walschen”. I blog e i magazine dei cosiddetti “patrioti” sono un armamentario di stereotipi e rappresentazioni artefatte della realtà che giorno dopo giorno acquisiscono nuovi simpatizzanti. Ma gli italiani della provincia di Bolzano sono davvero dei nazionalisti? E gli italiani “buoni” sono solo quelli che approvano in toto il rigurgito nazionalistico di un partito di raccolta messo alle corde dall’emersione prepotente della destra tedesca nelle periferie? Ripartiamo dall’affermazione più recente secondo la quale la stragrande maggioranza dei bolzanini italiani sono fascisti, perché hanno votato contro la proposta Salghetti di cambiare il nome di piazza vittoria in piazza della pace. Nel referendum del 2002, voluto da un Salghetti ormai affaticato dalle continue guerre intestine della sua maggioranza e ostaggio dell’ala destra della Svp guidata dal falco Oswald Ellecosta, 61,94% dei votanti si espresse per il ripristino del vecchio nome a fronte di n 38,06% di contrari. Su 80.032 aventi diritto al voto votarono però solo 50.605 abitanti di Bolzano il che equivale a 31324 per persone che si espressero controre intenzioni della giunta Salghetti. In una città di 100000 abitanti, dove gli italiani rappresentavano il 73% della popolazione (quindi 73000 abitanti) questo significa a rigore che i favorevoli alla mantenimento della denominazione di piazza della vittoria erano nella migliore delle ipotesi meno della metà degli italiani residenti e non la stragrande maggioranza. Molti commentatori al tempo reputarono inoltre che, nonostante la drammaticità di quel dibattito politico, l’elevata percentuale di astensioni poteva essere considerata un segno inequivocabile del fatto che la società civile era molto più avanti del dibattito politico del tempo. Che la maggioranza assoluta degli italiani non abbiano niente a che fare con il fascismo è dimostrato oggi da una molteplicità di altri fatti. Nonostante la drammatica perdita di potere politico, economico e sociale, il gruppo italiano inoltre non ha sostenuto, nonostante la scarsa consistenza politica dei partiti italiani filoautonomisti, alle recenti elezioni i partiti del centro destra italico che pure hanno fatto della battaglia identitaria un cavallo di battaglia della propria campagna elettorale. Anche i partiti del centro destra locale che all’occasione sono indicati come i veri nemici dell’autonomia in realtà sono diventati ormai partner istituzionali del governo locale come dimostra il caso del comune di Merano dove ex rappresentanti dei partiti di destra italiani sono stati nominati assessori della Giunta Januth. Che la maggioranza degli italiani siano in fondo rimasti ancorati all’idea che la provincia di Bolzano sia terra italiana è un’idea che al massimo si ritrova in alcuni pamphlet giornalistici. La realtà è che la maggior parte degli italiani non chiede altro che potere vivere in condizioni dignitose in questa terra e avere rispettati alcuni principi fondanti per la propria sopravvivenza:la possibilità d accedere al lavoro, di cogestire parti minimali ma vere di potere, di avere una rappresentanza politica autonoma, di non vivere in enclaves territorialmente e culturalmente isolate dal resto della provincia, di superare l’atteggiamento di ostilità, che alimenta ancora oggi la gran parte del dibattito politico locale. Chi continua a accusare gli italiani di essere gli eredi del fascismo in fondo, o non conosce il mondo oppure agisce in modo strumentale per mantenere o conquistare potere. Invece di discutere di relitti fascisti, la politica dovrebbe porsi seriamente il problema di iniziare a formulare un disegno nuovo per la società locale. Una società dove le persone invece di ragionare per stereotipi sono educate a pensare con al propria testa.
Alto Adige 19-9-10
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categoria:cultura
giovedì, 16 settembre 2010



La malattia non è il patentino ma i gruppi che vivono sempre separati  

In questo periodo più voci nella nostra provincia hanno sottolineato l’importanza di migliorare l’apprendimento della seconda lingua.
 Il settore economico chiede personale plurilingue. La scuola italiana si attrezza per l’apprendimento veicolare del tedesco alle elementari e offre un servizio di “pseudo-tandem” linguistico agli adulti che vogliono parlare tedesco.
 La Provincia infine si arroga il diritto di rivalutare a livello linguistico i dipendenti provinciali neo-assunti (già in possesso di patentino) e così squalifica le varie agenzie di insegnamento delle lingue, praticamente annullando il senso della loro esistenza.
 Mi sembra che tutto questo fiorire di azioni sia un po’ come voler costruire una casa dal tetto anziché dalle fondamenta.
 Mi pare che nessuno voglia affrontare seriamente quello che a mio avviso è il motivo basilare di questo scarso apprendimento, e cioè la separazione voluta e sistematica dei gruppi linguistici, unita spesso ad un atteggiamento di disprezzo e prevaricazione nei confronti delle etnie “altre”. evidente che dire a un bimbo di studiare un’altra lingua perché questo gli permetterà da grande di trovare più facilmente lavoro non ha senso.
 Egli vive nel presente e ha bisogno di motivazioni immediate, ad esempio parlare e giocare col vicino: azioni che dovrebbero essere normali in una zona dove coabitano più gruppi linguistici, e che si sviluppano spontaneamente nei campeggi o in vacanza.
 Ma se il vicino è disprezzato, e si ritiene fondamentale che il proprio gruppo rimanga “puro” e non si inquini nella mescolanza con gli “altri”, il bambino non parlerà con l’altro bambino.
 E l’obbligo di impararne la lingua sarà un peso e non un’opportunità.
 Questo è proprio quello che accade in Alto Adige Suedtirol, dove è d’obbligo mantenere le separazioni, dal settore scolastico, a quello culturale (giornali, spettacoli, biblioteche separati), e via via in tutti gli ambiti in cui questo è possibile, non escluso quello religioso (le funzioni sono tutte in un’unica lingua e piuttosto che unire, separano).
 I gruppi etnici non si frequentano, e si è costretti a ricorrere a soluzioni artificiali anche molto costose per cercare di raggiungere ciò che in una società aperta accade naturalmente, e cioè che si apprenda la lingua dell’altro. Il pacchetto in parte -ma solo in parte- codifica queste divisioni etniche.
 Credo però che la volontà fondamentalmente del gruppo dominante tedesco (attualmente arroccato in una chiusura poco al passo coi tempi) non sarebbe impossibile superarne i sacri limiti (esattamente come sta facendo ora -ma a nocumento del solo gruppo etnico più debole - con la segnaletica sui sentieri di montagna).
 Si restituirebbe così a tutti i cittadini -italiani e tedeschi- il diritto di conoscersi e di vivere finalmente in pace apprezzando il vicino anche se diverso, e di ampliare la propria conoscenza e cultura.
Elisabetta Bertolucci
Alto Adige 16-9-10
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categoria:cultura
martedì, 14 settembre 2010



Vandana Shiva: «La mia battaglia contro gli Ogm»

MARCO RIZZA
Vandana Shiva, attivista per i diritti umani, ambientalista, da anni una delle figure di spicco del dibattito mondiale sullo sviluppo sostenibile, sarà a Bolzano per inaugurare la Settimana della cooperazione allo sviluppo, manifestazione organizzata dalla Provincia dal 25 al 30 settembre e dedicata quest’anno a «La ricchezza del Sud del mondo». Sono attesi altre personalità importanti come lo svizzero Jean Ziegler e l’iraniana Mansoureh Shojaee. Abbiamo intervistato Vandana Shiva, che al momento si trova ancora in India e che arriverà in città proprio il giorno dell’apertura del convegno per parlare in particolare di biodiversità e della questione dei brevetti delle risorse biologiche.
 Perché il problema dei brevetti è così importante per le condizioni di vita dei contadini dei Paesi in via di sviluppo?
 
La biodiversità è la vera ricchezza dei Paesi del Terzo Mondo. Garantisce il reddito e il cibo. Il 70% delle persone del Sud del mondo vive in una economia basata sulla biodiversità: la biodiversità è la base della loro produzione, della loro conoscenza e della loro cultura. Ora: le nuove leggi sulla proprietà intellettuale adottate dal Wto hanno scatenato una epidemia di pirateria nei confronti del sapere milleniario delle popolazioni indigene. I brevetti sulle sementi e sulla biodiversità sono tentativi di drenare ricchezza dal Sud al Nord del mondo. Le royalities ottenute dalle multinazionali ad esempio sulle sementi del cotone Bt (un cotone geneticamente modificato per resistere al batterio Bt, ndr) hanno fatto salire a tal punto i prezzi che centinaia di migliaia di contadini indiani si sono indebitati, e circa 200 mila si sono uccisi.
 Concretamente come si può intervenire?
 
Per esempio come Navdanya (una rete di comunità contadine rurali indiane, che coinvolge circa 500 mila persone, ndr) abbiamo svolto battaglie contro la biopirateria del neem (un albero indiano, ndr), contro il tentativo di brevettare il riso basmati e contro i brevetti che la Monsanto (una multinazionale di biotecnologie, ndr) voleva imporre alla varietà indiana di frumento «Nap Hal». Abbiamo sempre vinto.
 La sua è una delle voci più forti contro la diffusione degli Ogm nell’agricoltura dei Paesi in via di sviluppo. Perché è così contraria? L’Alto Adige vorrebbe vietare coltivazioni transgeniche: come valuta questa scelta?
 
Gli Ogm sono la base per i brevetti delle sementi e della vita. Sono un fenomeno negativo sia perché stabiliscono monopoli sui brevetti sia perché introducono pericoli per l’ambiente e per la salute. Il più piccolo posto libero da Ogm è una luce in mezzo al buio.
 Però c’è anche chi afferma che grazie agli Ogm aumenteranno le produzioni agricole nei Paesi poveri e quindi miglioreranno le condizioni di vita dei contadini.
 
Chi dice queste cose parla contro ogni evidenza scientifica. L’India è un chiaro esempiodi come gli Omg impoveriscono i contadini e non portano benefici.
 Lei è una delle leader del movimento antiglobalizzazione. Quali sono le principali battaglie che crede che il movimento abbia vinto? Quali sfide ha davanti? Che ruolo gioca l’Italia in questo campo?
 
Le vittorie più importanti sono state a Seattle, Cancun e Honk Hong, dove abbiamo impedito alla Wto di imporre al mondo regole non eque per ill commercio. Un’altra vittoria è stata mostrare come le regole del Wto per esempio sulla proprietà intellettuale sono alla radice di povertà e fame. Le sfide principali riguardano ora le multinazionali che, stoppate nel Wto, ora usano accordi commerciali bilaterali (come quello Ue-India) per imporre la stessa agenda che volevano imporre al Wto. L’Italia è nell’Ue e quindi è coninvolta nel trattato con l’India.
Alto Adige 14-9-10
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categoria:cultura, sociale
lunedì, 13 settembre 2010



Minnei: nuovi progetti per il tedesco

MAURIZIO DALLAGO
BOLZANO. Per Nicoletta Minnei si tratta del primo avvio dell’anno scolastico nella carica di Sovrintendente per la scuola in lingua italiana. L’obiettivo è quello di migliorare metodi e risultati sui fronti dell’apprendimento linguistico ed in generale di tutte le materie in un comparto così complesso come è il mondo scolastico. Docenti, alunni, famiglie degli scolari, macchina amministrativa. Tutti attori che dovrebbero portare al traguardo finale di produrre diplomati in grado di proseguire gli studi all’università, oppure - ai livelli inferiori di studio - di essere competitivi sul mercato del lavoro in qualsiasi professione.
 Sovrintendente, nel resto d’Italia il problema dei precari resta un nodo irrisolto. Qui c’è disoccupazione tra gli insegnanti?
 
«La nostra situazione è radicalmente diversa. Entro la fine d’agosto vengono assegnate le diverse cattedre presso l’intendenza. Quando i posti restano liberi sono i singoli istituti scolastici ad attingere dalle graduatorie presso le singole scuole. Pensi che quest’anno erano rimasti vacanti dopo la prima assegnazione anche posti di insegnamento di italiano nelle medie del capoluogo»
 Allora c’è il problema opposto: non si trovano insegnanti?
 
«Alla fine tutti i posti vengono coperti, compresi quelli nelle materie tecnico scientifiche oppure per lingua II, proprio grazie alle graduatorie nei singoli istituti».
 Quanti sono gli iscritti nelle scuole di lingua italiana nell’anno scolastico che parte oggi?
 
«Stando agli ultimi dati si tratta di 19.615 persone, dalla scuola per l’infanzia alle superiori, comprese le paritetiche. Nello specifico si tratta di 6.107 iscritti alle elementari, 3.723 alle medie e 5.138 alle superiori».
 E gli insegnanti?
 
«Abbiamo 1.840 docenti, escluse le paritarie su cui non abbiamo competenza nelle assegnazioni di cattedra, a cui si aggiungono circa 500 insegnanti nelle scuole per l’infanzia. I dirigenti scolastici sono 26».
 Rispetto all’anno scolastico precedente gli scolari sono aumentati?
 
«Sì, di circa 300 unità, soprattutto alle superiori, dove l’aumento è pari al 3 per cento».
 A quanto ammontano i docenti che sono andati in pensione con lo scorso anno scolastico?
 
«Una cinquantina, compresi alcuni dirigenti scolastici»
 Da almeno una decina d’anni sono aumentati gli alunni stranieri. Quanti sono?
 
«Gli iscritti di nazionalità straniera sono 2.750 pari a circa una media del 20 per cento, più bassa alle superiori dove rappresentano il 12-13% degli studenti».
 Sono una risorsa o un ostacolo per la scuola italiana?
 
«Dobbiamo tenere presente che nella stragrande maggioranza dei casi, questi scolari, pur avendo la cittadinanza straniera, sono nati e cresciuti qui, quindi non hanno problemi di apprendimento particolari. Quando invece non conoscono a sufficienza l’italiano o altre lingue, frequentano i centri linguistici già attivi da 3 anni».
 Passiamo ad un tema che affligge da anni i genitori degli scolari italiani, l’apprendimento del tedesco. Ci sono novità?
 
«Intanto è da registrare con favore un mutamento di clima rispetto all’apprendimento del tedesco: le motivazioni sono maggiori. Si inizia con il bilinguismo precoce già alla scuola per l’infanzia e quest’anno si amplierà - oltre a proseguire - il numero delle scuole primarie con progetti di potenziamento dell’insegnamento della seconda lingua».
 Con quali metodi?
 
«Il metodo è quello dell’insegnamento veicolare che dà buoni frutti. Si utilizza sempre più diffusamente il metodo Clil (acronimo di Content and Language Integrated Learning, ndr) che si presta sia alla disciplina che alla lingua straniera veicolare».
 Basta per uscire dalla scuola dell’obbligo o dalle superiori, conoscendo la lingua tedesca?
 
«Questo è un settore in cui ci si può sempre migliorare, non sappiamo se è solo questa la strada vincente. Importanti, ad esempio, sono anche gli scambi che avvengono alle superiori e la comunicazione extrascolastica, su cui si sta impegnando anche l’assessorato provinciale alla scuola italiana. Di certo posso dire che la qualità dei docenti di seconda lingua è elevata e quest’anno abbiamo anche un nuovo ispettore di lingua II».
 L’apprendimento della seconda lingua potrebbe andare a discapito delle altre materie. Cosa indicano le ultime prove Invalsi sulla valutazione della scuola altoatesina di lingua italiana?
 
«Siamo consapevoli che tutte le materie hanno la loro importanza ed anche i risultati degli ultimi test Invalsi dimostrano che siamo sulla strada del miglioramento delle prestazioni. Siamo sopra le media italiana, ma ultimi nel Nord-Est. Possiamo e cerchiamo di migliorare, anche perché dovremo confrontarci anche in futuro e sempre di più, con questi metodi di valutazione del nostro sistema educativo. Mi fa piacere constatare che siamo a livelli di eccellenza per la matematica in quinta elementare. Non dimentichiamo che la nostra è una realtà scolastica diversa da quelle di tutte le altre regioni, Valle d’Aostra compresa».
Alto Adige 13-9-10
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categoria:cultura
domenica, 12 settembre 2010



E se i ragazzi volessero le scuole unite?

Prof. Francesco Bragadin BOLZANO
Qual è la peculiarità della scuola in Alto Adige? L’evidenziazione del territorio dal punto di vista delle tre culture predominanti quella tedesca, quella ladina e quella italiana. Si parla di qualità e di ricerca di un insegnante sempre più preparato per evidenziare le qualità della terra in cui vive ed in questi spirito leggo la chiusura verso gli insegnanti provenienti da altre provincie italiane; si cercano di ottimizzare le risorse evidenziando le capacità di autocontrollo degli alunni aumentando il numero di studenti per classe ed in questo senso si potrebbe capire la grande massa di precari a cui non è stato dato il posto di lavoro e la mancanza di cattedre messe in ruolo; ma tutto questo è condizione necessaria e sufficiente per rendere la scuola altoatesina esempio e modello? Ai nostri studenti piace davvero questa divisione delle scuole? Perché non chiedere a tutti gli studenti se finalmente vogliono fare un’unica scuola con sezioni nelle varie lingue ma all’interno dello stesso edificio?
 E’ troppo chiedere questa riforma epocale ed antropologicamente indispensabile per chiedere il definitivo sdoganamento delle divisioni etniche? Dov’è andata a finire l’idea fondamentale di Socrate “so di non sapere”? Essa permette il vero scambio di culture, a volte antitetiche, ma unite dallo stesso denominatore comune: la conoscenza. Si è riuscito ad abbattere il muro di Berlino grazie anche agli studenti ed alla cultura e non si riescono ad abbattere i muri e le strade che devono unire invece che dividere gli edifici scolastici e le anime della città.
 Abbattiamo i muri culturali per creare una scuola capace di creare coscienze ed identità singole, capaci di discernere e di valutare senza troppi mediatori atti solo a distogliere l’obiettivo principe che è, e rimarrà sempre, l’approfondimento del sapere che permette l’evidenziazione delle proprie inclinazioni ed attitudini che, nella loro eterogeneità, rendono forte la società.
 Il mio augurio: buono studio ed in bocca al lupo per l’anno scolastico ed accademico che è in partenza.
Alto Adige 12-9-10
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categoria:cultura
giovedì, 09 settembre 2010



Volontariato linguistico

 BOLZANO. Il vicepresidente della Provincia, Christian Tommasini ha presentato il progetto di volontariato linguistico “Voluntariat per les llengües - Parliamoci in tedesco - Ich gebe mein Deutsch weiter”, un programma per lo sviluppo dell’uso quotidiano del tedesco. Riuscire a parlare in tedesco grazie all’aiuto di un concittadino di lingua tedesca disponibile, condividendo interessi comuni nel tempo libero: è l’obiettivo del progetto di volontariato linguistico “Voluntariat per les llengües” adattato alla realtà altoatesina, rifacendosi ad un’iniziativa di successo realizzata a Barcellona e in tutta la Catalogna. Si basa sulla libera adesione e sulla gratuità, è pensato per la lingua tedesca ed intende facilitare i cittadini nell’uso comune della seconda lingua (tedesco). L’Ufficio bilinguismo e lingue straniere della Ripartizione cultura italiana della Provincia svolge un ruolo di accompagnamento, supporto e monitoraggio del progetto. Come ha sottolineato il vicepresidente Tommasini “è importante spezzare l’ultimo pezzo di muro che ci separa dall’essere una vera società plurilingue; in questi anni sono stati fatti grandi passi nella comunità italiana da parte delle famiglie per giungere ad avere figli plurilingui”. L’apprendimento linguistico viene promosso in un contesto di relazione interpersonale, volontario e gratuito, in un ambito completamente diverso da quello dei corsi strutturati ed in situazioni comuni di uso quotidiano della lingua. Le coppie linguistiche si impegnano a dedicare alla conversazione almeno un’ora la settimana per dieci settimane del loro tempo libero. Al progetto di volontariato linguistico possono partecipare ragazzi maggiorenni ed adulti residenti in Alto Adige, o anche stranieri domiciliati in provincia di Bolzano. I partner linguistici saranno abbinati sulla base di interessi comuni e tenendo conto delle varie affinità. Per partecipare al progetto è sufficiente iscriversi inviando l’apposita scheda all’Ufficio bilinguismo e lingue straniere, fax 0471 411279, e-mail: infovol@provincia.bz.it. La scheda può essere chiesta all’ufficio, in via del Ronco 2 a Bolzano di mattina, o nel pomeriggio presso il Centro Multilingue in via Cappuccini 28 a Bolzano, o scaricarla dal sito http://www.infovol.it, dove è possibile anche complilarla e spedirla.
 La Commissione europea ha definito il progetto una fra le migliori «Best practices» per l’apprendimento linguistico.
Alto Adige 9-9-10
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categoria:cultura, provincia di bolzano
mercoledì, 08 settembre 2010



Le imprese: la scuola formi più tecnici

DAVIDE PASQUALI
BOLZANO. Le aziende altoatesine giudicano valida la formazione degli studenti superiori, ma auspicano che la scuola intensifichi l’insegnamento di alcune discipline, in particolar modo le lingue e le materie tecniche. Lo afferma uno studio della camera di commercio, nel quale si sottolinea pure che le imprese altoatesine soffrono per la mancanza di lavoratori specializzati, particolarmente in campo tecnico. Allo stesso tempo però, si chiarisce, in futuro anche le imprese dovranno cercare di venire più incontro alla scuola e ai giovani.
 Nell’ambito di un’intervista alle imprese l’istituto di ricerca economica della camera di commercio ha rilevato le competenze, le qualifiche e gli indirizzi formativi più richiesti. Le imprese locali giudicano molto valida la formazione presso le scuole secondarie di secondo grado dell’Alto Adige e auspicano che la scuola intensifichi l’insegnamento della cultura generale, delle attitudini pratiche, delle competenze personali, delle lingue e delle conoscenze tecniche.
 L’inchiesta, svolta in occasione della riforma della scuola secondaria di secondo grado, ha tenuto conto anche del punto di vista dei giovani: anche gli allievi gradirebbero un contatto più intenso con le imprese nel corso della propria formazione. È proprio questo fatto ad indurre il presidente della camera di commercio, Michl Ebner, a trarre dall’indagine una conclusione secondo lui di fondamentale importanza: «In futuro anche le imprese dovranno cercare di venire incontro alla scuola e ai giovani».
 Le imprese altoatesine si dimostrano molto soddisfatte della formazione offerta dalle scuole secondarie di secondo grado e circa l’80 percento afferma che essa corrisponde alle esigenze professionali. L’economia locale riscontra tuttavia una carenza di forza lavoro specializzata.
 Quasi due terzi degli imprenditori e dei responsabili del personale intervistati dichiarano che sul mercato del lavoro locale mancano i lavoratori specializzati, specie in campo tecnico. La carenza è tanto più sentita quanto maggiori sono le dimensioni aziendali. Allo stesso tempo i datori di lavoro chiedono una formazione di taglio pratico.
 Quando assumono forza lavoro con diploma di scuola media superiore, le imprese altoatesine danno peso soprattutto alla cultura generale e alle competenze specialistiche. Grande importanza viene attribuita anche alle cosiddette competenze personali o competenze chiave, tra cui la capacità di lavorare in gruppo, la capacità di lavorare autonomamente, la determinazione e la cortesia. Per due terzi degli intervistati le competenze personali e sociali sono rilevanti quanto le conoscenze specialistiche; il 29 percento di loro le considera addirittura ancora più importanti. Per le imprese locali è essenziale ai fini dell’assunzione anche la padronanza della seconda lingua. Un problema, come sottolinea lo stesso assessore alla scuola Kasslatter Mur: «Le ore di lezione sono sufficienti, ma il grado di apprendimento dell’altra lingua è ancora troppo scarso. Dovremo lavorare di più sulla qualità».
Alto Adige 8-9-10
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categoria:cultura
domenica, 29 agosto 2010



La lezione delle Opzioni

ANDREA DI MICHELE
Il tema del contendere erano le opzioni e l’accusa di Messner al suo popolo era di aver ceduto con troppa facilità alla sirena dell’unità dell’etnia tedesca, optando in massa a favore della Germania nazista e accettando così di abbandonare la propria terra. Oggi sono passati vent’anni dalle accuse di Messner e settanta dalle opzioni, ma le lacerazioni prodotte da quegli ormai lontani avvenimenti non sono del tutto scomparse. Per affrontare con il dovuto senso critico il difficile tema delle opzioni, questa sera, presso l’Hotel “Lago di Braies”, si aprirà un convegno.
 Per la verità, l’anniversario dei settant’anni sarebbe caduto l’anno scorso, poiché fu il 23 giugno 1939 che una delegazione tedesca e una italiana (cui faceva parte anche il prefetto di Bolzano Giuseppe Mastroamattei) s’incontrarono a Berlino, convenendo a grandi linee sulla necessità di organizzare un trasferimento pianificato dei sudtirolesi. La precisazione dei termini dell’intesa fu demandata a successive trattative, che condussero il 21 ottobre 1939 alla firma da parte del console generale di Germania a Milano Otto Bene e di Mastromattei di tre apposite convenzioni. Ma nel 2009 è stato l’anniversario hoferiano che ha monopolizzato l’interesse e gli sforzi delle istituzioni culturali, finendo inevitabilmente per togliere spazio ad altre possibili ricorrenze. Il ricordo delle opzioni ne ha in qualche modo risentito, anche se non è mancata qualche iniziativa di valore. Ma se l’accordo tra i due fascismi è del 1939, è altrettanto vero che le prime partenze per il Reich iniziarono l’anno successivo.
 Perché ancora oggi continua a essere importante confrontarsi con il tema delle opzioni? Perché anche su questo tema le semplificazioni e i pregiudizi sono lungi dall’essere superati. Per alcuni, la scelta drammatica davanti a cui furono posti i sudtirolesi - partire per conservare la propria lingua e cultura o restare rinunciandovi definitivamente - ancora viene letta come un libero referendum che svelerebbe l’orientamento filonazista della maggioranza della popolazione. “Se la sono cercata”, insomma, “hanno scelto il Reich perché ci credevano”. Per altri, invece, le opzioni rappresenterebbero il sacrificio subito da un popolo intero a opera di due dittature estranee, una bufera abbattutasi su una realtà sociale avulsa da fascismo e nazismo e vittima di entrambi.
 In realtà, le opzioni sono state qualcosa di più sfumato e complesso. La scelta maggioritaria per la Germania non si può comprendere senza ricordare cosa erano stati i vent’anni precedenti, il lungo tentativo fascista di snazionalizzare la minoranza. Se più dell’80% dei sudtirolesi di lingua tedesca e ladina optò per il Reich fu perché a sud del Brennero vi era un governo che prometteva loro di farli scomparire come comunità culturale. Poi intervennero tante scelte individuali, ognuna diversa dall’altra, in certi casi frutto di difficile condizione sociale, di mancanza di prospettive, di speranza in un possibile miglioramento, in altri di identificazione ideologica con il nazismo.
Se i sudtirolesi non furono una massa di filonazisti o traditori della Heimat, non furono però neppure un popolo di sole vittime, sacrificato sull’altare della grande storia. A minacciare, insultare, aggredire chi era intenzionato a dire no al richiamo di Hitler, i cosiddetti Dableiber, non erano uomini provenienti dalla Germania, ma i nazisti locali, magari il vicino di casa appartenente al VKS (Völkischer Kampfring Südtirol), l’organizzazione nazista sudtirolese. E’ per questo che il ricordo delle opzioni continua a fare male, perché le divisioni passarono all’interno del corpo vivo di una comunità che poi, per molti anni a venire, ha voluto rimuoverle, mostrandosi come un monolite compatto e trasparente. Ed è per questo che continua ad avere senso parlarne, perché le opzioni, più di altri momenti della recente storia locale, ci mostrano come le linee di frattura non siano sempre passate lungo il crinale etnico, come sia sbagliato mettere sempre e comunque italiani da una parte e tedeschi dall’altra e come vittime e carnefici ci siano stati in un gruppo linguistico come nell’altro.
 In momenti decisivi le divisioni avvengono sui valori, sui contenuti e magari anche su interessi molto concreti e non necessariamente sulla lingua che ciascuno parla. Le opzioni, insomma, possono aiutarci ad allontanare un po’ gli occhiali etnici attraverso cui quasi sempre siamo tentati di guardare il nostro passato e il nostro presente.
Alto Adige 29-8-10
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domenica, 29 agosto 2010



Nordest capitale della cultura Ora Bolzano deve pensare europeo

FRANCESCO PALERMO

E’ l’idea di questo territorio come un’isola, da presidiare e difendere, dell’altro come nemico, al più come turista, o, per i più illuminati, come Gastarbeiter, ma sempre qualcuno che non potrà mai essere cittadino a pieno titolo. L’idea che vede con sospetto tutto ciò che ibrida, allontanando da una supposta omogeneità che mai è esistita. L’idea per la quale ieri è sempre meglio di domani, ed ogni cambiamento è pregiudizialmente negativo.
 Queste due visioni coesistono nella mente di molti, come si vede dalle antitetiche dichiarazioni del Presidente Durnwalder, che esalta il contatto tra culture e non disdegna i cartelli monolingui. Per quanto contraddittorio, è lo specchio del Sudtirolo di oggi. A metà strada tra gli integralisti dell’apertura, che dimenticano che senza una dose di chiusura non ci sarebbe nulla da aprire, e questo territorio sarebbe una banale provincia alpina come altre, e gli estremisti della chiusura, che perdono semplicemente di vista la realtà di una provincia multietnica e sempre più diversa, nel contesto dei porosi confini d’Europa. La contestuale presenza di queste due visioni fa sì che oggi si voglia una società multilingue senza insegnare adeguatamente le lingue, che si chieda proporzionale e meritocrazia, che si interpreti creativamente lo statuto sulla toponomastica e rigidamente sulla scuola, che si professi il liberismo mantenendo i sussidi a pioggia, che si vogliano attirare cervelli ma si neghi loro la partecipazione politica e sociale, che si invochi la cooperazione transfrontaliera ma non si vogliano condividere competenze.
 Il problema è il dosaggio tra queste visioni. Qual è, oggi, la giusta dose di apertura e di chiusura? La coesistenza di queste due concezioni del mondo riguardo alla provincia (Provinzanschaaungen?) non è solo un fatto sociale e psicologico, ma si riflette anche nel sistema giuridico. La domanda è quindi se il complesso di regole che oggi governano questa terra rifletta il dosaggio corretto, quello che consente alla macchina di funzionare al meglio, o se invece l’equipaggiamento per la navigazione nel mare dell’Europa multilivello, multietnica e multipolare sia inadeguato e pesante.
 La risposta è che la struttura nel suo complesso è ancora valida, ma è urgente una manutenzione straordinaria in alcune parti importanti, erroneamente ritenute essenziali. Alcune regole sono state faticosamente adeguate, ma in modo ancora parziale e lento, come le certificazioni linguistiche o l’impostazione di alcuni settori dell’economia. Su altre è in corso da tempo un’importante riflessione che finora ha tuttavia prodotto risultati minimi rispetto allo sforzo compiuto, come in materia di insegnamento della seconda lingua e di sperimentazioni scolastiche. Su alcune il dibattito è ancora all’inizio, ma si sta imponendo, come nel caso di trasporti e raggiungibilità, intervento pubblico nell’economia e nella società, immigrazione, innovazione. Infine, vi sono gli aspetti considerati tabù, che riflettono paure ancestrali più che esigenze ancora reali: clausole di residenza per l’accesso al voto e al lavoro, proporzionale, rifiuto della scuola bilingue.
 In questo contesto in rapida evoluzione, tutti inneggiano allo”spirito europeo”, un’espressione bonne a tout faire che finisce per essere una scatola vuota. Occorre invece iniziare a guardare all’Europa in un’ottica non provinciale, non come una minaccia né come una salvezza. L’Europa non è una livellatrice di differenze, non è contraria alla specialità, non è nemica delle minoranze. E’ piuttosto una grande opportunità, che prevede semplicemente delle regole del gioco parzialmente nuove. Che offre vantaggi a patto di saperli cogliere. Competitività, cooperazione transfrontaliera, plurilinguismo, innovazione, mobilità, crescita sono opportunità che vengono dalla partecipazione all’integrazione europea, senza per questo svuotare le peculiarità. Ci è però richiesto un successivo passaggio mentale: la difesa delle specificità va fatta con regole in parte diverse, accettando che in una società complessa e in evoluzione il dosaggio tra apertura e chiusura deve costantemente cambiare. Ad esempio, sarebbe assurdo pensare di fermare l’immigrazione (interna, comunitaria ed extracomunitaria), mentre molto si può fare per orientare il tipo di immigrazione che si vuole attirare, in particolare con scelte lungimiranti nel campo della cultura.
 Il percorso europeo dell’Alto Adige, con i suoi molti pregi ed alcuni difetti, è in ogni caso irreversibile. Invece di chiedersi se sia bene o male, conviene a tutti imparare a giocare con le nuove regole, prima di accorgerci di avere perso straordinarie opportunità. O di dover affrontare possibili procedure di infrazione al diritto comunitario.
Alto Adige 29-8-10
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mercoledì, 18 agosto 2010



Pensare alla convivenza senza guardare sempre al passato

BRIGITTE FOPPA Che è all’insegna del perdono e in questo ha spesso contro tutta la sua comunità, che vorrebbe invece rendere ai bianchi almeno una parte dell’ingiustizia commessa. Ma alla fine ha ragione lui e riesce a evitare guerre e rivalse nella sua terra. Questo è l’insegnamento di questo film che consiglio a tutti gli altoatesini (o sudtirolesi o come vogliamo chiamarci).
Mi sono commossa, in quella sera sotto le stelle, a vedere nascere un esempio di convivenza che ha ben più impegnative ipoteche rispetto alla nostra piccola provincia. Secoli di dominazione e sottomissione, un regime di Apartheid che sembrava insuperabile, decine di anni di prigione per il leader stesso. Eppure lui, Mandela, esce da quest’esperienza con lo spirito della convivenza, a tutti i costi. Non transige su questo ed è pronto a giocarsi la faccia e la fama per questo unico e principale obbiettivo.
Ora io penso che in politica non si debba fare nulla “a tutti i costi”, perché è fatale non avere una seconda via. Ti rende ricattabile e debole. Ma sulla convivenza ho un’idea diversa e Mandela (o perlomeno il Mandela che Eastwood disegna in questo film) me lo conferma. Immaginiamo allora se anche in Alto Adige iniziassimo tutti e tutte a mettere la convivenza davanti a tutto. E a dire, tutti e tutte, “quel che è stato è stato”. La storia la conosciamo. C’è stata un’annessione assurda sotto ogni punto di vista (storico, etnico, geografico). Ci sono stati i fascisti che hanno tentato in tutti i modi (anche attraverso la toponomastica) di sottomettere la popolazione tedesca. Ci sono state le Opzioni e il Nazionalsocialismo. Nell’intento di riequilibrare uno sbilanciamento si è introdotto la proporzionale etnica che ha portato per decenni svantaggi agli italiani - che non a caso hanno sviluppato un disagio profondo con una perdita del senso di appartenenza. I tedeschi dal canto loro sono “i padroni” nella loro Heimat, ma si sentono sempre più a disagio in quest’Italia che percepiscono ogni giorno più sciovinista.
Ma nonostante questo, proprio per questo, diciamo: “quel che è stato è stato”.
Ho semplificato al massimo, ma penso che se un pensiero di questo tipo, pur nella sua semplicità, fosse alla base della nostra idea comune di “Heimat”, non ci sarebbero più colpe da addossare (tipo i nomi del Tolomei, tipo l’avvantaggiarsi dei tedeschi nei posti pubblici) o da scontare. Ecco questa la mia semplice proposta per la nostra terra. Lasciamo il passato alle spalle - con la piena consapevolezza di quella che è la nostra storia. In quest’ottica possiamo anche finalmente accettare che i luoghi del Sudtirolo abbiano due nomi. E possiamo darci la libertà di usarli ognuno/a come li sente risuonare nel cuore.
Alto Adige 18-8-10
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mercoledì, 04 agosto 2010



Stage in Provincia per universitari

BOLZANO. Sono aperti sino al 20 agosto prossimo i termini per la preiscrizione al corso universitario organizzato dalla Libera università di Bolzano denominato “Scienze della Comunicazione Plurilingue”. Si tratta di un corso triennale nel quale gli insegnamenti si svolgono in italiano (40%), tedesco (40%) ed inglese (20%). La scelta del curriculum avviene al momento dell’immatricolazione e la frequenza non è obbligatoria. I piani di studio sono orientati alla pratica, per poter consentire ai laureati di trovare reali opportunità di inserimento nel mondo del lavoro. Il corso, che partirà nel prossimo mese di ottobre, sarà articolato in tre orientamenti riguardanti rispettivamente l’Educazione permanente e gestione delle risorse umane, il Management non-profit e culturale ed il Management delle informazioni in ambito bibliotecario. Il corso di laurea rientra nell’accordo stipulato lo scorso marzo tra l’assessorato provinciale alla scuola e cultura italiana e la Libera università di Bolzano che prevede scambi, collaborazioni e partecipazione congiunta a progetti nazionali ed internazionali.
 L’intesa sottoscritta dall’assessore provinciale Christian Tommasini e dalla direttrice del corso di laurea, e vicepreside della facoltà, Liliana Dozza, si prefigge di avviare una stretta collaborazione tra l’assessorato e la Lub e prevede la possibilità per gli studenti di essere ospiti delle strutture provinciali o di enti ed organizzazioni dipendenti per lo svolgimento di percorsi formativi e di tirocinio.
Alto Adige 4-8-10
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lunedì, 02 agosto 2010



Dopo le Manzoni, ora le Longon «Immersione anche alle medie»

GIANFRANCO PICCOLI
BOLZANO. «La speranza della scuola e dei genitori è di poter proseguire l’esperienza anche nella secondaria di primo grado». Marina Degasperi, dirigente delle elementari Longon, crede fortemente nel progetto bilingue, avviato nell’anno scolastico 2007/2008 nella sezione B dell’istituto.
 Con settembre, si arriverà sino alla quarta classe. Gli scolari delle Longon, come le Manzoni, potrebbero continuare il percorso formativo bilingue alle medie «Foscolo». Preside è Mirca Passarella che per prima ha avviato il progetto bilingue alle Manzoni. «Sono tre le materie che abbiamo coinvolto - spiega Marina Degasperi - matematica, educazione motoria e scienze: l’insegnamento, tuttavia, non avviene solo nella seconda lingua. Complessivamente le lezioni in tedesco sono 10 o 12 alla settimana, mentre nella scuola “tradizionale” sono 6: una parte di queste vengono fatte in conpresenza con il secondo insegnante, cosa che richiede grande collaborazione e affiatamento tra il docente di tedesco e quello della materia di madrelingua italiana».
 I risultati ottenuti sino ad oggi, secondo Marina Degasperi, confermano la bontà del progetto: «E’ stato verificato che il livello di conoscenza della lingua tedesca è superiore alle classi “normali” e i test effettuati ci dicono che non c’è un minor apprendimento dei contenuti delle materie insegnate nella doppia lingua». Uno dei punti di discussione, infatti, ha sempre riguardato il livello di apprendimento di materie insegnate non nella lingua madre: la preoccupazione - smentita dai test, secondo Degasperi - è che si alzi la conoscenza della seconda lingua, ma si abbassi l’apprendimento delle materie stesse.
 I genitori dei bambini si sono detti soddisfatti del lavoro in classe, anche se qualcuno ha manifestato il timore che il proprio figlio non sia all’altezza di un percorso scolastico così impostato. In generale, comunque, tutti, «scuola e genitori», auspicano la prosecuzione alle medie.
 Il bilinguismo nella secondaria di primo grado è un progetto già avviato dalla sovrintendenza scolastica italiana, che ha individuato le «Foscolo» come istituto ideale per ospitarlo. Non si tratta però di un passaggio scontato. Ci sono alcuni aspetti tecnici importanti che devono essere chiariti, come hanno spiegato nei giorni scorsi Pssarella, dirigente della «Manzoni» e delle «Foscolo», e il direttore di ripartizione, Ivan Eccli.
 Eccli, in particolare, ha sottolineato che far partire un progetto bilingue alle medie significa reperire docenti di madre lingua tedesca per ogni singola materia. Alle elementari, infatti, i docenti possono insegnare tutte le materie, semplificando enormemente l’organizzazione di un percorso di questo tipo. Questo tema, però aprirà un altro capitolo: se la sperimentazione riguarderà solo la scuola di lingua italiana, i docenti italiani rischiano - come ha rilevato Giulio Clamer, dirigente delle «Dante» - di ritrovarsi con meno posti di lavoro a disposizione.
Alto Adige 2-8-10
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categoria:cultura
sabato, 31 luglio 2010



Ecco l’abbecedario delle minoranze

ROBERTO RINALDI
BOLZANO. Dalla A alla Z. I termini che parlano più ricorrenti che parlano di tutela delle minoranze sono stati pubblicati in un libro in lingua tedesca che ieri pomeriggio è stato presentato all’Eurac di Bolzano. Gabriel Toggenburg, ex collaboratore dell’Istituto diritti delle minoranze e il coordinatore Günther Rautz, sono gli autori de “L’ABC della tutela delle minoranze in Europa” edito da Böhlau Utb di Vienna.
 Gabriel Toggenburg lavora all’Agenzia dei diritti fondamentali dell’uomo a Vienna, una struttura vicina alla Commissione Europea a protezione delle minoranze, contro la xenofobia, la discriminazione, lo studio delle nuove minoranze. Günther Rautz, laureato in Giurisprudenza all’Università di Graz, un dottorato di ricerca sulla tutela delle minoranze sudtirolesi comparate a quelle austriache, spiega nell’intervista i contenuti del libro.
 “Siamo partiti dall’autonomia locale per compararla con altre realtà come le isole Aland in Finlandia, la Catalogna o i Paesi Bassi, con l’intento di far comprendere perché la tutela delle minoranze, funziona bene qui da noi e non da altre parti”.
 Lei sostiene quindi che la nostra realtà può essere d’esempio per altre minoranze da tutelare.
 
“Il nostro istituto si occupa di progetti in Asia sui diritti delle donne, credo religioso, discriminazioni. Siamo impegnati in Tibet dal 1998 con corsi e training. Forniamo strumenti da esportare anche in Kashmir, Sri Lanka, Sud America, con i popoli indigeni in Cile e in Perù. In paesi come quelli dei Balcani, studiando cosa è successo durante la guerra, si possono introdurre strumenti come la proporzionale utilizzata in Alto Adige. L’autonomia è un bene per i popoli a patto che vi sia anche una capacità economica che la sostenga”.
 L’abc delle tutele delle minoranze. Quali sono?
 
“Il libro è il risultato del nostro lavoro ma non in forma accademica. All’Eurac pubblichiamo lavori scientifici, arrivano delegazioni da tutto il mondo per conoscere i nostri progetti. Forniamo loro un contributo educativo e scientifico. Nel testo invece abbiamo analizzato le parole chiavi per spiegare le tutele delle minoranze. Le iniziali di tutti i temi che appartengono alle minoranze tradizionali. La D parla di discriminazione e uguaglianza, la K analizza le migrazioni religiose. La R per parlare dei Rom, dei Retoromanci in Svizzera che appartengono insieme ai ladini e friulani, alla stessa famiglia. Il focus è puntato sul mondo tedesco, austriaco, svizzero, ma anche rivolto ai paesi dell’Est, Slovenia, Danimarca e Svezia. La L del trattato di Lisbona sulla nuova costituzione europea e le nuove esigenze a livello europee. Per questo è nata negli anni ’70, l’Osce, l’organizzazione del Consiglio Europeo per la tutela delle minoranze europee”.
 L’Europa è molto attiva a tutelare le minoranze?
 
“Al Consiglio d’Europa esistono due documenti a riguardo: la convenzione quadro per le minoranze e quello sulle lingue minoritarie. Sono vincolanti per tutti gli stati che fanno parte del Consiglio”.
 Si parla di Euregio.
 
“Si è pensato di trasformare l’Euregio che non ha una base legale in una istituzione pubblica che dovrebbe avere sede a Bolzano. Un passo importante per la cooperazione transnazionale e transfrontaliera. Lo statuto in elaborazione dovrà vedere le tre regioni d’accordo per sottoscriverlo. Si deve discutere di realtà autonome, capaci di sostenersi economicamente. Penso alle autonomie fiscali, alle identità, confini, e competenze”.
 E l’autonomia locale come sta secondo Lei?
 
“Questo è il problema vero in Alto Adige. La conoscenza delle due lingue sta peggiorando e diventa sempre più difficile. Il sistema didattico non è in grado da solo nell’implementare lo studio e l’apprendimento del bilinguismo. Anche in Austria esiste questo problema in certe realtà locali. Classi dove sono presenti tre gruppi linguistici diversi creano problemi didattici. Qui da noi l’insegnamento della seconda lingua è trattato come quello di una lingua straniera, mentre nella società non c’è scambio. La scuola ha un compito importante nella didattica ma c’è anche la famiglia, la vita sociale che dovrebbe occuparsene. Ma non accade”.
Alto Adige 31-7-10


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categoria:cultura, letture
mercoledì, 28 luglio 2010



«Lingue nel maso»: giocando nella natura i bimbi fanno lezione

BOLZANO. Dici “maso”, e in Alto Adige pensi alla vita rurale. Se poi magari dici “lezioni al maso”, al massimo puoi pensare a una full immersion nella vita rurale, a gente che impara a fare il contadino o, se proprio, a trattare prodotti tipici dei masi, al massimo un corso di cucina rurale. Invece l’AZB, agenzia bolzanina di formazione che da oltre quaranta anni opera nell’apprendimento e nell’insegnamento delle lingue, ha visto il maso altoatesino come luogo ideale per far imparare le lingue ai bambini. Ed ecco l’idea di “Lingue nel maso”, dove la lezione linguistica è spontanea e soprattutto è unita a un’immersione nella natura, nella semplicità, nello svago e nel gioco più puro per i bambini, ovvero i soggetti ai quali l’iniziativa è diretta.
 Ma non si pensi a italiano e tedesco, no. Anzi, non solo: l’iniziativa è per la lingua tedesca, italiana e inglese rivolta a bambini e ragazzi (dalla prima elementare alla seconda media) di entrambi i gruppi linguistici ed ha come sfondo un “Buschenschank”, insomma una sorta di agriturismo, ad Avigna, vicino a San Genesio. Tutte le attività in lingua italiana, tedesca e inglese si svolgono tra prati, boschi e animali. I gruppi di apprendimento della lingua inglese sono costituiti da bambini e ragazzi di madrelingua italiana e tedesca, al fine di poter utilizzare l’inglese come lingua franca.
 Dunque in uno dei masi storici di Avigna, immerso nel verde, si è da pochissimi giorni concluso il secondo turno di “Lingue nel maso”, con attività da lunedì a venerdì, dalle ore 8 alle 17, per due settimane.
 «Lo scopo principale - spiegano gli organizzatori - è quello di introdurre l’uso della lingua orale, sviluppando nei bambini la consapevolezza che il tedesco, l’italiano e l’inglese servono per comunicare. Viene quindi creato un ambiente in cui le lingue siano utilizzate per comunicare nei diversi momenti educativi della giornata. Questo aiuta i bambini a “realizzare” che il tedesco, l’italiano e l’inglese sono lingue “reali” parlate da persone reali in situazioni reali. I docenti operano in questo tipo di iniziativa con il compito di insegnare e usare le lingue in modo intensivo, dando ai partecipanti la possibilità di alternare e utilizzare le lingue nei diversi momenti della giornata».
 Piace, ai bambini, il fatto di vivere queste “lezioni”, che tali non sono, come gite: ogni giorno il gruppetto partiva da piazza Vittoria di buon mattino e tornava a casa a metà pomeriggio.
Alto Adige 28-7-10
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categoria:cultura, giovani
mercoledì, 28 luglio 2010



Scuola bilingue: l’esperimento continua alle medie

ALAN CONTI
BOLZANO. Il progetto di scuola bilingue varato quattro anni fa dalla scuola primaria “Manzoni” e adottato anche da altri istituti comprensivi provinciali troverà uno sbocco naturale alle medie Foscolo. I primi studenti interessati, infatti, cominceranno in settembre il quinto anno delle elementari e a fine 2011 si appresteranno a passare al grado scolastico successivo. È così che, sotto precisa richiesta dei genitori, la dirigente dell’istituto comprensivo Bolzano VI Mirca Passarella, l’assessore provinciale alla scuola italiana Christian Tommasini e la sovrintendente Nicoletta Minnei con il direttore di ripartizione Ivan Eccli hanno cominciato a lavorare a una bozza di progetto. «Oltre alla nostra scuola - premette Passarella - si aggiungeranno presto gli alunni delle “Longon” e di chi ha attivato progetti simili. Intendiamo, chiaramente, allungare il percorso scolastico dell’iniziativa, ma ci saranno un paio di nodi tecnici da affrontare». Il salto dalla primaria alla media, infatti, pone delle questioni delicate. «Anzitutto gli insegnanti devono avere una preparazione specifica che sia binaria tra capacità di insegnare la disciplina e la lingua. In questo senso bisogna prevedere una preparazione mirata, magari anche all’Università di Bolzano, come già fanno in altri paesi d’Europa. Nel frattempo, comunque, si può cominciare appoggiandosi su esterni». Ruolo strategico, in questo senso, ha giocato l’associazione dei genitori “Mix-ling” che, di fatto, riunisce tutti i rappresentanti delle classi altoatesine coinvolte in progetti bilingui. «Abbiamo chiesto - spiega Michela Gaspari, una delle rappresentanti - alle istituzioni di non lasciare questo binario monco e abbiamo trovato disponibilità. La nostra idea è di ricalcare quanto viene fatto nella scuola primaria con un 50% di insegnamento in italiano e 50% in tedesco, utilizzando anche il veicolare. Logico, però, che ci sono delle difficoltà nel reperire gli insegnanti, ma anche nelle valutazioni. Le norme, infatti, impediscono a un professore di giudicare un alunno di un’altra madrelingua: alle elementari si eludeva il problema con la valutazione congiunta ma alle medie bisognerà trovare una soluzione ad hoc». Conferma i propositi anche l’assessore Tommasini: «I genitori sono entusiasti e questo ci conforta. Ci sono già molte scuole in provincia che hanno seguito le “Manzoni” e quella che era una sperimentazione sta diventando un sistema: è nostra intenzione assecondare questo fenomeno. Mi fa piacere che anche la Lub si sia dimostrata interessata alla formazione di insegnanti specifici: l’unico elemento che ci può permettere la continuità necessaria senza dover far conto solo sugli esterni». Il progetto, comunque, dovrebbe sbarcare alla scuola “Foscolo”. «L’istituto comprensivo Bolzano VI è per noi - conclude Tommasini - una struttura solida e pilota. Gli studenti coinvolti, oltretutto, hanno la possibilità di ottenere a fine percorso un’importante certificazione di conoscenza linguistica».
Alto Adige 28-7-10
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categoria:cultura
martedì, 20 luglio 2010



Langer, il segreto è «tradire»

 La figura di Alex Langer torna prepotentemente di attualità non solo in Alto Adige, dove pure il dibattito attorno alle sue idee, se pure con alti e bassi, in realtà non si è mai esaurito. Il numero di luglio de «Lo Straniero», la rivista mensile di politica, società e cultura diretta da Goffredo Fofi, è infatto quasi interamente dedicato al leader dei verdi, morto suicida il 5 luglio del 1995. «Lo straniero» ha pubblicato gli interventi dei relatori che hanno preso parte al convegno sulla figura e l’opera di Langer che si è tenuto ad Amelia, in provincia di Terni, nel maggio scorso. Tra questi, di particolare interesse è quello del sociologo tedesco, da anni trapiantato in Italia, Peter Kammerer che esplora il rapporto tra Langer e la cultura tedesca. Ne riportiamo alcuni stralci.

di Peter Kammerer
Alexander Langer è cresciuto e viveva in tempi e luoghi in cui lo spostamento anche di pochi chilo- metri comportava, anzi richiedeva un cambiamento del punto di vista. Il mondo guardato da Sterzing-Vitipeno era un altro di quello percepito a Borano e il mondo osservato dal Brennero era molto diverso da quello visto da Firenze. Nell’accogliere la qualità di tempi e luoghi non uniformati Alex è diventato un maestro di spostamenti. Spostamenti di orizzonti. Alla base di questa arte sta la capacità di muoversi agevolmente nelle differenze, di saper distinguere le cose da vicino. A cominciare dalla lingua. Nel suo scritto forse più bello. Minima personalia, si legge: «A casa si parla in lingua (tedesca) invece che in dialetto tirolese». Alex da ragazzo affronta dunque due lingue tedesche, la Hochsprache (piuttosto rara nel Suedtirol) e il dialetto tirolese. Ma anche l’italiano, non meno ricco di varianti del tedesco, diventerà la sua lingua. Navigare in mari linguistici aperti non è un’avventura semplice. L’insicurezza spinge verso scelte che escludono. Non farle è l’eredità migliore della cultura tedesca. Da giovane Alex intuisce una cosa che molti tedeschi non sanno. La grande letteratura tedesca del Novecento viene per la maggior parte dalle periferie; Kafka. Celan, Riike, Handke. da Canetti a Grass e fino a Herta Miller. La cultura tedesca raggiunge le sue espressioni più alte solo (sottolineo questo ”solo”) quando una identità creduta o pretesa nazionale e pura si incrina. Tante piccole differenze formano un disegno di screpolature anche in Alex e lo renderanno incompatibile a vita con i blocchi etnici, ideologici, nazionali e, più in generale, con i blocchi di potere. E perfino quando questi blocchi si ergono «a difesa», Alex rimane diffidente, pronto al «tradimento». Questa eredità, il rifiuto dei blocchi e la speranza nella trasversalità, mi pare sia quella più dif- ficile da cogliere, nella marmellata e confusione di oggi nella quale i vecchi blocchi si sono sciolti mentre una stupidità trasversale sta al potere.
 Ma negli anni Cinquanta i blocchi erano ben delineati e Alex ha pagato per il suo rifiuto.
Scrive: «Nella mia cittadina, che amo molto, sento una certa estraneità». E poi, trasferitesi a Bolzano, quando cortei di italiani gridavano «Magnago a morte», scrive: «Me ne sento minacciato anch’io e comincio a sentire il fascino della resistenza etnica». Il desiderio di appartenenza lo prende fortemente quando nel 1985 protesta a Passau contro un raduno neonazista al quale partecipano anche dei sudtirolesi. “Tutti mi riconoscono immediatamente. Qualcuno esita, i più si fanno beffe di me. (...) È la volta in cui avrei voluto parlare in costume tirolese». Alex invece appartiene a un’altra comunità. «È bello sentirsi parte di una comunità universale in cui non si distingue nè giudeo nè greco». E alla quale Alex vorrebbe aggiungere anche il costume tirolese insieme a tutte le bandiere. Tutte o nessuna.
Siamo ben lontani dai toni del dibattito attuale sui 150 anni dell’Unità d’Italia che rischia di cacciarsi in un vicolo cieco, quello della difesa della nazione perchè attaccata dal secessio- nismo primitivo della Lega. Ecco due blocchi che bloccano il pensiero. Atex non aveva paura di riconoscere il bilancio piuttosto fallimentare del farsi stato nazionale sia della Germania che dell’Italia. Sostiene che l’Unità dell’Italia e della Germania abbiano in comune di aver ridotto e degradato «zwei Kulturnationen zu Staatsnationen». Si è passati da una nazione unita dalla cultura a una unificata dallo stato. Per di più, da uno stato autoritario con aspirazioni imperialiste e poi responsabile di due guerre mondiali. Questo vale per la Germania e, seppur in misura minore, dice Alex, per l’Italia. La sua interpretazione delle storie nazionali fornisce ad Alex una solida base per il suo impegno europeo. Non ripetere certi errori. Insieme al suo rapporto con la Germania e la cultura tedesca Alex ha chiarito anche il suo rapporto con l’Italia districandosi tra schemi e pregiudizi. I due processi di appropriazione culturale seguivano metodi diversi: «La mia formazione (dalle fiabe ai libri di avventura, dai classici ai contemporanei) è avvenuta praticamente tutta in lingua tedesca, i miei studi, i miei incontri, le mie frequentazioni invece hanno un segno più italiano». Così Alex fungeva da ponte tra Nord e Sud, un rapporto diventato un suo grande tema, carico di significato locale e globale. Vedeva il suo compito nel «far circolare idee e persone». In ambedue le direzioni.
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categoria:cultura
giovedì, 15 luglio 2010



IL MIO AMICO LANGER

La rivista «Lo straniero» diretta da Goffredo Fofi ha dedicato il suo ultimo numero a Alex Langer. Pubblichiamo un estratto di Gad Lerner.

di Gad Lerner
Sono stato fra coloro che nei primi anni Novanta hanno deluso Alexander Langer, lo hanno lasciato troppo solo a fronteggiare la tragedia dei Balcani in cui vedeva lucidamente riprodursi i meccanismi di disintegrazione della convivenza.
Che oggi viviamo anche in Italia. Eppure gli dovevo tantissimo. Vent’anni prima, nel 1973, quando Lotta continua trasformava in conformismo di gruppo l’idea fusionale del movimento ugualitario, fondato sul primato del collettivo, lui si interessava alle nostre storie personali, alle diversità individuali da cui era composto l’insieme. L’abitudine maturata fin dall’infanzia, tra Vipiteno e Bolzano, a confrontarsi con la complessità etnico-linguistica della sua terra d’origine, lo sospingeva a pensare una Europa delle regioni - si badi bene - non delle patrie. Sapeva quanto veleno potessero secernere le troppe “piccole patrie”, generatrici di nazionalismi prepotenti.
 La sua vocazione più immediatamente riconoscibile era quella dell’interprete. Guai se qualcuno fosse rimasto tagliato fuori da una riunione per via dell’ostacolo linguistico.
 Ho avuto la fortuna di vivergli accanto nel 1978 il momento del “ritorno a casa”, quando si candidò con l’aiuto dei radicali al Consiglio provinciale dell’Alto Adige-Südtirol (guai a non rispettare la formulazione bilingue in sua presenza!). Per qualche giorno, in mancanza di alternativa, si andava a dormire nella bella villa borghese di sua madre.
 Un comfort da me graditissimo, di cui viceversa lui si scusava quasi che si trattasse di un imperdonabile sfregio alla nostra militanza. Sono stati i miei viaggi di formazione. Ma pure nella dimensione provinciale Langer valorizzava il suo sguardo cosmopolita, proccupandosi che la tutela delle minoranze non degenerasse in particolarsmo separatista.(...)
 Constatiamo oggi che la leadership più cosmopolita del ’68 italiano - rappresentata appunto da Alexander Langer e Adriano Sofri - è finita malridotta fra un suicidio e il carcere. Nel 1992, quando iniziava l’assedio di Sarajevo, noi osservavamo incantati il crollo della nostra Prima Repubblica messa a nudo nella sua spregiudicatezza morale dalle inchieste giudiziarie di Mani pulite. Nel 1994, quando si consumava in Ruanda l’ennesimo genocidio del Ventesimo secolo, concentravamo il nostro sguardo provinciale sull’ascesa al potere dell’uomo più ricco d’Italia, Silvio Berlusconi. Temo che Alexander Langer abbia sofferto parecchio il nostro provincialismo. Accettò di partecipare alla prima puntata della mia prima trasmissione televisiva, “Profondo Nord”, seduto in una platea di Bolzano nonostante fosse l’ospite di gran lunga più autorevole. Ma la vicenda politica italiana lo turbava per la sua modestia, e noi lo sconvertavamo per la nostra miopia. Fa impressione rileggere oggi una sua previsione del dicembre 1992: “A me pare che il totalitarismo sia la tentazione che sta dietro alla riscoperta di identità che, avendo a che fare con interlocutori molto forti come la società industriale, la città, la produzione, la tecnologia, l’elettronica, portano al bisogno di un’armatura senza sbavature... Non c’è dubbio che oggi sia venuta l’ora dei piccoli totalitarismi, dei totalitarismi fatti in casa, come alternativa ai grandi totalitarismi. Quindi il piccolo stato, il piccolo nazionalismo, la piccola lega. Io temo che il totalitarismo sia moderno, probabilmente lo sbocco più moderno” Già prima del celebre “Tentativo di decalogo per la convivenza interetnica” scritto nel 1994, sono sistematici i suoi sforzi di interpretare e attualizzare il racconto delle Scritture. Pervaso dall’angoscia dell’inadempienza, sempre con il dubbio di avere disseminato troppe speranze, deluso troppe aspettative, dimenticato di rispondere con la necessaria cura a chiunque gli si rivolgesse, come Giona ha vissuto l’esperienza del profeta involontario. Lo ricordo perennemente scarmigliato, trafelato, col fiatone. Temeva la comodità come la peggiore delle tentazioni. E viceversa si caricava in eccesso dell’onere della coerenza personale. Nel bel libro che gli ha dedicato Fabio Levi è riportato un appunto di quaderno, tra gli ultimi. Contiene una domanda brutale e imbarazzante: “Passeresti il tuo tempo con coloro ai quali rivolgi la tua solidarietà?”. Per noi che non siamo né Santi né giusti, rispondere negativamente è quasi sempre inevitabile. Ma Alexander Langer riteneva di doversi assumere la fatica improba della testimonianza. A furia di caricarsela sulle spalle, non ce l’ha più fatta.
Alto Adige 15-7-10
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mercoledì, 07 luglio 2010



«Capitale europea della Cultura»: un’aspirazione inseguita da decina di città

«Ben venga se significa aprirsi a nuove sinergie»

Manfred Schweigkofler, direttore dal 2001 della Fondazione Teatro-Auditorium nonché regista non ha dubbi: «L’idea di allargarsi al Nord-Est è senz’altro molto buona, ma bisogna capire come si concretizzerà. Queste iniziative hanno senso se diventano base per ulteriori collaborazioni durature; parimenti auspicabile, ad esempio, sarebbe anche un’asse Bolzano-Innsbruck-Monaco di Baviera».
Diluita nel Nord-Est Bolzano non rischia di restare in ombra?
 «Senz’altro il rischio esiste, specialmente se ci si vuole confrontare con le altre città su patrimoni che noi non abbiamo; Venezia, faccio per dire, ha il Barocco, noi no; Verona ha l’Arena con la lirica, noi no. Bisogna quindi evitare di contrapporsi, cercando invece di collegarsi per evitare di contrapporsi».
Quindi Bolzano quali peculiarità può mettere sul tappeto per trovarsi uno spazio?
 «Innanzitutto direi l’impronta europea della sua tradizione di diverse culture che qui convivono; un patrimonio che Venezia ad esempio non ha. Poi c’è la montagna che è tutta da scoprire nei suoi valori più profondi, anche per chi frequenta la nostra terra come turista; poi abbiamo una vasta cultura popolare non urbana che va dai 200 fra cori e corali di vario genere, altrettante bande musicali, forme del tutto peculiari di teatro popolare e anche religioso».
Il problema non è in ogni caso ricavarne materia per qualche spettacolo inedito?
 «Ma non è detto che sia necessario il grande spettacolo, bastano anche piccole manifestazioni singolari e curiose che coinvolgano ad esempio il nostro ambiente. Per esempio autori che leggono i loro opere in un bosco; una camminata ben studiata fra i monti godendosi silenzio e paesaggio; non basta il grande evento, vanno bene anche piccole cose cose. Mi piace citare l’esempio di Linz che si è presentata bene e in modo originale, organizzando piccoli spettacoli sui tetti della città».
Noi cosa potremmo puntare su qualcosa di analogo?
 «Potremmo puntare per esempio sul Museo della Montagna di Messner o sulle Piramidi di Terra del Renon, la vita nei masi così via. Per quanto riguarda eventuali “grandi spettacoli” ispirati ovviamente alla nostra terra, abbiamo la bella esperienza di “Dolomitica”, per cui mi viene in mente anche il patrimonio leggende ladine, un tema si può sempre trovare; ma prima bisogna trovare un tema unitario e farne il perno della cooperazione e decidere poi come presentarsi in ambito regionale». (g.a.)

«Sbagliato pensare a exploit turistici»

Puntare sull’arte arte contemporanea, in un evento come «Bolzano capitale europea della cultura», specie se ci addentra nel campo di quella cosiddetta “visiva”, sperando in una conquista di visibilità e un riscontro in termini economici(leggi “turistici”), si rischiano bluff e grosse delusioni». Questa in sintesi la visione, anzi la previsione di Piero Fassi, direttore artistico della Galleria d’arte ArGe Kunst di Via Museo a Bolzano.
In che posizione verrebbe a trovarsi Bolzano aspirante capitale col triveneto?
 «Sicuramente di fronte a una Venezia con Biennale, una fondazione Bevilacqua La Masa, Guggenheim, Museo Correr e via elencando, ne sarebbe travolta, anche so trovo bizzarro che un grosso calibro come Venezia entri in questa manifestazione, il cui spirito dovrebbe invece quello di valorizzare realtà minori e semisconosciute; consideriamola comunque come utile richiamo in grado di trascinare una maxi-regione che custodisce un vastissimo e variegato potenziale. Detto questo bisogna, valutare bene gli obiettivi».
E dunque, quali considerare prioritari?
 «Innanzitutto evitare la deleteria ansia di voler ottenere un riscontro esterno ad esempio in chiave turistica. Sono convinto che il vero obiettivo non sia la conquista di una visibilità verso l’esterno, bensì il miglioramento qualitativo di quanto possediamo, valorizzare il nostro patrimonio in primis a vantaggio di chi vive qui, all’innalzamento della sua qualità di vita e del suo livello culturale. L’esempio dato dall’esperienza di realtà minori come Graz, Lienz è illuminante: i primi a beneficiarne sono stati proprio gli abitanti».
A quale esperienza locale ci si potrebbe eventualmente ispirare?
 «Citerei “Transart” come buon esempio di manifestazione nata qui, che si svolge qui e che ha gradatamente conquistato visibilità anche al sud; citerei anche la sinergia fra i musei regionali; mettendosi in rete non si sbaglia mai, una cooperazione di Arge-Kunst con Trieste, città affine alla nostra per confine ed etnie diverse ad esempio, o anche con altre città minori del Nord Est, per un confronto senza competizione, sarebbe senz’altro più proficuo che non ottenere una recensione su qualche rivista».
Se si trovasse già nel 2019 come presenterebbe l’arte visuale italiana, casa penserebbe come contributo per Bolzano?
 «Contribuirei a dare spazio a quegli artisti che raccontano la realtà sociale italiana. Si potrebbe pensare a un anno di programmazione straordinaria qui in loco, con autori capaci di interpretare il particolare status di questo nostro territorio». (g.a.)
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venerdì, 02 luglio 2010



La Lub lancia il master in ingegneria

BOLZANO. La Facoltà di Scienze e Tecnologie della Libera Università di Bolzano ha presentato insieme a Assoimprenditori il nuovo “Executive Master in Innovation Engineering”. «Con questa iniziativa la Libera Università di Bolzano amplia la propria offerta didattica nel senso dell’aggiornamento e del lifelong learning contribuendo in modo significativo a mantenere le aziende del territorio ai primi posti sul fronte dello sviluppo tecnologico e logistico e quindi a competere a livello internazionale», sottolinea il rettore Walter Lorenz. Il piano di studi della nuova offerta formativa, che prenderà avvio in autunno, è stato messo a punto sulla base di una specifica indagine territoriale che ha coinvolto oltre 50 tra dirigenti e manager delle aziende locali.
 «La sensibilità e la reattività delle imprese sono elementi fondamentali di competitività sul mercato. L’università ha fatto la sua parte: in nove mesi si è passati da un’indagine sul fabbisogno di formazione per le imprese locali all’istituzione, da parte della Facoltà di Scienze e Tecnologie, dell’Executive Master in Innovation Engineering, innovativo anche per la particolare formula di partecipazione studiata per chi lavora», commenta Massimo Tagliavini, preside della Facoltà di Scienze e Tecnologie. «L’obiettivo comune - aggiunge il presidente di Assoimprenditori Stefan Pan - è quello di continuare a ideare, sviluppare e realizzare insieme progetti dal profilo innovativo, capitalizzando una collaborazione già avviata e rivelatasi vincente negli anni. La sensibilizzazione delle imprese rispetto alla partecipazione a progetti e tesi di laurea, così come all’offerta di stages aziendali per studenti, rappresenta un’altra delle priorità comuni. Il reciproco supporto e scambio di informazioni in occasione di bandi di finanziamento pubblici e la ricerca dei migliori programmi di sostegno finanziario legati a progetti di cooperazione sono attività che devono portare utilità ad entrambi».
Alto Adige 1-7-10
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lunedì, 28 giugno 2010



IL CINISMO DELLA SVP

PAOLO VALENTE
C’è coerenza o schizofrenia nei comportamenti del partito di raccolta? Il caso Merano e la querelle sulla toponomastica fanno emergere qualche apparente contraddizione. In particolare ci si chiede se le scelte della Svp siano dettate da ragioni ideali o solo da un cinismo travestito da “pragmatismo”. Quest’ultimo, il pragmatismo, è invocato con sempre maggiore frequenza sia al centro che in periferia. Durnwalder, tanto per dire, è apprezzato da un vasto pubblico proprio perché si presenta come l’uomo dei fatti: un pragmatico, appunto. Ed il sindaco Januth a Merano, a giustificazione della virata a destra compiuta dalla sua maggioranza, ha sostenuto che la Svp fa così perché è un “partito pragmatico”. Gli esponenti di destra che ricopriranno incarichi nella futura giunta meranese sono stati perciò definiti “di centro”, ma solo per ragioni “pragmatiche”. E difatti sono così “pragmatici” che hanno firmato l’accordo programmatico che era stato predisposto da Svp, Verdi e Pd, circostanza che la Tagesschau Rai - evidentemente attenta anche alle sfumature ideali - ha definito “assurda”.
Ora ci si può chiedere dove finisca questa vocazione al “pragmatismo” nell’affrontare il tema della toponomastica o quello delle sperimentazioni scolastiche. In entrambi i casi sarebbe molto più “pratico” demandare al gruppo linguistico interessato la decisione sui nomi da usare e sui metodi di apprendimento da adottare. Non sarebbe più “pragmatico”, ma davvero molto, dare una semplice indicazione: nomi bilingui. Anziché stare lì a questionare per anni, e poi creare commissioni per distinguere micro da macro, pubblico da privato, percentuali, usi e abusi? Ecco, qui all’improvviso la Svp non è più un partito pragmatico, ma fa riferimento agli ideali. Quali? Beh, la tradizione, la verità storica, il rispetto delle minoranze. Tutto un po’ a senso unico, d’accordo, ma pur sempre ragioni ideali. O forse sarebbe meglio dire “ideologiche”. Sì perché è proprio l’ideologia che ci riporta al “pragmatismo”. Secondo il dizionario trattasi dell’”atteggiamento che tende a privilegiare i risultati concreti, le applicazioni pratiche, più che i principi o i valori ideali” e per estensione del “comportamento spregiudicato che punta solo al raggiungimento dei propri fini”, ovvero di cinismo puro e semplice. Nel caso della toponomastica il “fine” non è affatto la soluzione della questione. Essa, anzi, va tenuta aperta il più possibile. Attorno ad essa, basata su valori strumentali, cioè ideologici, si può creare consenso. E’ un consenso che si fonda sui bassi istinti del nazionalismo, ma che importa? Se siamo “cinici” (”pragmatici”) il fine giustifica i mezzi. E’ il consenso che importa, perché esso permette di compattare l’elettorato e ottenere i numeri necessari a mantenere e gestire la propria fetta di potere. In relazione a questo non c’è dubbio: l’affaire toponomastica viene gestito da decenni con un cinismo travestito da ideale. Non è forse proprio un “comportamento spregiudicato che punta solo al raggiungimento dei propri fini”? Se il fine ultimo è il potere tout court si capiscono anche le scelte compiute a Merano. Il cerchio si chiude. La contraddizione era davvero solo apparente.
Alto Adige 28-6-10
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domenica, 27 giugno 2010



SE L’EUROPA DÀ UNA SCOSSA ALLO STATUTO

ANDREA DI MICHELE
L’ennesimo richiamo europeo al nostro assetto statutario ci costringe a una riflessione. L’invito a eliminare il “monopolio” del patentino per l’accertamento della conoscenza delle due lingue non è una novità e ad esso, seppure con grande ritardo, si è già risposto con atti concreti. Una novità è invece la richiesta di eliminare dal testo dello Statuto un passaggio che prevede la precedenza dei residenti in provincia di Bolzano nell’accesso all’impiego pubblico. Si tratta di una norma che nei fatti non viene applicata e che è figlia del timore di parte sudtirolese di subire, anche dopo la caduta del fascismo, nuove ondate d’immigrazione italiana attraverso l’invio di funzionari e impiegati pubblici. Oggi quella norma è inaccettabile nel contesto europeo, poiché discriminante milioni di cittadini comunitari. E’ pur vero che è inapplicata, ma intanto c’è e, come ha spiegato sulle pagine di questo giornale Francesco Palermo, il richiamo europeo rappresenta l’ennesima dimostrazione della necessità di “ringiovanire” lo Statuto d’autonomia. Non si tratta di stravolgerne il testo e il contenuto, ma di aggiornarlo alla luce degli enormi cambiamenti del quadro normativo e politico occorsi negli ultimi decenni a livello nazionale (riforma costituzionale) ed europeo (integrazione politica). Nel testo dello Statuto di autonomia l’Europa è completamente assente.
Non è neppure citata, ma nel corso degli ultimi quarant’anni il suo peso è enormemente cresciuto ed è normale che oggi faccia sentire la propria voce e in qualche modo chieda che del suo ruolo si tenga conto anche nell’ambito di una formula di successo, come quella dell’autonomia altoatesina.
 L’Europa ci invita a guardare al di fuori dei confini provinciali, a meglio considerare il contesto nel quale anche noi siamo inseriti, a superare schemi e paure che un tempo potevano avere una base di giustificazione ma che oggi appaiono inattuali. Insomma, ci spinge a guardare avanti. L’Europa, il mondo ci invitano a guardare verso l’esterno anche su altri fronti, come quello dell’apprendimento linguistico. E’ significativo quanto affermato pochi giorni fa dal presidente del Consiglio provinciale, Dieter Steger, che si è detto dispiaciuto per la fine della sperimentazione trilingue presso il liceo classico italiano di Bolzano. Ha detto di più, ha affermato che quello poteva essere un esperimento utile da cui partire per una riflessione ad ampio raggio sulle riforme necessarie per rendere finalmente più efficace l’insegnamento delle due lingue provinciali e dell’inglese nelle scuole della provincia, abbandonando vecchie resistenze e vecchie paure, magari immaginando “un’alternativa al classico istituto frequentato nella madrelingua”. Come si spiegano tali aperture? Da dove muovono? Anche qui Steger è stato piuttosto chiaro: in un mondo sempre più globalizzato, sempre più aperto e dinamico, dove la competizione è sempre più dura e difficile, la conoscenza delle lingue è un elemento imprescindibile se si vuole continuare a essere competitivi. E’ il “mondo alle porte” che ce lo impone e l’ala economica della Svp, sensibile alle richieste del mondo delle imprese, sembra averlo capito. E’ un passo avanti mosso partendo da motivazioni molto diverse da quelle di chi da sempre chiede una maggiore integrazione delle lingue e delle culture locali per dar vita a una convivenza reale. Qui le esigenze sono ben più aride, legate alle richieste dell’economia, alle esigenze del mercato, a vantaggi concreti. Ma forse vale la pena accontentarsi, nella speranza che una volta avviati, simili progetti camminino con le proprie gambe, fino a raggiungere traguardi più lontani di quelli loro assegnati.
Fa un certo effetto constatare come, in presenza di tali stimoli esterni, che richiederebbero risposte rapide e consapevoli, il mondo politico scelga di concentrare le proprie energie guardando indietro. E’ quello che sta avvenendo con la questione toponomastica.
 L’illegittimo intervento dell’Alpenverein, che non può che essersi valso di contributi pubblici e di un più o meno esplicito sostegno politico, ci ha fatto sprofondare nel secolo scorso. Ora la politica sembra non sapere che pesci pigliare. Lo dimostra il fatto di aver messo in campo il CAI, alla ricerca di un’impossibile mediazione con la stessa Alpenverein. Non si capisce perché, e sulla base di quale legittimità e competenza, due associazioni private di amanti della montagna dovrebbero trovare una soluzione a un non-problema improvvidamente messo al centro dell’agenda politica. L’unico effetto ottenuto finora, per la verità non brillantissimo, è stato quello di rimettere in gioco un lontanissimo governo, che da Roma mai avrebbe sperato che gli si desse la possibilità di gridare che anche l’Alto Adige è Italia, non potendolo dire troppo forte per la Padania della Lega.
 Ora il timore è che l’unica, parziale soluzione possibile sarà quella imposta in sede giudiziaria, che per sua natura non potrà che stabilire dei vinti e dei vincitori. Se le cose andranno davvero così si tratterà di un fallimento della politica, che come un apprendista stregone ha ridato vita a una questione addormentata ma potenzialmente esplosiva come la toponomastica, senza avere gli strumenti per governarla.
Alto Adige 27-6-10
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sabato, 26 giugno 2010



Nuove regole per il patentino con due alternative all’esame di bilinguismo

BOLZANO. Da martedì prossimo - con l’entrata in vigore del decreto legislativo - l’esame di bilinguismo avrà due alternative. La prima riguarda l’equipollenza dei diplomi linguistici internazionali. La seconda è legata al percorso scolastico con la combinazione tra maturità e laurea conseguite in due lingue diverse. Tra gli enti specificamente riconosciuti ci sono il Goethe Institut per la lingua tedesca e la Dante Alighieri per quella italiana.
 Sono due le alternative introdotte con la norma di attuazione dello Statuto di autonomia - approvata il 14 maggio scorso e convertita in decreto legislativo dal Consiglio dei ministri - che da martedì 29 valgono quale attestato di bilinguismo, come comunicano il Commissariato del Governo e la Provincia. La prima è relativa alla certificazione rilasciata da enti specificamente riconosciuti dopo il superamento di un apposito test linguistico. Per la parte tedesca rientrano in questa tipologia ad esempio le certificazioni del Goethe Institut e del Deutscher Volkshochschulenverband, il diploma linguistico austriaco (ÖSD) o il “TestDaF” dell’omologo istituto di Hagen. Per attestare la conoscenza delle lingua italiana sono ad esempio considerate equipollenti le certificazioni dell’Università per stranieri di Perugia (Celi) e Siena (Cils), della Società Dante Alighieri a Roma (Plida) e dell’Università “Roma Tre”. Tutte queste certificazioni si rifanno al quadro comune europeo di riferimento per le lingue, con i relativi livelli A2, B1, B2, C1 che corrispondono agli esami di bilinguismo per le carriere D, C, B e A. Per avere il corrispondente patentino bisogna essere in possesso di entrambe le certificazioni, ovvero quella in italiano e l’altra in tedesco. Se l’interessato può esibire tali diplomi in una sola delle due lingue, dovrà superare un esame nell’altra lingua per poter conseguire l’attestato di bilinguismo. Per esempio se una persona è in possesso del diploma del Goethe Institut per il tedesco, potrà svolgere la parte italiana dell’esame presso gli uffici per il normale patentino. Invece che una prova con lo scritto della durata di un’ora e mezza, avrà a disposizione solo 45 minuti. Non verranno, invece, riconosciuti certificati che attestano la partecipazione ad un corso di lingua ovvero certificazioni linguistiche di altro tipo, rispetto a quelle rilasciate dagli enti citati.
 La seconda alternativa all’esame tradizionale per il cosiddetto patentino “A” è data dalla combinazione tra il diploma di maturità conseguito in una lingua e la laurea conseguita nell’altra. A chi ad esempio è in possesso del diploma di scuola superiore in lingua italiana e ha completato gli studi universitari in lingua tedesca viene riconosciuto l’attestato di bilinguismo della carriera A. La condizione necessaria è che lo studio universitario sia stato svolto prevalentemente in una delle due lingue. Questo significa tra l’altro che il titolo conseguito dopo lo studio trilingue alla Libera università di Bolzano o alla Scuola superiore di sanità “Claudiana” non viene riconosciuto equipollente all’attestato di bilinguismo. Lo studio nelle due lingue di diritto italiano a Innsbruck viene invece considerato percorso universitario in lingua tedesca.
Alto Adige 26-6-10
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giovedì, 24 giugno 2010



Svp: dialogo sul liceo trilingue

ALAN CONTI
BOLZANO. Importante apertura da parte dell’Obmann cittadino dell’Svp Dieter Steger verso la scuola trilingue. «È un peccato - le sue parole - che il progetto del “Carducci” sia terminato. L’Alto Adige deve aprire una profonda riflessione»
 Nel dibattito sullo stop all’esperimento trilingue del liceo “Carducci” si inserisce anche il presidente del consiglio provinciale. «Sarebbe stato interessante - dichiara - scoprire l’evoluzione di una simile esperienza scolastica. Sarebbe anche potuta essere una ottima base per un dialogo».
 E’ importante infatti, prosegue Steger, «approfondire e incentivare una riflessione attorno alla scuola trilingue, perché l’Alto Adige è inserito in un mondo globalizzato e ha un estremo bisogno di essere competitivo».
 Chiaro che la possibilità di padroneggiare tre idiomi rappresenterebbe un indubbio vantaggio per gli studenti altoatesini.
 «Solo i più qualificati - riprende l’Obmann cittadino della Svp - possono aspirare ad occupare i posti di lavoro più prestigiosi. La nostra società deve ovviamente fare i conti con un mercato globale e risulta evidente che la conoscenza delle lingue è in questo senso un discrimine importante».
 Per fare passi avanti, però, è necessario cominciare a parlarne e l’apertura della Svp è senz’altro una novità.
 Non solo, Steger sembra quasi spingere perché l’argomento entri nell’agenda politica: «È necessario discuterne in modo approfondito e cominciare una riflessione globale sull’opportunità di fornire un’alternativa al classico istituto frequentato nella madrelingua». I risultati dei nostri studenti, insomma, cominciano a essere poco convincenti anche per la Stella Alpina. «Le competenze dei giovani altoatesini nella seconda lingua stanno peggiorando e in inglese non usciamo benissimo dal paragone con i Paesi vicini come l’Austria». Eppure le potenzialità ci sarebbero: «Il nostro territorio è tradizionalmente portato ad essere una cerniera fra due culture. A tutto questo, poi, si può tranquillamente aggiungere l’inglese, che poi è la lingua internazionale per antonomasia. Le possibilità ci sono, bisogna pensare a come sfruttarle al meglio per tutti».
 La vicenda legata al progetto trilingue del liceo classico “Carducci” è ormai nota. La sperimentazione si basava sull’insegnamento di alcune materie in modo veicolare. Nel biennio predominanza per l’inglese, più tedesco nel triennio. Un progetto, però, che necessitava di risorse umane sufficienti a garantire una compresenza nelle ore di lezione nell’altra lingua. All’insegnante che parlava tedesco o inglese, infatti, andava affiancata la titolare della cattedra per una questione di valutazione. Con l’espandersi della sperimentazione, però, le classi interessate si sono moltiplicate e con loro, logicamente, i docenti necessari. Il tutto mentre a livello provinciale si decideva il blocco dell’assunzione dei docenti. Di fronte anche a un lieve calo degli iscritti, il collegio docenti aveva deciso di bloccare le prime classi nel 2006. Nella Maturità 2011, quindi, si diplomeranno gli ultimi ragazzi interessati. Il rimpallo di responsabilità è stato continuo: prima si è evidenziata la difficoltà a reperire docenti qualificati, poi i mancati finanziamenti in arrivo dalla Sovrintendenza, infine la scelta politica dell’assessorato Gnecchi. Ora, però, arriva inatteso il rammarico di via Brennero, che contribuisce comunque ad aprire uno spiraglio per la discussione sulla scuola plurilingue.
Alto Adige 24-6-10
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martedì, 22 giugno 2010



CULTURA: LA SFIDA DELLA CAPITALE

ANDREA DI MICHELE
Bolzano capitale europea della cultura. Sono anni che periodicamente se ne parla e che purtroppo il progetto di presentare la candidatura del nostro capoluogo a capitale culturale dell’Europa per l’anno 2019 non decolla.
 In passato si è pensato a una candidatura “solitaria”, della sola Bolzano; poi si è passati all’idea di una proposta transfrontaliera, capace di tenere insieme Alto Adige con Trentino e Tirolo; oggi sembra farsi concreta l’ipotesi di agganciarsi a un treno già in corsa, quello della candidatura dell’intero Nordest. Quest’ultima pare una proposta particolarmente forte, sia da un punto di vista politico che economico, proveniente da un’area non solo culturalmente ricchissima, ma economicamente vitale e che gode di una rappresentanza “pesante” nei palazzi del governo. Davanti alla presenza di una simile candidatura, a Bolzano probabilmente si è ritenuto che non vi fosse lo spazio per andare avanti da soli e che l’unica chance di successo fosse di prendere parte al progetto.
 Sappiamo quanto importanti possano essere questi appuntamenti.
Nel 2004 Genova ha saputo sfruttare al meglio la sua nomina a capitale europea della cultura, che le ha consentito di conoscere un rilancio culturale e turistico, i cui effetti si vedono ancora oggi. La cultura, lo sappiamo, non è solo un valore in sé, ma possiede una dimensione economica di tutto rispetto. Il turismo culturale muove ormai milioni di persone e i progetti e i relativi finanziamenti comunitari che si legherebbero alla designazione di capitale culturale rappresenterebbero un volano anche economico per l’intera area interessata. Si tratterebbe di un appuntamento in grado di ridefinire e rafforzare le nostre infrastrutture culturali, di consolidare una già forte immagine internazionale e di creare nuove reti e relazioni. Con la sua adesione alla candidatura del Nordest, Bolzano può portare in dote il suo essere un ponte verso il Nord, i suoi legami storici e linguistici con l’area tedesca, consentendo di allargare l’orizzonte a una proposta che altrimenti rischia di apparire monolinguistica e mononazionale.
 Negli scorsi anni, un chiaro veto a qualsiasi ipotesi di candidatura da parte di Bolzano era venuto dalla Svp cittadina e in modo particolare dal vicesindaco Ellecosta. La motivazione era che una città che ancora esibisce simbologie e monumenti fascisti non può pensare di presentarsi come modello culturale. I “relitti fascisti”, dunque, come zavorra che impedisce di guardare avanti, frustrando ogni ambizione culturale. Oggi non c’è più Ellecosta, ma il problema rimane. Se si andrà avanti nel progetto insieme al Nordest cosa ne faremo dell’architettura fascista? Continuerà a indebolire la nostra immagine e a negarci un futuro come città di cultura?
 Credo che una nostra eventuale richiesta di partecipazione dovrà essere avanzata non nonostante i monumenti fascisti che costellano i quartieri della “Bolzano nuova”, ma anche grazie ad essi. Nel progetto in via di elaborazione di quella che i responsabili della candidatura chiamano “metropolitana culturale del Nordest” vi sono numerose linee colorate, ciascuna su di un tema diverso. Si va dall’architettura alle arti visive, dalla musica al cinema, dalla scienza alla natura, ecc. Vi è poi la linea rossa, dedicata alla memoria, che da Trieste si snoda lungo il Carso, Gorizia e l’Isonzo, Gemona, il Vajont, il Piave, il Polesine, Bassano e giunge fino a Tesero. Tocca importanti luoghi della memoria nazionale, momenti della prima guerra mondiale, ma anche eventi drammatici della storia della Repubblica, come i disastri del Vajont e di Stava, l’alluvione del Polesine e il terremoto del Friuli. In un percorso lungo la memoria, la linea rossa della metropolitana della cultura potrebbe aggiungere una fermata, proprio a Bolzano. Sarebbe una tappa nel luogo che forse meglio di qualsiasi altro potrebbe rappresentare la memoria dei fascismi e ciò non servendosi di una struttura “artificiale” come un museo, ma mostrando nel corpo vivo della città le tante tracce ancora presenti del ventennio fascista e dei venti mesi di occupazione nazista. Sarebbe la città a farsi museo e non semplicemente ad ospitarne uno.
 Il monumento alla Vittoria, il duce a cavallo, i quartieri italiani del centro e della periferia, la zona industriale, il palazzo Alti Comandi, il lager potrebbero divenire tante tappe di un museo a cielo aperto che, contestualizzate e lette a distanze di ormai quasi un secolo, racchiuderebbero un enorme e modernissimo potenziale comunicativo.
 Sarebbe un’occasione unica per trasformare una zavorra in una risorsa e per liberarsi almeno in parte del peso del passato. Ciò che è necessario è una stretta e convinta collaborazione tra la Provincia e la Città, senza la quale qualsiasi progetto è destinato al fallimento. Il momento è quello giusto, anche perché la neonata giunta comunale potrà lavorare libera da prossimi appuntamenti elettorali. Se poi l’idea di trasformare Bolzano nella città della memoria dei fascismi si trasformerà in un esempio di rinnovata e proficua collaborazione tra il capoluogo e la Provincia, allora vorrà dire che si sarà ottenuto un duplice successo.
Alto Adige 22-6-10
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categoria:cultura
domenica, 20 giugno 2010



NOMI E SCUOLA L’SVP NON DICA SOLTANTO NO

SERGIO BARALDI
Dopo la morte di Magnago, il presidente Durnwalder e il segretario politico della Svp, Theiner, intervistati dal nostro giornale, fecero delle considerazioni importanti sulla necessità di aprire una nuova stagione della convivenza. L’emozione per la morte del costruttore dell’autonomia li aveva spinti a riflettere sul fatto che l’apertura di una fase nuova fosse il modo migliore per ricordare Magnago e riconoscergli i suoi meriti storici. Non è passato molto tempo, e siamo qui a chiederci se quelle parole siano state dimenticate. Alcune vicende, differenti tra loro, ma legate dalla funzione che svolgono nell’immaginare la società di domani, che poi è oggi, vale a dire la storia dei toponimi e della sperimentazione nella scuola, registrano più il ritorno di vecchi fantasmi che l’avvento di una nuova mentalità che, pure, Durnwalder e Theiner avevano riconosciuto come indispensabile in Alto Adige. E’ vero che occorrono gesti concreti da parte di tutti, anche dagli italiani, per iniziare una nuova stagione. Tuttavia, la Svp è il partito maggiore, di conseguenza è quello che ha maggiori responsabilità. E un rischio, la Svp lo corre, se lascia troppo spazio ai suoi istinti e al suo tatticismo: quello di diventare il partito dei no. Il partito cioè che, di fronte ai problemi, si chiude in una politica identitaria che, a sua volta, spinge verso una posizione di resistenza, di difesa.
Una scelta che postula l’idea di una società tedesca che si percepisce come minoranza che ha bisogno di tutela, e non invece come una componente maggioritaria e dinamica che aspira a giocare un ruolo moderno. Una simile politica, forse, risponde alla convinzione che conservare è il modo migliore per riaggregare un consenso che si è logorato, ma che impedisce di vedere il nuovo campo della politica oggi in Alto Adige. Prendiamo i toponimi. Una forzatura comporta il pericolo di innescare un conflitto “nazionalista”, suscitando sentimenti anti tedeschi nel mondo italiano, sentimenti anti italiani nel mondo tedesco. Come osserva nel suo interessante articolo di oggi il prof. Fazzi, rischiamo di rimettere in circolo la politica della paura, utilizzando i toponomi come simboli nazionalisti. In un importante libro del’92, “Il nuovo disordine mondiale”, lo storico Anderson aveva prefigurato i pericoli di comunità che si aggrappano alle proprie identità, che ripescano nella propria memoria un esclusivo e aggressivo senso di appartenenza. C’è bisogno di tornare a queste tensioni in Alto Adige? E’ comprensibile che il governo italiano faccia presente alla Provincia la necessità di rispettare il bilinguismo anche nelle indicazioni stradali, in una terra che, come ricordava ieri Campostrini, è plurilingue. Ma forse più che un approccio “nazionalista”, più che di un confronto muscolare tra autorità, sarebbe utile un confronto che consenta di far prevalere le ragioni dell’integrazione e del reciproco rispetto. Il governo italiano dovrebbe comprendere che su questo terreno delicato non si può procedere per ultimatum, mentre servirebbe una maggiore intelligenza della situazione locale. D’altra parte, la Svp non può pretendere di far valere la “sua” interpretazione delle norme dello Statuto, che i giuristi smentiscono, e che prefigura una sorta di diritto parallelo. La conseguenza è che la Svp finisce per alimentare l’antico sospetto che punti a un’assimiliazione, non a un’integrazione. Questo sarebbe il momento giusto per il pragmatismo di Durnwalder, sempre che l’interessato ne pratichi ancora le virtù.
 Un problema simile è quello della scuola. La scuola italiana ha avviato una sperimentazione trilingue con l’inglese che ora non riesce a proseguire. E’ un problema “solo” italiano? O invece chi governa dovrebbe riflettere sul fatto che si tratta di un’eccellenza che interessa tutte le scuole, tutta la comunità, senza distinzione di gruppo linguistico? In questa prospettiva, quel progetto potrebbe diventare un simbolo della qualificazione del territorio, come spiega bene il prof. Palermo nel suo articolo. Allora ha senso unire le forze e allargare i confini della sperimentazione: la proposta del vicepresidente Tommasini meriterebbe un ascolto più attento. Del resto, se l’università, giustamente, si struttura per essere un’università trilingue, non si devono preparare gli studenti per questo sbocco? E non si tratta di un interesse sia delle famiglie tedesche sia di quelle italiane o mistilingue? Qui affiora il punto decisivo. Se continuiamo a leggere le sfide che si presentano in termini d’identità etnica, di paura, vincerà l’immobilismo. Resteremo prigionieri delle categorie del Novecento, a cominciare dalla separazione. Chi pensa di resistere perché nulla cambi, in una versione tirolese del Gattopardo, forse s’illude, perché le cose cambiano anche senza di noi. Se invece decifriamo le sfide secondo una diversa visione, quella della libertà e dei diritti, allora una nuova stagione si potrà aprire per tutti. Ciò che è in questione in Alto Adige, dunque, è la capacità di rappresentare in termini nuovi i rapporti tra gruppi linguistici, vale a dire in termini di con-vivenza, e di organizzare un pensiero e una strategia che sostituisca all’etnia (alla paura) la libertà (la fiducia) in una società plurale. E’ questo il nuovo campo della politica dopo Magnago. La società ne sembra più consapevole dei suoi rappresentanti. I cittadini domandano un cambiamento nell’equilibrio. I no del passato non preparano il futuro.
Alto Adige 20-6-10
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categoria:cultura, sociale
sabato, 19 giugno 2010

Addio a José Saramago poeta, visionario ed "eretico"
Lo scrittore portoghese, premio Nobel nel 1998, aveva 87 anni. Ha avuto un malore nella sua casa di Lanzarote. I capolavori, da Memoriale del Convento a Cecità. Gli ultimi anni segnati dalle polemiche con la Chiesa fino alla rottura con "Caino"
di OMERO CIAI
Se n'è andato ad 87 anni il primo e unico Premio Nobel per la Letteratura in lingua portoghese. José Saramago è morto oggi, poco  dopo le 13, nella sua casa di  Tiàs, a Lanzarote (una delle Isole Canarie), dove risiedeva dal 1991 insieme alla moglie, Pilar del Rio, e alla fedelissima segreteria Pepa. Nato il 16 novembre del 1922 ad Azinhaga, un piccolo villaggio a nord di Lisbona, ottenne il Nobel per la letteratura nel 1998 dopo una esistenza segnata a lungo dalla provvisorietà e dalla povertà. La sua famiglia di braccianti agricoli si trasferì nella capitale dove suo padre ottenne un posto come agente di polizia ma per le difficoltà economiche e la morte improvvisa del fratello maggiore Saramago dovette lasciare gli studi e cercare lavoro prima  come fabbro e poi come meccanico. Riuscì a pubblicare il primo racconto, "Terra del Peccato" nel 1947. Lo scarso successo però lo costrinse a fare altri lavori (impiegato in una agenzia di assicurazioni, tecnico amministrativo in una casa editrice), finché non divenne giornalista al "Diario de Lisboa". Dopo alcuni libri di poesia raggiunge una certa notorietà a metà degli anni Settanta, quando la "Rivoluzione dei garofani" portò via la dittatura militare, con la pubblicazione del "Manuale di pittura e calligrafia", cui seguiranno due dei suoi romanzi più famosi: "Una terra chiamata Alentejo" nel 1980 e "Memoriale del convento" nel 1982. Due anni dopo la consacrazione con "L'anno della morte di Ricardo Reis" e, più tardi, con un la "Storia dell'assedio di Lisbona" che esce nel 1989.
Ateo e comunista (si iscrisse al Pcp clandestino durante la dittatura di Salazar), ruppe con il governo del suo paese nel 1991 quando pubblicò "Il Vangelo secondo Gesù", un romanzo eterodosso sul Messia che scatenò una gran polemica. Il Portogallo rifiutò di presentare il libro in un premio letterario europeo e Saramago, infuriato, lasciò Lisbona per trasferirsi, ed autoesiliarsi, con la sua seconda moglie (e traduttrice), Pilar, alle Canarie. Il primo ministro di allora è il presidente portoghese di oggi: il conservatore Anibal Cavaco Silva.
Ma eretico e scomodo, Saramago, lo è stato sempre, in tutte le sue riflessioni ed in tutti i suoi romanzi tanto da diventare un punto di riferimento per la sinistra radicale in tutto il mondo. E' stato accusato di antisemitismo per le sue posizioni a favore dei palestinesi in Medio Oriente  e, l'anno scorso con la sua ultima opera, "Caino", è tornato a scontrarsi con la Chiesa cattolica portoghese. Dello stesso periodo la battaglia con la sua casa editrice italiana, Einaudi, che rifiutò di pubblicare un libro, "Il Quaderno" tratto soprattutto dal suo blog, perché molto critico con Berlusconi. Nel 2004, dopo la primavera "negra" di Cuba, ruppe anche con Fidel Castro ma in seguito ci ripensò.
La politica è stata l'altra sua grande passione dopo la scrittura. In una intervista, concessa a Francesc Relea de El Pais l'anno scorso, Saramago ammise che forse il partito nel quale militava dagli anni Sessanta, (l'ultima formazione comunista europea che conserva "l'iconografia dei bolscevichi", bandiera rossa e falce e martello), era "ancorato nel passato". Ma aggiunse: "Abbiamo una eredità dalla quale non riesco a liberarmi. Ed è possibile che questa eredità storica non abbia molto a che fare con la realtà di oggi. Ma perché la realtà di oggi avrebbe ragione? I sentimenti sono importanti. Non riuscirei a riconoscermi in nessun altro partito che non fosse quello comunista portoghese: ci resto per rispetto di me stesso".
Con "Cecità", del 1995, il racconto di una epidemia che fa diventare ciechi tutti gli abitanti di una città, che è considerato il suo capolavoro, si apre la sua ultima tappa di scrittore. E' quella più critica sulla società di massa, la globalizzazione, il consumo e lo stesso funzionamento del sistema democratico europeo. Nel suo ultimo blog, pubblicato stamattina, Saramago scrive: "Penso che la società di oggi abbia bisogno di filosofia. Filosofia come spazio, luogo, metodo di riflessione, che può anche non avere un obiettivo concreto, come la scienza, che avanza per raggiungere nuovi obiettivi. Ci manca riflessione, abbiamo bisogno del lavoro di pensare, e mi sembra che, senza idee, non andiamo da nessuna parte".
(La Repubblica 18 giugno 2010)
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sabato, 19 giugno 2010



UNA TERRA BILINGUE

PAOLO CAMPOSTRINI
La questione della toponomastica continua ad essere nelle mani dei taliban della purezza identitaria, della lingua usata come una clava per mostrare l’appartenenza ad un solo sangue e un solo suolo.
 E questo è triste. Ma lo è di più osservare come la politica risponda ponendo la stessa questione su un piano esclusivamente normativo. E dunque limitandosi a bordeggiare tra i richiami statutari e quelli delle competenze autonomistiche, cercando rifugio di volta in volta nelle rade di Tolomei o in quelle dei 500 nomi di Durnwalder, fino ai bizantinismi Svp che invocano la pagliuzza dell’azione «privatistica» dell’Alpenverein sui sentieri di montagna senza vedere la trave della sostanza palesemente «pubblica» e dunque, come si dice, erga omnes di quell’operazione.
 E’ triste perchè chi ci guida dovrebbe dire una volta per tutte che alla bilinguità della toponomastica non servirebbe neppure il sostegno della sua indiscutibile forza statutaria e dunque costituzionale, semplicemente perchè essa «è» la base stessa del nostro patto di convivenza.
Senza la dizione bilingue di comuni, luoghi e strade, senza il bilinguismo attivo e passivo negli uffici pubblici, senza la certezza che tutte le identità possano prosperare nella sicurezza della reciproca accettazione, ebbene tutto ma proprio tutto ciò che abbiamo costruito finora rischierebbe di essere messo in discussione. Impedire a qualcuno di chiamare un fiume o un monte come lo ha sentito pronunciare in casa sua fin da piccolo è una prospettiva di una violenza inaudita. Tocca l’immaginario, il mondo interiore di ognuno di noi, la letteratura, la poesia. Nessuno si sognerebbe di farlo con un sudtirolese. Nessuno dovrebbe sognarsi di farlo con un altoatesino. Il bilinguismo è l’ultima trincea, il muro capace di impedire che una simile violenza possa mai manifestarsi. E come per la scuola, la questione dovrebbe essere lasciata all’autonoma gestazione dei singoli gruppi etnici. Dovranno essere gli italiani, per esempio, a stabilire nell’uso se risolversi a chiamare Castel Varco soltanto col tedesco Laimburg. Come già accade. E così per il sentiero, o il maso o il rio che manterrebbe il suo storico patronimico tedesco senza che nessuno possa sentirsi umiliato da questa naturale presa d’atto quotidiana.
 E invece tra Svp e Alpenverein, passando per gli ottocenteschi afflati identitari di Schützen e destre civiche, è tutto un intrecciarsi di discriminanti storiche (prima o dopo i Baiuvari o il dipartimento napoleonico dell’Alto Adige?), di glosse pangermaniche, di registri parrocchiali piegati come bronzo fuso nella fucina delle molto più contemporanee esigenze elettorali di valle.
 Dall’altra, la destra italiana invoca soltanto Tolomei, individuando anche nelle più ardite e improbabili traduzioni, radici retoromance e addirittura etrusche per giustificare un’operazione di novecentesca pulizia etnica. L’uno e l’altro schieramento si rinfacciano i rispettivi testi glottologici che ovviamente, com’è nella loro stessa natura «vagula e blandula» direbbe il poeta, dimostrano tutto e il suo contrario. Senza pensare che al termine di questa orribile battaglia sulla pelle della gente, resterebbero solo ferite insanabili e un vago senso di reciproca estraneità nei due gruppi conviventi.
 Il nodo è invece, come detto, un altro. E su questo dovrebbero spendersi le forze politiche più responsabili. Il nodo è che la bilinguità di questa terra non va «dimostrata», va semplicemente «accettata» per il suo intrinseco valore fondativo. Noi siamo una terra bilingue e la toponomastica «deve» esserne lo specchio. Se in passato vi sono state delle forzature (Tolomei in primis) esse non possono essere riequilibrate dal brutale contrappasso dell’Avs o dal disegno di legge Svp che deciderà tra chi deve vivere o morire. Le forzature devono essere finalmente riconsegnate alla storia, come la germanizzazione della Venosta a scapito dei ladini. Perchè quasi quattro generazioni di altoatesini-sudtirolesi hanno mondato le brutalità della storia attraverso l’uso quotidiano e famigliare dei nomi, anche dei più improbabili. L’uso è la vera giustizia. L’uso è la libertà. La libertà di sentirsi a casa propria, di non dover rispondere delle colpe dei propri bisnonni, di non essere chiamati ogni giorno ad un esame di ammissione identitario.
Paolo Campostrini p.campostrini@altoadige.it
Alto Adige 19-6-10
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venerdì, 18 giugno 2010



Euromediterranea: torna il festival culturale nel segno di Alex Langer

Il Premio internazionale Alexander Langer 2010 va alla Fondazione Stava 1985. Dopo l’annuncio dato nell’aprile scorso, è venuto il momento della consegna vera e propria. Il tutto avverrà il primo luglio prossimo a Bolzano, in occasione dell’apertura del lavori del festival Euromediterranea promosso come tutti gli anni dalla stessa Fondazione Langer. Fino al 4 luglio il capoluogo altoatesino ospiterà infatti conferenze e dibattiti su una serie di temi cari all’agenda politica politica langeriana, e cioè diritti dei cittadini, politica e sostenibilità ambientale. Da segnalare, il 3 luglio, la presenza del vescovo Karl Golser che parteciperà a una conferenza sulle «Tesi sull’attuabilità politica della conversione ecologica» di Langer. A differenza del suo predecessore, Golser in questi mesi non si è mai sottratto al dibattito e al confronto su un un gran numero di temi, e anche stavolta ha accettato di mettersi in gioco su un terreno, quello dellìetica del rapporto uomo-ambiente, che conosce bene. La fondazione sta anche organizzando per il 3 luglio una manifestazione a sostegno del premio Langer 2009, Narges Mohammadi, arrestata pochi giorni fa in Iran. Ricordiamo che il Premio Langer ha lo scopo di dare visibilità a percorsi di persone che, spesso sconosciute, sono in grado di indicare strade innovative nel perseguimento della difesa dei diritti, della ricerca solidale e della salvaguardia dell’ambiente. Il Comitato scientifico e di garanzia della Fondazione Langer, quest’anno ha deciso di assegnarlo alla Fondazione «Stava 1985» che ha come obiettivi cardine della propria attività la difesa della cultura del rispetto del territorio e dell’attenzione alla sicurezza civile. Sulla base della memoria dei tragici fatti di Stava, ove persero la vita 268 vittime innocenti, la Fondazione fornisce infatti gli strumenti d’informazione e formazione necessari affinchè simili eventi non si ripetano. Le attività non riguardano dunque solo progetti di divulgazione della memoria, ma anche iniziative di prevenzione volte a diffondere le competenze tecniche per gli addetti ai lavori. Un esempio su tutti la promozione di un Master universitario in collaborazione con le Università di Trento, Torino e Modena volto a comprendere i processi di razionalizzazione tra struttura geotecnica ed ambiente circostante. Il presidente della Fondazione Stava, Graziano Lucchi, ricorda come il crollo delle discariche di miniera di Prestavèl, in alta val di Fiemme, e la conseguente colata di fango che travolse la Val di Stava, fosse una tragedia «evitabile». Il Premio di 10 mila euro previsto sarà sponsorizzato dalla Banca Popolare Etica, che condivide con la Fondazione i valori di sostenibilità e giustizia sociale, e per la cui nascita lo stesso Langer si spese in prima persona.
Per Bolzano in ogni caso, una buona occasione per discutere in modo molto concreto di tematiche di alto profilo, dimostrando che le possibilità di agire nel quotidiano, in un rapporto dialettico con le istituzioni, sono infinite. E che per questo vanno sfruttate. Il Festival Euromediterranea, da questo punto di vista, rappresenta sicuramente un punto di riferimento importante.
Alto Adige 18-6-10
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giovedì, 17 giugno 2010



Classi trilingui, la proposta Tommasini: scambi di docenti con la scuola tedesca

DAVIDE PASQUALI
BOLZANO. La sperimentazione trilingue al liceo classico Carducci è fallita, pare soprattutto a causa delle difficoltà nel reperimento di docenti in grado di insegnare le complesse materie liceali in tedesco, inglese o francese. Per risolvere il problema, almeno per quanto riguarda la lingua tedesca, una possibilità però ci sarebbe: reperire docenti nell’altra metà del cielo, ossia nei licei tedeschi. Lo propone l’assessore alla scuola italiana Christian Tommasini, ma d’accordo si dicono la dirigente del liceo, Carmen Siviero, la professoressa Rita Franceschini, direttrice del centro apprendimento lingue della Lub, e pure il consigliere dei Verdi Riccardo Dello Sbarba, il primo assieme al collega Hans Heiss a sollevare il problema della chiusura dell’indirizzo sperimentale al Carducci, visto come un fallimento dell’insegnamento veicolare delle lingue alle superiori.
 «Mi dispiace molto che lo sperimentale stia per chiudere», dichiara Tommasini. «Ma la colpa non è della politica, quanto piuttosto nella difficoltà di reperire docenti formati ad hoc per insegnare materie complesse in un’altra lingua. Comunque, la decisione di chiudere fu presa dalla scuola, sulla scorta della autonomia degli istituti. A quanto mi consta, poi, c’erano anche pochi iscritti. Anche se va ad esaurimento, non ritengo però che l’esperienza sia stata fallimentare (come confermano studenti e professori: leggere sotto, ndr). La dobbiamo utilizzare per guardare al futuro. La mia idea è di creare più classi così in più scuole. Perché si possa insegnare in lingua veicolare, dovremo attuare un meccanismo di scambi, incentivandoli. A insegnare matematica in tedesco al liceo italiano potrebbe essere il docente dell’omologa scuola tedesca». A settembre, conclude, «approveremo la legge di recepimento della riforma Gelmini, almeno nel suo impalcato. Da settembre a dicembre studieremo il piano dell’offerta formativa, e allora vedremo cosa si potrà fare in concreto per facilitare lo scambio fra insegnanti».
 «Non mi sembra l’esperimento sia fallito», dichiara la dirigente del Carducci Siviero. «A un certo punto l’intendenza decise di non sovvenzionare più la sperimentazione, effettivamente costosa. Ora, con la riforma alle porte, si prevede che dalla III in tutti i linguistici ci siano una o due materie in lingua veicolare. Si dovrà recepirla, e mi auguro che nessuno sia così sciocco e autolesionista da non introdurre questa novità in Alto Adige. Fra il resto, senza costi aggiuntivi: se si volesse si potrebbe risolvere con lo scambio di docenti fra istituti italiani e tedeschi». «Sono molto sorpresa - commenta invece la professoressa Franceschini della Lub - del fatto che pare non si trovino professori in grado di insegnare in lingua veicolare alle superiori. A parte che ne conosco personalmente di bravissimi, posso dire questo: in Alto Adige lo scambio fra studenti dei due gruppi linguistici funziona a meraviglia. Ha stupito anche i linguisti del centro apprendimento della Lub. Non si capisce per quale motivo non dovrebbe funzionare fra i docenti. Ci sono difficoltà burocratiche sulla mobilità fra istituti italiani e tedeschi: le si dovrebbe spianare. Perché questo non toccherebbe le identità culturali o le sensibilità di nessuno».
 «La sperimentazione alle superiori - spiega Dello Sbarba, in pratica sulla stessa linea, anche se assai più caustico - sono state seguite con meno interesse rispetto a elementari e medie, sia da parte delle autorità politiche sia da parte del mondo della scuola. Non sono state sostenute come dovevano. E da qui si vede tutto il limite della linea seguita dall’assessorato. Agli italiani è stata data libertà di sperimentare, ma senza coinvolgere il mondo tedesco. Qui c’è bisogno di reciprocità, perché il trilinguismo non si fa da soli. Le intendenze devono collaborare, perché la sperimentazione funziona solo se è comune. E costerebbe molto meno, scambiando i docenti».
Alto Adige 17-6-10


Kasslatter: niente scambio docenti

DAVIDE PASQUALI
BOLZANO. Fallimento della sperimentazione trilingue al liceo Carducci, un doppio smacco per l’assessore alla scuola italiana Chistian Tommasini, da parte dei docenti dell’istituto e pure dell’assessorato alla scuola tedesca.
 Il vicepresidente della giunta provinciale, infatti, prima aveva escluso che la colpa della chiusura fosse da ascrivere alla politica, precisando che a prendere la decisione di segare il trilingue era stato, in piena autonomia, lo stesso istituto già nel 2006, per via dei pochi iscritti e soprattutto della difficoltà nel reperire professori in grado di insegnare le complesse materie liceali in lingua veicolare. Ora, ben 71 docenti del Carducci, a lezioni terminate, ieri si sono riuniti e hanno scritto una durissima lettera (vedere il box qui accanto) d’accusa alla politica: se abbiamo chiuso, dicono in sostanza, è perché nessuno ci ha sostenuto e finanziato a dovere. Ma non è finita qui. Perché, per poter supplire alla supposta mancanza di professori ben formati, per il futuro l’assessore aveva puntato sullo scambio fra scuola tedesca e italiana di docenti da utilizzare per le lezioni in lingua veicolare. L’intendenza tedesca però, per bocca del dirigente Peter Höllrigl, ora fa sapere: «Lo scambio non è previsto dal contratto provinciale dei docenti e non se n’è mai parlato fra le due intendenze scolastiche». Ma, soprattutto, lo scambio non ha l’avallo politico dell’assessore alla scuola tedesca.
 Tommasini aveva proposto una possibile soluzione alla difficoltà nel reperimento di docenti in grado di insegnare le complesse materie liceali in lingua 2 o in lingua 3: «Incentiveremo lo scambio di professori dagli istituti tedeschi a quelli italiani e viceversa». La proposta, però, in sostanza non viene nemmeno presa in considerazione dall’assessore provinciale alla scuola e cultura tedesca, Sabina Kasslatter Mur, la quale così commenta: «Noi incentiviamo lo scambio di studenti, che possono frequentare mezzo o un anno intero negli istituti in cui si insegna nell’altra lingua. Il progetto riguarda le classi terze e quarte delle scuole superiori ed è molto apprezzato, anche se dovrebbe essere diffuso maggiormente. Funziona coi licei, con l’Iti e via dicendo. La scuola tedesca sostiene tutti i progetti che possano incrementare la conoscenza della lingua italiana, oggi troppo scarsa, ma abbiamo diverse difficoltà con il personale. Non tutti sono formati a sufficienza, e poi abbiamo troppi supplenti». Per quanto riguarda l’insegnamento della seconda lingua, insomma, «soffriamo di una mancanza di continuità didattica che ci penalizza». Tutti motivi per cui, «prima di pensare a progetti innovativi di licei trilingui, a scambi di docenti fra istituti e a sperimentazioni in lingue veicolari, attualmente non previsti per quanto riguarda la scuola in lingua tedesca, dobbiamo piuttosto impegnarci a migliorare qualitativamente e quantitativamente il nostro personale docente». Tradotto: non possiamo permetterci di prestare professori ad altri, non avendone a sufficienza nemmeno per noi. Comunque sia, «di scambio si potrebbe anche discutere, ma sempre tenendo ben presente che lo scopo dell’intendenza tedesca è garantire a tutti i sudtirolesi una formazione in lingua tedesca in tutte quante le materie di insegnamento».
Alto Adige 18-6-10
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categoria:cultura

mercoledì, 16 giugno 2010



Addio alla scuola trilingue: il sogno morirà nel 2011

DAVIDE PASQUALI
 BOLZANO. La sperimentazione trilingue nelle scuole superiori altoatesine è fallita. L’ultima classe trilingue terminerà le lezioni a giugno 2011 al liceo classico Giosuè Carducci. Il motivo principale è semplice da sintetizzare: troppo difficile reperire personale docente in grado di insegnare le complesse materie liceali in lingua veicolare, ossia filosofia in tedesco o geografia in francese oppure matematica in inglese. Detto altrimenti, finché la politica non deciderà di formare insegnanti ad hoc, in Alto Adige le superiori trilingui rimarranno soltanto una chimera. Lo si evince dalla risposta fornita dall’assessore all’Istruzione Christian Tommasini ad una interrogazione, presentata dai consiglieri verdi Hans Heiss e Riccardo Dello Sbarba, riguardo la paventata chiusura dell’unico indirizzo trilingue esistente in provincia, al classico Carducci.
 «Al momento attuale - precisa infatti l’assessore Tommasini - ci sono ancora due classi attive, la IV e la V E, per cui la sperimentazione terminerà nel giugno 2011». La sperimentazione, partita nell’anno scolastico 2003/2004, spiega oltre l’assessore alla scuola italiana, non è stata attivata in nessun’altra scuola altoatesina. Solo in qualche caso e per qualche disciplina (non si specifica numericamente in quante occasioni) «si sono attivate lezioni tramite l’uso veicolare del tedesco e alcuni moduli attraverso lo scambio di docenti - della stessa disciplina - fra la scuola italiana e la scuola tedesca». La sperimentazione trilingue, dunque, è stata circoscritta ad un solo istituto, e non pare con grande convinzione, visto che non sono mai esistite contemporaneamente tutte e cinque le classi della sezione sperimentale. Nel 2003/04 (24 gli studenti) si iniziò con la prima; nel 2004/05 (35 studenti) si aggiunse ovviamente la seconda; nel 2005/06 (49 studenti) arrivò la terza; nel 2006/07 (56 studenti) pure la quarta. L’anno successivo, il 2007/08 (50 studenti), si arrivò per la prima volta alla maturità, ma contestualmente venne eliminata la prima classe. L’anno successivo, il 2008/09 (30 studenti), si è tolta dal piano studi la seconda. E nell’ultimo anno (15 studenti) si è eliminata la terza. Nell’anno scolastico appena trascorso sono sopravvissute la quarta e la quinta; classe, questa, che a giorni inizierà l’esame di Stato. Terminata la maturità, rimarrà solo la IV E, che il prossimo anno diventerà la V E, ovverosia l’ultima classe della sperimentazione trilingue al Carducci, o meglio nelle superiori di lingua italiana dell’Alto Adige.
 Dalla risposta all’interrogazione si evince che la decisione di rinunciare si prese già nel 2006. In quell’anno con una delibera interna «il liceo ha deciso che il trilingue sarebbe andato ad esaurimento per cui è scemato anche l’impegno per la coordinatrice del monitoraggio».
 E non è finita qui: non solo non si sono più effettuati monitoraggi, ma non esiste una valutazione scientifica sui risultati raggiunti dalla sperimentazione. La dirigente scolastica del liceo classico ha richiesto sì una valutazione all’Istituto pedagogico, ma solo quest’anno, a sette anni dall’avvio del corso trilingue. «Il suo intento è quello di capire quali potenzialità abbia questa sperimentazione». Contestualmente, però, nella risposta alle pressanti domande dei verdi, l’assessore Tommasini ammette: «Non è stata avanzata alcuna proposta da parte della scuola per rilanciare la sperimentazione». La motivazione si evince oltre, e citiamo integralmente, a scanso di equivoci: «Una sperimentazione linguistica - come succede del resto negli altri gradi di scuola - si basa sulla disponibilità dei singoli docenti preparati allo scopo e desiderosi di intraprendere un percorso nuovo, che richiede loro competenza e disponibilità al confronto e alla programmazione. A questi docenti infatti non viene richiesta solo la ovvia conoscenza e competenza linguistica, ma la ben più consistente competenza disciplinare. Sapere la lingua e padroneggiare la disciplina “veicolare” per saperla insegnare, corrisponde ad un profilo professionale non facile da reperire, anche perché figure così non sono ancora previste dalle vigenti classi di concorso». Tradotto: il corso sperimentale trilingue chiude, perché non è possibile trovare dei docenti in grado di insegnare le complesse materie liceali in un’altra lingua.
 Per salvarsi in corner, l’assessore Tommasini tenta una dilazione nel tempo: «Assessorato e sovrintendenza traggono un bilancio positivo. L’esperienza fatta dai docenti del Liceo linguistico sperimentale verrà valorizzata nella proposta di riforma della scuola secondaria di secondo grado».
 Insomma, riassumendo: sette anni fa è partita la sperimentazione trilingue. Se per elementari e medie non ci sono stati grossi intoppi - basti pensare all’esperienza delle Manzoni - l’unico liceo ad aver tentato una sperimentazione è stato, coraggiosamente, il Carducci. Ma anche lì si è dovuta gettare la spugna. E così, proprio ora che agli studenti trilingui del primo ciclo servirebbero delle superiori trilingui, non solo non se ne istituiscono di nuove, ma si chiude l’unico corso esistente. Per inciso - nonostante le difficoltà - apprezzatissimo dagli studenti.

L’esperto: formare docenti ad hoc

BOLZANO. «La sperimentazione non è fallita, piuttosto ci si è imbattuti in alcuni scogli giuridici, legislativi e formativi che, nonostante il tempo trascorso, non sono stati rimossi. Occorrerebbe molta più convinzione da parte della politica». Lo afferma il professor Marino Melissano, ex preside dell’Iti Galilei e membro della commissione che elaborò il progetto di scuola trilingue su incarico della Provincia.
 Ci parli di questi scogli.
 
«Non li ha incontrati solo il Carducci, anzi. Quello del liceo classico fu l’unico collegio docenti ad accettare la sfida, anche per via della forte richiesta di trilinguità da parte di genitori e alunni».
 Alle elementari e medie l’impatto è stato migliore?
 
«Sì, negli istituti comprensivi è stato tutto più semplice: se l’insegnante conosce l’inglese, alle elementari può tranquillamente insegnare matematica usandolo come lingua veicolare. Alle superiori è tutto più complicato. Per questo molti collegi docenti non videro di buon occhio la sperimentazione. Per dire: io, come preside dell’Iti, nel mio istituto non riuscii nemmeno a farla partire».
 L’unica scuola che riuscì a deliberare in tal senso fu il Carducci, ma ora arriva la capitolazione.
 
«Insegnare scienze in un liceo tramite la seconda o la terza lingua presuppone la conoscenza linguistica, le competenze specifiche nella materia, e ancora non basta. Occorre una formazione ad hoc, si deve insegnare ai docenti a spiegare tramite lingua veicolare. Non è tutto così automatico come si potrebbe pensare. Oggi come oggi ci si può fare poco, nel senso che esistono scogli giuridici, legislativi e formativi».
 Insomma, si può essere convinti e determinati, si può godere dell’appoggio di docenti, alunni e genitori, ma se la politica non cambia atteggiamento...
 
«Esatto. Ci vorrebbe maggiore convinzione. Personalmente, con tutti gli anni passati, mi sarei aspettato questo: gli alunni che nel frattempo hanno frequentato elementari e medie trilingui, avrebbero dovuto trovare un’offerta formativa trilingue in diverse scuole superiori. Purtroppo non sarà così».
Alto Adige 16-6-10

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martedì, 15 giugno 2010



La giunta appoggia il progetto Triveneto Capitale della cultura

BOLZANO’. L’Alto Adige aderisce alla candidatura avanzata dal presidente della Regione Veneto, Zaia, a “Regione europea della Cultura 2019” che riunisce il Veneto, il Friuli Venezia Giulia ed il Trentino-Alto Adige. Lo ha deciso nella sua seduta odierna la giunta provinciale di Bolzano. L’idea originaria era stata lanciata da Filiberto Zovico, presidente di Nordesteuropa.it che l’aveva presentata «come una vera occasione per fare del Nordest una vera e propria piattaforma culturale». Un’opzione, però, che aveva anche innescato qualche polemica con l’amministrazione comunale che, per bocca del consigliere Guido Margheri (Sel), si è sentito «scavlcato dalle scelte dell’assessorato di Tommasini. Nemmeno l’Svp, oltretutto, era stata contattata». Ieri mattina, però, la giunta provinciale sembra aver dato il via libera all’operazione. Non sarebbe, comunque, la prima volta che a Capitale europea della cultura viene proposta un’intera regione. Successe pochi anni fa, infatti, con alcune zone di Francia, Germania e Belgio». Il fulcro del progetto, comunquue, sarà Venezia.
Alto Adige 15-6-10
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domenica, 13 giugno 2010



IL SACRO CUORE NON CI DIVIDA

di Paolo Valente
I simboli possono unire o dividere. Dipende dall’uso che se ne fa. Vale per i simboli nella politica, nella cultura e nella religione. Così come per il Sacro Cuore. Il Sacro Cuore è infatti uno di quegli elementi che nel corso dei secoli è servito a dare e togliere significati, a compattare e a erigere barriere. Se si pensa alla genesi del famoso “voto” del 1796, ci si accorge che tutti questi aspetti sono già presenti allora. Il Tirolo era minacciato di invasione da parte delle truppe di Napoleone Bonaparte. Gli stati dell’antica contea riuniti a Bolzano decisero di affidare la “difesa” del territorio al Cuore di Gesù. Dunque in origine c’è proprio l’essenza di questa terra: l’essere una regione ponte e muro al tempo stesso. Essere una porta da aprire o chiudere. Quando la propria vocazione è essere la sentinella sulla frontiera, il senso del pericolo e della minaccia fa parte della vita. Ecco spiegati molti atteggiamenti anche dei giorni nostri. Il voto al Sacro Cuore fu rinnovato nei momenti critici della nostra storia. Ai tempi di Andreas Hofer e della sollevazione da lui guidata (1809), dopo la restaurazione nel 1816, poi nel 1848, anno di insurrezioni e disordini, nel 1859 durante la guerra di indipendenza italiana, due anni dopo contro le aperture alla libertà di culto, nel 1866, altro anno di guerra, nel 1870 e 1876 sull’onda del Kulturkampf, nelle ricorrenze del 1896 e del 1909, allo scoppio della Grande Guerra. Una parentesi nel 1944, nelle cantine del Marieninternat di Bolzano, quando Hans Egarter aveva posto l’accento sull’incompatibilità
tra la fede dei padri e l’adesione alle ideologie nazifasciste. Tentativi di strumentalizzare il Sacro Cuore c’erano
stati infine nel 1946 (mentre le sorti della provincia non erano state ancora definite al tavolo della pace) e nel
1961 con la “notte dei fuochi”. Malgrado questa storia controversa, la domenica del Sacro Cuore, quando sulle montagne si accendono le fiamme, chi ama andare oltre i pregiudizi può percepire significati che invitano a superare barriere e confini, ad alzare lo sguardo e a ricercare rifugio in quella libertà che conduce all’impegno e alla responsabilità, anziché nelle grida di lotta e negli appelli alla battaglia. I quattro vescovi dell’antico Tirolo (di Bolzano-Bressanone, Trento, Insbruck e Salisburgo) l’anno scorso ricordavano che”la libertà politica non può essere ridotta solamente all’appartenenza a un determinato territorio. Bisogna prendere in considerazione la situazione globale del ventunesimo secolo con il faticoso sforzo dei popoli dell’Europa di unirsi gradualmente insieme e di abbattere le varie barriere. La collocazione della nostra regione ci chiama ad essere ancora più impegnati nella costruzione dell’unità europea a beneficio del mondo intero”. Un invito esplicito a guardare
all’Europa, dunque. Del resto già nel 1946, il provicario Josef Kügl era stato molto chiaro: “Il Signore non ha
promesso nulla ai Tirolesi che non abbia promesso agli altri popoli”. Perciò il nostro “voto” non può certo comportare privilegi di sorta, semmai una maggiore responsabilità. I quattro vescovi ribadiscono questo
concetto quando affermano che “la devozione al Sacro Cuore di Gesù non è un privilegio delle popolazioni tirolesi di lingua tedesca e ladina. Il Sacro Cuore di Gesù appartiene a tutti i popoli e a tutte le lingue”.
Quanto all’idea di “Heimat” (patria), essa “è molto importante”, poiché “è collegata con la nostra identità e la
nostra cultura ed entra nel profondo dei nostri sentimenti”. Ma “nel nostro mondo pluralistico questo concetto ha
subito una trasformazione e assume un significato diverso a seconda delle epoche storiche e dell’età delle persone. Dobbiamo fare in modo che anche persone di lingua e cultura differenti possano sentirsi’a casa’ in questa nostra terra e dobbiamo pure essere grati che essi desiderino impegnarsi per la nostra terra”.
Sono le stesse considerazioni che riproponeva il vescovo Golser davanti alla bara di Silvius Magnago: “In quanto cristiani sappiamo che la nostra vera patria è nei cieli... Per questo la patria e tutte le cose terrene non hanno un valore ultimo. Nel medesimo tempo è tuttavia importante che con il nostro impegno assicuriamo alla nostra patria un futuro, affinché anche coloro che vengono dopo di noi possano trovare un ambiente di vita adeguato”. Un invito a passare dalla rivendicazione più o meno aggressiva, da un atteggiamento di autodifesa all’impegno responsabile, dando alle cose il loro giusto peso. A togliere il fuoco dalle mani dei piromani.
Alto Adige 13-6-10
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sabato, 12 giugno 2010


«La storia aiuta a mediare i conflitti»

Giorgio Mezzalira, membro anche del gruppo «Storia e Regione», dal 1996 al 1999 è stato incaricato dal Comune di Bolzano di elaborare il progetto «I luoghi della Memoria». Ieri ha intitolato la sua relazione «Memorie
con/divise». Da anni studia la realtà locale in cui si manifestano ancora «irrisolte passioni etnico-nazionali, di memorie non ancora ricomposte». Il rischio denunciato dallo storico è quello di «essere trascinati e condannati a vivere in un lungo Novecento». Gli abbiamo chiesto in quale ottica vedere la situazione altoatesina e come affrontare il problema della memoria condivisa in una zona di confine come la nostra. «Le esperienze di confine
sono sempre diverse da quelle di altre realtà. Ora dobbiamo capire come conciliare le memorie diverse emerse nel conflitto e comprenderne la ricaduta locale. I conflitti etnico-nazionalistici che scoppiano fanno capire che esistono passioni molto accese, mentre la funzione della Storia deve essere quello di mediatrice. A
Bolzano si stanno dedicando a questo studio i tre istituti pedagogici che intendono realizzare un testo di narrazione storica in comune».
Lo scopo di questa pubblicazione?
«Può aiutare il depotenziamentodei simboli su cui si scaricano le tensioni etniche, utilizzate poi e strumentalizzate a fini politici».
E il ruolo della memoria condivisa?
«Quando parliamo di memoria, di cultura della memoria, entrano in gioco elementi di forte legittimazione politica.
Il silenzio invece è l’espressione di una lottizzazione tra i gruppi etnici». Il tema discusso dalla conferenza di ieri, «ci accompagnerà anche nei prossimi anni - ha ricordato Hannes Obermair che lavora all’Archivio Storico del Comune di Bolzano - e i due mondi devono parlarsi. Ci portiamo dentro i nazionalismi in modo psicoanalitico». Possibile allora una riconciliazione e una ricostruzione di un passato condiviso? Le storie divise possono essere accettabili?
Sono tutti quesiti a cui non è stata data una risposta definitiva, segno che la questione è aperta. (r.r.)
Alto Adige 12-6-10
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giovedì, 10 giugno 2010


La Lunga Notte del Chiostro dei Domenicani

In occasione della mostra «Domenicani a Bolzano», in corso presso la Galleria Civica di piazza Domenicani fino al 20 giugno, viene organizzata una Lunga Notte per meglio conoscere la storia e l’arte del complesso conventuale dei Domenicani di Bolzano dal 1272, data della fondazione, ai giorni nostri. Domani, dalle 18 fino a mezzanotte, verranno tenute nel chiostro e nella chiesa dei Domenicani, oltre che nelle sale espositive della Galleria Civica, 13 conversazioni, della durata di 15’ ciascuna, che permetteranno di approfondire varie tematiche storiche e storico-artistiche e di conoscere aspetti, anche curiosi e sicuramente poco noti, che intrecciano la storia dei Domenicani con la storia della città di Bolzano. Nel corso della serata gli allievi del Conservatorio di Bolzano eseguiranno brani musicali. Molti i temi che verranno trattati nel corso della serata: i committenti degli affreschi del chiostro e il rapporto con l’imperatore Massimiliano I d’Asburgo; i restauri del chiostro; l’iconografia e l’iconologia della prima lunetta del chiostro affrescata da Friedrich Pacher nel 1496 ca. raffigurante la Vergine e l’unicorno nell’hortus conclusus; le campagne di scavi archeologici nell’area di chiesa e convento; gli affreschi del Trecento e del Cinquecento; gli affreschi giotteschi di cappella San Giovanni e la raffigurazione del Trionfo della Morte; la cappella dei Mercanti e la pala di Guercino raffigurante il Miracolo di Soriano; i dipinti di Guariento e aiuti eseguiti verso il 1360 per la cappella di San Nicolò; le vicende della Fachschule für Holzindustrie e dell’ospedale che aveva sede nel complesso conventuale nei primi decenni del Novecento; l’iconografia del Volto Santo di Lucca e della Santa Kümmernis. Le conversazioni sono tenute da: Paola Bassetti, storica dell’arte («Un mercante arricchito e la di lui signora»), Silvia Spada Pintarelli, curatrice della mostra («Einmal hier und einmal da, Una corsa senza scampo, Chi ha perso la scarpetta?»), Laura Dal Prà, Soprintendente per i Beni storico-artistici della Provincia di Trento, («Caccia all’unicorno»), Alberto Alberti, archeologo («La triste ma veridica storia del pellegrino Ulrico»), Giovanni Novello, catalogatore beni ecclesiastici («Un canonico molto arrabbiato»), Giovanna Tamassia, storica dell’arte («Una santa femminista, Drei bildschine Frauen»), Tiziana Franco, docente di arte medievale all’Università di Verona («Un uomo chiamato cavallo»), Milena Cossetto («Tutti a scuola!»), Christoph Hartung von Hartungen, storico (Knochenbrüche auskurieren).
Alto Adige 10-6-10
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giovedì, 10 giugno 2010


Bocher: noi il laboratorio dell’Autonomia

DOBBIACO. E’ stato un discorso di insediamento di alte prospettive politiche, non solitamente uso alle periferie, quello pronunciato ieri sera dal sindaco di Dobbiaco Guido Bocher in occasione della presentazione della sua proposta di Giunta al consiglio comunale ed alla popolazione di Dobbiaco, accorsa ancor più numerosa che in occasione della precedente seduta di insediamento del nuovo consiglio comunale.
 Accanto all’elezione di un ”dobbiacense di madrelingua italiana” - anche se suona decisamente meglio in tedesco «Toblinger italienischer Muttersprache» - come ha definito la scelta operata dalla popolazione di Dobbiaco con il voto, il sindaco Guido Bocher ha toccato punte di elevato livello politico amministrativo quando ha parlato di: «Volontà popolare che ha trasformato Dobbiaco in un laboratorio e cartina di tornasole dell’Autonomia altoatesina» ma ancor di più quando, riflettendo sulla scelta operata dal voto che va al di là delle barriere linguistiche, ha parlato di un processo di maturazione autonomistiche che Dobbiaco ha avviato con le sue scelte. «E’ il contributo che Dobbiaco può e vuole dare al processo di evoluzione autonomistica in cui ”l’Autonomia difensiva” basata legittimamente ed efficacemente sul parametro etnico linguistico, evolve verso un’autonomia territoriale alla cui base c’è la diffusa e convinta condivisione dei valori autonomistici e delle radici culturali che connotano il territorio.» Sempre per Bocher: «le contingenze e le circostanze hanno chiamato noi e non altri, adesso e non dopo, a dare delle risposte che sanno essere forti nella misura in cui sono condivise, al tema essenziale che il voto ha posto a tutte le liste rappresentate in consiglio.» Delle risposte che il consiglio comunale ha iniziato a fornire già ieri, approvando con 18 sì e due astensioni, anche il programma amministrativo della coalizione. (adp)

LA FORZA DI ROMPERE GLI SCHEMI
MAURO FATTOR
Guido Bocher sindaco di Dobbiaco. Adesso è fatta. Ma dire sindaco di Dobbiaco non è abbastanza per capire che dell’esito di questa vicenda bisogna essere tutti un po’ orgogliosi.
 Tutti, proprio tutti: italiani, tedeschi e ladini. Naturalmente anche noi, come giornale, che fin dal primo giorno ci siamo ribellati all’idea di un no a Bocher sindaco in base ad una volgare pregiudiziale etnica. Chiariamo le cose: da un punto di vista strettamente politico a Dobbiaco non cambia nulla. La giunta è la stessa di prima con due nuovi assessori Svp al posto degli uscenti che avevano deciso di non ricandidarsi, con l’ex-sindaco Mair che adesso fa il vice, e con Bocher - che già era in giunta - che siede al posto di Mair. Dunque tutto all’insegna della massima continuità. Eppure.
 Di cosa essere orgogliosi, allora? Innanzitutto del fatto che a Dobbiaco la politica ha dimostrato di non essere morta, il che già di per sé pare una buona notizia.
Perchè se è viva in alta Val Pusteria c’è qualche fondata speranza che possa accadere lo stesso altrove, e magari in palazzi più prestigiosi. Con tutto il rispetto per il municipio di Dobbiaco, si intende. Ma il vero motivo di orgoglio è un altro: Bocher sindaco, significa un italiano primo cittadino di una comunità a maggioranza tedesca. Potrebbe essere anche il contrario e l’orgoglio sarebbe identico. Significa sganciare una bomba all’interno di una schema di interazione tra le comunità linguistiche regolato fino ad oggi da comportamenti prescritti, cioè da una serie di divieti costruiti attorno a paradigmi etnici. I divieti hanno stabilito le regole della cooperazione interetnica rendendola possibile, e nello stesso tempo ne hanno bloccato lo sviluppo. Hanno consentito di ”incanalare” la vita sociale delle comunità, ma l’hanno paralizzata.
 Che è anche il paradosso in cui si è infilato lo Statuto di Autonomia, per essere chiari. A Dobbiaco è successo semplicemente che questa idea statica delle modalità di relazione tra i gruppi, è andata gambe all’aria. Infatti è ovvio che la madre di tutti i divieti in una società che ha di sé un’immagine ”discontinua” - cioè che riconosce l’esistenza di confini culturali e politici invalicabili tra italiani, tedeschi e ladini, al punto da doverne regolamentare rigidamente le relazioni - è il principio che mai un esponente della minoranza etnica possa governare sulla maggioranza etnica.
 Durnwalder senza troppi giri di parole, anche se poi ha cercato di correggere il tiro, l’aveva detto ad urne ancora calde: «un italiano non può fare il sindaco di Dobbiaco». Quello che è accaduto dopo è che questo assolutismo regio non privo di pericolose derive, ha messo in moto un movimento di opinione che ha ha costretto gli attori della vicenda a fermarsi e riflettere. La politica ha quindi messo in campo a Dobbiaco una certa capacità di rielaborazione dei confini che essa stessa, in altri tempi, si era data.
 La Volkspartei e Bocher trovando un’accordo hanno rotto il giocattolo della più facile e frequentata delle dicotomie altoatesine: quella «noi-loro». E su questo si potrà forse costruire qualcosa di nuovo. Finalmente.
Alto Adige 10-6-10
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mercoledì, 09 giugno 2010


Bolzano 2019, capitale della cultura

GABRIELA PREDA
 BOLZANO. Bolzano “capitale” europea della cultura nel 2019, assieme all’intero Nordest? Il vicepresidente della Provincia di Bolzano, Christian Tommasini, conferma il progetto e annuncia che nei prossimi giorni presenterà appunto una proposta ufficiale nel consiglio provinciale che dia il “via libera” al coinvolgimento formale della provincia nell’iniziativa “Nord Est capitale europea della cultura nel 2019”, lanciata recentemente sullo sfondo del Festival Città Impresa.
 “Siamo in contatto da tempo con i promotori dell’iniziativa - spiega Tommasini -. Sinceramente penso che si tratti di un’occasione importante per il nostro territorio che noi vorremo cogliere al volo proprio per valorizzare i nostri punti di forza”.
 Già, perché l’unione fa la forza anche nelle competizioni europee, dove ultimamente pesano di più le candidature dei territori piu’ vasti quali le euro-regioni per esempio, come spiega Katia Tenti Giacomelli, dirigente della Provincia, che ha seguito la vicenda dall’inizio.
 “Questa proposta - afferma - si è inserita in un contesto più ampio che vedeva già Bolzano possibile capitale europea della cultura, candidata però solo assieme alle province limitrofe“.
 Per il vicepresidente della Provincia Tommasini, l’iniziativa “Nord Est Capitale Europea della Cultura” ha l’obiettivo di creare una piattaforma comune che coinvolga un vasto territorio che colleghi di più il Nordest, anche al di là dell’evento in sé. “Sono convinto che la cultura sia lo strumento principale per la crescita e lo sviluppo di una comunità - spiega Tommasini -. In questo modo rafforzeremo il ruolo di Bolzano quale “ponte” culturale in un’area cosi vasta con una storia importante”.
 I tecnici della Provincia sono del resto già al lavoro per valutare i termini concreti il coinvolgimento del territorio nell’ampio progetto. Tra i “punti di forza” da valorizzare: i musei, l’università, i teatri che adesso potranno essere messi in rete nell’intero Nordest.
 «In questo modo diventeremo più forti - conclude Tommasini - proprio perché il progetto rappresenta un’occasione valida per promuovere l’immagine delle tre Regioni del Nord Est esaltando la loro storia e la loro cultura, l’ internazionalità e la loro spiccata tendenza all’innovazione anche in campo culturale, artistico, del sapere e della ricerca».
 Una curiosità: tra i primi temi che Bolzano vuole portare nell’iniziativa spicca il plurilinguismo, quale “veicolo” per aprirsi di più al mondo e vantaggio competitivo dell’intero Nordest”.
 Il progetto: l’individuazione delle capitali europee della cultura parte nel 1985 quando fu Atene a inaugurare l’iniziativa. Negli ultimi anni l’Unione Europea ha deciso di assegnare a rotazione il ruolo alle diverse nazioni comunitarie (quest’anno tocca alla Germania con Essen, all’Ungheria con Pecs e alla Turchia con Istanbul) e nel 2019 toccherà all’Italia e alla Bulgaria. All’appuntamento di enorme prestigio nell’intera Europa, il Nordest intende presentarsi come realtà unica, forte di città d’arte note nel mondo ma anche di un tessuto esteso di attori culturali attivi in tutti i campi, dai musei di arte contemporanea fino alle imprese innovative che della cultura o del design fanno i loro principali strumenti di battaglia competitiva nei mercati mondiali «È l’occasione - spiega Filiberto Zovico, presidente di Nordesteuropa.it e promotore del progetto - per fare sul territorio nuova impresa culturale».
 Un investimento nel futuro dell’intero Nord Est che avrà inoltre numerose ricadute economiche concrete.
  IL PROGETTO. Il primo passo del progetto è stato l’elaborazione di una mappa tipo piantina del metrò, per mettere in rete i vari centri coinvolti e il loro ruolo. 14 i temi da sviluppare: architettura, arti visive, letteratura, musica, festival, teatro e danza, cinema, scienza e innovazione, università, creatività, natura e montagna, lago mare e laguna, cultura della vite, memoria.
Alto Adige 9-6-10
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mercoledì, 09 giugno 2010


«Noi, figli di Langer e Magnago»

UWE STAFFLER / EX PORTAVOCE DI ALEX LANGER
Ero l’assistente di Alex dal 1991 al 1995. Come lui anche Magnago aveva una incrollabile onestà intellettuale e morale.
Pensavo soprattutto a lavoretti tipo imbustare, fotocopiare, archiviare o, visto che eravamo alla vigilia di elezioni europee e comunali, attacchinare manifesti. Mi presentai quindi ad una riunione preparativa, trovando intorno al tavolo facce abbastanza note da giornali e televisione da suggerirmi un atteggiamento “understatement” e la scelta di quel posto dove meno rischiassi di essere rimarcato: salvo essere scovato nel giro di pochi minuti, testimone un bigliettino con messaggio seguente: “Ciao, chi sei? Mi fa piacere vedere una faccia nuova”.
 Dopo qualche scambio d’inchiostro mi trovo a dare del Tu al mio mito politico e, insieme a due ignari amici, candidato sulla lista per le elezioni comunali di Bolzano. Questo era Langer: prendeva le persone che incontrava con quel modo spontaneo che non contemplava appello, e le coinvolgeva nelle sue molteplici avventure. Sarei diventato nell’autunno del’91 il suo assistente al Parlamento Europeo per stargli a fianco fino alla sua scomparsa.
 Quando si tolse la vita Gian Antonio Stella scrisse sul Corriere della Sera: “Meglio un fascista, almeno è un nemico che puoi riconoscere.
Quando parlava di Alexander Langer il vecchio Silvius Magnago, leader messianico dei sudtirolesi, faticava a trattenere l’odio. Perché, a parte l’onestà intellettuale e la testarda moralità, che avevano entrambi spiccatissime, quel ragazzo magrissimo e occhialuto coi dentini sporgenti da topolino e i pesanti maglioni peruviani da montanaro sessantottino, rappresentava l’esatto opposto di tutte le cose in cui credeva. Lui vendicava il peso di quel cognome italiano con una riaffermazione ringhiosa della propria appartenenza al popolo tedesco, l’altro se ne infischiava delle generalità tedesche per rivendicare la volontà di stare a cavallo delle due culture. Lui aveva dedicato la vita a dividere le due parti etniche della mela altoatesina, l’altro a ricomporle.” Sottovoce si potrebbero aggiungere riflessioni simili anche sul rapporto col suo partito, la cui nomenclatura romana non ha lesinato energie per tenerlo lontano dai centri di decisione, ma questa è ancora un’altra storia.
 A 15 anni di distanza se n’é andato anche il “Grande Vecchio”, quello che già Langer aveva definito “Padre dell’Autonomia dell’Alto Adige” (Attenzione: Vater der Autonomie?, giammai quindi Landesvater!), e immancabilmente riaffiora il ricordo di quel loro eterno duello sul modello migliore per la nostra provincia. Uno era rivolto al passato, l’altro al futuro, e nel frattempo ci si era un po’ dimenticati del presente. Questo duello é sopravvissuto al primo e lo farà anche al secondo. Di Magnago non siamo a conoscenza circa sue riflessioni compiute sulla persona e il pensiero di Langer, se escludiamo l’infinita, ripetitiva messa in guardia dalla sua presunta pericolosità - e probabilmente sarebbe chiedere troppo ad una persona tanto grande nella storia per la capacità di risolvere in modo pragmatico una situazione delicatissima, quanto disinteressata alla dimensione visionaria della politica e col cuore inaridito da esperienze di vita particolarmente ingrate. Il più giovane invece gli rispondeva, soprattutto ai tempi della sua maturazione, con sincero rispetto e riconoscenza per gli indiscussi meriti, che culminò nella proposta ufficiale di nominarlo senatore a vita, senza per questo desimersi da regolari, peraltro non sempre raccolte, stoccatine da fine intellettuale.
 Oggi ci piacerebbe immaginare il loro incontro nell’altro mondo, assistere al confronto tra il Padre dell’Autonomia e quello della Convivenza senza condizionamenti terreni, e capire di riflesso come alla lunga anche le patrie siano capaci di riconoscere i loro profeti. Ci piacerebbe scoprire come il prestigio del quale Langer godette presso importanti personaggio democristiani europei, da Doris Pack ad Arie Oostlander e soprattutto Otto d’Asburgo, gli fosse riconosciuto anche a casa sua. E rivelando questa speranza non ci nascondiamo neanche un grande timore antagonista: che qualcuno possa percepire la tentazione di prolungare ulteriormente la transizione dalla separazione etnica all’integrazione proprio per difendere il lascito di una inesistente visione di Magnago (che comunque anche nei più fervidi sostenitori di un Alto Adige multiculturale cagiona ormai sentimenti di stima e rispetto) e negar ragione all’ex “indomito ribelle”, artefice oltre trent’anni fa di quella visione come, ahinoi, probabimente anche di talune azioni e reazioni tanto chiassose e spettacolari da ostacolarne ancora oggi il compimento. Sarebbe tanto più incomprensibile se in tal coro del passato si udissero forte voci italiane, già ferite abbastanza e messe a dura prova nella loro disponibilità al superamento delle contrapposizioni da un regno troppo lungo della dottrina separatista.
 Ho ragioni buone per pensare che questo timore abbia i giorni contati. Siamo tutti figli dell’uno e dell’altro, loro che figli non ne avevano. Non potrei immaginare dono più grande per quei nostri padri che fondare il nostro futuro sul meglio che loro ci hanno dato, come gli faremo onore a non insistere troppo sulle rispettive intransigenze.
Alto Adige 9-6-10
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martedì, 08 giugno 2010


Per essere ammessi all’esame di Stato la regola del 6 vale anche a Bolzano

MIRCO MARCHIODI
BOLZANO. Niente sconti. Anche in Alto Adige, così come nel resto d’Italia, vale la regola del sei. Per essere ammessi all’esame di Stato (sia quello di terza media sia quello di maturità) non potranno esserci insufficienze in pagella.
 Ivan Eccli, neodirettore di ripartizione dell’intendenza scolastica italiana, chiarisce subito che la nuova regola voluta dal ministro all’Istruzione Mariastella Gelmini troverà applicazione anche in Alto Adige: «Per poter accedere all’esame di maturità e a quello di terza media, bisognerà avere almeno la sufficienza in tutte le materie». Se fino all’anno scorso bastava la media del 6 (e quindi un’insufficienza poteva essere recuperata con un voto alto in un’altra materia), quest’anno non saranno ammessi studenti insufficienti anche in una sola materia. Eccli non prevede un’esplosione di non ammessi: «Già l’anno scorso - spiega - c’è stata più severità e anche se è difficile fare previsioni prima degli scrutini, probabilmente non ci saranno grossi sconvolgimenti. Forse in passato ci sono stati periodi con troppa permissività, è giusto che almeno una certa preparazione di base per chi si appresta a lasciare il mondo della scuola sia assicurata. Detto questo, i giovani d’oggi hanno anche molti interessi al di fuori della scuola e anche questo va valutato».
 L’ispettore scolastico Marco Mariani sottolinea il ruolo che avranno i consigli di classe: «La norma è molto chiara e prevede almeno la sufficienza in tutte le materie, ma la sovranità risiede nel consiglio di classe che può decidere di elevare alla sufficienza anche chi durante l’anno scolastico non ha raggiunto il 6 in una materia. Questo anche per evitare che possa essere un solo docente a decidere sul futuro di un alunno».
 Decideranno dunque i vari consigli di classe se “graziare” o no chi non è riuscito a ottenere una valutazione sufficiente in tutte le materie. I dirigenti scolastici spiegano che la decisione sarà presa di caso in caso: «Detto che potrà accedere all’esame di maturità soltanto chi avrà almeno tutti 6 sul tabellone di fine anno - dice il dirigente dell’Itc Battisti Calogero Arcieri - è chiaro che i docenti useranno il buon senso. L’anno scorso il requisito minimo per l’ammissione all’esame di maturità era diverso da quello di quest’anno e anche questo sarà considerato. Ci saranno casi in cui sarà difficile decidere, certo è che chi si presenta con tre insufficienze non può sperare in un salvataggio. Ma a ben vedere, anche in passato era molto difficile che questo potesse accadere».
 Anche la dirigente scolastica del liceo classico Carducci Carmen Siviero ha le idee chiare sulla nuova norma imposta dal ministero: «C’è poco da discutere, se non c’è almeno la sufficienza in tutte le materie, compreso il voto in condotta, allora non si accede all’esame di maturità. Ma spesso si dimentica che la valutazione finale data dai docenti non è semplicemente una media aritmetica di singoli voti presi durante l’anno, ma considera anche l’impegno, la partecipazione e l’interesse dello studente. Anche questi sono fattori che rientrano nel giudizio».
Alto Adige 8-6-10
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lunedì, 07 giugno 2010


Studiare tedesco imparando anche la matematica

ALAN CONTI
«Lo studio delle materie scientifiche può essere rafforzato dall’insegnamento veicolare del tedesco. Le strade per ottenere buoni risultati in entrambi gli ambiti ci sono». Mirca Passarella, dirigente dell’Istituto Comprensivo Bolzano VI, è stata tra le prime a credere in una sezione bilingue nella scuola primaria, ma più che prendersene i meriti, preferisce salutare con entusiasmo l’adesione delle altre scuole. In quest’ottica interviene volentieri sul dibattito aperto ieri dalle dichiarazioni di Ivan Eccli, direttore di ripartizione dell’Intendenza scolastica italiana. «L’asse scientifico va sicuramente sostenuto, è indubbio. Si può fare coniugandolo con il tedesco, per esempio, con due ore di scienze e due di laboratorio matematico in lingua veicolare. In questo modo si completa anche la didattica con un approccio pratico che affianca la classica lezione frontale.
E tutto questo, non perdendo di vista il lessico specifico nella lingua madre. Si potrebbe pure pensare a delle ore di compresenza tra l’insegnante di lingua italiana e quella di L2». Non particolarmente allarmante, invece secondo Mirca Passarella, la distribuzione delle materie nel nuovo orario per le primarie in partenza il prossimo anno scolastico con l’applicazione della riforma scolastica provinciale. Il punto è il rapporto tra le ore di italiano, tedesco e matematica.
 Passarella: «Le 68 ore a discrezione della singola scuola permettono, volendo, di mantenere un piano orario praticamente uguale a quello in uso fino a oggi. Alle Manzoni, difatti, cambierà poco o niente». Se non fosse così, se altre scuole elementari decidessero di utilizzare le 68 ore annuali, 2 ore a settimane, per altre materie, ne uscirebbe dominante il monte ore dedicato al tedesco. L’orario base obbligatorio per tutti vedrà nei 5 anni 969 ore di tedesco complessive, 799 di italiano e 850 di matematica. Per riequilibrare, entreranno in gioco le 68 ore annuali lasciate all’autonomia scolastica. Salgono a venti, intanto, le sezioni bilingui in provincia. La strada tracciata quattro anni fa era giusta? Passarella: «Non voglio meriti, ma solo la soddisfazione di constatare che la scuola va incontro a una reale esigenza della popolazione. L’insegnamento veicolare è la pietra angolare e la crescita delle famiglie mistilingui è un dato di fatto. Siamo contenti, oltretutto, di registrare un aumento dell’interesse di altre realtà in modo convinto. Particolarmente stimolante la curiosità di una scuola primaria di Bressanone per mutuare il sistema con la lingua italiana: un segnale importante. Bene anche la riflessione sulla necessità di un percorso formativo di alto livello che preveda l’analisi approfondita di questo metodo». Il prossimo anno, comunque, in via Dalmazia le sezioni bilingui saranno due, mentre i primi bambini sono ormai in quarta. Sviluppi futuri? «Stiamo avendo degli incontri - continua Passarella - con i tecnici per prevedere la prosecuzione anche alle medie. Positivo, intanto, che i bambini che non abbiamo potuto accogliere hanno trovato una sistemazione analoga in altri istituti». Chiusura dedicata al capitolo Invalsi. Così la dirigente scolastica: «E’ una prova che è bene si faccia, ma si tratta solo di un aspetto di un mondo più complesso. L’autonomia scolastica richiede valutazioni oggettive, ma nella scuola ci sono anche considerazioni di carattere sociale, emotivo e di gruppo che non possono essere quantificate con una cifra. Attenzione, quindi, a dare all’Invalsi un valore assoluto».
Alto Adige 7-6-10
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sabato, 05 giugno 2010

«Il futuro? Un Sudtirolo indiviso»


Riccardo Dello Sbarba
«Dopo Magnago, torniamo a Langer»: l’invito fatto su questo giornale da Mauro Fattor non può essere ignorato. È l’invito a spostarsi dal passato al futuro, dal Novecento al Duemila, dall’origine dell’autonomia alla prospettiva della convivenza.
Se dell’autonomia, con le sue luci pacificatrici e le sue ombre della separazione etnica, Magnago fu il grande costruttore, Langer fu quello che ne ha indicato i punti critici e l’esigenza di andare oltre. Un auspicio, quello di Langer, oggi più attuale che mai: è dal momento in cui il disegno di Magnago si compì, coll’attuazione del “Pacchetto” e la “quietanza liberatoria” di Vienna nel 1992, che l’Alto Adige aspetta che cominci un’epoca nuova dell’autonomia. E invece da vent’anni tutto è rimasto bloccato.
Intanto però il mondo cambia, anche il piccolo mondo dell’Alto Adige-Südtirol. Le Regioni intorno a noi si sono accorte della nostra specialità (loro la chiamano privilegio) e pretendono un pari trattamento.
 La società altoatesina si è enormemente modernizzata e ai tre gruppi linguistici ufficiali si sono aggiunti imprevisti gli immigrati che non si sa come sistemare. Anche gli orientamenti politici cambiano: se fino alla metà degli anni’70 in consiglio provinciale su 35 eletti 34 appartenevano a “partiti del pacchetto”, oggi solo 20 sostengono l’autonomia così com’è, mentre gli 8 della destra tedesca sognano l’autodeterminazione, i cinque della destra italiana rifiutano l’autonomia e i due verdi ne propongono una radicale riforma. Paradosso: l’autonomia matura produce dosi crescenti di critica all’autonomia.
L’autonomia fondata sulla proporzionale non è neppure riuscita a stabilizzare i rapporti tra gruppi linguistici. Una fonte non sospetta come il settimanale in lingua tedesca “ff” si dice preoccupato dei destini del gruppo italiano. Su 2030 nuovi consiglieri e consigliere comunali, ha calcolato la “ff”, solo 162 sono di lingua italiana, pari all’8%. “Gli italiani sono il 25% della popolazione - ha concluso la “ff” - Nei comuni sono drammaticamente sottorappresentati”. Infine, c’è il rischio che il frutto maturo dell’autonomia, se non viene colto, marcisca e produca veleni: la ricerca di identità forti rischia di deviare molti giovani verso l’estremismo etnico e razzista (non dimentichiamoci il recente proliferare di gruppetti neo nazisti e fascisti) se non trova un’altra riposta che scaldi il cuore. Altra risposta io non vedo se non quella langeriana di un “Sudtirolo indiviso”, cioè della costruzione di una società unitaria, pacifica, conviviale, autogovernata, democratica, ricca di diversità e orgogliosa di esse, ma solidale e dialogante. Un Alto Adige indiviso dove si impari come si saltano i muri, si costruiscono i ponti e si attraversano i confini del pregiudizio e della diffidenza.
Una società sudtirolese unitaria e forte che, andando oltre l’attuale”coabitazione”, non tema il mescolamento e l’interazione, ma anzi consideri i “gruppi misti” come le piante pioniere di una nuova convivenza fondata sul principio: “Più abbiamo a che fare gli uni con gli altri, meglio ci capiremo”. Un “Sudtirolo indiviso” che faccia della dimensione interetnica, plurilinguistica e interculturale l’orgogliosa carta di identità europea di ogni suo cittadino e cittadina.
Utopia? O peggio: pericolosa avventura che mette a rischio l’acquisito benessere? Lo pensano quei molti che ci ripetono che dall’attuale sistema tutti guadagnano e dunque va bene così. Non credo che l’autonomia come affare sia una solida base per il futuro. L’altra faccia di questa medaglia è l’egoismo, lo sbirciarsi competitivo col dubbio che gli altri abbiano di più, il piagnucolìo sul “disagio” o sulla “minoranza svantaggiata” che è il modo per non dirsi mai contenti e pretendere sempre di più. E’ un sistema basato sull’inflazione del pubblico bilancio che non può durare all’infinito (e infatti sta finendo).
L’utopia langeriana di un Alto Adige-Südtirol indiviso, mite, rispettoso della natura, riconciliato e solidale mi pare l’unica concretissima prospettiva perché la nostra società possa “tenere”. Perché non si scateni la guerra di tutti contro tutti, magari cominciando dai più deboli, dagli ultimi arrivati, dai diversi, in una catena di rivalse: “crucchi” contro “walsche”, autoctoni contro immigrati, immigrati contro gay e in mezzo seminatori e seminatrici di discordia. E’ già successo: l’uovo del serpente è già nascosto in qualche verde prato del Sudtirolo.
L’antidoto è il pacifismo di Langer, l’invito ad andare incontro agli altri come a un regalo degli dei. Il regalo che ci farebbe questa terra di confini ogni giorno se nel condominio separato in cui viviamo non fosse considerato un lusso che non possiamo permetterci. Dobbiamo invece provare a desiderare qualcosa di più e desiderando non possiamo che tornare alle parole di quel vipitenese dai denti in fuori che fu profeta più fuori che in casa ma che a questa casa tornava continuamente, una volta dall’Italia attraversata dai movimenti degli studenti e degli operai, un’altra dalla Germania della fioritura verde, un’altra ancora dai Balcani torturati dalla guerra.
 A questa sua casa sudtirolese Langer tornava non per nostalgia, ma perché convinto che questo suo Alto Adige-Südtirol potesse dare un contributo fondamentale all’Europa come grande progetto di pace duratura perché radicata nel cuore delle persone. Su questa strada dobbiamo (ri)metterci in cammino ed è il momento giusto per farlo: sullo scoglio delle elezioni comunali l’ondata patriottica della destra si è (almeno momentaneamente) infranta. Ricominciamo il cammino, ripartiamo dalle persone in carne ed ossa e dai loro mille gesti concreti di convivenza e di incontro.
Se diamo valore a chi la convivialità la pratica ogni giorno, poi ci apparirà lampante quali riforme statutarie e istituzionali ci servono e sono certo che riusciremo a farle con facilità.
Alto Adige 5-6-10

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sabato, 05 giugno 2010


Da settembre più ore di tedesco nelle elementari

FRANCESCA GONZATO
BOLZANO. Da settembre si cambia: le scuole elementari e medie potranno decidere una quota dell’orario, valorizzando la propria autonomia nella scelta delle materie cui dedicare più ore. E’ una delle novità più importanti della riforma scolastica dell’estate 2009 per le scuole elementari e medie, che sul fronte dell’orario diventerà operativa durante il prossimo anno scolastico. Dalla Sovrintendenza arriva un invito-appello ai dirigenti scolastici, soprattutto delle elementari: valorizzare italiano e materie scientifiche.
 Il motivo dell’invito diventa palese osservando le tabelle. La parte fissa dell’orario delle scuole elementari di lingua italiana vede prevalere largamente le ore di tedesco su ogni altra materia, a partire da italiano e matematica.
 Nei 5 anni di elementari, per restare al monte ore fisso per tutti, un alunno seguirà 969 ore di tedesco, 799 di italiano e 850 di matematica.
 Poi accade, come è accaduto, che le scuole italiane facciano flop alle prove Invalsi di matematica e italiano, vadano malino ai test Pisa e c’è da correre ai ripari.
 Tra insegnanti e genitori inizia quindi a circolare qualche dubbio sulla nuova organizzazione dell’orario.
 Queste le informazioni e le precisazioni di Ivan Eccli, da un mese direttore di ripartizione all’Intendenza scolastica italiana (dopo il pensionamento di Claudio Vidoni) e, l’anno scorso, coordinatore all’Intendenza italiana proprio del lavoro di stesura delle «Indicazioni provinciali per la definizione dei curricoli» per scuole elementari e medie.
 Per i vertici della scuola italiana il problema è sempre stato riuscire a conciliare il monte ore eccezionale di insegnamento della lingua tedesca con le altre materie principali, senza appesantire troppo gli studenti.
 «Alle elementari i nostri alunni già stanno a scuola 29-30 ore alla settimana, rispetto alle 27 del resto d’Italia», ricorda Eccli. Al momento di scrivere la riforma, conclude, «il punto di partenza era di non aumentare ulteriormente l’orario». Anche le sei ore di tedesco settimanale sono ormai fisse. Ma è possibile che alle elementari si insegni più tedesco, che italiano e matematica? Eccli spiega che la situazione è destinata a riequilibrarsi con le 68 ore all’anno, 2 ore a settimana, obbligatorie che le scuole potranno gestire scegliendo le materie cui destinarle.
 «Gli istituti non hanno ancora deciso l’orario, ma credo che quelle 68 ore all’anno verranno in larga parte assegnate all’italiano e alla matematica». Ma se così non fosse? «Ci sarà sicuramente qualche dirigente che preferirà puntare su altri ambiti per differenziare la propria offerta formativa». Non c’è quindi alcun vincolo, perché siamo in territorio di autonomia scolastica. Ecco perché Eccli tra le linee di partenza del proprio lavoro a capo della ripartizione (e sovrintendente sostituto di Nicoletta Minnei) lancia l’appello a valutare bene i nuovi orari.
 Intanto sulle prove Invalsi, effettuate in seconda, quinta elementare e prima media in Sovrintendenza inizia a circolare un certo ottimismo. «La correzione nelle prime scuole elementari ci dà in recupero rispetto all’anno scorso». A fine mese dovrebbero essere presentati i dati provinciali. «I test preparatori dovrebbero essere serviti» anticipa Eccli con scaramanzia obbligatoria.
 In alcune città italiane ci sono stati insegnanti che si sono rifiutati di somministrare le prove Invalsi. Eccli ammette: «Sono test complicati, tarati su un livello molto alto, perdipiù con tempi assurdi: in seconda elementare hanno 35 minuti per la prova di italiano e mezzora per la prova di matematica e parliamo di pagine e pagine di quesiti».
 La speranza è di risalire la classifica italiana. E tornando alla matematica, queste valutazioni Invalsi avranno un valore di test anche per l’insegnamento veicolare proposto in alcune sezioni a Bolzano e in altri centri. Così Eccli: «Visto che la matematica viene parzialmente insegnata in tedesco, l’Invalsi ci permetterà di capire se questi bambini riescono a ottenere buone competenze scientifiche, oltre a progredire nella seconda lingua».
Alto Adige 5-6-10





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giovedì, 03 giugno 2010

«Più democrazia», lettera sul referendum

BOLZANO. Nei giorni scorsi una delegazione dell’Iniziativa per più democrazia, ha incontrato il presidente del consiglio provinciale Dietere Steger, al quale hanno consegnato una lettera con la quale ribadiscono la volontà del movimento di partecipare ad una riforma referendaria.
 A Steger - si legge in una nota dell’Iniziativa per più democrazia - è stata consegnate una lettera aperta (firmata da Otto von Aufschnaiter, del direttivo, e dal coordinatore Stephan Lausch) indirizzata ai consiglieri provinciali e firmata da un folto numero di organizzazioni culturali, sociali, ambientaliste e sindacali.
 La consegna è stata occasione per sollecitare l’avvio dei lavori in Consiglio sulla promessa riforma della legge che regola i diritti referendari. L’Iniziativa ha nuovamente ribadito di voler contribuire alla stesura di una proposta di riforma, sostenuta da un largo consenso delle varie forze politiche e ha indicato quali sono gli elementi essenziali e irrinunciabili di tale riforma.
 Visto che la Svp - si legge ancora nel documento - ha promesso di voler presentare una proposta di miglioramento dell’attuale normativa e ha annunciato di voler coinvolgere a tal fine tutte le forze politiche interessate, queste da diversi mesi stanno aspettando che la Svp avvii i lavori in tal senso.
 Nella Lettera aperta l’Alleanza delle organizzazioni firmatarie coordinate dall’Iniziativa per più democrazia sono esposti i miglioramenti minimi essenziali che essa si aspetta dalla riforma promessa. Questi sono stati presentati il 26 aprile come proposta di modifica della legge in vigore e di richiesta referendaria. Il diritto al voto referendario sarà acquisito - prosegue la nota - tramite raccolta delle firme necessarie, nel caso che la trattazione in Consiglio venisse oltremodo rimandata e venissero disattese i miglioramenti minimi.
 Nella lettera si mette anche in chiaro che nel caso in cui il Consiglio provinciale varasse una legge con nuove forme limitative non si esiterà a sottoporla a voto referendario. Nel congedarsi i rappresentanti dell’Iniziativa hanno chiesta al presidente del consiglio di sollecitare quei capigruppo consiliari finora restii al confronto, di rendersi disponibili ad uno scambio.
Alto Adige 3-6-10
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lunedì, 31 maggio 2010


«Camminiamo insieme» centinaia in marcia per abbattere le barriere


BOLZANO. La pioggia? Mandata a quel paese, come tutti quelli che si ostinano a creare o avere barriere, architettoniche e mentali. Ci vuol altro che un po’ di pioggia, onestamente rompipalle sia chiaro, per scoraggiare chi da anni combatte per muoversi e vivere senza limiti, che siano appunto barriere fisiche o mentali. E così ieri mattina a Parco Europa, alle 11 quando doveva partire la 31ª edizione di “Camminiamo insieme”, organizzata dall’Associazione amici degli handicappati, la pioggia che cadeva ha forse spento il sorriso a qualcuno ma non ha smorzato l’entusiasmo. E la camminata, di cinque chilometri lungo vie poco trafficate e soprattutto lungo la ciclabile, si è svolta come sempre in allegria, senza vinti ma con tanti vincitori, tutti quelli che vi hanno partecipato. L’appuntamento ormai storico dell’Associazione amici degli handicappati si era aperto alle 10 con la celebrazione della messa ed è proseguito poi fino al tardo pomeriggio, baciato dal sole, con il pranzo e poi giochi, divertimento e la premiazione. Fino all’arrivederci al prossimo anno, pioggia o non pioggia. (al.p.)
Alto Adige 31-5-10



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lunedì, 31 maggio 2010


Chiudere i conti con la storia


LUCA FAZZI
La parte dominante, maggioritaria. La parte che, giustamente, ha lottato contro il colonialismo fascista e i possibili esiti di un’assimilazione della minoranza locale alla maggioranza nazionale. Ma c’è un altro Sudtirolo che ha plasmato il Novecento. Un altro Sudtirolo di cui oggi la traccia è apparentemente più flebile. Ma non per questo meno attuale. E’ il Sudtirolo di Alexander Langer. L’avversario di Magnago. Magnago, il mistilingue che ha combattuto per affermare i diritti della minoranza tedesca attraverso la politica della preservazione tenace dell’identità culturale e linguistica. L’uomo che voleva costruire la pace attraverso la separazione. E Langer, il discendente di una famiglia germanofona borghese di Sterzing, Vipiteno, che pensava la pace sociale come l’esito di un incontro e della fratellanza reciproca. Magnago l’icona della difesa della Heimat. E Langer l’uomo che considerava la patria il mondo. Al loro confronto tutti gli altri politici locali spariscono. Gli italiani, sempre più pallide controfigure di un teatro in cui svolgono il ruolo di tristi comparse. E i tedeschi: i Durnwalder, gli Ebner. Abili distributori di risorse, tattici senza strategia. Il grande insegnamento di Magnago è stato quello di sapere conquistare il potere per un ideale. I suoi successori hanno sostituito agli ideali un pragmatismo spesso cinico, ripiegato su sé stesso, privo di una visione politica di lungo respiro. Magnago e Langer la avevano. Ci hanno lasciato in eredità due visioni contrapposte del Sudtirolo. Entrambe legittime. Ma incompatibili. L’una che vede la minoranza tedesca come l’unico centro di ogni mondo possibile. I tedeschi come gli unici titolari di diritti da difendere. I confini come baluardi di ogni salvezza possibile. L’altra che considera ogni uomo membro di una possibile minoranza. Ogni uomo una fonte di fratellanza che supera i confini delle identità etniche. Ogni confine un muro che deve sempre lasciare una porta aperta per evitare di diventare un moloch a cui sacrificare quello che di più umano c’è nella vita delle persone. Langer ha smesso di parlare il giorno che si è tolto la vita sulle colline di Firenze venti anni fa. Magnago è morto l’altro ieri ma da tanto non parlava più. E’ bello pensare che oggi si siano incontrati, da qualche parte e abbiano riconosciuto che, se si fossero parlati un po’ di più prima, avrebbero forse visto il mondo con occhi diversi. Magnago forse sarebbe stato un uomo meno ossessionato dalla difesa della purezza etnica a tutti i costi, da una paura del diverso che lo ha portato a disconoscere la possibilità di una società terza oltre a quella dei due blocchi etnici separati. Una società che in fondo faceva parte anche della sua storia personale. La società delle persone che parlano e vivono a cavallo di due lingue e due culture perchè non hanno timore di perdere la loro specificità. Persone che vivono la propria identità come fonte inesauribile di scoperta e incontri possibili. Persone che portano con sé, intimamente, il fardello ma anche la gioia dell’esigenza irrefrenabile di costruire una società più umana. E Langer avrebbe forse compreso che il peso della storia e degli accadimenti del primo Novecento avevano creato in molti ferite profonde. Ferite lente a guarire. Che andavano curate anche sacrificando momentaneamente ideali più alti. La storia ci ha lasciato al momento un Sudtirolo separato in due società largamente impermeabili. Una provincia governata da un gruppo di persone che accentrano in sé un potere enorme. Che perseverano a tenere aperte ferite che andrebbero rapidamente chiuse. Dove i giovani di un gruppo linguistico faticano sempre più a parlare la lingua degli altri. Non ne conoscono la cultura. Ragionano per stereotipi. Generazioni cresciute vicine, ma sempre più distanti. Ma anche un altro Sudtirolo. Meno sazio, meno sornione. Che richiede più democrazia. E stufo di genuflettersi ai potentati locali per ottenere piaceri che sono diritti. Un Sudtirolo che non ha un preciso colore politico e è spesso anche frammentato e contraddittorio. Ma che porta con sé l’esigenza di un cambiamento che non potrà essere frenato troppo a lungo. Magnago e Langer. Due uomini che hanno incarnato la storia del Sudtirolo lasciano dietro a sé un mondo al contempo fossilizzato e scalpitante. Il terzo uomo che si prende carico della loro eredità non è il vecchio Durnwalder. Troppo pragmatico per avere una visione. Troppo legato al potere per poterlo piegare a fronte di un ideale grande. Il terzo eroe è il vescovo Golser. L’uomo che benedice il Sudtirolo in tre lingue. L’uomo che la fratellanza la ha coltivata per una vita intera. Giorno dopo giorno. Ha un gregge sazio e smarrito da guidare.
 Ma il vecchio Magnago ha chiuso la sua vita offrendo al vescovo un testimone di speranza. L’auspicio è che siano parole capaci di chiudere i conti con il passato.

Alto Adige 30-5-10
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martedì, 25 maggio 2010


LA SVOLTA DI DOBBIACO

FRANCESCO PALERMO
Sono spesso i piccoli episodi a dare inizio alle grandi svolte. Il caso di Dobbiaco, con l’elezione di un sindaco di lingua italiana e l’impreparata reazione della SVP, è destinato a rappresentare uno spartiacque nell’evoluzione delle dinamiche dell’autonomia. Un’autonomia creata per comporre il conflitto etnico è sempre stata, nella testa di molti, più etnica che territoriale: l’autonomia come mezzo, l’integrità etnica come fine. L’autonomia non è stata, e per molti ancora non è, una formula di governo di un territorio complesso, ma solo il miglior compromesso possibile per l’autodeterminazione negata. Era così, indubbiamente, 40 anni fa, quando venne concordato il patto su cui si regge lo statuto. Era questo ciò che avevano in mente gli strateghi del Pacchetto. Con la tragica ironia di cui è capace il destino, questa concezione giunge al capolinea negli stessi giorni in cui si spegne Silvius Magnago, che ne è stato il teorico e il pragmatico condottiero. Non è una sconfitta, è semplicemente l’evoluzione dei tempi. Ed anzi è un’evoluzione resa possibile dal successo della visione originaria.
E’ vero che nella testa dei padri costituenti lo statuto serviva ad evitare che in una realtà come Dobbiaco potesse anche solo concepirsi l’idea di un sindaco di lingua (anzi, di “etnia”) italiana, perché ancora fresco era il ricordo dei podestà fascisti, e semplicemente non si immaginava che il voto democratico, pur con le sue stranezze, potesse prescindere dall’aspetto etnico. Ma l’autonomia, proprio per aver reso possibile la pacificazione, rende oggi obsoleta una concezione dei rapporti interetnici che prevalga sul metodo democratico. Nella stessa SVP la reazione a caldo di Durnwalder, secondo cui sarebbe inaccettabile un sindaco italiano in un paese in cui l’85% delle persone è di lingua tedesca (anzi, del “gruppo” tedesco) perché non democratico, suscita difficoltà e imbarazzo.
 Il caso di Dobbiaco è fondamentale perché aiuta a porsi domande essenziali. Cosa significa democrazia? La volontà della maggioranza? E di quale maggioranza? Dei cittadini, dei votanti, del gruppo linguistico (quasi questo fosse un’entità fisica), degli elettori? Lo statuto di autonomia prevede un sistema complesso di riparto e cogestione del potere tra i gruppi linguistici, ma si guarda bene dall’interferire con la democrazia. Anche perché la democrazia, in quanto tale, non esiste: essa è il prodotto di regole e di procedure, e si realizza solo attraverso il loro rispetto. Parlare di volontà della maggioranza non ha alcun senso. Dipende dalle regole per la sua manifestazione. E’ una regola il fatto che in Italia si voti a 18 anni (in Austria si vota a 16). E’ una regola che conti solo il voto di chi si esprime, per cui ad esempio Spagnolli è stato democraticamente eletto con la maggioranza assoluta al primo turno pur non avendo avuto il voto della maggioranza dei cittadini di Bolzano (il 52% del 63% dei votanti significa che è stato votato da circa il 30% degli aventi diritto, dunque da circa il 22% dei cittadini e, calcolando gli stranieri residenti senza diritto di voto, da meno del 20% dei residenti complessivi), né essendo il suo partito quello maggioritario in città. E ancora, volendo ragionare in termini di gruppi, perché non crea problemi il fatto che il sindaco di Bolzano, come quello di Dobbiaco, sia un uomo nonostante in entrambi i comuni le donne siano in maggioranza?
Perché la democrazia è il prodotto di regole che stabiliscono, tra il resto, cosa conta e cosa no nel processo politico: non conta il genere, per cui non è antidemocratico un sindaco uomo in un comune a maggioranza di donne; conta l’età per determinare il diritto all’elettorato attivo (per cui si stabilisce che si vota a 18 anni); le maggioranze contano e si contano in base alla legge elettorale, per cui può democraticamente vincere una minoranza; e non conta il gruppo linguistico per stabilire chi deve essere il sindaco. Lo statuto prevede soltanto delle regole che garantiscano ai diversi gruppi la rappresentanza in giunta in base alla consistenza dei gruppi linguistici nel consiglio comunale. Tutto qui. Conta sì, per poter diventare sindaci, la dichiarazione di appartenenza ad un gruppo (e se ne dovrebbe discutere), ma non conta a quale gruppo si appartenga.
 La Corte europea dei diritti dell’uomo ha recentemente stabilito che la struttura costituzionale della Bosnia Erzegovina, che impedisce alle minoranze di accedere alle principali cariche elettive, viola la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Un’analoga violazione si darebbe se si affermasse che un appartenente ad una minoranza territoriale (un italiano a Dobbiaco, un tedesco a Bolzano) non avesse titolo per diventare sindaco in virtù della propria appartenenza etnica.
 Non è un discorso puramente teorico: la legge elettorale infatti in un certo senso consente al partito di maggioranza in consiglio di fornire una propria interpretazione della democrazia. A differenza che nel resto d’Italia, infatti, in Provincia di Bolzano il sindaco, eletto direttamente dai cittadini, non ha un premio di maggioranza e non basta vincere le elezioni per governare, ma serve anche il supporto del consiglio. Ciò che accadde a Benussi nel 2005 potrebbe ora ripetersi. Se Dobbiaco non fosse in Alto Adige ma in Veneto, a soli pochi chilometri di distanza, il sindaco Bocher avrebbe per legge un premio di maggioranza dei 2/3 in consiglio. Secondo la regola che vale in Alto Adige, invece, la decisione”democratica” sul suo futuro spetta alla politica, ma nei limiti del divieto di discriminazione. Comunque vada, già solo il fatto che il problema si ponga indica che una nuova fase si è aperta. E come si sa, la storia punisce chi arriva in ritardo.
Alto Adige 25-5-10
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domenica, 23 maggio 2010


Giornata nazionale per la promozione della lettura


Indetta dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e realizzata dal Centro per il Libro, la Giornata nazionale per la promozione della lettura, si terrà il 23 maggio prossimo, al culmine di quattro giorni dedicati ai libri. L'iniziativa ha lo scopo di promuovere la lettura in tutte le sue forme, di sensibilizzare i cittadini e soprattutto le nuove generazioni. Istituzioni, Enti locali, biblioteche, ma anche autori, editori, librai si faranno promotori e organizzatori di numerose iniziative su tutto il territorio nazionale. Presentazioni in presenza degli autori, reading, letture di libri e poesie con proiezioni e accompagnamenti musicali dal vivo, incontri dedicati ad una lettura che sia a portata di tutti, iniziative nei Musei e rassegne culturali che sfruttano gli spazi aperti e i piccoli centri storici delle città. Iniziative volte a portare all'acquisto di un libro per regalarlo a qualcuno che si ama, ma anche scambi di libri portati da casa, e libri regalati ai visitatori dai musei. In occasione della Giornata nazionale per la promozione della lettura parte la prima campagna di comunicazione con lo slogan 'Se mi vuoi bene il 23 maggio regalami un libro'. Regalare un libro è un gesto d'amore: diffondiamone abitudine! E' questo l'obiettivo della campagna.
Dossier ''Giornata nazionale per la promozione della lettura''



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sabato, 22 maggio 2010


L’appello di Obermair  per la memoria condivisa

Le elezioni amministrative sono ormai alle spalle e la campagna elettorale è finita. Il centrosinistra a Bolzano ha vinto senza troppi patemi d’anino e il sindaco Spagnolli sta lavorando alla nuova giunta. Squadra nuova ma problemi vecchi. Il capoluogo si trova infatti ancora a fare i conti con il nodo della monumentalistica del Ventennio che, nonostante i periodici proclami, resta un nodo irrisolto. La giunta uscente non ha avuto neppure la forza - politicamente parlando - di discutere e votare un tiepido ordine del giorno presentato dopo mille tentennamenti dall’assessore Schönsberg, che delineava blandamente un percorso di «storicizzazione della memoria» che togliesse dalle mani dei partiti l’arma sempreverde della strumentalizzazione dei simboli. A riportare il tema in primo piano è ora il direttore dell’Archivio Storico di Bolzano, Hannes Obermair, che con la competenza che gli è riconosciuta, approfitta di questa fase di transizione tra il vecchio e il nuovo, per indicare i passi che attendono di essere fatti per traghettare la città verso una memoria condivisa. (m.f.)

di Hannes Obermair *
* DIRETTORE ARCHIVIO STORICO / DELLA CITTÀ DI BOLZANO
Nel ventesimo secolo, o almeno nella prima metà del secolo «breve» (Eric Hobsbawm), Bolzano fu anche città della dittatura anzi, per la precisione, città di due dittature.
Non fu frequente in Europa che una stessa città e una stessa regione avessero patito sia il fascismo italiano sia il fascismo tedesco, dovendo così sperimentare forme di dominio totalitario nelle loro più odiose manifestazioni.
Al dominio fascista (1922-1943) fecero seguito due anni di occupazione nazista. Entrambe i regimi hanno assestato duri colpi alla società civile della regione e della città di Bolzano, lasciando dietro di sé un pesante strascico di lacerazioni e segni.
«Bolzano città di due dittature» è un modo di leggere la storia che vuole esprimere una scomoda eredità e allo stesso tempo sfruttare al meglio le grosse opportunità di rielaborazione che potrebbe offrire una politica di democrazia e di memoria. È importante che l’opinione pubblica, le scuole, la ricerca, chi abita questa città da tempo e chi da poco vi è immigrato, apprendano quali immagini di storia la città porti con sé e come poterne parlare in modo adeguato.
Il fascismo italiano è visibile nel suo grandioso programma edilizio, che conferì tono imperiale alla «Nuova Grande Bolzano». Gli scenografici Corso Italia e Corso Libertà, il monumentale palazzo del Corpo d’Armata in piazza 4 Novembre, il Monumento alla Vittoria e l’areale che lo circonda, il fregio con Mussolini a cavallo in piazza Tribunale testimoniano fino ai giorni nostri il carattere di ingiustizia del regime; ciononostante, numerose soluzioni spaziali e edifici come ad esempio la sede dell’Eurac (ottimo esempio di nuova codificazione positiva di un’architettura funzionale al regime) stupiscono per le loro notevoli forme architettoniche.
Ha carattere di forte ambivalenza invece l’eredità meno visibile del nazionalsocialismo, del cui campo di concentramento e transito, in via Resia, è rimasto solo il muro di cinta. Bisognerebbe però anche sapere che nel palazzo del Corpo d’Armata aveva sede la Gestapo, che da qui tesseva la sua tela di terrore, e che la Commissione di trasferimento per le cosiddette Opzioni operava nell’ex Hotel Bristol e che il lavoro coatto per la guerra si prestava nella Galleria del Virgolo.
Rendere visibili in modo duraturo e convincente le tracce di entrambi i regimi è un compito storico affascinante, oltre che un dovere politico di memoria. La ricerca storica e la didattica devono procedere passo passo per poter giungere ad un rapporto convincente con il passato totalitario di Bolzano.
L’Archivio Storico della Città di Bolzano ha finora orientato la sua attenzione alla documentazione dei fatti del Lager di Bolzano e negli ultimi anni ha potenziato anche la rielaborazione della dittatura fascista. Con convegni e manifestazioni molti storici di fama sono stati coinvolti in questo lavoro di critica storica, le cui alte valutazioni potranno influenzare l’arduo compito della politica della memoria. Manca una tappa finale, la creazione di un piccolo, ma efficace Centro di documentazione, magari nel parco dietro il Monumento, che racconti e spieghi le cose del Novecento. Città come Linz, Norimberga o Berlino («Topografia del terrore») ci insegnano come si possa giungere a progetti convincenti.
Il tutto per giungere alla costatazione che il bellicismo e i nazionalismi facevano purtroppo parte del nostro passato, e che il presente e il futuro della nostra città e della regione intera non possono essere gestiti positivamente senza affrontare adeguatamente questo «passato che non vuole passare», contestualizzandolo, storicizzandolo e rielaborandolo nel modo più aperto e illuminato possibile.
Alto Adige 22-5-10
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sabato, 22 maggio 2010


POLITICA ASSENTE SULLA SCUOLA

CARLO BERTORELLE
Sulla riforma del mondo scolastico e formativo in provincia di Bolzano c’è forse ancora la possibilità di valorizzare le competenze autonomistiche per un progetto di qualità. Purtroppo non si è seguita la strada più logica per costruire un’autonomia partecipata.
E per spiegare perché la nostra provincia, unica in Italia, ha fatto slittare di un anno la riforma, che entrerà in vigore solo nel settembre 2011: coinvolgere cioè in una fase di studio le componenti associative, sociali, scientifiche, collegiali della scuola e della ricerca, nonchè l’economia e il mondo del lavoro per affrontare, in una visione di insieme, l’educazione dei giovani nella fascia tra i 14 e i 19 anni. A fine marzo era già confezionato un disegno di legge della giunta provinciale, elaborato dalla amministrazione scolastica, e solo successivamente si sono invitate le componenti della “base” ad esprimere suggerimenti e correzioni.
Pur con questo precedente, si può tuttavia giocare qualche carta in positivo, sperando che le proposte formulate, che in questi giorni arrivano all’esame dell’apposita commissione di lavoro della giunta, possano essere accolte e considerate nelle fasi successive dell’iter di questa legge.
Intanto stupisce il silenzio dei partiti politici (e dei media) su un tema così rilevante per il futuro dei giovani e per l’intera società. Al centro non vi è solo la decisione su un indirizzo scolastico in più o in meno, ma vi sono questioni di fondo: la condizione giovanile, coi suoi disagi psicologici e materiali, le forme e i contenuti della conoscenza, l’uguaglianza dei diritti e l’ingresso nel mondo del lavoro.
In positivo, per collegare la scuola superiore alla società, un aspetto importante sarebbe ad esempio l’osservazione del mercato del lavoro e dei reali fabbisogni formativi, nonchè l’orientamento scolastico e professionale per favorire scelte appropriate e contenere ritardi e dispersione. E qui gli osservatori statistici, l’analisi della domanda e il mondo dell’impresa potrebbero dare una mano proprio per delineare le tendenze economiche in atto e permettere quindi agli indirizzi scolastici e professionali di corrispondere con un’offerta adeguata, all’interno di un piano razionale di sviluppo.
Soprattutto nei primi due anni dopo la scuola media tutti i giovani dovrebbero impadronirsi sostanzialmente delle stesse competenze di base. Quindi i percorsi formativi devono puntare su competenze culturali e di cittadinanza simili per tutti fino ai 16 anni, indipendentemente dal canale dell’istruzione o della formazione. Gli imprenditori e gli artigiani devono capire questo passaggio strategico e, anziché accontentarsi di forza lavoro poco scolarizzata, puntare sul valore del “capitale umano”, che non può oggi essere inferiore a certi standard.
 La base di formazione culturale che deve essere assicurata a tutti i giovani almeno fino ai 16 anni richiede inoltre che, anche per chi sceglie la strada dell’apprendistato, la formazione in alternanza studio-lavoro abbia un costante rimando allo sviluppo di competenze culturali e non porti all’ immersione pura e semplice nell’ attività produttiva.
Senza prospettive di respiro e di qualità, c’è il rischio che l’interesse si accenda solo sul timore che qualcuno possa essere”declassato” o qualche indirizzo accorpato sotto nuove denominazioni, modificando uno status quo cui si è da sempre abituati. Quella che dovrebbe essere in primo luogo superata è invece la visione gerarchica delle scuole, quelle di serie A e poi quelle di serie B, C, ecc... riservate ad utenze diverse. Il principio della pari dignità dei percorsi formativi andrebbe non solo proclamato, ma attuato, dando le medesime opportunità ad ogni ragazzo.
Alto Adige 22-5-10
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venerdì, 21 maggio 2010


Riforma delle scuole superiori, l’ok da Roma: si parte nel 2011

BOLZANO. Kasslatter Mur a Roma per discutere di riforma delle superiori e maturità professionale. Ieri al ministero all’istruzione l’assessora provinciale ha ottenuto l’ok all’applicazione in Alto Adige della riforma delle superiori solo a partire dall’anno scolastico 2011/12. Nei colloqui con i dirigenti ministeriali si è parlato anche dell’attuazione della maturità professionale e di un migliore ancoraggio del bilinguismo alla Lub.
 La riforma della scuole superiore troverà applicazione in Alto Adige un anno più tardi rispetto al resto del territorio nazionale: «Ho spiegato ai funzionari ministeriali i motivi di questo rinvio e ho ottenuto via libera», spiega l’assessore Kasslatter Mur. La condizione: anche in Alto Adige i primi nuovi diplomi di maturità dovranno essere assegnati nel 2014/15. «Pertanto gli studenti che ora si iscrivono alla prima classe superiore avranno un percorso scolastico con il passaggio ai nuovi indirizzi», sottolinea Kasslatter Mur, che spera in una trattazione del progetto di riforma già a settembre in consiglio provinciale. In inverno, poi, la giunta emanerà le specifiche direttive, compreso il piano di distribuzione delle scuole, «che disciplinerà quali tipologie scolastiche offrire e dove», aggiunge l’assessore.
 Nei colloqui a Roma Kasslatter Mur ha discusso anche dell’introduzione della maturità professionale. I rappresentanti del governo hanno assicurato la loro collaborazione nello sviluppo del nuovo percorso scolastico. «Dobbiamo fissare d’intesa con Roma i contenuti per poter garantire il quinto anno al più tardi nel giro dei prossimi tre anni». Tema del vertice romano anche il plurilinguismo nei percorsi universitari, con la richiesta di un consolidamento soprattutto nella formazione degli insegnanti. «Per la lingua tedesca e ladina abbiamo bisogno delle stesse possibilità di apprendimento dell’italiano, in forma di letteratura e linguistica», conclude. (da.pa)
Alto Adige 21-5-10
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giovedì, 20 maggio 2010

Sconti per i laureati che tornano in Italia

ROMA. In arrivo incentivi fiscali per i cervelli in fuga che decidono di fare rientro in Italia e che hanno meno di 40 anni. La commissione Finanze della Camera con un voto all’unanimità ha approvato un pacchetto di modifiche alla proposta di legge bipartisan che punta a aiutare i lavoratori che sono andati all’estero alla ricerca di un impiego. Per ottenere il bonus, che inizialmente era sotto forma di credito di imposta e che durante l’iter in commissione si è trasformato in sconti alla base imponibile, occorre però essere in possesso di una laurea.
 «Quello che diamo è un segnale positivo - commenta la relatrice Alessia Mosca (Pd) - anche considerando il clima che stiamo vivendo in questi giorni». Ecco le misure principali del provvedimento che oggi dovrebbe incassare il sì definitivo della commissione per approdare da lunedì a Montecitorio. Tutti i cittadini comunitari che hanno meno di 40 anni, che studiano, lavorano o che hanno conseguito una specializzazione post lauream all’estero e che decidono di fare rientro perché hanno trovato un lavoro dipendente oppure hanno deciso di avviare un’attività di impresa o di lavoro autonomo. Occorre trasferire il proprio domicilio in Italia. I redditi da lavoro dipendente, i redditi da impresa e i redditi da lavoro autonomo ai fini delle imposte concorrono alla formazione dell’imponibile in misura ridotta. La percentuale è pari al 20 se i lavoratori sono donne o se sono impiegati nelle regioni ex Obiettivo 1. E’ invece pari al 30% per tutti gli altri.
 Sono previsti benefici fiscali anche per i datori di lavoro. Ma al momento solo per quelli che assumono al Sud. Si tratta degli stessi sgravi che utilizzano le strutture che richiamano al lavoro i disoccupati di lunga durata. Gli incentivi decadono qualora la residenza o il domicilio venga di nuovo trasferito fuori dall’Italia prima di cinque anni dalla data della prima fruizione del bonus. In tal caso si provvede al recupero dei benefici già fruiti con applicazione delle relative sanzioni e interessi. A partire dal 2010 viene istituito al Tesoro un fondo alimentato dal gettito reale delle imposte dirette dei soggetti coinvolti. In attesa che entri a regime stanziati 5 milioni per i primi due anni.
Alto Adige 20-5-10
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mercoledì, 19 maggio 2010



Morto Sanguineti, poeta contro

FRANCESCO COMINA
Edoardo Sanguineti è morto all’improvviso ieri mattina a Genova. Aveva 79 anni. Doveva prepararsi a ridere e a far ridere. Era atteso al Festival della comicità della sua città per inaugurare la rassegna «Far ridere è un’arma di potere». E la sua poesia riusciva a ridere del tragico, a demolire l’arroganza del potere con intricati versi e beffardi rime. Pochi anni fa prese di petto il problema ultimo: «Morire adesso non serve”:”Mi accorgo che ho sperato di rinascere: e che la forma giusta, invece, per me, era poi questa / che mi porto addosso: la mia evoluzione si è arrestata a uno stadio di piedi sudaticci / di narici eccessive (e in più eccessivamente irritabili), di costole distorte / come costolette troppo cotte, di forfore, di gibbosità varie (.) al telegramma invece ho rinunciato / perché mi accorgo che morire adesso è inutile». Sanguineti è stato uno dei maggiori poeti italiani. Esponente di punta del Gruppo’63, ha scritto di teatro, di musica, ha collaborato con Berio e molti altri artisti anche pop: «In cinquant’anni molte cose sono mutate, la poesia è cambiata, ma non è cambiato il compito dei poeti, quello di disegnare il profilo ideologico di un’epoca».
 Una decina di anni fa Sanguineti venne per la prima volta in Alto Adige a tenere una conferenza per la rassegna Merano Poesia. Fu folgorato dalla bellezza del paesaggio e inquietato un poco dalla tranquillità. Chi, quella volta, ebbe l’occasione di incontrarlo e di discutere con lui di politica, di letteratura, di etica, se lo ricorda bene. Era di una affabilità straordinaria, di una semplicità che quasi quasi stonava con la tortuosità dei suoi versi. «In questa terra - disse - tutto si presenta estremamente ordinato, quieto, pulito e persino un poco impressionante in un clima che sa molto da stazione termale. Si crea immediatamente un’atmosfera da montagna incantata, serena, distesa, confortevole. E’ una specie di rifugio terapeutico, se vogliamo. Il che tuttavia si associa ad un’aria un poco inquietante, perché si ha la sensazione che sia utile curarsi». Un’atmosfera decisamente distante dalla sua intensità nel vivere. Parlammo della dimensione creativa che molto spesso diventa perfino troppo incombente, troppo frenetica. Alla domanda se si sentisse assediato dall’arte, rispose col calma, sorseggiando una birra: «La vita, quando diventa abbastanza lunga a riguardarla la si scopre piena di spazi a cui uno ha potuto collegare cose abbastanza eterogenee e spesso in maniera puramente fortuita. In fondo ho fatto quello che desideravo fare: professionalmente l’insegnare mi piace, lo scrivere è una passione più ragionevole, anche se quella primaria, originaria, infantile, era quella della musica, ma poi ho lavorato con dei musicisti (e questo mi ha largamente ricompensato). Però non è con irrequietezza che ho fatto le cose; le ho fatte, sì, abbastanza intensamente, ma in fondo in modo riposato e semmai affidandomi alla sorte. Nella vita mi è capitato forse più spesso di dire sì o no a delle occasioni o proposte che emergevano, che non di dire “voglio quello”. La vita ha mille complicazioni, ma non sono particolarmente irrequieto».
 La politica per Sanguineti era passione civile, quasi un esserci come senso di responsabilità. La prima esperienza è stata di consigliere comunale a Genova e poi dal ’79 all’ 83 parlamentare nelle file del Pci). Le sue posizioni sono sempre state chiare, esplicite. Scrisse anche un libretto satirico su Berlusconi: “Da Berluskaiser a Berluscaos”. Ma a Merano la riflessione del poeta si posava sulla crisi d’ideali che con l’avvento del berlusconismo e del populismo massmediatico si rendeva esplicita un po’ dappertutto: «Ho vissuto ancora gli anni in cui la politica era ricca di speranza ed era ancora, se così si può dire, una cosa seria. Poi è venuta un’epoca in cui, prima la corruzione poi il disfarsi un po’ di tutte le convinzioni, ha condotto ad una situazione molto confusa, che è quella che si vive oggi. Molto spesso i miei studenti dicono, ”beh voi siete una generazione fortunata...”; io non la sento come una generazione fortunata perché, ahimè, ho avuto il tempo di assaggiare la guerra e il fascismo, sia pure per non molti anni, e la guerra fredda. Però, gli anni che ho vissuto nella politica erano anni appassionanti». Sanguineti non era assolutamente un nostalgico. Anzi. Era fortemente segnato dall’esperienza dell’avanguardia e anche i nuovi mezzi tecnologici erano per lui una opportunità di evoluzione culturale: «Gli strumenti tecnologici sono delle aggiunte ulteriori alla comunicazione poetica. La poesia oramai viaggia in rete. Probabilmente ci troviamo davanti ad una svolta, quella dell’informatizzazione e la preoccupazione è come lo spavento provocato dalla nascita della stampa».
 Anche cercando di portarlo ad affrontare il tema dell’eclissi dell’arte, dell’esaurimento di una spinta creativa che fatica a far emergere grandi poeti, come quelli che hanno segnato il passato, era impossibile scalfire il suo ottimismo: «Nessuna fine apocalittica dell’arte come profetizzò Hegel. La poesia continua, l’arte è viva, anzi è vita».
Alto Adige 19-5-10


Ballata delle donne
Quando ci penso, che il tempo è passato,
le vecchie madri che ci hanno portato,
poi le ragazze, che furono amore,
e poi le mogli e le figlie e le nuore,
femmina penso, se penso una gioia:
pensarci il maschio, ci penso la noia.

Quando ci penso, che il tempo è venuto,
la partigiana che qui ha combattuto,
quella colpita, ferita una volta,
e quella morta, che abbiamo sepolta,
femmina penso, se penso la pace:
pensarci il maschio, pensare non piace.

Quando ci penso, che il tempo ritorna,
che arriva il giorno che il giorno raggiorna,
penso che è culla una pancia di donna,
e casa è pancia che tiene una gonna,
e pancia è cassa, che viene al finire,
che arriva il giorno che si va a dormire.

Perché la donna non è cielo, è terra
carne di terra che non vuole guerra:
è questa terra, che io fui seminato,
vita ho vissuto che dentro ho piantato,
qui cerco il caldo che il cuore ci sente,
la lunga notte che divento niente.

Femmina penso, se penso l'umano
la mia compagna, ti prendo per mano.


Edoardo Sanguineti

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categoria:cultura
domenica, 16 maggio 2010



Associazioni, progetto per la sede a Laives

BRUNO CANALI
LAIVES. Di casa per la cultura del gruppo linguistico italiano si parla da anni e ora è pronto uno studio di fattibilità per ristrutturare la vecchia palazzina di via Pietralba un tempo edificio scolastico e di uffici comunali.
 Ovviamente ogni decisione sarà presa dalla prossima amministrazione comunale. Il progetto sul tavolo dei tecnici è stato elaborato dall’architetto Paolo Berlanda. Da tempo il Comune ha puntato l’attenzione sulla vecchia palazzina per dotare anche il gruppo linguistico italiano di una struttura simile alla Haus der Kultur per il gruppo tedesco. Occorreva prima di tutto riorganizzare gli spazi esistenti e, contemporaneamente, ampliare la cubatura ma senza stravolgere l’insieme, rispettando la memoria storica dell’edificio che è entrato nella quotidianità di generazioni di cittadini.
 La soluzione individuata dall’architetto prevede proprio la ristrutturazione della cubatura esistente (che è oggi molto usurata) aggiungendovi nuovi spazi che architettonicamente «avvolgeranno» il nucleo primitivo dell’edificio. La parte nuova di costruzione, che porterebbe il tutto a quattro piani, sarebbe edificata verso il lato a monte di via Pietralba, leggermente arretrata rispetto ai muri che si vedono oggi, così da mantenere in risalto proprio la parte originale di edificio. Il volume verrebbe alleggerito grazie alla parte innalzata e sostenuta dal suolo con alcune colonne, soluzione che tra l’altro recupererebbe uno spazio molto interessante (che oggi non esiste) al coperto, presso l’ingresso secondario del vecchio cimitero che sta dietro la vecchia palazzina. Dentro l’edificio rimarrebbero le sedi delle associazioni che già si trovano oggi, vale a dire Coordinamento Arte La Goccia, Upad e Istituto musicale di lingua italiana. Però rispetto alle sistemazioni sacrificate di cui dispongono attualmente ci sarebbero 2 sale espositive, 2 sale incontri, per La Goccia, al primo piano, atelier con biblioteca e segreteria; per l’Upad, al secondo piano, aula/palestra e altre 3 aule; al terzo piano, per l’Istituto musicale italiano, 6 aule per la musica. Nell’interrato vani di servizio con ipotesi d’uso variabile. Le stime relative ai costi di costruzione sono di 1,9 milioni, dei quali 830 mila per trasformare la palazzina attuale.
Alto Adige 16-5-10
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venerdì, 14 maggio 2010



MA I PROBLEMI SONO POLITICI

LUCA FAZZI
La pubblicazione su questo quotidiano alcune settimane fa dei risultati delle prove Invalsi nelle scuole italiane, ha gettato nel panico l’establishment politico locale. Scoprire che nella provincia con uno dei più elevati livelli di spesa per l’istruzione e con gli stipendi di presidi e insegnati in assoluto meglio remunerati d’Italia, gli studenti si collocano agli ultimi posti delle graduatorie nazionali per quanto riguarda l’apprendimento dell’italiano e della matematica certo non è un grande motivo di orgoglio. Nelle scuole sono stati dunque presi urgenti provvedimenti e si moltiplicano le simulazioni per i futuri test Invalsi che si terranno nel mese di maggio. La pressione sugli insegnanti è forte perché politici e responsabili dell’istruzione non possono stavolta sbagliare. Come purtroppo spesso accade in provincia di Bolzano, gli specialisti del ribaltamento dei problemi sono costantemente al lavoro. Il Premio Nobel per l’economia Amartya Sen ha recentemente scritto che, per capire se la scuola funziona o meno, ci si deve domandare se e in che modo essa prepara le future generazioni.
Cioè a accedere in modo non eccessivamente diseguale alle risorse della società in cui esse vivono e a essere parte attiva e responsabile di quel mondo. Succede questo in provincia di Bolzano? Ci sono indicazioni oggettive che evidenziano come i ragazzi e le ragazze che terminano i cicli scolastici negli istituti provinciali in lingua italiana sono in grado di entrare a fare parte da protagonisti della società locale? La risposta più convincente la danno a questi interrogativi tutti quei genitori di lingua italiana che hanno iscritto, o stanno pensando di iscrivere i propri figli alle scuole di lingua tedesca. Quanti sono questi ragazzi? Il catasto etnico provinciale non è attrezzato a rispondere a questa domanda e i politici e i funzionari della scuola italiana si guardano bene dal diffondere informazioni al riguardo. Salvo poi, iscrivere per primi, i propri figli alle scuole tedesche. Ma è sufficiente parlare con un qualsiasi insegnante di scuola tedesca per avere il polso della situazione. Un numero crescente di studenti italiani viene ogni anno iscritto nelle scuole di lingua tedesca. Un’onda anomala imprevista dai teorici del modello delle società separate. Un movimento tellurico che rischia di scuotere nel profondo le fondamenta ella scuola italiana (e anche il modello delle scuole separate).
Perché si verifica questo fenomeno? In primo luogo, è ormai chiaro a tutti che nella provincia di Bolzano del 2010 senza competenze linguistiche non si riesce a avere accesso alle risorse (lavorative, relazionali, eccetera) e si rischia di produrre un futuro esercito di sottooccupati o persone costrette a migrare in ambienti linguisticamente più favorevoli. I dati delle recenti indagini sugli effetti della crisi economica rivelano come le persone che hanno perso il lavoro bilingui hanno una capacità di reinserimento nel mercato del lavoro cinque volte superiore rispetto ai monolingui. I genitori italiani, troppo spesso ancora monolingui, vivono questa situazione con crescente ansia e molti di essi trovano nell’iscrizione alle scuole tedesche il modo più efficace per consentire ai propri figli di avere un futuro in questa terra. E’ un quadro tipico da Gastarbeiter - i lavoratori stranieri impiegati in lavori secondari che nella Germania degli anni ‘50 iscrivevano i propri figli nelle scuole tedesche nella speranza di offrire ad essi un futuro migliore rispetto a quello dei propri padri. In secondo luogo, la scelta di abbandono della scuola italiana è motivata dall’incapacità della stessa di fornire competenze e motivazioni di base per favorire l’apprendimento della seconda lingua. I simpatici manifesti dove l’assessore Tommasini mostra la lingua invitando i giovani a imparare il tedesco non sembrano ancora avere ottenuto l’effetto sperato e nelle classi il tedesco viene insegnato ancora con metodi poco efficaci. L’investimento degli ultimi anni in progetti di immersione ha portato a risultati minimali rispetto agli investimenti fatti e il tedesco viene purtroppo ancora considerato da molti studenti come una lingua da imparare per dovere più che per il piacere di potere comunicare con i propri vicini e essere parte integrante di un mondo dove l’italiano viene parlato in via esclusiva in meno del 10% degli ambienti di lavoro.
In terzo luogo, le scuole italiane declinano perché la politica è sostanzialmente incapace di affrontare il problema. Un modello basato solo su scuole separate è il fallimento dell’integrazione ma nessuno ha il coraggio di dirlo. Il centro destra italiano si trincera dietro il baluardo della scuola italiana come unico strumento di difesa dell’identità culturale esprimendo una visione del problema esattamene equivalente a quella dei nazionalisti di lingua tedesca. Il centro sinistra è invece prigioniero delle sue contraddizioni: incentiva i programmi di seconda lingua confondendo lo strumento dell’immersione con la panacea di un male che ha radici molto più complesse (lo studio della grammatica, le motivazioni sociali all’apprendimento, i risultati che si possono effettivamente ottenere nell’accesso alle risorse attraverso lo studio della lingua spesso ostacolati dallo status di appartenenza linguistica, l’ostracismo di parte del partito di raccolta tedesco all’integrazione, eccetera) e pensando a costruire nel mondo della scuola un proprio intoccabile feudo elettorale. Il risultato è che i veri problemi sono rimossi e l’attenzione di tutti è sull’esito dei prossimi test Invalsi. Purtroppo c’è da aspettarsi, se i risultati dei prossimi test saranno a migliori rispetto a quelli precedenti, un tripudio di triste entusiasmo.
Alto Adige 14-5-10
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categoria:cultura
giovedì, 13 maggio 2010


LE PARI OPPORTUNITA’ ETNICHE

PAOLO CAMPOSTRINI
La quasi totalità delle presidenze nelle società controllate dalla Provincia sono occupate dal gruppo tedesco così come le direzioni della sua sterminata rete museale, turistica, economica, infrastrutturale. E’ sconcertante che si continui a non cogliere la strettissima connessione che esiste tra questo stato di fatto e la disaffezione nei confronti dell’autonomia materiale che pervade gli italiani, il loro straniamento (il fantasmatico «disagio») rispetto ai meccanismi della sua gestione quotidiana: senza pari opportunità di accesso alla «catena di comando» nell’amministrazione dell’autonomia è facile coltivare atteggiamenti di frustrazione che possono sconfinare in reazioni nazionalistiche e identitarie capaci di mettere in difficoltà il dialogo tra i gruppi e la stessa convivenza. Dice Durnwalder: «Se volete una distribuzione proporzionale delle poltrone allora fatemi decidere anche su Questura, Inps e Prefettura». Ma il presidente, in questo modo, fa torto due volte agli italiani.
Li esclude dalle cariche di vertice non sottoposte a proporz e, soprattutto, li fa pagare per colpe non loro, attribuendo agli italiani di qui benefici e competenze che invece riguardano Roma. In sostanza non li considera altoatesini a tutti gli effetti ma ancora massa di manovra statale, gravati del peso storico della tradizione centralistica. Come se toccasse agli italiani di Bolzano decidere sul prefetto o il questore. Durnwalder a queste questioni dovrebbe pensare: e non limitarsi a fare un «bagno di italianità» nei quartieri soltanto in occasione delle campagna elettorali.
 Il problema delle cariche apicali è dunque centrale e solleva una serie di quesiti.
 Il primo. Non assegnare poltrone di vertice è il modo migliore per far sentire un gruppo sempre più minoranza. Come il meccanismo della proporzionale «alla base» ha riequilibrato anche psicologicamente il rapporto dei tedeschi nei confronti dell’autonomia, così la proporz apicale riallinierebbe semplicemente gli italiani al gruppo maggioritario. Facendoli sentire altrettanto padroni a casa loro.
 Il secondo. Le nomine ai vertici nelle società controllate dalla provincia sono palesemente politiche. Ma la disciplina giuridica di tipo privatistico cui sono sottoposte le sgrava da ogni controllo pubblico. Il che consente loro di non sottoporre le assunzioni a proporzionale. Raddoppiandone l’anomalia e facendone, in una realtà così sensibile come quella altoatesina, dei mostri giuridici. Basta recarsi negli uffici di AA Marketing per toccare con mano la scandalosa sproporzione etnica degli impiegati.
 Il terzo. Dall’Eurac ai musei provinciali, dagli enti di ricerca a quelli turistici, i settori dove piove questa anomalia sono spesso strettamente legati alla costruzione della cultura di una comunità. E dunque luoghi dove gli italiani non possono contribuire a delineare quella identità comune, bifocale e composita che invece dovrebbe essere il tratto essenziale di una provincia bilingue.
 Il quarto. Gli italiani soffrono, da almeno vent’anni, di una chiara inadeguatezza della loro classe dirigente. Vero. Ma vero anche che il gruppo tedesco, da quando l’autonomia si è dispiegata e gli italiani hanno lasciato a poco a poco tutti i luoghi di gestione del potere pubblico, ha potuto trovare negli enti provinciali, nelle aziende di soggiorno, nelle direzioni di aeroporto, fiera, musei, associazioni economiche delle straordinarie palestre in cui formare i propri manager. Nella direzione Svp non si contano i consiglieri regionali, provinciali, comunali e di circoscrizione provienienti dagli enti territoriali. Gli italiani invece pescano, a sinistra, nel sindacato o nella scuola e a destra tra gli autodidatti o nelle professioni. Una asimmetria che non può durare a lungo pena lo scostamento sempre meno sostenibile in termini di adeguatezza tecnica e preparazione tra i due gruppi.
 In conclusione. Avere dei punti di riferimento fisici laddove si decide è essenziale per il rapporto che si crea con il luogo in cui si vive. Come è essenziale anche (e questo erga omnes) tentare di promuovere, nei ruoli di vertice, il metodo del merito più che quello etnico. A meno di non concludere che i meritevoli parlano sempre la stessa lingua.
Alto Adige 13-5-10
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categoria:cultura, provincia di bolzano
venerdì, 07 maggio 2010

Domani evento dimostrativo al Colle con il gruppo della scuola Waldorf

BOLZANO. Dalla tarda mattinata al pomeriggio, domani al Centro ambientale “Maso Uhl”, al Colle, si terrà la giornata delle porte aperte del giardino d’infanzia e della Scuola primaria dell’associazione per la pedagogia Waldorf di Bolzano, la scuola detta anche steineriana. Un’occasione, per le famiglie del capoluogo, per conoscere da vicino non solo il luogo ma soprattutto la pedagogia alla base delle attività che da anni le maestre e i maestri della scuola Waldorf portano avanti. Il programma della giornata, che si apre alle 11.30 per terminare alle 17 è ricco e vario: dalla 11.30 alle 12.30 apertura musicale; alle 14.30 teatrino con “Rosaspina”; dalle 15 alle 16 tavola rotonda con i maestri che risponderanno a domande sulla pedagogia Waldorf; alle 16.30 ancora teatrino con “Rosaspina”; dalla tarda mattinata al pomeriggio poi spazio al buffet, alle visite alle classi con i maestri, tavolo dei libri, giochi all’aperto, laboratori di lana cardata, informazioni sui centri estivi, laboratorio “facciamo insieme il pane”.
 Ispirata ai valori pedagogici di Rudolf Steiner, l’Associazione Waldorf di Bolzano si propone di offrirne alla città gli ideali e la pratica attraverso la scuola e il giardino d’infanzia, ambienti dedicati con amore allo sviluppo armonico del bambino e delle sue potenzialità.
Alto Adige 7-5-10


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categoria:cultura
martedì, 04 maggio 2010

Con il Vke a Monaco s’impara il tedesco nella città dei ragazzi

BOLZANO. Sarà banale dirlo, ma forse viste le poche opportunità offerte in tal senso, non è così scontato. Il concetto è: imparare giocando è più facile. Se poi intendiamo imparare una lingua, segnatamente quella tedesca, e parliamo di bambini, ecco una formula vincente soprattutto in Alto Adige. La motivazione personale e l’apprendimento associato ad emozioni positive sono del resto le premesse fondamentali anche per imparare la nostra seconda lingua. Lo sanno bene al Vke, l’Associazione campi gioco e ricreazione, dove si organizza la “Città dei ragazzi” in cui quelle potenzialità si verificano all’ennesima potenza. Se poi tutto si svolge in lingua tedesca, è proprio un’occasione da non perdere. Così dopo le precedenti positive esperienze del 2007 alla città dei ragazzi Mini Salzburg, nel 2008 a Mini München e nel 2009 a Mini Regensburg, il Vke ripropone per quest’estate il programma “Imparare il tedesco giocando a...” Monaco di Baviera, rivolto a ragazzini nati nel 1997, 1998 e 1999. Sono previsti tre turni di una settimana: dal 3 al 7 agosto, dal 10 al 14 agosto e dal 17 al 21 agosto.
 Il gioco a Mini München 2010 (info su Internet: www.mini-muenchen.info) si svolge ogni settimana da martedì a sabato, tutti i giorni dalle ore 10 alle 18. Per i ragazzini bolzanini, il martedì mattina è prevista la partenza in autobus da Bolzanom, con rientro a Bolzano il sabato sera. E’ possibile partecipare anche a più di una settimana; la sistemazione a Monaco è prevista nell’ostello Cvjm (info: www.cvjm-muenchen.org), la quota di partecipazione è di 250 euro a settimana a ragazzo, cui va aggiunta la quota sociale Vke di 13 euro (una tantum annuale a famiglia). La caparra da versare all’atto dell’iscrizione è di 100 euro mentre il saldo va poi effettuato entro il 25 giugno; viene accettata la Family Card+ del Comune. Le iscrizioni sono già aperte e possibili fino al 25 giugno al Vke in via Leonardo da Vinci 20/A; per info, telefono 0471 - 977413 o 335 - 1438894. Il programma viene realizzato con il contributo finanziario della Provincia, del Comune di Bolzano e della Fondazione Cassa di Risparmio.
Alto Adige 4-5-10

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categoria:cultura, giovani
venerdì, 30 aprile 2010

Cultura, sette proposte per Bolzano

MICHELA PERINI
Bolzano è una città amica della cultura, dove gli spazi e le opportunità certo non mancano, ma nonostante tutto c’è ancora molto da fare. Questo quanto è emerso il 17 marzo scorso nella serata di discussione «cultur(a)Bz!?». In risposta alle critiche mosse durante quel dibattito, il Kultur Forum Cultura ha presentato ieri mattina, nel corso di una conferenza stampa, alcune proposte che mirano ad un miglioramento della vita culturale cittadina. «Abbiamo elaborato sette punti di intervento che vogliono essere consigli utili per il futuro della cultura a Bolzano - dice il curatore Daniele Lupo - con queste proposte non intendiamo denunciare una carenza culturale in città, ma stimolare una riflessione e sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità di alcuni interventi». Ma concretamente di che cosa si tratta? In primo luogo il Kultur Forum Cultura sottolinea la necessità di un maggiore dialogo tra le istituzioni politiche comunali e quelle provinciali per arrivare al superamento di inutili conflitti istituzionali, in nome di una politica culturale davvero per tutti. Secondo punto di discussione sono le effettive competenze delle persone che gestiscono il mondo culturale. «Le cariche istituzionali, come ad esempio i consigli di amministrazione degli enti culturali, dovrebbero essere occupate da persone competenti e non necessariamente da personale politico - continua Lupo - le giurie degli eventi culturali dovrebbero essere composte da persone esperte in materia, preparate e qualificate». Per evitare che le decisioni relative allo stanziamento dei finanziamenti pubblici restino a totale appannaggio degli organi politici, il Forum propone di istituire commissioni di esperti per la supervisione delle scelte in ambito culturale. Si tratterebbe di vere e proprie giurie di persone preparate che verrebbero rinnovate con una certa frequenza per garantire la massima correttezza. Ma non è tutto. Il Kultur Forum Cultura non si ferma e oltre a rimarcare la necessità di dialogo e competenza, espone concrete proposte riguardo gli spazi culturali in città. È opinione comune che a Bolzano gli spazi non manchino, si tratta solo di saperli utilizzare meglio. Come? Con la formula dell’utilizzo condiviso. «Non miriamo a creare nuovi spazi culturali, ma vogliamo sfruttare meglio quelli già esistenti - dice Daniele Lupo - la città dovrebbe stilare una lista di tutti gli spazi utilizzabili, una specie di guida consultabile on line e su carta, una vera e propria mappatura degli spazi cittadini dedicati alla cultura per far capire a tutti quali sono». Il Forum vuole, inoltre, risolvere il problema degli spazi che restano inutilizzati attraverso un miglior uso della “cubatura”. «Il nuovo polo bibliotecario, per esempio, dovrebbe essere strutturato in modo tale da diventare un reale luogo d’incontro - continua - il Centro interculturale delle donne avrebbe una destinazione più efficace se venisse usato come punto di interscambio culturale». Coinvolto nei sette punti anche il fattore economico: Bolzano è una città cara e cari sono anche i prezzi degli spazi destinati agli eventi culturali. Spesso le associazioni non si possono permettere di pagare tanto e rinunciano. Secondo il Kultur Forum Cultura questo è un grave limite: la politica dovrebbe rendere tali costi più accessibili per garantire la realizzazione di tutti gli eventi culturali.
 A concludere il lungo elenco ecco il punto più creativo: il Forum propone di organizzare annualmente un Festival delle culture, un evento volto a promuovere la comunicazione e il mescolamento tra le diverse culture in una realtà, quella bolzanina, per natura vivace e multiculturale. «Questi sette punti sono solo consigli perché il Forum Cultura non è un soggetto politico e non agisce politicamente - conclude Daniele Lupo - come Forum ci adoperiamo a promuovere il confronto e la riflessione, è questo il nostro ruolo».
Alto Adige 30-4-10
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categoria:cultura
domenica, 25 aprile 2010

A LEZIONE DEL PATENTINO

FRANCESCO PALERMO
L’approvazione della norma di attuazione che equipara al “patentino” altre certificazioni di conoscenza linguistica è una buona notizia. Com’è buona ogni notizia del rispetto del diritto. Giusto quindi riconoscere il merito a tutti gli attori impegnati nella vicenda.
Il risultato è frutto dell’impegno di tutti: dalla Provincia al Governo, dall’attuale alla precedente commissione dei sei, dalla SVP agli alleati di giunta fino ai partiti di governo a Roma. A dimostrazione del fatto che quando si traccia un percorso condiviso, specie se volto a rispettare il diritto anziché a violarlo, i risultati arrivano. La vicenda però deve far riflettere. Dalla sentenza della Corte di Lussemburgo sul caso Angonese (6 giugno 2000) all’approvazione della norma di attuazione (23 aprile 2010) sono passati quasi 10 anni. 3600 giorni. Una vita. Costellata di passi falsi, incertezze, marce indietro, tentativi di boicottaggio.
Se la buona notizia è dunque che l’adeguamento dell’autonomia al contesto sociale e giuridico che cambia è possibile attraverso i meccanismi previsti dalle strutture dell’autonomia stessa (le norme di attuazione), quella cattiva è che almeno in questo caso il processo è stato intollerabilmente lungo. Dunque l’autonomia è in grado di riformarsi ed evolvere, ma è troppo lenta nel farlo. E il tempo non è una variabile indipendente, né un fattore neutrale: una buona norma che arriva troppo tardi spesso non è una buona norma. La questione dunque è capire se l’autonomia è in grado di svilupparsi in tempi ragionevoli. Gli ostacoli che hanno impedito una più rapida approvazione della sospirata norma di attuazione sono di natura politica più che giuridica. Il giorno dopo la sentenza dei giudici comunitari, il Dolomiten titolò significativamente “Die EU kippt S¨ule der Autonomie”: lasciando intendere che la semplice necessità di riconoscere altri attestati di conoscenza linguistica oltre al patentino rappresentasse un attacco a uno dei pilastri dell’autonomia. Proprio qui sta il punto: una decisione che non discriminava nessuno ma anzi impediva una discriminazione nei confronti dei non residenti in Provincia, veniva interpretata come se si fosse trattato di abolire il requisito del bilinguismo. La SVP ha impiegato anni prima di “elaborare il lutto” di quella sentenza. Un trauma che non riguardava certo il fatto in sé ma il dogma relativo alla presunta titolarità esclusiva dell’interpretazione dell’autonomia in capo alla SVP. Riconoscere l’ovvio, ossia che l’interpretazione dell’autonomia spetta non solo ad un soggetto ma a molti, compresi, ad esempio, i giudici europei, è stato e forse è ancora qualcosa che nella liturgia autonomistica non rientra. E’ questo che si fa fatica ad accettare. Ma è questa la realtà. L’autonomia non è di proprietà di nessuno, ma è necessariamente un progetto condiviso, al quale concorrono tanti soggetti con legittimazioni diverse. L’ultimo tentativo di ostacolare l’adozione della riforma da parte della SVP risale a poco più di un anno fa, quando si propose di collegare la lingua delle prove di esame per i concorsi pubblici al gruppo di appartenenza, di fatto vanificando il patentino e gli altri attestati di bilinguismo. Fu poi la volta del governo nazionale che bloccò la norma di attuazione già elaborata dalla commissione dei sei per semplice ripicca politica. Ora finalmente questa intricata vicenda è arrivata alla conclusione. Evitando anche una nuova procedura di infrazione nei confronti dell’Italia per mancato adeguamento al diritto europeo.
Che lezione se ne trae? In primo luogo, che i meccanismi di adeguamento che l’autonomia prevede funzionano, e bene. Il corpo dell’autonomia, i suoi organi vitali, sono ancora in ottima forma, nonostante il passare degli anni. Ed è una piacevole constatazione. In secondo luogo, però, la vicenda dimostra come la mentalità della classe politica nei confronti del cambiamento sia ancora basata su un atteggiamento di eccessiva prudenza e talvolta di chiusura. Ma un’autonomia che non si evolve nei tempi giusti e che resiste eccessivamente ai normali sviluppi sociali e giuridici, rischia di essere un’autonomia debole.
La nuova norma di attuazione può essere vista come la dolorosa infrazione di un tabù, o come una normale evoluzione del contesto. Se prevarrà la prima interpretazione, anche i prossimi cambiamenti, pure inevitabili, saranno lunghi e sofferti, e rischieranno di arrivare troppo tardi. Se si entra invece nell’ottica della normalità dei cambiamenti, che possono talvolta anche non piacere all’uno o all’altro ma fanno parte delle regole del gioco e delle vicende umane, allora l’autonomia sarà più forte e sicura. Gli strumenti funzionano ancora, ma un cambio di mentalità non è cosa da poco. Speriamo che questa vicenda rappresenti un tassello sulla via di un approccio “normale” all’autonomia. Nell’interesse prioritario dell’autonomia stessa.
Alto Adige 25-4-10
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sabato, 24 aprile 2010

L’esame di bilinguismo è soltanto all’inizio

PAOLO CAMPOSTRINI / P.CAMPOSTRINI@ALTOADIGE.IT /
E’ stato invece applicato solo per aumentare le barriere di protezione, consolidare i privilegi normativi e rendere ordinaria l’eccezione. Dai concorsi territoriali ai freni migratori, dalle norme di attuazione che aumentavano gli anni di residenza per poter esercitare il diritto di voto alle concessioni elettriche tutti gli sforzi dell’«apparato» sono stati concentrati nel consolidare le linee difensive.
 Ma adesso i tempi sono cambiati. Ora ci troviamo costretti a giocare di rimessa. Perchè Bruxelles non è Roma. A Bruxelles non c’è Andreotti, capace di leggere qualsiasi norma alla luce dei tempi e dei bisogni; c’è, invece, un esercito di zelanti funzionari che cerca di abbattere i privilegi ovunque si annidino, perchè i diritti di uno siano quelli di tutti.
 In quest’ottica la riforma del patentino è il primo buco nella diga. E’ l’inizio. Ed è un peccato che stia passando quasi inosservato. Perchè è la prima volta che un’offensiva concentrica della Corte di giustizia europea (che ha sentenziato) e della Commissione (che ha avviato una procedura d’infrazione), ha costretto la Provincia a cedere. Durnwalder sorrideva, a Roma dopo il consiglio dei ministri perchè, in fondo, la norma è stata elaborata dalla commissione dei Sei, dunque dentro il percorso statutario.
 In realtà è stato costretto, non c’era via d’uscita. In realtà, il patentino che cambia è il primo varco aperto nell’«hortus conclusus» dell’architettura autonomistica. Per la prima volta qualcun’altro potrà mettere il naso negli affari nostri. Non sarà più solo la Provincia, i suoi funzionari, a certificare se un cittadino conosce l’altra lingua ma potrà farlo un’istituto internazionale, un’ateneo, italiano o no. Insomma, una rivoluzione.
 Il patentino che cambia ci fa capire che anche il resto potrebbe cambiare. Che non sarà facile resistere ad oltranza di fronte ad un’Italia federale e, soprattutto, ad un’Europa senza più confini. I diritti sono diritti, punto. E quelli dell’uomo, inteso del singolo uomo, varranno più di quelli dei gruppi. Linguistici e no. Potrebbe non accadere domani. Ma accadrà che, alla fine, anche la selva di ricorsi sul diritti dei mistilingui, di coloro che non si sono dichiarati al censimento etnico e a cui è negato il diritto al voto, dei senza patria linguistica potranno trovare un pertugio come è accaduto per il patentino. Ma ben oltre le barriere normative è la percezione dell’autonomia che è destinata a cambiare. Sarà sempre più complesso e impopolare imporre un cordone sanitario intorno ai concorsi territoriali, alle selezioni interne, ai contributi a pioggia che falsano il libero mercato, alla cultura e alle conoscenze linguistiche rese subalterne rispetto all’appartenenza etnica, ai diritti di gruppo che spesso prevaricano quelli individuali. Insomma, se nessun uomo è un’isola, figuriamoci se potrà restarlo un’intera provincia.
Alto Adige 24-4-10
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sabato, 24 aprile 2010

   

Patentino, ora basta la certificazione

ANTONELLA MATTIOLI
BOLZANO. Tutto iniziò con Roman Angonese. La sua battaglia legale, nata nel 1997 dall’esclusione da un concorso della Cassa di risparmio dove era richiesto l’attestato di bilinguismo, ha portato allo smantellamento del monopolio del patentino. A 13 anni di distanza, nella riunione di ieri, il consiglio dei ministri ha approvato, dopo l’audizione del presidente Luis Durnwalder, la norma di attuazione che fissa nuove regole per l’accertamento della conoscenza delle due lingue. Si tratta di una vera e propria rivoluzione che scatterà fra un mese. Finora l’accertamento veniva fatto solo da commissioni provinciali che rilasciano il patentino, indispensabile per partecipare ad un concorso pubblico, ma valido solo in Alto Adige.
 Le novità. La norma, varata ieri, prevede l’equipollenza delle certificazioni internazionali di conoscenza della lingua italiana e tedesca e della laurea ottenuta in una lingua diversa da quella della maturità che garantirà automaticamente il patentino “A”. Soddisfatto Durnwalder: «Abbiamo finalmente chiuso un confronto sul tema dell’equipollenza dei titoli che si trascinava da lungo tempo». Così il vicepresidente Tommasini: «È una grossa opportunità in particolare per i giovani di lingua italiana che hanno sempre mostrato segnali di sofferenza nei confronti del monopolio del patentino».
 La norma di attuazione introduce dunque due nuovi modi per ottenere il certificato di bilinguismo che vanno ad aggiungersi al metodo di accertamento attuale. Prima novità: la parificazione all’esame di bilinguismo tradizionale delle certificazioni internazionali di conoscenza della lingua italiana e tedesca. Si tratta, in sostanza, dei diplomi rilasciati per quanto riguarda la lingua tedesca dal “Goethe Institut” e per la lingua italiana dalla “Dante Alighieri”. Verrà creato un registro delle istituzioni riconosciute e le certificazioni saranno valide a livello europeo. Nel caso in cui il candidato sia in possesso solamente di uno di questi diplomi, l’esame per l’acquisizione del patentino riguarderà l’altra lingua. La seconda novità riguarda i laureati. Chi ha conseguito la maturità in una scuola di lingua italiana e la laurea in un’università di lingua tedesca (o viceversa) otterrà automaticamente il certificato di bilinguismo “A”.
 I nodi. Due le questioni ancora aperte: l’ottenimento automatico del patentino A per chi si è laureato all’università di Bolzano, dove gli esami si tengono in italiano e tedesco. Stesso discorso per i ladini che frequentano scuole bilingui. Durnwalder non si sbilancia: «Ne discuteremo in giunta: sono questioni molto delicate».
 L’esperto. Più che positivo il giudizio di Aldo Mazza, fondatore di Alfa Beta e profondo conoscitore di tutto ciò che riguarda il bilinguismo: «Non sarà più semplice, ma l’esame per la certificazione internazionale sarà più conforme a quello che è il reale uso delle lingue. Inoltre, le scuole medie superiori potranno porsi come obiettivo il conseguimento della certificazione B2. Terzo elemento positivo: il certificato europeo è spendibile nell’Ue, il patentino no».

Mazza: il nuovo esame sarà più completo

BOLZANO. «È stato un contenzioso lunghissimo, ma ne è valsa la pena: il patentino non è più l’unico modo per attestare la conoscenza delle due lingue». Sono passati 13 anni da quando Roman Angonese iniziò, con l’appoggio della Cisl e il patrocinio dell’avvocato Gianni Lanzinger, la battaglia legale, dopo l’esclusione dal concorso della Cassa di risparmio.
 «Chiedevano - ricorda Angonese, oggi insegnante di inglese alle Iti tedesche - il patentino: io non l’avevo e, ormai, non c’era più il tempo per fare l’esame. Chiesi di poter sostenere una prova scritta e orale per dimostrare che conoscevo entrambe le lingue. Mi risposero di no. Dieci giorni dopo ho ottenuto il patentino A, ma erano scaduti i termini del concorso». Nel 2000 la Corte di giustizia europea ha sancito che il bilinguismo può essere provato anche in modo diverso. Ovvero, come previsto dalla norma di attuazione approvata ieri, anche attraverso certificazioni internazionali.
 Le nuove prove saranno più facili degli esami tradizionali di bilinguismo?
 
«Non sarà sicuramente più semplice - dice Aldo Mazza, fondatore di Alfa Beta e profondo conoscitore di tutte le questioni legate al bilinguismo - ma l’esame per ottenere la certificazione internazionale sarà più conforme a quello che è il reale uso delle lingue. Inoltre, al contrario di quanto avviene oggi con il patentino, le scuole medie superiori potranno porsi come obiettivo il conseguimento della certificazione B2».
 Come sarà l’esame per le certificazioni europee?
 
«Nell’esame per il patentino c’è un testo in tedesco con domande in tedesco alle quali si deve rispondere in italiano e viceversa. Le prove per la certificazione europea sono più articolate e oggettive: l’orale simile, il resto diverso. Bisogna dimostrare di saper ascoltare, leggere e capire; produrre un piccolo testo e parlare. E un esame più conforme all’uso della lingua».
 Ad Alfa Beta si fanno già le certificazioni?
 
«Sì, le facciamo per la lingua italiana e per l’inglese, queste ultime sono al momento le più richieste. Al Centro Trevi si fanno in tedesco. Per le certificazioni di lingua italiana abbiamo in media una decina di iscritti, ma è chiaro che con la nuova norma di attuazione ci sarà un aumento delle richieste. Verrà creato anche un elenco delle istituzioni abilitate».
 Gli esami li fate voi?
 
«L’orale e lo scritto si fanno da noi, ma lo scritto viene poi inviato all’università di Perugia per la correzione».
 Il vantaggio è che la certificazione ottenuta ha valore internazionale.
 
«È un vantaggio enorme. Perché la certificazione si può ottenere in ogni parte del mondo ed ha valore internazionale, mentre il patentino si fa solo qui e ha valore solo in Alto Adige». (an.ma)
Alto Adige 24-4-10
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giovedì, 08 aprile 2010



Tedesco, arriva il test «Goethe»

GIANFRANCO PICCOLI
BOLZANO. Nelle scuole primarie dove si sperimenta l’insegnamento veicolare del tedesco verrà introdotto al quinto anno il test del Goethe Institut, «giudice» imparziale della bontà del modello di apprendimento.
 La verifica del Goethe Institut (si tratta dei livelli Fit in Deutsch 1 e 2) è già stata introdotta nelle elementari di Brunico, con risultati più che confortanti. Lo ha spiegato ieri Mirca Passarella, dirigente scolastico, una delle curatrici di «Rassegna», la rivista dell’Istituto pedagogico che ha dedicato l’ultimo numero proprio al plurilinguismo scolastico.
 Passarella e lo stesso presidente dell’Istituto Ivan Eccli, non condividono l’intervento, pubblicato ieri dall’Alto Adige, di Enrico Hell, esperto di bilinguismo e funzionario della sovrintendenza. Hell ha affermato che per colmare il gap di conoscenza della seconda lingua che separa gli studenti di lingua tedesca ed italiana, è necessario, per i secondi, un progetto di immersione e un modello (il riferimento era all’assessore Christian Tommasini) che non guardi soprattutto alle attività extrascolastiche. L’analisi di Hell partiva dai risultati dello studio Kolipsi dell’Eurac.
 «Nessuno vuole nascondere che ci sono difficoltà nell’apprendimento del tedesco, ma le dichiarazioni di Hell non sono corrette - ha detto Eccli - da lui, che è un addetto ai lavori, mi sarei aspettato un’informazione più corretta: non è vero che l’assessorato punta soprattutto ai progetti extrascolastici, per saperlo bastava leggere i contenuti della rivista dell’Istituto pedagogico».
 «Hell è smentito dai fatti - ha commentato invece Mirca Passarella - è da cinque anni che sperimentiamo, sempre più diffusamente, l’insegnamento veicolare della lingua nella scuola primaria. Da tempo non si parla più di “immersione”, ma di Clil (Content and language integrated learning ndr), ovvero di integrazione fra lingua e contenuto: a Bolzano, Brunico, nella Bassa Atesina e a San Giacomo ci sono scuole dove sono previste non meno di 10 ore di insegnamento, e picchi di 14, con uso veicolare della lingua e i riscontri sono sempre più positivi. Oggi si studia scienze, matematica piuttosto che geografia anche in tedesco. Molte scuole - prosegue la dirigente scolastica - già adesso applicano un’alfabetizzazione bilingue, in prima elementare si insegna subito in italiano e tedesco».
 I risultati, secondo la dirigente, si vedono: «Lo dicono quelli che svolgono ricerca e osservano con occhio scientifico i bambini per vedere se comprendono e producono la seconda lingua. Ora ci stiamo orientando verso l’introduzione di una certificazione del Goethe Institut al quinto anno: in questo modo - commenta Mirca Passarella - nessuno potrà dire che non abbiamo una prova oggettiva del lavoro che viene svolto».
 Ma la dirigente scolastica contesta anche l’affermazione di Hell su un’eccessiva attenzione all’apprendimento extrascolastico: «Dire che l’assessore Tommasini guarda solo ai progetti extra scolastici è falso. Sono stati fatti passi avanti enormi con il Sistema informativo integrato: scuola e attività esterne devono andare a braccetto. Certo - conclude l’analisi Mirca Passarella - serve poi continuità nella scuola secondaria di primo e secondo grado».
Alto Adige 8-4-10
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categoria:cultura
mercoledì, 07 aprile 2010

Hell: tedesco, serve l’immersione

BOLZANO. Si chiama «immersione» la risposta al gap di apprendimento della seconda lingua tra studenti italiani e tedeschi. Lo sostiene Enrico Hell, esperto di tematiche legate al bilinguismo. Secondo Hell le politiche di apprendimento della lingua al di fuori della scuola non pagano se non c’è alle spalle una solida base, quella che - dice ancora l’esperto - riescono ad acquisire i giovani di madrelingua tedesca, a differenza degli italiani, durante le lezioni.
 «Sul problema dell’apprendimento della seconda lingua - scrive Hell - uno dei contributi recenti più importanti è dato dalla ricerca Kolipsi, dell’Eurac. Il punto fondamentale che Kolipsi mette in evidenza è l’inadeguatezza delle politiche linguistiche messe in campo a Bolzano. Il risultato centrale di Kolipsi è, infatti, questo: la grande differenza fra gli studenti delle scuole italiane e i coetanei delle scuole tedesche nella conoscenza della seconda lingua sta nel fatto che il livello di bilinguismo degli studenti tedeschi è B1/B2, mentre per gli studenti italiani il livello è nettamente più arretrato a A2/B1. Questo significa - prosegue Hell - che uno studente tedesco è in grado di comunicare fuori dalla scuola con i coetanei italiani sulle questioni di interesse, mentre lo studente italiano non lo è nel modo più assoluto. La scuola quindi non dà basi agli italiani per usare la lingua tedesca fuori dalla scuola. Così la scuola, non solo non insegna adeguatamente il tedesco, ma nemmeno pone i presupposti perché i ragazzi possano apprendere la seconda lingua fuori dalla scuola».
 «Le politiche, come quella dell’assessore Christian Tommasini - afferma ancora Hell - che scommettono tutto sull’apprendimento linguistico fuori dalla scuola sono dunque messe in guardia: senza un certo livello comune di competenza i ragazzi italiani e tedeschi probabilmente non riusciranno a parlarsi in nessun luogo. Ciò significa che il livello di competenza di base, che gli studenti tedeschi già possiedono, la scuola dovrebbe darlo anche agli studenti italiani. Pensare che la scuola non possa fare più di quello che già fa è probabilmente chiudere gli occhi di fronte alle cose».
 «La ricerca Kolipsi - continua Hell - ha evidenziato che la questione centrale è il contesto d’uso delle lingue. Possiamo immaginare per gli studenti italiani una scuola che sia un grande contesto d’uso del tedesco? Certamente sì, se cominciassimo a progettare una scuola ad immersione, cioè una scuola in cui una grande parte delle materie viene trattata direttamente nella seconda lingua. Se questo fosse fatto fin dai primi anni, si potrebbero portare a pari livello gli studenti italiani e gli studenti tedeschi».
 «La responsabilità dei fallimenti del sistema scolastico non è tutta dei ragazzi ma ricade sui responsabili della scuola. Il grande tema della scuola ad immersione - conclude Hell - è sul tappeto e aspetta di essere urgentemente considerato e attentamente apprezzato».
Alto Adige 7-4-10
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martedì, 06 aprile 2010

in quale tipo di scuola iscrivono i propri figli

LUCA FAZZI
 Più i dieci funzionari provinciali italiani di maggiore rilievo e i dieci iscritti al Partito democratico più conosciuti. E verificare in quale tipo di scuola iscrivono i propri figli. La risposta è: o alle scuole di lingua tedesca, oppure alle scuole private di lingua italiana. L’esito è che le scuole pubbliche italiane diventano sempre più spesso il rifugio dei figli dei ceti medio bassi e degli stranieri. Scuole da cui spesso e nonostante gli sforzi di molti validi presidi e insegnanti (non tutti) chi può se ne va perché incapaci di fornire ai ragazzi le competenze che servono per integrarsi nel mondo in cui tra pochi anni saranno chiamati a vivere. Quali sono le cause di questa situazione? Ce ne sono diverse.
 La prima è collegata alla composizione delle classi che presentano un tasso di stranieri tra i più elevati in Italia. Alcun ragazzi stranieri sono molto preparati e motivati, ma nella media come è logico il loro livello di preparazione è proporzionale al numero di anni da cui sono presenti e integrati in Italia. Pesano inoltre sulla loro capacità di integrazione scolastica diversi altri fattori tra i quali la cultura di provenienza, la capacità dei genitori di svolgere una funzione di sostegno domestico all’apprendimento, la lingua madre (i cinesi ad esempio possono avere più difficoltà degli ispanici a imparare l’italiano). Nelle scuole italiane è dunque mediamente più difficile insegnare che nelle scuole tedesche e può stupire quindi solo persone poco competenti o in malafede che la presenza tre quatto volte inferiore di ragazzi stranieri nelle scuole tedesche sia direttamente collegata alla maggiore performance scolastica degli studenti degli istituti in lingua tedesca.
 L’applicazione del decreto Gelmini che prevede la fissazione di un tetto di studenti stranieri per classe (pari al 30%) dovrebbe essere dunque accelerata invece che ritardata in provincia di Bolzano per consentire una più equa distribuzione degli stranieri nelle classi italiane e tedesche. La seconda ragione del deficit scolastico degli studenti delle scuole italiane è da addebitarsi alla qualità del corpo insegnante. La provincia di Bolzano è da decenni la metà per ottenere il posto in ruolo da parte di insegnanti esclusi dalle graduatorie delle proprie regioni. Spesso tali insegnanti arrivano in provincia di Bolzano con lo scopo di fermarsi il triennio necessario per richiedere il trasferimento in una sede vicina al proprio comune di residenza. Molti di questi insegnanti non hanno interesse a investire nelle scuole locali, non conoscono la cultura e la lingua della comunità tedesca, hanno un orizzonte temporale limitato per costruire progetti di lungo respiro sul piano educativo e di sviluppo di competenze. Per quanto riguarda gli insegnanti di lingua tedesca, spesso la scuola italiana viene vista come una soluzione transitoria per ottenere il punteggio per un assegnazione in ruolo nelle scuole tedesche della periferia. Molti di questi insegnanti sono giovani che non hanno alcuna esperienza e non riescono a cogliere le differenze tra l’insegnamento del tedesco come seconda invece che prima lingua e non sono in grado di passare agli studenti l’amore e la passione per lo studio del tedesco ma rischiano al contrario di renderlo ancora più ostico e mal digeribile a una popolazione italiana che solo lentamente sta maturando la consapevolezza della rilevanza della conoscenza della seconda lingua I punteggi per selezionare gli insegnanti dovrebbero essere profondamente rivisitati inserendo clausole che obbligano a un mantenimento del posto per un periodo minimo di cinque anno o per il completamento di un ciclo scolastico) e si dovrebbe lasciare alle scuole la possibilità di reclutare gli insegnanti di seconda lingua direttamente nei paesi germanofoni.
L’ultima ragione della crisi del sistema dell’istruzione della comunità in lingua italiana della provincia di Bolzano risiede infine nel depauperamento della qualità dei rappresentanti politici locali sia di lingua italiana che tedesca. I politici italiani responsabili della scuola a livello provinciale sono stati espressione diretta del mondo sindacale e delle clientele legate al pubblico impiego. Per molti di essi il fatto che un docente di scuola superiore dopo pochi anni di anzianità guadagni di più di un docente universitario è il riconoscimento di una qualità professionale che deve essere d principio riconosciuta. Anche a prescindere dai risultati. L’eccessivo incremento in alcune scuole della percentuale di ragazzi stranieri è stato quindi visto non come possibile ostacolo all’apprendimento ma come risorsa per garantire posti di lavoro (e voti) che altrimenti sarebbero andati persi. La grande parte dei politici tedeschi al contrario è rimasta indifferente al problema (perchè nel mondo delle società separate quello che accade all’altro non è un problema proprio) oppure ha visto nel processo di progressivo impoverimento della scuola italiana un segnale del giusto riequilibrio socio demografico a favore della popolazione tedesca. Invece di trovarsi a discutere del dramma di un sistema di istruzione incapace di fornire le competenze di base per integrare una parte dei ragazzi nella società in cui vivono, i politici locali italiani e tedeschi sembrano capaci soltanto di riunirsi nel sempre più triste coro di sperticate lodi a un’Autonomia incapace di offrire a tutti le medesime opportunità di crescita Purtroppo fino a quando la lingua continuerà a essere interpretata come una bandiera identitaria e non come un mezzo per conoscere gli altri è difficile immaginare che la scuola italiana possa tornare a funzionare come motore di integrazione e crescita umana. La soluzione in questo caso non può che essere il ricambio dei politici attuali che giustificano l’attuale sistema e la loro sostituzione con persone più capaci di guardare lontano. Magari dei novelli Mandela se ce ne fosse qualcuno a disposizione.
Alto Adige 6-4-10
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categoria:cultura
domenica, 04 aprile 2010


La scuola altoatesina è ultima

BOLZANO. Gli studenti della scuola primaria italiana sono tra gli ultimi in Italia nell’apprendimento. E’ quanto risulta dalle rilevazioni 2009 dell’Invalsi, l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo. Secondo l’Istituto, il risultato conseguito dagli alunni altoatesini è addirittura peggiore rispetto all’anno precedente.
 Le prove per la scuola primaria (effettuate il 28 e 29 maggio del 2009) erano divise per le classi seconda e quinta. Le materie prese in esame erano italiano e matematica: per quest’ultima sono stati presentati 75 quesiti, per il test di italiano, dopo una prova preliminare di lettura, sono stati proposti 14 quesiti sulla comprensione di un testo seguiti da due esercizi sul lessico e sulla ricomposizione delle frasi.
 Per quanto riguarda la seconda classe, gli alunni italiani hanno risposto in modo corretto al 65% dei quesiti di italiano: questa è la media nazionale. Per gli scolari della scuola italiana altoatesina (lo studio non comprende la scuola di lingua tedesca) la percentuale scende al 61,7, collocando la nostra provincia al terzultimo posto in Italia. Peggio di noi hanno fatto solo Campania (60,5%) e Sicilia (59,3%). Al top Valle d’Aosta (71,5%), Lombardia (68,9%) e Sicilia (59,3%). Da notare che l’Alto Adige, per quanto riguarda la prova di italiano, è in controtendenza rispetto al trend nazionale, che vede tutte le regioni del Nord al primo posto.
 Non va meglio la matematica, anzi. La prova - parliamo sempre della seconda classe - colloca l’Alto Adige all’ultimo posto in Italia. A fronte di una media nazionale di risposte corrette del 54,9%, gli scolari di casa si sono fermati al 50,5%. Penultima la Sicilia (50,8%), terz’ultima la Sardegna (53,2%). In questo caso a brillare sono le regioni meridionali: prima la Calabria (57,4%), poi Marche e basilicata (56,5% entrambe).
 La musica non cambia se passiamo alle rilevazioni relative alla classe quinta. Nel test di italiano, la media nazionale di risposte corrette è del 62,3%. La maglia nera spetta proprio a Bolzano, dove la percentuale scende fino al 56,1%. Appena sopra ci sono invece Sicilia (57,9%) e Sardegna (59%).
 Passando alla matematica, Bolzano rimane nelle posizioni di coda: a fronte di una media nazionale di risposte corrette al 57,1%, l’Alto Adige si ferma al 51,7%, poco meglio di Sardegna (51,6%) e Sicilia (50,4%).
 Questo il bilancio dei test Invalsi. Bilancio che certamente farà discutere, per almeno due ragioni. In passato, infatti, il test è stato messo sotto accusa perché - l’osservazione di qualcuno - falsato dalla serietà o meno con cui è stato effettuato nelle singole scuole.
 C’è poi un altro fattore, legato alla presenza di studenti con cittadinanza straniera (impossibile stabilire se nati in Italia o arrivati a ciclo scolastico già avviato). Lo stesso studio Invalsi ammette che una maggiore o minore presenza di stranieri può incidente sul risultato finale. Nelle regioni del Nord la presenza di figli di immigrati è superiore, nella scuola elementare italiana arriva al 18,1%, parecchi punti percentuali al di sopra della media.

Ma alle medie Bolzano è tra i migliori

BOLZANO. Se i risultati dei test Invalsi nella scuola elementare hanno dato risultati particolarmente deludenti per la scuola primaria altoatesina, la stessa cosa non la si può affermare per la scuola secondaria di primo grado.
 L’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo ha realizzato lo scorso anno la seconda prova nazionale per la scuola secondaria. Da sottolineare che l’Invalsi ha introdotto, nella definizione della classifica, dei correttivi che tengano conto dei «comportamenti opportunistici», come vengono definiti nello studio. In sostanza, sono stati utilizzati dei parametri per stanare i «copioni». Negli anni scorsi, infatti, non sono mancate le polemiche sulla gestione «allegra» dei test in certe scuole e non pochi hanno puntato l’indice contro gli istituti del Mezzogiorno. Come vengono intercettati i «copioni»? Quando in una classe c’è una concentrazione di scelta su una risposta sbagliata, in un ventaglio di risposte multiple, significa che qualcosa non è andato nel verso giusto.
 Morale, sono state stilate due classifiche. La prima con i risultati nudi e crudi, la seconda con l’applicazione dei correttivi anti-copioni. Nel primo caso Bolzano risulta sotto la media nazionale in entrambe le prove: nel test di italiano, 27,4 punti contro una media di 28,4, nella prova di matematica 18,1 punti contro i 19,4 di media nazionale. La situazione cambia, però, nella classifica con il punteggio che tiene conto dei correttivi: nel test di italiano l’Alto Adige risulta perfettamente in linea con la media nazionale (26,8 punti), mentre nella prova di matematica siamo addirittura al di sopra della media, con 17,7 punti contro 17,2.
 Da notare che disaggregando i risultati del test tra studenti autoctoni e studenti con cittadinanza non italiana, si nota un risultato nettamente migliore per i primi: in italiano 28,1 contro 22,4, nella prova di matematica 20,2 contro 16,6. Un trend confermato a livello nazionale, anche se in Alto Adige si nota una differenza molto marcata nel test di matematica.
 La prova dell’Invalsi ha anche tenuto in considerazione i risultati disaggregati tra maschi e femmine. I punteggi sono in linea con quanto avviene ovunque: nella prova di italiano le femmine hanno ottenuto un punteggio superiore ai maschi (27,3 contro 26,4, entrambi pari o superiori alla media nazionale di genere); nel test di matematica, invece, il test ha premiato i maschi: 18,6 punti contro i 16,8.
 I test - e questo vale anche per la scuola primaria - chiariscono che chi ha un percorso scolastico regolare ottiene punteggi migliori rispetto agli scolari «irregolari» (siano questi scolari che hanno anticipato di un anno l’inizio degli studi, siano questi ripetenti).(g.f.p.)

Gli istituti tedeschi primeggiano italiani costretti a inseguirli

BOLZANO. I resoconti dell’ultima indagine Invalsi nelle scuole elementari di lingua italiana hanno creato malumore in Sovrintendenza per l’ulteriore peggioramento del livello di apprendimento. Ci si può immaginare con quale spirito sia iniziata per la sovrintendente Nicoletta Minnei e l’assessore Christian Tommasini l’attesa per la nuova indagine Pisa, effettuata nel 2009 e in corso di elaborazione.
 Perché l’indagine Pisa sancisce impietosamente uno scarto tra scuola italiana e tedesca in Alto Adige.
 Il Pisa, Programme for International Student Assessment, promosso dall’Ocse, coinvolge 57 Paesi e analizza conoscenze e abilità dei quindicenni nella lettura, la matematica e le scienze. L’indagine 2006 si è concentrata in particolare sulle scienze.
 Il divario tra scuola italiana e tedesca è così marcato nel Pisa 2006, che nel dicembre 2007 alla prima presentazione di assessorato alla Scuola italiana e Sovrintendenza l’argomento era trapelato solo casualmente. Solo nel maggio 2008 erano stati forniti alcuni dati.
 La differenza di risultati tra scuola italiana e tedesca chiama in causa le specificità dei due sistemi, con lo spaccato sociale che lascia trapelare. L’allora assessore Luisa Gnecchi aveva proposto tra le possibili cause, la presenza di stranieri molto più marcata nelle scuole italiane rispetto alle tedesche. In questo anno scolastico il 6% di studenti iscritti nelle scuole superiori altoatesine va scorporato nel 14,5% delle scuole italiane e il solo 2,7% delle scuole tedesche.
 Ma la realtà scolastica italiana va letta con ulteriore attenzione, perché la situazione dei licei è diversa dalla formazione professionale con una nettezza che non si riscontra nella scuola tedesca. In attesa dunque del Pisa 2009, è interessante tornare a quell’imbarazzante Pisa 2006, sviscerato da Maria Teresa Siniscalco, curatrice del rapporto Pisa per l’Alto Adige, in una relazione presentata a un convegno sui risultati relativi a scienze.
 La sorpresa positiva era stato il dato globale altoatesino: con 526 punti le scuole provinciali si collocano al di sopra della media Ocse e alla media nazionale. Ma il confronto tra istituti italiani e tedeschi è impietoso. Con 534 punti la scuola tedesca è seconda solo alla Finlandia nella classifica internazionale, mentre la scuola di lingua italiana si ferma a 494, non differenziandosi in modo significativo dalla media Ocse. Sempre meglio comunque della media nazionale, relegata nella parte bassa della classifica.
 Più preoccupante è poi l’analisi quando tiene conto dei diversi tipi di istruzione. Le differenze tra i licei, l’indirizzo con i migliori risultati, e la formazione professionale, quello con i risultati più bassi, sono più contenute nella scuola tedesca che in quella italiana. Citando Maria Teresa Siniscalco, nella scuola tedesca «dunque non solo il risultato medio è più alto, ma le disparità tra i tipi di istruzione sono più contenute».
 Volendo infierire ulteriormente, il divario tra la scuola di lingua tedesca e quella di lingua italiana, sempre in scienze, è maggiore ai livelli più bassi della scala: «Nella scuola di lingua tedesca vi è una minore incidenza di prestazioni insufficienti, che sembra indicare una maggiore capacità di sostenere gli studenti più “deboli”».
 Infine, il dato più sociale. Nella scuola tedesca le disparità nei risultati sono meno riconducibili ai fattori socio-economici rispetto a quelle della scuola italiana. Le indicazioni: «Nella scuola italiana uno dei modi per migliorare i risultati e diminuire le disparità e l’impatto del background sembra essere il sostegno degli studenti con origini socio-economiche svantaggiate». (fr.g.)
Alto Adige 4-4-10
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categoria:cultura
sabato, 20 marzo 2010



Porte aperte alla Lub: tanti i maturandi in arrivo da tutta Italia e dall’estero

ALAN CONTI

L’Università apre le porte e allarga le frontiere. Si è tenuto ieri l’ «Open Day» dell’ateneo bolzanino: una vera e propria carrellata dell’offerta formativa della Lub a disposizione dei curiosi e, soprattutto, degli studenti che frequentano l’ultimo anno delle Superiori e sono chiamati a una scelta.
 Tutte le facoltà, quindi, hanno presentato il proprio stand con materiale informativo, docenti e studenti pronti a raccontare come si vive in un ateneo trilingue. Già, perché le lingue, come sottolinea nel suo discorso d’inaugurazione il rettore Walter Lorenz «rappresentano il vero punto di forza dell Lub e non certo una seccatura. In un momento in cui questa istituzione sta vivendo forti cambiamenti, all’interno di un preciso piano di sviluppo, il trilinguismo è la pietra angolare da cui dobbiamo partire».
 Notevole, comunque, l’afflusso di studenti interessati e sorprende la variopinta geografia delle loro provenienze. Qualche classe, per esempio, è venuta in blocco da Cittadella in provincia di Padova, mentre singole presenze sono arrivate da Brescia, Roma, Torino, Lecco, Pordenone, Trieste e Verona, molti accompagnati dai genitori. Tanta Italia, dunque, ma anche all’estero l’interesse per la Lub è forte: Tirolo e Baviera, per esempio, sono regioni ben rappresentate tra i visitatori. Era presente anche una delegazione della scuola germanica di Roma. Vicino alla postazione allestita per le preiscrizioni, però, abbiamo incontrato Petr Maximilian Hajkr, in arrivo da Praga e convinto della sua scelta: «Già da qualche mese - ci spiega in un ottimo italiano - ho deciso di venire a Bolzano. Avendo studiato le lingue in Repubblica Ceca questo ateneo mi sembra assolutamente il più adatto a me. Ho scelto la facoltà di Economia e già in estate ho visitato la città, davvero splendida».
 L’iniziativa di presentazione è durata tutta la giornata e ha offerto ai maturandi anche un nutrito programma di lezioni nelle aule più grandi, dove docenti e studenti delle diverse facoltà hanno illustrato la vita accademica bolzanina. Presenti, ovviamente, gli stand delle facoltà con sede a Bressanone o Brunico. Tra le più quotate, la sempreverde Scienze della Formazione, ma anche Economia e Design. Un’ala della manifestazione, inoltre, è stata dedicata alle associazioni studentesche dell’ateneo, perché la vita universitaria non si svolge solo nelle aule.
 Da tempo la città chiede maggiore incisività alla sua Università, chissà che non siano le nuove matricole a portarla. Spazio pure alla scuola di documentario «Zelig», mentre la «Claudiana» ha organizzato le porte aperte in contemporanea nella propria sede. Nei corridoi affollati si assiste anche a qualche simpatico siparietto, come i quiz con domande sull’ateneo organizzati da alcuni stand oppure la concitata conversazione di una studentessa che intende convincere una maturanda della superiorità della Lub rispetto alla Bocconi. Non c’è che dire: l’asticella delle ambizioni è bella alta.

Alto Adige 20-3-10
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venerdì, 12 marzo 2010




Thaler, le offese e l’onore




ANDREA DI MICHELE /


Decide di non presentarsi e scappa sulle sue montagne. Per alcuni mesi vive come un animale selvatico, contando sull’appoggio di alcuni amici e parenti, sotto il costante pericolo di essere scoperto da qualche zelante informatore nazista. Quando le autorità naziste minacciano di procedere all’arresto dei suoi familiari, decide di costituirsi e qui ha inizio il suo calvario: il carcere, la corte marziale, la condanna, la deportazione, Dachau. Ne esce profondamente segnato, nell’animo e nel fisico, ridotto a uno scheletro di trenta chili. Ma riesce a costruirsi una vita e una famiglia, a imparare un lavoro e a perdonare il compaesano che lo aveva ingannato promettendogli che se si fosse costituito non gli sarebbe successo nulla.
Franz Thaler ha raccontato la sua storia in maniera semplice e commovente in un libro dal titolo “Dimenticare mai”, ripubblicato qualche anno fa anche in italiano. Ma soprattutto ha deciso che quella storia andava raccontata ai giovani e per farlo ha cominciato a girare le scuole dell’Alto Adige, di tutte le lingue. Per anni ha svolto un insostituibile ruolo di testimonianza ed è stato capace di far intendere meglio di molti libri di storia la drammaticità delle vicende da lui vissute, le lacerazioni della società sudtirolese al tempo delle opzioni e dell’occupazione nazista, la difficoltà ma anche la legittimità di rifiutare obbedienza a una dittatura. Tutto ciò nel segno del dovere morale di esercitare la memoria. Perché, per usare le sue stesse parole, perdonare si può, dimenticare mai.
“Disertore”, “traditore”, “Walscher”. Così è stato chiamato tante volte Franz Thaler. “Walscher” perché nel 1939 suo padre non aveva optato per la Germania nazista, preferendo rimanere con la sua famiglia dove aveva sempre vissuto piuttosto che affrontare un destino incerto nel Reich. E così il quattordicenne Franz dovette subire gli insulti e il disprezzo di coloro che avevano scelto la scheda di chi partiva, abbacinati dal bagliore delle false promesse di Hitler. “Disertore” perché non aveva risposto alla chiamata alle armi. Non lo aveva fatto perché mosso dalla sua semplice ma profonda religiosità, da quanto era venuto a conoscere sulle atrocità commesse dal nazismo in Germania e sui diversi fronti di guerra, dallo spavento per quello che sarebbe stato costretto a compiere con la divisa nazista. Alla base della sua scelta non c’erano motivazioni di tipo politico, ma morale e religioso. Ciò rende la sua esperienza ancora più facilmente condivisibile, al di là dell’appartenenza linguistica e delle opinioni politiche. Thaler può davvero essere un personaggio portatore di valori nei quali tutti si possono riconoscere. Ed è anche per questo che l’onorificenza accordatagli dal Consiglio comunale di Bolzano ha rappresentato un momento importante, di potenziale, ampia condivisione.
E così è stato, almeno in larga parte. Non del tutto, però, perché al momento della cerimonia, i rappresentanti di Unitalia, Gianfranco Piccolin e Luigi Schiatti, hanno abbandonato l’aula. Solo con imbarazzo e dopo qualche tentennamento (e forse un po’ di vergogna) hanno motivato la loro decisione: Thaler, in fondo, è un disertore e quindi non meritevole di ricevere un attestato di ammirazione e riconoscenza. Tali attestati vanno riservati a coloro che hanno svolto fino in fondo il proprio dovere e non a chi si è rifiutato di vestire la divisa. E’ curioso che oggi sia la destra italiana a rinfacciare a Thaler quell’accusa di tradimento che negli anni e decenni scorsi gli veniva dalla destra tedesca. Ma in fondo il sistema di valori è lo stesso e, interetnicamente, entrambe ritengono che degno di stima e rispetto sia sempre e comunque chi obbedisce all’autorità, anche se si tratta di un’autorità disumana e disumanizzante. Fortunatamente la città di Bolzano ha preferito chi, con un gesto apparentemente semplice ma gravido di conseguenze, ha scelto di scapparsene in montagna per non divenire docile strumento di distruzione e di morte.

Alto Adige 12-3-10
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categoria:cultura
mercoledì, 03 marzo 2010



Il regista serbo Emir Kusturica, per la prima volta in Alto Adige, sarà al Cristallo il 22 marzo



Il grande regista serbo Emir Kusturica viene per la volta a Bolzano. E ci viene non per presentare un film, non per partecipare ad una rassegna cinematografica. Viene a parlare di pace, di amore e di guerra. Come altri grandi protagonisti della cultura a livello internazionale, da Kapuscinski a Sepulveda, Kusturica ha accettato l’invito del Centro per la pace con la curiosità di conoscere un territorio di confine come l’Alto Adige.
L’incontro si terrà lunedì 22 marzo a partire dalle ore 20 al teatro Cristallo. Verrà proiettato dapprima il film «Blue Gipsy», girato nel 2005 come cortometraggio all’interno di un progetto collettivo commissionato dall’Unicef a registi di fama internazionale sul tema dei bambini invisibili. Sandro Tarter, filosofo e critico cinematografico introdurrà l’immaginario visivo di Kusturica. A seguire l’intervento del regista solleticato dalle domande di giornalisti attivi nello scenario balcanico. Da qualche anno l’artista è impegnato a costruire un villaggio dei sogni in un paradiso naturale sulle montagne della Serbia centrale. Si chiama Küstendorf ed è nato dopo una battaglia ambientalista per strappare il territorio ad una multinazionale inglese del nichel. Il regista ha pensato a questo luogo, dove ha girato il film «La vita è un miracolo», come ad un ambiente virtuoso per la formazione di giovani cineasti. Ha acquistato il terreno, ha costruito alcune casette biocompatibili con l’acqua che arriva direttamente dalla sorgente.. La sua idea è di convocare in quel luogo alcuni fra i più grandi registi e attori del mondo per insegnare ai giovani l’arte dei cinema e del teatro. Da due anni si tiene un festival con la proiezione di film e retrospettive a grandi protagonisti del cinema (quest’ anno ci sarà anche un omaggio a Johnny Depp).
Emir Kusturica è per tanti versi un artista di rottura. È amato e criticato. Adora le contraddizioni così come la vita le riverbera continuamente. I suoi film piacciono o non piacciono. Sono visioni, sono caos, sono l’esasperazione di uno schietto realismo. Si vedono le spose volanti alla Chagall e le lune di Fellini, la guerra entra spietatamente in campo come la pace strozzata mille volte ma altre mille invocata. Il capolavoro rimane Underground, un grande affresco della ex Jugoslavia dalla seconda guerra mondiale in avanti, fino alla disgregazione. La guerra è compagna di viaggio, ma sottoterra si animano amori, passioni, vendette, illusioni, speranze e sconfitte. La vita scorre sotto le bombe, l’amore balla con i piedi del tango mentre tutto intorno il mondo sembra franare. I critici dicono che il Kusturica migliore sia quello precedente al successo di Underground. Splendido è «Il tempo dei gitani», belle le pellicole «Ti ricordi Dolly Bell» e «Papà è in viaggio d’affari» che gli permette di aggiudicarsi la palma d’oro a Cannes. Ma Kusturica ha fatto un po’ di tutto. L’anno scorso a Cannes ha presentato un documentario su Maradona. Il calcio e il cinema, ma anche la musica. Kusturica è musicista. Suona la chitarra, canta nella No Smocking Orchestra, gruppo nato a Sarajevo nel 1980. A Bolzano però non si parlerà soltanto di cinema e di arte. Kusturica è un testimone del nostro tempo e l’interpretazione di alcuni snodi della politica e della cultura mediterranea ed europea lo stimolano molto, sia sul versante della situazione nei Balcani per capire cosa è stata la guerra e cosa è il dopo guerra, sia sul versante della caduta del muro di Berlino, sia infine sul versante della pace e della convivenza fra la diversità tanto indagata e tanto raccontata nei suoi film. Insomma, Kusturica non è affatto un uomo univoco, unilaterale. In una intervista rilasciata a Paolo Rumiz nel 1999 disse di sé e della guerra: «In troppi pretendono che io sia ideologicamente contro qualcuno e qualche cosa. Ma io mi rifiuto di essere unilaterale. Non sono contro nessuno; nemmeno contro l’America che ha bombardato il mio Paese. Io dò risposte complesse, perché questa guerra, se si vuole essere onesti, è complessa».
L’incontro con Kusturica è gratuito ma è obbligatoria la prenotazione inviando una mail al centro per la pace (centropace comune.bolzano.it). Aderiscono l’Osservatorio sui Balcani di Trento e la Fondazione Langer oltrechè l’associazione culturale Cristallo. (m.f.)

Alto Adige 3-3-10
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sabato, 27 febbraio 2010


Biblioteca, i prestiti sono in aumento




LAIVES. Sono in continua crescita i prestiti della biblioteca Don Bosco, sia nella sua sede di Laives che in quelle di Pineta e San Giacomo: in 10 anni sono passati da oltre 17 mila a quasi 22 mila, con una popolazione di riferimento sostanzialmente stabile. Oltre ai libri e ai dvd sono a disposizione anche materiali per il patentino di bilinguismo.
  Il rapporto dei laivesotti con le biblioteche è positivo: lo dicono i dati predisposti dalla biblioteca Don Bosco. «In generale - commenta la bibliotecaria Luisella Raveane - possiamo ritenerci soddisfatti: il patrimonio librario rimane costante, con acquisti a cadenza mensile e i prestiti sono aumentati negli anni con un più mille nella sede di Laives città». Guardando alle cifre, se nel 1999, con poco meno di 18mila abitanti, i prestiti erano stati 17.608, dieci anni dopo, nel 2009, con una popolazione di 16.964 unità, i prestiti sono saliti a 21.983. Lo scorso anno (periodo al quale si riferiscono i dati) sono stati 1.251 gli utenti che almeno una volta sono andati alla biblioteca Don Bosco di Laives, mentre 253 al punto di prestito a Pineta e 216 a quello di San Giacomo. Ad andare per la maggiore ovviamente sono libri e pubblicazioni, ma anche cd e dvd vengono continuamente richiesti, così come il materiale cartografico. Presso la Don Bosco è aperto anche uno «sportello patentino», dove è possibile reperire tutte le pubblicazioni per affrontare i vari gradi del patentino di bilinguismo. Unica nota dolente riguarda gli spazi a disposizione, che sono oramai al limite tanto da costringere la biblioteca a eliminare i volumi più vecchi. (b.c.)

Alto Adige 27-2-10
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venerdì, 26 febbraio 2010

Tedesco all’asilo con i genitori




Lingue, progetto a San Giacomo: è il primo in provincia

BRUNO CANALI


 LAIVES. Imparare il tedesco giocando e coinvolgendo in questo anche i genitori come soggetti attivi. È la sperimentazione che, con successo, si sta svolgendo all’asilo italiano di San Giacomo.
 Ieri alla materna italiana di San Giacomo è arrivato anche il vicepresidente della giunta provinciale Chiristian Tommasini per vedere da vicino i risultati. «Questa sperimentazione è senz’altro una bella novità - afferma Tommasini - e contiamo di estendere questo sistema di apprendimento anche alle scuole di Laives dal prossimo anno. In prospettiva, poi, questo potrebbe succedere anche a livello provinciale».
 Di cosa si tratti lo hanno illustrato l’assessora Liliana Di Fede e le operatrici della materna: «Il progetto “Ich spiele auf Deutsch mit Mami und Papi” prevede l’accostamento dei bambini alla seconda lingua attraverso un precorso ludico - racconta la Di Fede - e in questo senso rientra anche la “valigia” che cointiene giochi, libri, dvd e altro materiale». A turno i genitori che hanno aderito al progetto possono portare a casa questa valigia e tenerla per una settimana. Laddove occorre anche Stephanie Wolters, l’insegnante che segue questa sperimentazione, può far visita a casa per insegnare ad utilizzare i materiali. Così il bambino può continuare anche a casa ciò che ha avviato a scuola e tra lui e i genitori si cera una complicità e uno scambio di informazioni, con il bambino che associa la seconda lingua a una esperienza gioiosa e piacevole.
 In effetti è proprio questo l’aspetto più innovativo, perché l’apprendimento della seconda lingua non viene più vissuto dai bambini come un impegno o un obbligo, bensì come un gioco, nel quale anche i genitori hanno un importante ruolo da protagonisti, con lo scambio continuo di informazioni. «Puntiamo a costruire una società plurilingue - ha aggiunto Tommasini - e in questo senso Laives è terreno fertile: è una comunità plurilingue, l’approccio alla seconda lingua è tranquillo ed esistono già progetti in questo senso. I genitori sono molto attenti a queste problematiche e contribuiscono così a farsi portatori di emozioni nello studio del tedesco. Noi metteremo a disposizione gli strumenti».

Alto Adige 26-2-10
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categoria:cultura, comune di laives
venerdì, 26 febbraio 2010



Parte il liceo ad indirizzo musicale




 BOLZANO. «Abbiamo vinto la battaglia: in autunno partirà il liceo pedagogico ad indirizzo musicale, a Firmian». Canta vittoria Petra Zani, che assieme ad altri genitori di ragazzi delle scuole Archimede e alla preside del liceo pedagogico «Pascoli» Laura Canal, in questi mesi ha marcato stretto il vicepresidente della Provincia Christian Tommasini per ottenere il via libera per l’inizio del nuovo anno scolastico.
 «Gli interessati erano una trentina - racconta la madre - ma alla fine, visto che i termini delle iscrizioni scadevano il 10 febbraio, nel dubbio hanno optato per altre scuole. Non volevano rischiare, perché non ci si può iscrivere a due scuole contemporaneamente». Oggi gli iscritti al nuovo indirizzo sono 21. «Ci sono ragazzi di Appiano, Ortisei, Livigno - spiega la preside Canal - che in autunno inizieranno da noi il primo anno dell’indirizzo musicale. Ma se ci fossero altri interessati, possono ancora iscriversi: calcoliamo di arrivare fino a 26». Il liceo pedagogico ad indirizzo musicale sperimentale viene a colmare un vuoto nel panorama dell’offerta scolatica. «Mia figlia - racconta Zani e la sua esperienza è comune ad altri genitori - sta facendo pianoforte alle Archimede, una delle poche scuole in lingua italiana, se non l’unica, ad indirizzo musicale. Adesso, passando alle superiori, per continuare a suonare avrebbe dovuto iscriversi al Conservatorio o all’Istituto musicale e sarebbe stata costretta a dividersi tra due scuole con tutte le difficoltà che una scelta di questo tipo comporta. Così invece musica e materie tradizionali convivono nella stessa scuola. È un’opportunità importante che hanno colto al volo 14 ragazzi che usciranno a giugno dalle Archimede». Nel nuovo istituto pedagogico, inaugurato all’inizio dell’anno nel quartiere Firmian, è tutto pronto per accogliere l’indirizzo che va ad aggiungersi al pedagogico tradizionale, al sociale e all’artistico.
 Già in fase di progettazione sono state inserite le aule per le lezioni di musica, visto che per gli studenti dell’artistico sono previste già oggi ore di musica.
 Nel frattempo, la preside Canal ha messo a punto il piano di studio che è lo stesso inserito nella riforma Gelmini per il liceo musicale vero e proprio. «Nell’anno scolastico 2010-2011 - spiega la preside - dovrebbe partire anche da noi e allora i nostri studenti potranno iscriversi direttamente al secondo anno». Per ampliare l’offerta Canal sta pensando a convenzioni ad hoc con il Conservatorio e con l’Istituto musicale Vivaldi: «Se possibile, mi piacerebbe che i ragazzi potessero fare lezione in tedesco: è il modo migliore per imparare la lingua».


Alto Adige 26-2-10
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categoria:cultura, giovani
lunedì, 22 febbraio 2010


L’ATTUALITA’ DI MAYR NUSSER



PAOLO VALENTE


In questi primi giorni di quaresima si ricorda la morte dell’altoatesino Josef Mayr-Nusser, eroe della coscienza libera e responsabile. Mayr-Nusser morì il 24 febbraio 1945, sul treno fermo alla stazione di Erlangen, in viaggio per Dachau. Arruolato per forza nelle SS, dopo un breve periodo di formazione e di indottrinamento a Konitz, nell’attuale Polonia, si rifiutò di prestare giuramento a Hitler. Per questo fu incarcerato e poi condotto verso il lager. I motivi di quel gesto sono legati non solo alla coscienza cristiana di mayr-Nusser, ma anche, per così dire, alla sua coscienza civile. Meglio: dalla sua storia si evince come la coscienza, quando essa è lasciata libera di svolgere il suo ruolo (ed è educata a farlo), cioè a distinguere il bene dal male, ha un’influenza diretta sui rapporti tra le persone, anche nella vita sociale e nella sfera politica. Nusser confidò ad uno dei suoi commilitoni queste parole: “Se mai nessuno trova il coraggio di dire a questa gente che si può anche non essere d’accordo con il sistema, allora questo sistema non cambierà mai”. E alla moglie scrive in una delle sue ultime lettere.
Che dice: “Tale testimonianza è ormai ineluttabile, due mondi si stanno scontrando”.
Una testimonianza, la sua, che ancora oggi fa risuonare un forte messaggio. Nella lettera pastorale per questa quaresima il vescovo Karl Golser lo prende ad esempio: “Noi - scrive - dobbiamo essere riconoscenti per l’eroico coraggio di un uomo che ha seguito la sua sensibilissima coscienza e che può essere modello per tutti per la formazione della coscienza cristiana”.
 Quello della coscienza, in un’epoca in cui i punti di riferimento sfuggono, è tema di bruciante attualità. E’ in essa, “luogo di conoscenza del bene”, che è possibile riconoscere e interpretare i “segni dei tempi”. “La coscienza - dice Golser, teologo e pastore - deve essere formata e ciò avviene in relazione con gli altri”.”Già alla nascita un uomo ha in sé il germe della coscienza. Tale germe si sviluppa gradualmente; il segnale interno della nostra coscienza deve innanzitutto essere tarato, e ciò avviene attraverso l’amore. Si può dire che la coscienza si attiva quando il bambino piccolo ricambia il sorriso amorevole della sua mamma e degli altri familiari. All’origine c’è sempre il dono dell’amore”.
 Questo discorso è particolarmente significativo oggi, dal momento che sempre più si registra una apparente dicotomia tra l’individuo e la società. Abbiamo la sensazione di dover esasperare le nostre caratteristiche individuali. E’ in tal modo, ci dicono i sociologi, che la società dei consumi trae il massimo del consenso: ognuno è convinto di scegliere il suo destino, mentre ogni nostro passo è pilotato in una determinata direzione. La coscienza invece si forma e agisce in relazione con gli altri. E le scelte, se sono autentiche scelte, vanno a beneficio di tutti.
 Un altro punto assai degno di nota. “Il cammino è lungo per avere una coscienza matura e adulta”. Noi abbiamo il giudizio facile. Crediamo di sapere, di poter dare valutazioni sulle cose e sulle persone con la stessa facilità di quanto avviene nei reality per mettere alla porta qualcuno. Invece la propria formazione richiede fatica. E “la formazione della coscienza avviene principalmente attraverso dei modelli. In un mondo contraddistinto da una molteplicità di orientamenti, di modelli di vita e di presentazioni concorrenziali di ciò che è bene e di ciò che è male, c’è il rischio di perdere il giusto orientamento morale. quindi ancora più importante ritrovare se stessi e arrivare a una coscienza autonoma”. Infine la coscienza è libera se responsabile. E’ responsabile se libera. Non si può imporre agli altri ciò che ci è suggerito dalla nostra propria coscienza (”Qualunque fondamentalismo che vuole imporre agli uomini una determinata opinione, anche se per il loro bene, si oppone alla dignità umana”). Però non si può nemmeno non agire secondo quanto ci impone di fare la nostra coscienza. Infatti “la verità ha la sua propria forza obbligante”.”Se così non fosse non ci sarebbe più alcuna verità, ma solo un gran numero di opinioni personali” e si arriverebbe alla “dittatura del relativismo”.
 Ecco l’attualità di Josef Mayr-Nusser, un uomo che ha educato e formato la propria coscienza e non ha esitato a seguirla, in un’epoca in cui tutti gli altri trovavano molto più comodo farsi trasportare dalla corrente.


Alto Adige 22-2-10
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martedì, 16 febbraio 2010


Elogio della Tessmann la biblioteca «tedesca» che piace agli italiani




MARTINA CAPOVIN


BOLZANO. E’ tedesca ma piace agli italiani. Frequentata da studenti di entrambi i gruppi linguistici, la Biblioteca Tessmann di via Diaz è diventata un polo culturale imprescindibile in città. Ampliare l’offerta e divenire un centro aperto a tutti gli studenti della città, è l’obiettivo che l’assessora provinciale alla cultura tedesca Sabina Kasslatter Mur, ieri in vista alla Tessmann, si augura per la struttura. La biblitoeca provinciale è uno dei capisaldi dell’attività culturale in città e - ha sottolineato l’assessora - punto di riferimento per tematiche legate alla storia provinciale ad alla lingua tedesca e ladina. Una struttura moderna e vicino alle esigenze dell’utenza, ma con maggiori potenzialità di quelle espresse finora. Da sempre sono molti gli studenti delle superiori o dell’università che scelgono la “Tessmann” come luogo di studio, come in effetti conferma Waltraud Prader, responsabile per la catalogazione alla biblioteca. «I giovani riempiono la sala di lettura, mentre molte persone di ogni età vengono a prendere libri in prestito, o anche solo a leggere il giornale. C’è la possibilità di connettersi ad internet ed i cataloghi per la ricerca sono molto intuitivi e rapidi. Notiamo che soprattutto gli universitari apprezzano questo servizio, in particolare perchè possono portare a casa fino a 20 libri».
 Tra tutte le caratteristiche della biblioteca è però la tranquillità ad attirare il maggior numero di persone, come racconta Alessandra d’Ignazio, studentessa di giurisprudenza sotto esami: «E’ molto più silenziosa di ogni altra biblioteca. Se come me non riesci a studiare a casa questo è il posto ideale».
 Conferma Matteo Gasperi: «E’ frequentata non solo da giovani, ma da gente di tutte le età, quindi c’è meno gente che chiacchiera e bisbiglia. E poi per quanto mi riguarda è vicina a casa, quindi decisamente comoda».
 Non tutti però sono entusiasti di studiare alla “Tessmann”, come Michela Zippo, che confessa di essere stata trascinata dalle amiche. «Diciamo che non sono una fan. Innanzitutto chiude alle 19 e per me è un problema. Alcune biblioteche chiudono anche a mezzanotte e questo mi dà la possibilità non solo di studiare di più, ma di farlo anche con più calma. Inoltre ci sono meno giovani, ed io preferisco i luoghi più frequentati». Di pare contrario invece Barbara Torri: «Io ci vengo proprio perchè c’è poca gente. Quando vado alla biblioteca dell’università o alla Civica passo la maggior parte del mio tempo a chiacchierare invece che studiare. Se devo incontrare gli amici alla fine vado al bar».
 In effetti la biblioteca “Tessmann” non registra i grandi numeri delle sopracitate strutture, anche se forse è proprio in questa “debolezza” che trova la sua forza. Niente conoscenti o amici da salutare ogni tre minuti, con conseguente “pausa cicca” con chiacchierata, e niente gruppetti che ridono guardando i filmati su youtube. «Più gente c’è, e meno si studia - dice Andrea Marcolini - Nulla in contrario verso chi “cazzeggia” ma se si è sotto esami è il caso di studiare in posto tranquillo e lontano dalle tentazioni».


Alto Adige 16-2-10
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lunedì, 15 febbraio 2010



Tedesco, pochi scambi tra le scuole



I presidi: difficile convincere i ragazzi italiani a fare l’anno nell’altra lingua


 BOLZANO. Solo il 30 per cento dei ragazzi italiani di Bolzano sotto i 25 anni ritiene di essere in grado di conversare in tedesco. I risultati dell’indagine del sociologo Luca Fazzi, pubblicata sul giornale di ieri, sconcerta il mondo della scuola. Professori e dirigenti scolastici difendono gli sforzi degli ultimi anni. Ma che ci sia ancora un problema è palese, raccontano. D’altronde i dati sul crollo delle promozioni al patentino vanno nella medesima direzione. Sulle soluzioni non c’è esitazione: mescolare il più possibile, visto che sempre Fazzi ha ricordato quanto Bolzano sia una città con travasi difficili tra i gruppi linguistici e tra i quartieri. E spingere di più sugli scambi tra scuole italiane e tedesche, oltre che ovviamente sull’insegnamento veicolare.
 Brigitte Foppa, co-portavoce dei Verdi, ex presidente della consulta dei genitori della scuola di lingua tedesca, due figli mistilingui, non è sorpresa: «Sono dati credibili, visto che olte la metà dei ragazzi racconta di non avere contatti con l’altro gruppo: perché dovrebbero impegnarsi per studiare il tedesco, se non ne hanno bisogno?». Ma il tedesco gli servirà per costruirsi un futuro lavorativo. Foppa: «Infatti, ci sarà più tardi la corsa a recuperare, con fatica, quanto non hai imparato a scuola. I corsi di tedesco sono i più frequentati dell’educazione permanente. Insomma, non credo che sia solo una questione di didattica: il punto è come viviamo». Per Brigitte Foppa è scontato rilanciare «la solita idea dei Verdi: scuole miste. Invece la politica non ha voluto neppure mettere i ragazzi italiani e tedeschi di istituti diversi sotto lo stesso tetto».
 Laura Canal, dirigente del liceo pedagogico artistico Pascoli, rivendica il lavoro degli ultimi anni: «Abbiamo insegnamento veicolare, soggiorni studio e progetti con le scuole tedesche». Da quattro anni funziona anche lo scambio tra le quarte classi, ma la stessa Laura Canal rivela: «I ragazzi delle scuole tedesche hanno risposto meglio: quattro anni fa erano solo 2, adesso ne abbiamo 10 e otto sono già prenotati per l’anno prossimo. I ragazzi italiani iniziano ora: attualmente solo due frequentano scuole tedesche». Anche Calogero Arcieri, dirigente dell’istituto Galilei, spezza una lancia a favore dei ragazzi: «Con il tedesco si arrangiano, saranno meno perfetti nella grammatica, ma provano a parlare con i coetanei». Ma sugli scambi c’è ancora tanto da fare: «Solo una ragazza frequenta la quarta in un istituto tedesco. Qualcuno di più preferisce la formula dell’anno all’estero, di solito in paesi anglofoni: lì ne abbiamo 3-4 per anno». L’assessore Christian Tommasini, oltre a ricordare che l’assessorato punta a diffondere l’insegnamento veicolare e promette di lavorare meglio sull’extra scuola, ricorda che può produrre ottimi frutti nelle superiori italiane e tedesche la possibilità di effettuare scambi tra ragazzi della quarta. «Le scuole possono fare molto di più e non solo nella quarta superiore», conferma Tommasini, «Come assessorato crediamo in questa formula, variata in base alle esigenze dei ragazzi: non solo un anno di frequenza altrove, ma anche periodi più brevi. Si può fare di tutto». (fr.g.)


Alto Adige 15-2-10
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categoria:cultura, giovani
lunedì, 08 febbraio 2010


PENSIAMO AI GIOVANI




CARLO BERTORELLE


Con l’approvazione dei nuovi regolamenti sulla istruzione prende il via un “riordino” che, forse un po’ pomposamente, viene presentato come riforma epocale delle scuole superiori.
In realtà prevalgono anche in questo processo ragioni di riorganizzazione e riduzione della spesa pubblica (tagli), alla base dei quali vi sono logiche di risparmio ispirate al ministro del Tesoro, contrastate dall’opposizione e da gran parte del mondo pedagogico.
 Ma per la Provincia di Bolzano si aprono occasioni nuove di ripensare tutto il sistema formativo tra i 14 e i 19 anni, di cui bisognerebbe cogliere l’opportunità, se si crede nell’autonomia e nei suoi valori. In realtà la Provincia si era ripromessa fin dalla precedente legislatura di disegnare con legge provinciale in modo organico il “sistema educativo provinciale di istruzione e formazione”, in base alle sue autonome competenze legislative.
 Ma il compito previsto si era fermato a metà, limitandosi alla definizione della nuova scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, con la legge provinciale n. 5 del 16 luglio 2008. Ora, se ci sarà un anno di tempo supplementare per introdurre da noi le modifiche, si potrà veramente fare un passo avanti, non solo per ritoccare indirizzi e quadri orari, ma per prospettare ai giovani percorsi adeguati ai bisogni di vita e di sapere all’altezza delle sfide odierne. Le problematiche della gioventù sono oggi una priorità per tutto lo sviluppo sociale e non si possono affrontare solo razionalizzando l’esistente.
In primo luogo si dovrebbe fare appello alle diverse componenti della società civile e delle associazioni rappresentative e della ricerca educativa; non basta una informazione che paternalisticamente raggiunga la base, per far conoscere un disegno di legge già confezionato da parte dei responsabili amministrativi. E non basta neppure, anche se è già molto, che la Provincia confermi di non voler ridurre gli investimenti in questo campo, portando a gravi tagli di risorse e organici come avverà nel resto del paese.
 Un giro d’orizzonte, per esempio, andrebbe fatto sulle esperienze europee o comunque di altri paesi, relativamente alla fascia d’età considerata, se pensiamo che c’è una notevole somiglianza tra le dinamiche sociali e i comportamenti giovanili nei vari paesi. Studiamo quindi le risposte più avanzate che altri magari hanno dato e innestiamole sul ceppo della nostra scuola e della nostra tradizione pedagogica.
 Una nuova prospettiva dovrebbe avere al centro il principio delle pari opportunità, della pari dignità di tutti i canali formativi, un diritto di cittadinanza che superi selezioni sociali e gerarchizzazioni tra gli ordini di scuole o spinga a scelte troppo precoci e magari irreversibili. Tra questi caposaldi si possono menzionare:
 - il biennio di istruzione obbligatoria che completa l’obbligo decennale, introdotto dal decreto 22 agosto 2007, n. 139 con gli assi culturali, le competenze di cittadinanza che possono realizzare l’”equivalenza formativa” in ogni tipo di scuola fino ai 16 anni, arrivando tendenzialmente allo stesso tipo di formazione di base per tutti, come nel le migliori tradizioni europee. Ciò comporta un profondo lavoro sulla elaborazione di nuovi curricoli, centrati su un insegnamento non frontale ma anche laboratoriale e una didattica per competenze molto trasversali;
- una formazione professionale che parta dopo lo svolgimento di questo biennio svolto negli istituti di istruzione; che preveda anche dopo il corso di fp una “maturità” di tipo professionale, con la eventuale prosecuzione in istituti superiori di qualificazione professionale o nella FTS. La formazione nel doppio canale studio-lavoro (sistema duale) per l’artigianato viene spostata dopo il compimento dell’obbligo di istruzione decennale.
Si istituiscono e si fanno funzionare vere passerelle tra la fp e la scuola, per realizzare l’integrazione tra i sistemi formativi.
 L a Provincia di Bolzano si impegna comunque a garantire, all’interno della formazione professionale l’equivalenza dei percorsi formativi previsti dal decreto sull’obbligo di istruzione decennale. Il principio che andrebbe salvaguardato insomma non è tanto dove (in quale “contenitore”: corsi scolastici o corsi di f.p.?) si faccia questa formazione, ma il riconoscimento comune che è oggi necessario un periodo di formazione su assi di competenze culturali per tutti più elevato (fino appunto ai 16 anni); che tale preparazione si possa svolgere anche con modalità didattiche non trasmissive e percorsi integrati per coinvolgere tutti; e che tale periodo rimanga antecedente alla immersione e alla condizione lavorativa.
 - elaborazione di indicazioni provinciali per i curricoli che saranno poi implementati dalle istituzioni scolastiche autonome. Questi curricoli devono puntare alla acquisizione di competenze superando i programmi incentrati sulla trasmissione e sull’accumulo di conoscenze e nozioni; in queste competenze per le scuole dell’Alto Adige devono trovare posto anche que lle utili e necessari alla convivenza nel nostro contesto plurilinguistico rafforzando e ampliando quelle già presenti (materie come storia, diritto, geografia, lingue, scienze del territorio ecc.)
- ruolo più incisivo del servizio di orientamento scolastico e professionale, allo scopo di fornire un costante monitoraggio dei fabbisogni del mercato del lavoro per orientare le scelte formative degli alunni e delle famiglie. Tale compito deve essere supportato dalle agenzie dell’ufficio del lavoro e raccogliere con sistematicità la richiesta e le segnalazioni degli enti economici e dell’impresa, offrendo un panorama realistico delle richieste che provengono dal mondo del lavoro nei diversi settori.
- accompagnamento e formazione dei docenti sia del settore istruzione che di quello della formazione professionale. Appare necessario uno stanziamento di risorse per accompagnare il percorso riformatore: risorse per attivare la formazione in servizio degli insegnanti, necessaria fra l’altro a sostenere la prevista confluenza e ristrutturazione delle cattedre e delle classi di concorso.
 - istituzione di una Agenzia provinciale per l’ integrazione dei sistemi formativi, come cabina di regia (espressione molto usata e mai attuata) con il compito di gestire tutta la problematica degli intrecci tra i diversi sistemi formativi (istruzione, formazione, apprendistato).
 Un anno di rivio può essere un tempo limitato, ma sufficiente per svolgere questa discussione aperta, se lo si volesse. E sarebbe un modo per far crescere l’autonomia condivisa, partecipata, dal basso che da molte parti si invoca.

Alto Adige 8-2-10

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martedì, 02 febbraio 2010


 Scuola Gandhi di Laives: un modello per tutta Italia




L'erba del vicino, si sa, è sempre più verde. Forse è per questo che la scuola elementare Gandhi è talvolta poco considerata dai laivesotti, che troppo spesso guardano con malcelata ammirazione verso Bolzano. Ingiustamente. Perché la Gandhi è diventata un modello a livello nazionale per i suoi metodi didattici innovativi. Metodi che sono stati al centro di un convegno e che sono stati raccolti in un libro distribuito in tutta Italia.

Laives - Quando era partita, cinque anni fa, nessuno avrebbe immaginato che la sperimentazione voluta dall'allora dirigente Rita Zambanini sarebbe diventata un riferimento didattico a livello nazionale. Un modello da studiare, imitare ed esportare.
"La nostra, scuola - spiega l'attuale dirigente, Nicoletta Costa - è stata la prima a livello provinciale, e oserei dire anche nazionale, a partire con il tema delle competenze, che poi è stato introdotto sia dal Ministero che dalla Provincia partendo proprio dall'esperienza maturata alla Gandhi"

 Che'cosa significa lavorare sulle competenze?

Finora la scuola ha sempre puntato a trasmettere abilità e conoscenze. La competenza invece è il saper coniugare le due cose, applicandole nella realtà. Alle Gandhi sono cinque anni che lavoriamo proprio su questo.

E come?

Innanzitutto centralizzando la figura dell'alunno, perché ogni bambino è diverso dagli
altri. Quindi è necessario differnziare l'insegnamento in funzione dei talenti di ogni bambino. Il nostro obiettivo è dare degli strumenti per imparare a imparare, piuttosto che una serie di conoscenze enciclopediche. Al giorno d'oggi abbiamo infinite possibilità di accedere alle informazioni, ma è importante sapere come rielaborarle e farle nostre.

E questo obiettivo come si raggiunge?

La chiave sono i cosiddetti curricoli con le cinque competenze base su cui puntiamo: saper formulare ipotesi, saper leggere, saper generalizzare, saper strutturare e saper comunicare ciò che si è appreso.

Un'altra particolarità delle Gandhi è la programmazione di fascia.

Sì, ogni fascia di classi (per esempio le prime o le quinte) compie lo stesso percorso, sia pure con qualche lieve differenza a seconda delle caratteristiche di ogni gruppo classe. Ma questo è una garanzia che alla fine del percorso tutti avranno maturato le stesse competenze. Inoltre tutto il materiale viene messo in comune e condiviso tra gli insegnanti, che così possono sfruttare le esperienze maturate dai propri colleghi.

Finora abbiamo parlato sempre della Gandhi. Ma questo progetto parte fin dalla scuola materna.


È vero. Anche la continuità verticale con la scuola materna è una novità che abbiamo introdotto. Al Sauro (ma pure
al Kennedy, anche se fa parte di un altro circolo didattico) vengono adottati progetti e strategie che poi vengono
ripresi quando i bambini arrivano alle elementari. Mi riferisco per esempio a progetti di Iettoscrittura o dello spazio nel tempo  che poi confluiscono rispettivamente in italiano e storia/geografia.

Altra caratteristica della scuola di Laives è il "patto formativo". In cosa consiste?

Il patto formativo è un'altra idea che rende unica a livello provinciale la scuola di Laives, perché coinvolge insegnanti, genitori e le associazioni che operano sul territorio. L'idea di fondo è di seguire il bambino in tutti gli ambiti in cui vive: a casa, a scuola, ma anche nelle associazioni sportive e culturali che frequenta. Non a caso il nostro motto dice che ci vuole un villaggio per crescere un bambino...



Marco Cortese

fonte: Qui Bassa Atesina  n. 2 - 28-1-2010



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domenica, 31 gennaio 2010


Studio del tedesco, 69 scolari e studenti vincono il premio




BOLZANO. Avanti, con impegno, nello studio della lingua tedesca. Gli scolari e gli studenti che hanno conseguito i migliori risultati nei vari livelli d’esame di certificazione linguistica internazionale in tedesco organizzati dal Goethe Institut sono stati premiati, alla presenza anche della sovrintendente scolastica italiana, Nicoletta Minnei, oltre che del vicepresidente provinciale Christian Tommasini e la direttrice dell’Ufficio bilinguismo, Rosa Rita Pezzei. A meritare il premio, sono stati 69 fra scolari e studenti, 47 dei quali con la votazione massima.
 Sono del resto numerosi ogni anno i ragazzi delle scuole altoatesine che affrontano le prove di certificazione linguistica internazionale di tedesco organizzate dal Goethe Institut, svolte dall’Ufficio bilinguismo e lingue straniere della Provincia. Per incentivare la partecipazione da parte degli istituti scolastici e fare in modo che gli studenti possano cogliere l’opportunità di certificare le proprie conoscenze linguistiche, l’Intendenza scolastica italiana ha peraltro previsto l’erogazione agli Istituti scolastici di un contributo per gli studenti che parteciperanno con successo a queste certificazioni. Non si tratta di “fogli di carta” che danno solo soddisfazione: si tratta infatti di esami e attestati riconosciuti in vari Paesi oltre che in Italia.
 Tornando al conferimento del diploma, che era relativo alla sessione dell’anno scolastico 2008/2009, sono stati complessivamente 127 gli studenti che hanno sostenuto l’esame, di cui 69 sono riusciti a conseguire la votazione massima prevista “sehr gut”; a loro, come piccolo segno di riconoscimento, è andata una chiavetta Usb e una maglietta con il logo della campagna per l’apprendimento linguistico “Conoscere le lingue è + bello”, la faccina che fa la lingua. Dei 69 studenti, come detto 47 ragazzi hanno ottenuto una votazione massima sostenendo le prove dell’esame “Fit in Deutsch 2” con livello A2; 17, invece l’hanno conseguita sostenendo il “Fit in Deutsch 1”; quattro “sehr gut” sono stati dati nelle prove del “Zertifikat Deutsch für Jugendliche” di livello B1 e una votazione massima è stata assegnata nel “Goethe-Zertifikat” di livello B2.
 Info sugli esami all’Ufficio bilinguismo e lingue straniere, in via del Ronco 2, chiedendo di Donatella Ricchetto (telefono 0471 - 411273).

Alto Adige 31-1-10
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giovedì, 28 gennaio 2010


Scuole professionali, il senato dà il via libera all’esame di maturità



 BOLZANO. La commissione istruzione del Senato ha dato parere positivo alla riforma Gelmini approvando anche una richiesta del senatore Svp Oskar Peterlini sulla maturità professionale. «Le scuole professionali del Trentino Alto Adige - spiega Peterlini - potranno dunque istituire un quinto anno scolastico ed offrire ai propri alunni la possibilità di accedere all’esame di stato». Il senatore aveva chiesto inoltre di continuare a prevedere nei licei l’insegnamento del diritto e dell’economia. Questa richiesta non è stata accolta dalla commissione. Sulla vicenda interviene anche la consigliera della Lega Nord Elena Artioli: «Ora si vedrà finalmente risolto l’annoso problema del riconoscimento per le scuole professionali provinciali. Un successo per i ragazzi che vi studiano e per i docenti che vi insegnano, ottenuto grazie all’impegno della Lega».


Alto Adige 28-1-10
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domenica, 17 gennaio 2010


Vi racconto il mio Sudtirolo



«Io, prete luterano nella terra più cattolica d’Europa»  


NICOLE DOMINIQUE STEINER


Da dodici anni sta a Bolzano, ridotta luterana nella Santa Terra del Tirolo, una delle terre più cattoliche d’Europa. Ma più che nella diaspora in questi dodici anni Zebe si è sentito straniero. Straniero nel parlare italiano con il forte accento di chi è nato parecchio più a nord. Straniero anche nel parlare tedesco, perché il suo «hochdeutsch» condito di berlinese suona molto diverso dal dialetto tirolese. Straniero anche nei suoi modi di pensare e di concepire la vita, e questo non solo per il fatto di essere protestante. A marzo torna in Germania, fine dell’avventura sudtirolese.
 I pastori protestanti, dopo un certo numero di anni, sono infatti obbligati a cambiare sede. Zebe, nato 47 anni fa nella ex DDR, figlio di un pastore, è sposato in seconde nozze e ha quattro figli, due dal primo matrimonio e due dall’attuale. Ha già trovato la sua prossima occupazione: Eilenburg, una cittadina a venti chilometri da Lipsia. Dodici anni fa, quando è arrivato a Bolzano, cosa sapeva della complessa realtà di questa terra?
«Poco o niente. Sapevo che si tratta di una terra molto cattolica, anche se su questo avrei qualcosa da ridire; che ci sono più gruppi linguistici; che ha una storia complessa».
In che senso questa terra non è poi così cattolica?
 «Nel senso che neanche nella secolarizzata DDR ho sentito così spesso la frase «non sono praticante». Viceversa ci sono anche tanti fondamentalisti cattolici, gente che vive la fede come totalità».
E l’aggressività verso la sua chiesa, verso la confessione protestante?
 «Beh, i tempi in cui i contadini di Gries organizzavano processioni per impedire la costruzione della nostra chiesa perché «l’ombra del tempio pagano danneggiava lo sviluppo delle viti» sono passati. Oggi protestano contro la costruzione di una moschea a Bolzano. Solo una volta ho trovato del pesce marcio buttato davanti alla porta della chiesa, piccole cose. Al contrario, devo constatare che ho incontrato tanta disponibilità, dovuto forse anche ad una certa curiosità verso di noi. Abbiamo un che di esotico, di bizzarro...»
Com’è il rapporto con la chiesa cattolica locale?
 «Ottimo direi. Il vescovo Golser ha tanta esperienza di l’ecumenismo».
 E i contatti diretti con i preti? Avvengono da collega a collega oppure?
 «Dipende. Da parte mia sicuramente. Per poter sviluppare un rapporto bisogna essere sullo stesso livello, cioè bisogna accettare l’interlocutore come pari, e non sempre questo avviene. Non bisogna dimenticare che la chiesa cattolica ci considera tuttora degli eretici».
E lei come si vede nella sua funzione di pastore?
 «Sono una persona come tante. Ho gli stessi problemi di tutti. Un prete protestante viene pagato per il suo lavoro, può essere licenziato, rimanere disoccupato. Si sposa, vive tutti i momenti felici ma anche problematici della vita familiare. Può riuscire nella programmazione della sua vita ma può anche fallire, come chiunque altro».
Dopo dodici anni a Bolzano cosa porterà con sè, quando tornerà in Germania?
 «Mi mancheranno le montagne, il clima, il buon cibo, il caffè, le amicizie, la ricchezza o il lusso di vivere due culture».
A proposito le due culture, come ha vissuto la realtà altoatesina?
 «Fatico a capire gli estremismi, sia tedesco che italiano, tenendo conto che viviamo in un Europa unita. Per esempio, trovo che la discussione sul doppio passaporto sia ridicola e pericolosa, espressione di una politica un po’ nazifascista del genere sangue e suolo. Mi fa venire in mente il passaporto ariano».


Alto Adige 17-1-10
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categoria:cultura
mercoledì, 13 gennaio 2010


Durnwalder: a scuola più scambi tra i gruppi Obiettivo bilinguismo




BOLZANO. Una scuola italiana autonoma nelle scelte spicciole ma fortemente indirizzata dalla Provincia verso il bilinguismo, anzi, verso il trilinguismo. E una maggiore collaborazione fra istituti italiani e tedeschi. Sono le due direttive annunciate dal presidente della Provincia Luis Durnwalder alla nuova sovrintendente scolastica.
 Nominata nell’ottobre scorso alla successione di Bruna Rauzi, Nicoletta Minnei ieri ha incontrato il presidente Durnwalder assieme all’assessore alla scuola italiana Christian Tommasini. Al centro dell’incontro c’è stato lo sviluppo della politica scolastica a cominciare dall’insegnamento delle lingue: «Dobbiamo trovare nelle scuole mezzi e strade nella metodologia e nel sistema di lavoro che abbiano come sbocco naturale, al termine del percorso scolastico, la formazione di uno studente il più possibile bilingue o addirittura trilingue», ha sottolineato Durnwalder. Il presidente ha anche ricordato che la giunta provinciale imposta le direttive per la politica scolastica dei tre gruppi, «e all’interno di queste direttive le scuole possono e devono muoversi in modo autonomo, cercando la forma di organizzazione più efficiente per poter raggiungere gli obiettivi che si pongono e assolvere i compiti a cui sono chiamate».
 Nel colloquio con la nuova sovrintendente Durnwalder ha inoltre ribadito l’auspicio di vedere intensificato il rapporto di buona collaborazione delle scuole oltre i confini linguistici.
 Altro aspetto dell’incontro con Minnei e Tommasini è stata l’applicazione della riforma scolastica statale nelle scuole superiori: «Il nostro sistema scolastico, basato sulla diversità linguistica e una differente organizzazione della formazione professionale, non è paragonabile a quello statale - ha detto il presidente Durnwalder - pertanto si tratta ora di individuare una strada adeguata, modellata sulle esigenze e le particolarità dell’Alto Adige, per concretizzare i principi della riforma che lo Stato imposterà prossimamente».
 Sull’argomento c’è da registrare una presa di posizione da parte del segretario Pd Antonio Frena: «Sulla scuola il Pd dell’Alto Adige fa scuola anche in Trentino, dove i sindacati chiedono di bloccare di un anno l’applicazione della riforma Gelmini, così come avvenuto a Bolzano su proposta del nostro partito». Frena aggiugne: «La fretta nell’applicare la riforma della scuola superiore da parte della Gelmini è dovuta ai tagli imposti dal ministro Tremonti. Tagli che riducono insegnanti e numero di ore, ai danni della formazione dei ragazzi. La proposta del Pd, portata avanti dall’assessore Tommasini e approvata dalla giunta, si è fatta interprete dei problemi della gente e della funzione formativa a cui è chiamata la scuola. Una scelta che ha risposto alle richieste di insegnanti e studenti, che ha accolto il favore dei sindacati altoatesini e che ora raccoglie consensi anche in Trentino. Il Pd si impegnerà in Altro Adige a mettere in campo una riforma organica che, al contrario di quella della Gelmini, sia orientata alla qualità e non al risparmio». (da.pa)


Alto Adige 13-1-10
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categoria:cultura, provincia di bolzano
sabato, 09 gennaio 2010


Fai, tutte le nuove visite




BOLZANO. Riprendono le iniziative del Fai (Fondo per l’ambiente italiano) che tanto interesse suscitano nei bolzanini. Ecco a seguire il programma appena uscito con i prossimi appuntamenti.
 Visita al museo.
 Mercoledì 20 gennaio, ore 17 a Bolzano: Museo Civico, via Cassa di Risparmio Mostra: “1790-1830” - Conflitti e contrasti, guerre e ideologie a Bolzano e in Tirolo. S. Demetz ci illustrerà la mostra.
 Prenotazione al Punto Fai
 Gita culturale a Verona.
 Giovedì 18 febbraio: in treno al Palazzo della Gran Guardia: “Camille Corot”, maestro dell’ 800 (ultimo dei classici e primo dei moderni). Castelvecchio: gli ultimi restauri, “i camminamenti” e “il giardino pensile”.
 Incontro con l’artista.
 Giovedì 25 febbraio, ore 15 a Bolzano: piazza Diocesi. Incontro con l’artista Michael Höllrigl scultore di Lasa: la scultura moderna nello storico insieme gotico del Duomo e la nuova struttura della diocesi cittadina.
 Visita al Museion.
 Mercoledì 31 marzo, ore 15.30 Bolzano: Museion. Collezione Righi: “Che cosa sono le nuvole?” Guida la direttrice Letizia Ragaglia.
 Per tutte le informazioni rivolgersi al Punto Fai presso l’Antico Municipio in via Portici 30. Tel. 0471 997697: martedì ore 9.30 - 12. Segretaria Mugliari: cell. 348 8081341 Mail: nadia.fai@alice. it - clara.rosso@dnet.it

Alto Adige 9-1-10
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categoria:cultura
sabato, 09 gennaio 2010


Cooperazione, apre biblioteca specializzata al servizio della città



 BOLZANO. Apre la biblioteca della cooperazione. Interessante iniziativa di Legacoop che ha deciso di riempire un vuoto nell’offerta delle biblioteche della provincia, coprendo un settore che coinvolge migliaia di persone. Presso la nuova struttura, ospitata nella sede di Legacoop do piazza Mazzini, si potranno consultare volumi e riviste specializzate e consultare tesi scritte da studenti altoatesini sulle diverse realtà cooperativistiche del nostro territorio. Il servizio è affidato a Margherita Gitto.
 Le strutture culturali e specialistiche della città si arricchiscono di una nuova realtà che copre un settore ancora poco valorizzato. Apre, infatti, la prima biblioteca specialistica per la cooperazione in provincia di Bolzano Oltre mille titoli, tra volumi e periodici che documentano la storia e l’evoluzione del movimento cooperativo in Alto Adige, in Italia e in Europa.
 Un patrimonio di cultura cooperativa molto importante che Legacoop ha deciso di mettere a disposizione degli studenti altoatesini, dei ricercatori e dei cittadini con l’obiettivo di promuovere una più ampia e approfondita conoscenza e affermazione dei principi e dei valori della cooperazione.
 La biblioteca, spiegano alla Lega delle cooperative, è specializzata nelle discipline economiche, storiche e sociali riguardanti il movimento cooperativo e comprende anche alcune tesi di laurea a tema locale.
 Il sessanta per cento dei libri sono in lingua italiana e il quaranta per cento in tedesco.
 Per accedere al prestito è necessario rivolgersi alla nostra collaboratrice Margherita Gitto dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 14 negli uffici di Legacoopbund in Piazza Mazzini 50-56 a Bolzano (Tel. 0471 067 100).
 E’ possibile anche consultare i libri in biblioteca negli orari di apertura della stessa (9-14).
 Le cooperative associate hanno inoltre la possibilità di consultare online il catalogo dei libri pubblicato nell’area riservata del sito di Legacoopbund.
 Il catalogo è suddiviso per argomenti e settore per agevolare la ricerca.
 Presentando la sua biblioteca, Legacoopbund intende valorizzare la documentazione bibliografica e mettere a disposizione delle scuole, dell’università, delle istituzioni culturali e di tutti gli interessati gli strumenti di cultura cooperativa in suo possesso.

Alto Adige 9-1-10
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categoria:cultura, letture
giovedì, 24 dicembre 2009


Klösterle, futuro culturale

 
Il Klösterle




www.durerweg.it/html/tracce_klost.html



EZIO DANIELI


 EGNA. L’altro giorno a Laghetti - in occasione di una semplice cerimona per ricordare i 15 anni del ritrovamento del pozzo «Sas della Reson» i partecipanti - c’erano anche Lorenzo Dal Ri della Sovrintendenza ai Beni Archeologici della Provincia e l’archeologo Gianni Rizzi che era riuscito, con una speciale tecnica, a ritrovare il pozzo - hanno impostato un documento per sollecitare i prossimi amministratori comunali di prendere in considerazione di utilizzare, date le peculiarità, il Klösterle come centro di documentazione dell’Adige.
 Spetta al Comune di Egna ed ai Beni culturali portare avanti il progetto inteso alla valorizzazione del conventino: ed infatti nel bilancio preventivo del 2010, appena approvato, è stato inserito uno stanziamento di 158.862 euro per proseguire i lavori di risanamento statico del Klösterle. La struttura attuale mostra una serie di edifici che contornano il cortile interno: sul lato ovest le sale, i dormitori e le cucine, mentre verso est sorgono gli edifici di servizio, ovvero cantine, stalle e fienili. Sul lato nord le solide mura della chiesa con la navata a due piani. L’ospizio è stato costruito nel XIII secolo dopo l’abbandono di quello più antico che sorgeva poco sotto accanto alla chiesetta di San Floriano, recentemente restaurata. Dei tanti ospizi un tempo costruiti in Alto Adige è l’unico rimasto pressochè immutato col trascorrere dei secoli. Alcuni anni fa è stato acquisito dal comune di Egna le cui amministrazioni hanno ribadito l’intenzione di valorizzarlo soprattutto sotto l’aspetto artistico e storico. Il sogno è di trasformarlo in una sorta di museo della storia dell’Adige e della Bassa Atesina oltre che punto per incontri culturali ed in questa prospettiva, un paio di anni fa, studenti dell’università di Innsbruck avevano elaborato una serie di progetti sui possibili impieghi dell’ospizio. Da allora passi in avanti significativi non ne sono stati fatti, salvo ospitare nel Kösterle un importante convegno ed anche manifestazioni di carattere culturale. L’accorato appello lanciato l’altro giorno a Laghetti non è altro che l’ennesima forma di pressione perchè finalmente il Comune di Egna imposti anche i futuro artistico di questo storico edificio che ha enormi potenzialità e che si inserirebbe, in maniera ottimale, nella valorizzazione iniziata con il Sentiero del Dürer che è diventato, negli ultimi anni, una vera e propria attrazione dal punto di vista sia turistico che culturale. Il Comune - pur alle prese con i problemi finanziari, nonostante i quali ha previsto ulteriori interventi per la sistemazione del caratteristico e storico edificio - è stato dunque sollecitato a muoversi proprio nella direzione indicata l’altro giorno a Laghetti: fare del Klösterle un centro di documentazione sulla storia ed i problemi dell’Adige.

Alto Adige 24-12-09
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categoria:cultura, conca atesina
giovedì, 03 dicembre 2009


Patentino A con la laurea nell’«altra» lingua



Esame di maturità in una lingua, studi universitari nell’altra: attestato di bilinguismo automatico


MIRCO MARCHIODI


 BOLZANO. Nuova rincorsa per far approvare la norma di attuazione sui titoli equipollenti al patentino di bilinguismo. La commissione dei Sei ieri ha introdotto una sostanziale novità: patentino «A» automatico per chi ha fatto la maturità in una lingua e l’università nell’altra.
 Stavolta dovrebbe essere la volta buona, si augurano i componenti della commissione dei Sei che ieri hanno nuovamente approvato la norma di attuazione sui titoli equipollenti al patentino di bilinguismo che era stata già licenziata nell’aprile del 2008, ma che il consiglio dei ministri non aveva approvato lo scorso settembre chiedendo ulteriori chiarimenti. «Il ministero degli Esteri - spiega l’avvocato Alberto Zocchi - a cui avevamo chiesto che tipo di chiarimenti voleva avere, ci ha consegnato una norma di attuazione molto simile a quella che era già stata approvata dalla scorsa commissione dei Sei. Rispetto a quell’ultima versione, ora abbiamo deciso di introdurre una modifica che rende più facile l’ottenimento del patentino di bilinguismo». Detto che resta l’equipollenza di titoli di studio europei (per intendersi, il diploma del Goethe Institut vale come accertamento della conoscenza del tedesco, idem quello della società Dante Alighieri per l’italiano), la novità è un’altra, come spiega il deputato dello Svp Siegfried Brugger: «D’ora in avanti, chi ha ottenuto il diploma di maturità in una lingua e il diploma di laurea nell’altra, otterrà automaticamente il patentino di bilinguismo di livello “A”».
 La logica della norma è chiara: chi ha fatto la maturità in tedesco e poi si è laureato in Italia ha già dimostrato di conoscere entrambe le lingue; stesso dicasi per chi ha fatto la maturità in italiano e si è poi laureato in Austria o in Germania. Resta un piccolo interrogativo legato proprio all’università di Bolzano, dove gli insegnamenti sono sia in italiano sia in tedesco. I componenti della commissione dei Sei non hanno una risposta chiara e dovranno approfondire la questione. Escluso invece l’ottenimento del patentino per chi si laurea in università italiane o germaniche, ma dove la lingua d’insegnamento prevalente è straniera (ed anche in questo caso la “Lub” potrebbe essere interessata, visto che la facoltà di informatica ha l’inglese come principale lingua di insegnamento).
 L’approvazione della norma di attuazione spetta ora al governo. Toccherà ai vari ministeri interessati dare un parere in merito: in caso di nullaosta, sarà il consiglio dei ministri a licenziare la norma di attuazione facendola entrare in vigore. Dovrebbe avvenire entro i primi mesi del 2010, ed allora la lunga vicenda iniziata nel 1997 con il famoso “caso Angonese” che aveva portato anche ad una procedura d’infrazione contro l’Italia da parte dell’Ue, dovrebbe finalmente chiudersi definitivamente.

Alto Adige 3-12-09
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domenica, 29 novembre 2009


«Scuola europea, ci proviamo noi»

Le Marcelline presentano domanda al ministero: siamo già plurilingui


scuola europea

 BOLZANO. Scuola europea, le Marcelline ci provano. L’istituto che offre un percorso di istruzione dalle materne al liceo linguistico europeo internazionale ha iniziato la procedura per diventare Scuola europea. L’Istituto Marcelline, che ha avuto ieri la propria giornata delle porte aperte, è stata una delle prime realtà altoatesine a introdurre l’insegnamento veicolare delle lingue.
 Dopo dieci anni di insegnamento veicolare «siamo pronti a fare un passo avanti», spiegano Maria Cristina Santuari (dirigente dell’istituto comprensivo) e Antonella Biancofiore (dirigente del liceo). L’offerta plurilingue della scuola europea sembra «lo sbocco perfetto». Da poco più di un anno è cambiata la normativa sulle scuole europee, autorizzate anche in città prive di uffici Ue. Qualche settimana fa le due dirigenti scolastiche si sono recate al ministero degli Affari esteri per presentare la dichiarazione di interesse: «E’ solo l’inizio di un lungo e complicato percorso per diventare scuola europea: il nostro istituto sarebbe perfetto, perché offre un ciclo completo a partire dalla scuola dell’infanzia». Un ruolo importante dovrebbe essere svolto dalla Provincia e le due dirigenti scolastiche ricordano che «l’assessore Barbara Repetto è interessata a questa opportunità». La scuola europea a Bolzano è uno dei sogni di Barbara Repetto, che in giugno approfittò di un impegno all’Unione europea per organizzare una visita di Luis Durnwalder al campus della scuola europea di Bruxelles. Le dichiarazioni del presidente provinciale all’epoca furono più fredde che incoraggianti, ma all’Istituto Marcelline hanno comunque avviato i loro passi con il ministero: «Presenteremo un progetto, perché dovremmo iniziare con una singola classe o con un grado scolastico, la normativa lo consente».
 In fondo, spiegano, la loro scuola è già plurilingue. Dopo l’approccio ludico delle materne, alle elementari si entra nel vivo dell’insegnamento veicolare con 10 ore alla settimana di tedesco e 4 di inglese, parte delle quali «di lingua» e il resto matematica, informatica e altre materie scientifiche in tedesco, educazione motoria e musicale in inglese. Alle medie intrecci di lingue per studiare storia, letteratura e geografia: ad ogni lingua corrisponde l’approfondimento delle materie di quell’area geografica (in tedesco ci si concentra sul mondo germanofono e così via). Al liceo linguistico si passa al tedesco, inglese, francese, spagnolo, russo e latino. La scuola pubblica, accanto alle esperienze alle materne, offre oggi l’insegnamento veicolare alle elementari in alcune classi dei centri principali e pochi esempi alle medie.
 Alle Marcelline c’è attesa anche per il progetto da 13 milioni di ristrutturazione dell’istituto. I contatti con la Provincia sono già stati avviati, «ma non c’è alcun impegno», racconta Antonella Biancofiore, «La scuola è più che decorosa, ma ha bisogno di un rinnovo radicale». Centinaia di persone hanno partecipato alle porte aperte. Tra i momenti clou la visita del vescovo Karl Golser con don Luigi Cassaro, direttore dell’Ufficio scuola della diocesi. Ieri era la giornata della scuola cattolica, con attenzione al tema del finanziamento alla scuola paritaria.

Alto Adige 29-11-09
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domenica, 29 novembre 2009


La catastrofe del tedesco e nessun si muove


catastrofe linguistica


Un ampio studio dell’Eurac ha mostrato di recente lo scarso livello di conoscenza della seconda lingua fra gli studenti del quarto anno delle scuole superiori. I politici hanno reagito solo con qualche dichiarazione generica. Eppure avrebbero avuto molti elementi su cui riflettere. Mi limito a due esempi. Da destra e da sinistra si è proposto per anni di riconoscere automaticamente il patentino di tipo B a tutti gli studenti che superano gli esami di maturità. La ricerca dell’Eurac dimostra ora tutta la superficialità e la demagogia della richiesta: non più del trenta per cento degli studenti (di lingua italiana e tedesca) riesce a superare un test che riproduce la prova scritta del patentino B. Si aggiunga che l’Eurac, per ragioni di tempo, non ha sottoposto gli studenti anche alla prova orale prevista dal patentino: se l’avesse fatto, i promossi sarebbero stati ancora meno. Eppure nessun politico si è sentito in dovere di riconoscere di aver fatto per anni una «proposta indecente». La ricerca dell’Eurac ha rivelato inoltre che solo il cinque per cento degli studenti italiani (contro il 67 per cento dei tedeschi) usa la seconda lingua negli incontri con i coetanei dell’altro gruppo. Anche se non imprevedibile, questo dato è davvero impressionante. Mostra che per quasi tutti gli studenti italiani la lingua tedesca è poco più che una lingua morta. Serve a scuola per rispondere alle domande dell’insegnante di tedesco. Serve per superare l’odiato patentino. Ma non serve nella vita: nemmeno per parlare con i ragazzi tedeschi della stessa età!
 Di fronte a tale catastrofe, non si dovrebbero suonare le campane a martello? Non dovrebbe la Giunta provinciale chiudersi in clausura (coi telefonini spenti) per un mese intero, assieme ai migliori specialisti del mondo, per trovare rimedi? E non dovrebbe mobilitarsi anche tutta la società civile: scuola, sindacati, imprenditori, parrocchie, associazionismo culturale e sportivo? Schützen, Bauernbund, pompieri volontari e gruppi femministi compresi?

Alto Adige 29-11-09
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domenica, 29 novembre 2009


Ma perché continuano a cavalcare l’oltranzismo?


oltranzismo?

 Sembrerebbe impossibile tanta ostinazione nella cecità manifestata da una certa politica locale che vuole negare l’evidenza del fatto che è necessaria la convivenza per non rischiare un “lento suicidio”. D’altra parte, però, come non considerare il fatto che rinunciare a cavalcare l’estremismo e l’oltranzismo significherebbe per i capi di tali movimenti rinunciare a calcare le scene e privarsi dei relativi privilegi, tornando nella “pochezza” del loro quotidiano.
 Dobbiamo però formulare un’inevitabile domanda: è proprio così sicuro che il temuto e tanto aborrito “inquinamento” del sacro mondo sudtirolese sarà opera di noi, pacifici concittadini italiani, fratelli in Cristo, e che non avverrà invece, più o meno lentamente, ad opera di dieci o cento etnie, le più diverse, provenienti dai più lontani angoli della terra?
 Perché non riflettere seriamente su questa considerazione e perché invece rifiutarsi di capire che questo processo di “integrazione” pressoché universale è una cosa ormai “inarrestabile”? Volendo tentare di buttare la cosa sul faceto, diciamoci allora: chissà se di questo passo, per accontentare i potenti della politica sudtirolese, anche le malattie, gli incidenti, la morte e il mondo dell’Aldilà, prima di entrare nell’autonomo “Südtirol” si dovranno preoccupare di accertare se stanno rispettando le “regole” e cioè l’applicazione scrupolosa del bi-trilinguismo e soprattutto della proporzionale!

Giovanni Calcagno BOLZANO
Alto Adige 29-11-09
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venerdì, 27 novembre 2009


BILINGUISMO Patentino illegale ma anche inaffidabile



 Sto seguendo con interesse il dibattito sul bilinguismo dopo lo studio dell’Eurac. Nei commenti non trovo riferimenti a quello che ritengo il risultato più importante dello studio: il patentino è un esame inaffidabile.
 L’Unione europea e la giustizia europea hanno già detto che il patentino è illegale, tanto che è stata iniziata una procedura di infrazione contro l’Italia perché in Alto Adige si continua a usare il patentino e a non riconoscere il quadro europeo di riferimento (A1-A2-B1-B2 eccetera). Questo significa dunque che quando sarà riconosciuto il quadro europeo il patentino sarà usato molto meno. Io non ne sentirò la mancanza.
 Adesso arriva questo studio, secondo il quale gli studenti hanno ottenuto risultati molto diversi nel patentino rispetto all’esame del quadro europeo. Essendo il quadro europeo di riferimento il valore riconosciuto in tutta Europa per la conoscenza delle lingue, se un altro esame dà risultati diversi il problema lo ha questo secondo esame, non certo il quadro. Il patentino dunque non solo è illegale, ma anche inaffidabile dal punto di vista didattico. Secondo me questa è la vera novità dello studio dell’Eurac.
Sara Carati

Alto Adige 27-11-09
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sabato, 21 novembre 2009

Musei sotto le stelle: un programma ricco fino a notte inoltrata


Museo Civico Bolzano


L’ottava edizione in programma venerdì prossimo

Tutti gli eventi gratis. Molte iniziative per i bambini BOLZANO. «Musei sotto le stelle», ovvero l’ottava Lunga Notte dei musei di Bolzano: venerdì prossimo sette musei bolzanini terranno aperte le loro porte fino alle prime luci dell’alba. Dalle 17 all’una di notte i visitatori potranno ammirare in orari inconsueti i musei e prendere parte a numerosi eventi speciali. Tra le 17 e le 20 il programma è pensato appositamente per le famiglie, con visite guidate, giochi e divertimento assicurato per i bambini. Otto ore di manifestazione, dalle 17 alle 1, ed un programma ghiotto e completamente gratuito promettono una lunga notte suggestiva e piena di sorprese. I figuranti in costume medievale a Castel Roncolo e i tesori d’arte sconosciuti del Museo Civico, la mostra sul Liberty al Museo Mercantile e la scuola di una volta al Museo della Scuola, il Museo Archeologico popolato di Romani e Celti e la musica da ballo al Museion, il concerto al Museo di Scienze Naturali ed i laboratori per i bambini: sono solo alcuni degli appuntamenti che fanno della Lunga notte dei musei di Bolzano 2009 l’idea giusta non solo per chi ama rilassarsi in un ambiente stimolante, ma proprio per tutti, grandi e piccoli. Per agevolare gli spostamenti dei visitatori, fino all’una di notte è previsto un servizio di bus navetta gratuito che collega i sette musei bolzanini. Le fermate sono: Museo di Scienze Naturali, piazza Walther, Museion, Museo Archeologico e Castel Roncolo. Il programma dettagliato della lunga notte con la mappa delle fermate si può visionare in internet all’indirizzo www.lunganotte.it o nelle piccole brochure blu disponibili in tutti i musei partecipanti. Aderiscono alla Lunga notte dei musei di Bolzano di venerdì 27 novembre 2009 Castel Roncolo, il Museo Civico, il Museo Archeologico dell’Alto Adige, il Museo della Scuola, il Museion, il Museo Mercantile ed il Museo di Scienze Naturali dell’Alto Adige. Giunta quest’anno alla sua 8º edizione, la manifestazione «Lunga notte dei musei di Bolzano» è sostenuta da anni dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Bolzano. L’iniziativa è stata presentata ieri nel corso di una conferenza stampa che per il Comune capoluogo ha visto la partecipazione dell’assessore alla Cultura Primo Schoensberg. Presenti anche tutti i direttori dei musei e dei castelli che partecipano alla Lunga Notte.

Dalle 22.30 la nottata si chiude all’insegna della musica da ballo, con dj Antonio Lampis in consolle al Museion Underground.

Alto Adige 21-11-09
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mercoledì, 11 novembre 2009


Torna il Dalai Lama e un incontro pubblico ce lo farà conoscere


Dalai Lama

L’appuntamento (a iscrizione) martedì all’Eurac rientra nella rassegna «Incontrando i premi Nobel»

 BOLZANO. Tornerà per la terza volta a Bolzano, la prossima settimana, Tenzin Gyatso, ovvero meglio noto nel mondo come il 14º Dalai Lama, già insignito fra l’altro del premio Nobel per la pace.
 Lo stretto rapporto del capo temporale e spirituale del popolo tibetano con l’Alto Adige è legato anche al fatto che il modello dell’autonomia altoatesina potrebbe rappresentare una valida soluzione per risolvere in maniera stabile i tormentati rapporti tra Cina e Tibet. E’ stato proprio l’impegno del Dalai Lama a favore di una pacifica risoluzione del conflitto tra questi due Paesi ad essergli valso nel 1989 l’assegnazione del premio Nobel per la pace. Mentre il ruolo politico e spirituale del Dalai Lama è riconosciuto e apprezzato in tutto il mondo, meno noti sono gli aspetti legati alla sua persona, alla sua famiglia, alla sua infanzia, alla straordinaria vita di un bambino di due anni a cui viene comunicato di essere la reincarnazione del Dalai Lama.
 Proprio in questo senso, nell’ottica della sua nuova visita in Alto Adige, l’incontro pubblico in programma per martedì 17 novembre alle ore 10 all’Eurac di Ponte Druso, vuole essere un’occasione per conoscere più da vicino il simbolo vivente del Tibet, o “Oceano di Saggezza”, come lo chiamano i tibetani. L’iniziativa dell’incontro pubblico - promossa da Eurac e Fondazione Cassa di Risparmio - si inserisce all’interno della rassegna “Incontrando i premi Nobel” che ha già visto la partecipazione di Rita Levi Montalcini e Alfonso Pérez Esquivel. Per partecipare all’incontro è necessario iscriversi, telefonando al numero 0471 - 055045; è prevista la traduzione simultanea in italiano e tedesco.
 La visita del Dalai Lama all’Eurac consolida lo stretto legame che unisce il centro di ricerca altoatesino al Tibet. Dall’inizio degli anni Novanta i giuristi e gli esperti in diritti delle minoranze dell’Eurac offrono consulenza al governo tibetano in esilio, soprattutto in riferimento alla questione dell’autonomia. Nel contesto di questo rapporto di collaborazione, nel pomeriggio il Dalai Lama parteciperà al convegno “Autonomia regionale, identità culturale e integrazione multinazionale: esperienze comparate per il Tibet”, organizzato dalla Provincia di Trento in collaborazione con il Dipartimento di scienze giuridiche dell’Università di Trento e con l’Istituto per lo studio del federalismo e del regionalismo dell’Eurac.


Alto Adige 11-11-09



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martedì, 27 ottobre 2009


“Chi semina legalità raccoglie giustizia - L’importanza di educare”


don Ciotti

In arrivo un convegno con, fra gli altri, don Ciotti e Caselli Per sicurezza serata a numero chiuso e posti da prenotare

 BOLZANO. “Chi semina legalità raccoglie giustizia - L’importanza di educare”: è il titolo e tema del convegno organizzato a Bolzano, il 6 e 7 novembre, dal Centro per la pace del comune di Bolzano con la rete Libera. La serata di apertura, venerdì 6 novembre al Teatro Cristallo di via Dalmazia 30, vedrà dalle ore 20.30 la consegna del “Premio Madre Terra” a don Luigi Ciotti, ma non solo.
 Don Ciotti infatti relazionerà su “L’impegno educativo per liberare un altro futuro”, e poi ci sarà la presentazione del libro “Le due guerre. Perchè l’Italia ha sconfitto il terrorismo e non la mafia”, con l’autore, il procuratore capo Giancarlo Caselli, intervistato da Francesco Comina. Per ragioni di sicurezza questa serata sarà a numero “fisso”, con 400 posti (poi non entra più nessuno), da prenotare inviando una mail a centropacebz@gmail.com. Il giorno dopo, sabato 7 novembre, convegno alla Scuola professionale di via Santa Geltrude 3, dalle ore 9.30 in poi su vari argomenti: “Per una mappa geosociale delle risposte alle attività illecite” con Petra Reski, Cuno Tarfusser, Andrea Di Nicola, Laura Garavini; dalle 15 “Il dovere di educare, proposte ed esperienze” con Silvana Puglisi, Franca Berti, Francesca Zeni, Elena Paris. Alle 18, “Un giorno un bambino chiederà a suo nonno: cos’era la mafia?”. Infine all’auditorium della scuola professionale alle 20.30 spettacolo teatrale “A Cento passi dal duomo”, di Giulio Cavalli e Gianni Barbacetto, con Giulio Cavalli, musiche in scena di Gaetano Liguori.
 Per info e prenotazioni: centropacebz@gmail.com, telefono 0471 - 402382.

Alto Adige 27-10-09
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giovedì, 22 ottobre 2009



R-Evolution, dedicato a Charles Darwin



Viene inaugurata oggi la mostra dedicata all’Evoluzionismo

Viene inaugurata oggi al Museo di Scienze Naturali, la mostra «R-Evolution». L’esposizione è allestita in occasione dell’Anno internazionale di Darwin e presenta l’evoluzione dal vivo con animali e piante veri. Un’occasione per riflettere sulla varietà e la creatività della natura e per ribadire, una volta di più, che non c’è stampo per revisionismi all’insegna dell’oscurantismo religioso.
 La teoria darwiniana è stata un’autentica rivoluzione e nessuno fino ad oggi è riuscita minimamente a confutarla, nonostante i tentativi siano stati molti visto che entra in rotta di collisione con la teoria creazionista, dura a morire e con ancora un certo seguito, soprattutto negli Stati Uniti. Milioni di specie, lotta per la sopravvivenza in spazi angusti e con difficoltà di adattamento: nessuno sa esattamente quanti tipi di animali e piante esistono oggi sulla terra. Si stima sui 13 milioni.
 I ricercatori scoprono sempre nuove specie e altre hanno già perso la «lotta alla sopravvivenza» o corrono il rischio di estinzione. Questi cambiamenti tipici di una natura animata fanno parte dell’evoluzione.
La cerimonia di inaugurazione è prevista per le 17.30 alla presenza - molto interessante per certi versi - del vescovo Golser e del presidente della giunta provinciale, Luis Durnwalder. Grazie a piante e animali viventi, la mostra intende mostrare come l’evoluzione sia un processo visibile all’interno dei fenomeni naturali. La rassegna illustra l’incredibile varietà della natura prendendo le mosse dal viaggio compiuto da Charles Darwin 175 anni fa in seguito al quale il celebre naturalista rivoluzionò completamente la percezione della natura. L’esposizione si pone inoltre il quesito dell’uomo «creatore di evoluzione»: attraverso gli allevamenti e le coltivazioni con cui dà vita alle proprie varietà naturali. La domanda di fondo è quindi sostanzialmente una: l’uomo è in grado di influire sul corso dell’evoluzione?
«R-Evolution» rimarrà aperta al pubblico fino al 5 settembre 2010 tutti i giorni, tranne il lunedì, dalle ore 10 alle 18.

Alto Adige 22-10-09
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domenica, 18 ottobre 2009


Radiografia del sistema Alto Adige


Alexander Langer

Autonomia e convivenza nella nuova pubblicazione dell’Istituto Pedagogico

GIANCARLO ANSALONI

Ènecessaria una riedificazione dell’autonomia, mediante una efficace riforma, basata su un nuovo patto fra i gruppi linguistici che convivono in Alto Adige/Südtirol?
A questo interrogativo di non poco conto è dedicato il numero 38 (aprile 2009) della rivista «Rassegna», il periodico quadrimestrale dell’Istituto Pedagogico del gruppo linguistico italiano con una serie di interventi firmati da alcuni fra i più autorevoli politologi, storici e docenti universitari regionali ed extra. Tema: «Autonomia e convivenza in Alto Adige».
 Il compito di inquadrare la problematica nel suo complesso è affidato all’editoriale del politologo Günther Pallaver, docente presso la Facoltà di Scienze politiche e sociologiche di Innsbruck, che esordisce con una sintetica rassegna dei temi trattati dai vari autori: lo stato dell’autonomia sotto gli aspetti politico-istituzionali (Alessandra Zendron), vecchi e nuovi nazionalismi (De Luca, Heiss, Pramstrahler) la scuola (Carlo Bertorelle, coordinatore della rivista), la convivenza (Giorgio Mezzalira e lo stesso Pallaver), nonché l’integrazione europea (Woelk e Telò).
Pallaver passa quindi alla sostanza del problema affermando che essa non risiede tanto nello Statuto in sé (che tra l’altro è stato più volte modificato toccando anche pilastri fondamentali, quali ad esempio la proporzionale etnica e necessiterebbe comunque di una revisione parziale, vedi il sistema scolatico etc.), quanto invece nell’accettazione dell’autonomia come modello per una convivenza accettata da tutti, con pilastri stabili, alla cui costruzione concorrano tutti.
«C’é bisogno non di esclusione, ma di inclusione - scrive Pallaver - soprattutto psicologica, specie da parte del gruppo italiano».
 Ma per arrivare a questo obiettivo i gruppi linguistici devono fare i loro compiti senza tutori esterni, guardando insieme, non già al triangolo Roma-Vienna-Bolzano, bensì all’Europa come progetto pacificatore che ha superato lo stato nazionale».
 Non particolarmente ottimistica la diagnosi di Alessandra Zendron («Lo stato dello Statuto»), che sottolinea il mancato riconoscimento dell’istituzione autonomistica come Costuituzione locale: a differenza di una decina di anni fa, oggi non si sentono più molte proposte di riforma.
Non esistono - secondo Zendron - convergenze sufficienti. Un rallentamento dovuto forse alla stanchezza dopo tanti decenni in cui l’autonomia si è identificata con l’accanimento normativo.
 È forte il timore che anche di fronte a un attacco all’autonomia non si sappia fare fronte comune perché, o si presume di non avere bisogno di altri o non ci si senta motivati a difendere un sistema cui si partecipa solo a metà».
 Secondo Jens Woelk, esperto di diritto pubblico comparato presso l’ateneo di Trento, si occupa dell’autonomia nell’integrazione europea: con l’allargamento del contesto in cui si pone la questione sudtirolese. la maggioranza della popolazione, quella di lingua tedesca non si trova più in una situazione di minoranza, visto che lo stesso Stato italiano deve a sua volta inìtegrarsi nell’Unione europea, allargando i confini.
 Lo storico Giorgio Mezzalira («Un nuovo patto territoriale tra gruppi linguistici») ritiene che «allargare la rete orizzontale di cooperazione fra i gruppi per aumentare la fiducia e il consenso all’autonomia puntando sul senso di appartenenza territoriale potrebbe contribuire a bilanciare autonomia territoriale e diritti delle minoranze».
 Il politologo Werner Pramstrahler si addentra invece in una interessante quanto complessa analisi del concetto odierno di populismo e delle diverse forme in cui si manifesta (social-nazional -, etno- e radicalpopulismo, arrivando alla conclusione che di recente è cresciuto con successo un vero e proprio socialpopulismo, derivante da mutamenti nel sistema sociale ed economico e da una diffusa critica alla casta politica.
Nel suo contributo lo stesso Guenther Pallaver torna su un tema già dibattuto in passato, cioè i media e l’opinione pubblica.
 Dove sta il problema? Nel fatto che alla separazione etnica, sulla quale si fonda «il sistema Alto Adige» corrisponde una separazione etnica anche nel sistema mediatico che ostacola la creazione di un’identità del «Noi» che potrebbe invece rafforzare una convivenza pacifica e costruttiva.
Carlo Bertorelle si occupa del sistema formativo nell’ambito dell’autonomia, esprimendo la convinzione che è inutile invocare un nuovo statuto, perché basterebbe forse usare tutte le potenzialità di un’autonomia collaudata ormai da decenni: non si tratta di stravolgere il sistema educativo nei suoi pilastri fondamentali, ma di potenziare la cultura del cambiamento, attingendo alle esperienze pedagogiche e formative migliori a livello europeo e aggiungendo solo la volontà di applicarle con convinzione.

Alto Adige 18-10-09
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martedì, 13 ottobre 2009


Prove di patentino con simulazioni, test e consigli utili


prove di patentino


Al Centro multilingue di via Cappuccini si presentano i servizi di sostegno all’esame

 BOLZANO. Per quanto giusto possa essere averlo come testimonianza della conoscenza della seconda lingua, in Alto Adige il termine “patentino” è uno dei più fastidiosi per chi ci si deve confrontare. Anche perchè gli esami non finoscono mai, De Filippo docet, ma soprattutto sono una bella rottura... Tornando all’esame di bilinguismo, oggi e domani al Centro multilingue, all’interno del Centro Trevi in via Cappuccini 28, per tutti gli interessati sono a disposizione informazioni e consulenze, con simulazioni delle prove scritte e orali per superare l’esame di bilinguismo. Per far conoscere meglio ai cittadini i servizi a sostegno dell’apprendimento della seconda lingua, in questo caso il tedesco, con la finalità del conseguimento del patentino di bilinguismo, l’Ufficio bilinguismo e lingue straniere della Ripartizione provinciale cultura italiana ha pensato a queste due giornate di “porte aperte”. L’Ufficio bilinguismo, del resto, da anni è impegnato sul fronte del favorire la conoscenza del tedesco e investe risorse per la promozione del bilinguismo, sostenendo progetti e sperimentazioni.
 Tornando all’iniziativa di oggi e domani, durante le giornate delle porte aperte dedicate al patentino i visitatori avranno la possibilità di partecipare a simulazioni delle prove scritte e orali, ricevendo suggerimenti e indicazioni personalizzate per affrontare al meglio gli esami, da parte degli addetti del Servizio esami di bilinguismo e dell’Ufficio bilinguismo e lingue straniere che metteranno a disposizione anche vari materiali didattici e informativi.
 Le scuole potevano riservare, su prenotazione, le mattinate delle giornate delle porte aperte, mentre l’accesso libero per tutti gli interessati, oggi e domani è riservato al pomeriggio, dalle ore 15 alle 18.30.

Alto Adige 13-10-09
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martedì, 13 ottobre 2009



Scuole elementari e medie, voti in numeri


voti in numeri


BOLZANO. Nelle scuole elementari e medie tornano i voti in numeri. Lo ha deciso la Giunta provinciale, recependo le linee indicate dalla riforma nazionale. Con il provvedimento, viene introdotto al termine dei due cicli di studio anche il «giudizio di competenza», ovvero le indicazioni sulle particolari attitudini e debolezze dei singoli alunni.
 Le novità, che saranno in vigore già da quest’anno, sono state illustrate ieri mattina dal presidente Luis Durnwalder.
 Alcuni elementi differenziano l’Alto Adige rispetto al contenuto della riforma nazionale. Nelle scuole elementari e medie i voti numerici avranno uno «sbarramento» in basso, dettato da ragioni pedagogiche e didattiche: per il primo ciclo il voto non potrà essere inferiore al 5, per le medie al 4. Al voto numerico sarà affiancato in entrambi i casi anche il giudizio descrittivo, mentre la riforma nazionale lo prevede solo per le elementari.
 Per quanto riguarda l’insegnamento della religione, non è stato toccato l’attuale sistema: il docente mantiene il «diritto di voto» negli scrutini, che cade per quegli alunni che hanno l’esenzione. Per essere esclusi da questa materia, i genitori dovranno fare esplicita richiesta di esenzione. Resta invariato il principio - lo ha sottolineato ieri l’assessore all’istruzione Christian Tommasini - che il voto di religione non fa media: non sarà dunque possibile essere bocciati per un’insufficienza in questa materia o, per quanto riguarda le superiori, accumulare debiti formativi.
 Positive le prime reazioni al recepimento della riforma. «Il punto più qualificante è l’introduzione del giudizio di competenza - commenta Giulio Klamer, dirigente delle scuole Dante Alighieri - in questo modo i genitori potranno farsi un’idea chiara, comprendendo i punti di forza e di debolezza dello scolaro, senza trovarsi di fronte a sorprese nei risultati finali». Klemer giudica positivamente anche lo «sbarramento» sui voti numerici: «Questa decisione va letta soprattutto in chiave pedagogica, il voto non può essere sanzionatorio o punitivo, non bisogna dare ai bambini messaggi di disfatta». Klemer è d’accordo anche sul mantenimento dell’insegnante di religione nel consiglio di classe: «Se questa materia è prevista nel curriculum, non è possibile che il docente non possa aver poi peso nella valutazione. Non dimentichiamo, infine, che la materia ha un obbiettivo culturale e non confessionale», ha concluso il dirigente scolastico.
 «I voti numerici sono facilmente comprensibili e questo è un vantaggio - commenta il sostituto sovrintendente Claudio Vidoni - ma non sono esaustivi dal punto di vista pedagogico e didattico, non definisco il grado di maturità e apprendimento di uno scolaro. A questi saranno affiancati, per entrambi i cicli scolastici, i giudizi descrittivi». Lo sbarramento sui voti più bassi, secondo Vidoni, era necessario: «Dobbiamo dare agli scolari la possibilità di recuperare, la scuola - conclude il sostituto sovrintendente - non può essere selettiva così precocemente».
(g.f.p.)

Alto Adige 13-10-09
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categoria:cultura, provincia di bolzano
domenica, 11 ottobre 2009


Al centro Trevi le atmosfere barocche delle famiglie romane


Barocco Romano



Dopo l’esposizione del Barocco napoletano del Museo di Capodimonte di Napoli, l’esplorazione dell’arte barocca propone un viaggio nella Roma del ’600, con un allestimento che comprende 15 opere provenienti da Palazzo Barberini di Roma. Un’iniziativa pensata dalla Ripartizione cultura in lingua italiana della Provincia. L’evento ricrea le atmosfere di Roma nella prima metà del Seicento, dove il senso dello spettacolo diventa la chiave dominante della città barocca. Le grandi famiglie degli Aldobrandini, Borghese, Ludovisi, Barberini, Pamphili, vantano tutte un Papa in famiglia e costruiscono la loro immagine pubblica attraverso collezioni di opere d’arte ospitate in ambienti riccamente decorati. Prova di un gusto raffinato e di una capacità di spesa intesa come virtù in sé. Il linguaggio artistico diventa sempre più propagandistico, ricco ed emotivamente coinvolgente per esaltare, secondo la logica dell’assolutismo, le virtù dei Papi. Queste collezioni contribuiscono a creare un’immagine pubblica di queste nobili famiglie italiane ed europee. A Roma il potere dei papi incide fortemente anche sulla politica culturale, uomini colti, raffinati e potenti, danno vita a collezioni ingenti che vengono mostrate ai visitatori durante i ricevimenti che i padroni di casa offrono nei loro palazzi.
 L’esposizione dedicata al barocco romano si suddivide in due temi: quella classicista, nata sulla scia del naturalismo dei fratelli Carracci e rappresentata in mostra dai protagonisti emiliani Guido Reni, Lanfranco, Albani, Guercino e quella più marcatamente barocca, testimoniata da Gian Lorenzo Bernini, il cui “David” funge da perfetto emblema dell’esposizione, Pietro da Cortona, Giovan Battista Gaulli detti il Baciccio, Lanfranco, Nicolas Poussin.
 I quadri sono esposti allo stesso modo in cui venivano presentati all’interno delle logge nelle collezioni private, in un ambiente scenografico ricostruito per ricreare l’ambiente suggestivo del Seicento a Roma. Lo spettatore verrà accompagnato solo mediante una visita guidata da un esperto che svelerà i segreti dello stile barocco.
Attraverso il racconto della guida il visitatore riuscirà a leggere il senso delle scene allegoriche e gli enigmatici simboli che osannavano il nome dei potenti.
 Il linguaggio artistico che si impone nel periodo del Barocco romano, è sempre più quello propagandistico, ricco e coinvolgente sul piano emotivo. La luce diventa l’elemento trainante del “mirabil composto”, come lo definisce Bernini, cioè la miscela di spettacolo e tensione emotiva che è la nota dominante della decorazione barocca. Il senso dello spettacolo è la chiave della città barocca: a Roma, nella metà del Seicento, tutto diviene spettacolo. Roma è una città cosmopolita. La presenza di folte schiere di stranieri durante tutto il ’600 non deve stupire. Da circa un secolo Roma, per il suo prestigio religioso come sede della corte papale ma anche per il suo primato antico e moderno nelle arti, è riconosciuta “caput mundi”.

Alto Adige 11-10-09
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sabato, 26 settembre 2009


Il pane dell'Alto Adige tra cultura e tradizione: ogni paese ha le sue specialità




Una eredità contadina trasmessa con amore

La domanda di pane quotidiano è antica quanto la storia stessa dell’umanità.
 E questo vale per l’Alto Adige come per tutto il mondo. In Alto Adige, più in particolare, perchè qui scorre la linea di separazione trab le due civiltà del pane: tra l’antica popolazione romana che mangia abitualmente pane bianco ed quella tedesca più abituata al pane di segala.
 Ma essendo l’Alto Adige anche una terra di contadini, particolarmente di montagna, esso si dimostra nel campo del pane più vario e più ricco di molte altre regioni. Qui, infatti, troviamo i più alti masi produttori di grano d’Europa. Per esempio, il Finailhof a quota 1945 in Val Senales, oppure lo Stallwieser a quota 1931 in Val Martello.
 Ricordiamo, poi, che i contadini produttori di grano della Val Aurina compiono ogni anno un pellegrinaggio di tre giorni alla Madonna del Grano a Casteldarne in Val Pusteria. E non vi è battesimo, matrimonio o festa in genere (anche ai funerali) dove non si serva un determinato tipo di pane, lavorato secondo le antiche usanze.
 Da notare che nel Medioevo la Val Venosta era considerata il granaio del Tirolo ed è interessante osservare le varie strutture architettoniche dei forni per il pane nei masi altoatesini ancora in funzione oppure dismessi.
 Certamente, la cerealicoltura è diminuita considerevolmente per lasciare il posto alle piantagioni intensive di mele e solo in poche zone si usa ancora cuocere il pane una o due volte all’anno per poi conservarlo nel sottotetto, arieggiato come si deve, oppure nelle apposite dispense.
 Comunque c’è da dire che i panifici altoatesini - con con l’adozione dei più nuovi macchinari produttivi - restano una pecularietà famigliare: il mestiere è stato tramandato con amore di generazione in generazione consegnando ai giovani la preziosa eredità contadina.


Il programma dettagliato è consultabile sull’apposito sito Internet www.mercatodelpane.it

Alto Adige 26-09-09
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venerdì, 25 settembre 2009


A Bolzano si parla di multilinguismo nel nome di Dante




Della lingua italiana è, per merito e antonomasia, il padre acclarato. Logico, dunque, che la società più grande e prestigiosa votata alla difesa e alla valorizzazione dell’italiano porti il nome del più sommo tra i poeti: Dante Alighieri. Stuzzicante, invece, che il grande congresso internazionale biennale della “Società Dante Alighieri” si svolga nella provincia di Bolzano, realtà dove le lingue hanno un peso specifico maggiore.
 Bolzano offre dunque la possibilità di affrontare il grande tema del multilinguismo come base dell’identità europea da un proscenio indubbiamente sensibile.
 “Storia, arte e lingue” è il titolo del 79º Congresso che da oggi a domenica porterà Bolzano e Merano al centro della scena culturale nazionale, con l’alto patronato del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il patrocinio delle Presidenze del Consiglio dei Ministri e quello della Regione. Un programma denso che circumnavigherà l’universo della lingua di Dante, voluto fortemente da Giulio Clamer, presidente del comitato cittadino, che il sommo poeta lo porta nel destino dirigendo la scuola primaria a lui intitolata.
 Stamattina, dunque, si entra nel vivo della manifestazione quando, alle 9.30, nell’aula magna della Lub si apriranno ufficialmente i lavori con l’esecuzione dell’inno nazionale. Immediatamente a seguire l’intervento di Bruno Bottai, ambasciatore e presidente della Società, la lettura del messaggio di Giorgio Napolitano e i saluti di Gianni Letta, sottosegretario alla presidenza del Cdm, Luis Durnwalder, Christian Tommasini, Luigi Spagnolli, Daniela Rossi Saretto, Mauro Minniti, Marco De Paoli, il vescovo Karl Golser, Giulio Clamer e il padrone di casa Walter Lorenz, rettore della Lub.
 Alle 10.30 spazio alle lectio magistralis di Michael Metzeltin “L’italiano nell’impero asburgico”, della presidentessa dell’Accademia della Crusca Nicoletta Maraschio “L’italiano contemporaneo nel contesto regionale, nazionale e europeo”, Luca Serianni “L’italiano all’estero attraverso tre edizioni dell’annuario” e Marco Forni “Espressioni metaforiche in ladino-gardenese tra italiano e tedesco”. In poco più di tre ore il meglio che si possa desiderare in campo linguistico a livello nazionale. Subito a seguire spazio alle firme dei protocolli d’intesa tra la Società e la Provincia di Bolzano, la Fondazione concorso Busoni e Alma Edizioni.
 Nel pomeriggio, sempre nell’aula magna dell’Università, il taglio della rassegna si fa più locale. Dalle 16.30, infatti, si alterneranno sullo scranno dei relatori l’ex rettore della Lub Rita Franceschini, Giuseppe Patota (Progetto Lingua Italiana Dante Alighieri), Isabella Donfrancesco (rai Educational) e Giulia Scarpa (Alma Edizioni) che, ciascuno nel proprio ambito, affronteranno il tema del multilinguismo in Europa e delle certificazioni di conoscenza dell’italiano che tanto hanno fatto discutere la politica locale in queste settimane.
 Alle 19.30 la carovana si sposta all’Auditorium di via Dante (neanche a farlo apposta) per la proiezione in anteprima mondiale dei video “In viaggio con Dante” e “In viaggio coi poeti”, seguiti dalla stimolante lettura del divin narratore effettuata dall’attore Enrico Salimbeni.
 Sabato si riparte alle 10, sempre nell’aula magna Lub, con le relazioni ad ampio interesse locale di Sommer-Mathis (ÖAW), dello scrittore Josef Zoderer, del Sovrintendente ai Beni Culturali Josef Andergassen e di Mauro Ponzi dell’Università romana de “La Sapienza”.
 Alle 15.30, invece, sale in cattedra il sindaco Spagnolli che racconterà la storia della città prima che Antonio Lampis, direttore della Ripartizione provinciale della cultura, affronti l’aspetto della promozione culturale sul nostro territorio. Alle 16.15 altra tavola rotonda sulla promozione del libro italiano all’estero prima del trasferimento a Merano per l’ultima giornata.
 Domenica, infatti, al Kurhaus alle 9.30 ci sarà spazio per il comitato meranese della Società, con la presidente Rosanna Pruccoli a fare da padrone di casa. Di taglio locale e internazionale anche gli interventi di Alfred Noe (Università di Vienna), Renato Martinoni (Università di San Gallo), Luca Clerici (Università di Milano) e Siegfried De Rachewiltz (direttore del Museo di Castel Tirolo che passerà in rassegna i personaggi famosi di passaggio in Alto Adige).
 Alle 11.30 tavola rotonda finale e assegnazione della città per il congresso 2011, contestualmente alle conclusioni di Bottai. Una lunga commedia, se non divina, sicuramente senza precedenti per l’Alto Adige.

di Alan Conti

Alto Adige 25-09-09
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domenica, 20 settembre 2009



Gli studenti vogliono più tedesco




di Valeria Frangipane
 BOLZANO. Si è parlato di convivenza e integrazione ieri mattina nell’aula magna del liceo scientifico Torricelli, all’inaugurazione dell’anno scolastico.
 Studenti (composti ed educati) di varie scuole superiori italiane, hanno ascoltato il saluto dell’assessore Tommasini «la nostra scuola è in buona salute e sta crescendo come numero di studenti e progetti» e quello di Vidoni (sovrintendente reggente) «ragazzi studiate perché ci siamo fatti più severi!».
 Giovani attentissimi alle parole dello «scrittore austriaco con passaporto italiano» Joseph Zoderer che ha raccontato del dramma delle Opzioni vissuto sulla sua pelle a soli quattro anni.
 E hanno fatto domande.
 Tante (tutte ragazze, solo un maschio) hanno dimostrato di capire l’importanza di conoscere la seconda lingua, ma hanno chiesto - vista la fatica che si fa ad impararla - perché non si insegni ai piccolissimi già al “nido” ed all’asilo. Insomma i ragazzi hanno domandato più sforzi alla politica per riuscire ad imparare sul serio e prima il tedesco, unica strada perché l’integrazione passi dalle parole alla realtà.
 In sala, seduto in prima fila, anche l’intendente della scuola tedesca Peter Höllrigl che dopo aver ascoltato tutti ha detto la sua: «Innanzitutto sono molto felice di essere qui, ringrazio Tommasini e Vidoni per avermi invitato, forse è la prima volta che succede. Ma vi dico che per me imparare il tedesco o l’italiano non è solo una questione di ore di lezione. Ogni tanto qualche professore che viene da fuori mi dice “Ma con tutte le ore che avete l’altra lingua la dovreste imparare... eccome!”. Ecco, penso che sia arrivato per tutti il momento di riflettere. Penso che forse non si impara il tedesco perché manca la voglia. Siate curiosi dell’altro. Credo che sia l’unica maniera per uscirne». Un chiaro invito a frequentarsi ed a conoscersi perché altrimenti non se ne esce. Stesse parole pronunciate da una studentessa che si è alzata ed ha parlato alla platea dei coetanei: «Dobbiamo frequentare i tedeschi, per impararlo sul campo». Anche Zoderer ha parlato di “voglia”: «Se la scuola non può far tutto mettetevi davanti alla tv tedesca, andate al cinema a vedere un film in tedesco. Ma dovete avere voglia di farlo, non vi dico che dovete metterci... amore». Per Tommasini che si dice sempre pronto a fare di più «dobbiamo superare i pregiudizi politici, scambiare docenti, scambiare le classi ed approfittare anche dell’anno di scambio», i professori possono fare molto ma non fanno ancora miracoli. «Prendete il mio caso. Ho studiato all’Università di Bologna ma dopo sono andato alcuni mesi a Berlino. Tra i banchi si può moltissimo - conclude - ma non tutto».

Alto Adige 20-09-09
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domenica, 13 settembre 2009



Le lingue a scuola Dai Paesi Baschi una lezione di libertà



di Luca Sticcotti
La società altoatesina è caratterizzata oggi dalla compresenza di vecchi e nuovi pregiudizi, che si intersecano con un’evoluzione politica e culturale estremamente rapida e “stratificata”. Uno dei nodi è quello linguistico, rappresentato da vecchie bandiere contrapposte e spesso fagocitato da bracci di ferro politici come quello degli ultimi giorni relativo al monopolio locale dell’attestato di bilinguismo per l’accertamento delle conoscenze linguistiche. Per parte delle famiglie altoatesine questo si traduce nella cronaca insufficienza della formazione scolastica in tema di seconda lingua, oggi amplificata dalla necessità di padroneggiarne una terza. In questo panorama si distingue la Libera Università di Bolzano, un tempo vittima anch’essa di veti contrapposti, ed oggi invece all’avanguardia a livello europeo. La spinta della Lub verso il Sudtirolo del futuro, finalmente pacificamente plurilingue, ha vissuto in questi giorni un ulteriore passo, attraverso l’ospitalità accordata al 6° convegno mondiale sul plurilinguismo. A margine di questo importante avvenimento accademico abbiamo avuto occasione di incontrare il professor Durk Gorter (in foto), esperto olandese di educazione plurilingue ma da anni attivo nei paesi baschi. Il professor Gorter è uno dei maggiori esperti a livello mondiale in merito alla forme di didattica plurilingue nelle zone caratterizzate da minoranze linguistiche.
Professor Gorter, quali sono i problemi legati alla scuola trilingue?
 «Il passaggio dall’approccio monolingue a quello bilingue e poi plurilingue presuppone un cambiamento del modo di pensare, delle abitudini, in definitiva del modello di società. Va superato il modello antico «una lingua - uno Stato» ma la difficoltà sta poi nel gestire le cose, nel trovare modelli didattici e scolastici adeguati. L’ulteriore spostamento verso il modello trilingue porta ad una situazione più complessa, che presenta anche però più possibilità. Io provengo dalla Frisia, una regione dell’Olanda fortemente caratterizzata dal contesto plurilingue ed ora lavoro nei paesi Baschi dove esiste pure una situazione plurilingue, ma completamente diversa. Sono situazioni che troviamo in molte zone d’Europa e l’Unione da anni ha inviato una direttiva in ogni paese affinché nelle scuole, a partire dalle elementari, si insegni la lingua madre abbinata a due lingue non native. In Italia di norma abbiamo l’italiano, poi vi è l’inglese e quindi resta lo spazio per una terza lingua. Normalmente si tratta di tedesco, francese e spagnolo. Ci sono poi le lingue delle minoranze che si aggiungono al contesto. In Sudtirolo questa situazione è rappresentata dai ladini, che si muovono dunque a scuola in un contesto quadrilingue. Io mi occupo in particolare proprio della situazione delle lingue minoritarie. In Frisia abbiamo frisone, olandese e inglese, ma l’inglese non è una vera lingua straniera. L’inglese è presente in televisione, tutti i giorni. Lo si trova poi nel computer, nei giochi, nella società. Nei paesi baschi invece l’inglese ha un ruolo molto diverso, molto più simile a quello che ha in Italia. In Spagna e in Italia sono in pochi a conoscere la voce di Obama, così come le vere voci dei divi del cinema. Ma le similitudini tra paesi Baschi ed Alto Adige finiscono qui. Nel nord della Spagna la maggioranza dei bambini parlano a casa lo spagnolo (il 70%), ma la maggior parte di essi frequenta invece scuole dove il basco è la lingua principale. E’ come se i bambini di madrelingua tedesca nella maggior parte frequentassero le scuole italiane, e viceversa per i bambini di madrelingua italiana. Tutto questo accade perché la lingua basca è percepita come una lingua che se non venisse promossa a scuola potrebbe scomparire. Nella mia terra d’adozione studio in particolare le competenze linguistiche «scritte» degli adolescenti, concentrandomi su quanto le lingue «altre» influenzino la capacità di scrivere in una determinata lingua. Più che sui contesti scolastici concentro la mia attenzione sulla comunicazione scritta informale, soprattutto sms e chat in internet. I ragazzi scrivono tantissimo e spesso mischiano liberamente e creativamente le lingue. E questo è davvero molto interessante».
Nei paesi Baschi esiste come da noi una forma di verifica ufficiale delle competenze linguistiche, necessaria per accedere al mercato del lavoro?
 «L’esame esiste, ma si concentra solo sulla verifica della competenza nella lingua basca, la conoscenza dello spagnolo viene infatti data per scontata. Ma mentre il vostro “patentino” è un esame locale che non risponde ai criteri del quadro di riferimento europeo, nei paesi baschi i criteri sono stati applicati, anche se in maniera abbastanza personalizzata. In ogni caso la situazione è molto diversa da quella altoatesina. Fino alla morte di Franco l’idioma basco era vietato ed ora ci troviamo in una fase di transizione, che prevede il graduale reinserimento della lingua. Nella pubblica amministrazione gli operatori devo senz’altro conoscere anche il basco, ma la situazione è meno rigidamente regolamenta che in Alto Adige. Occorre anche dire che nei paesi baschi la scuola si è rivelata un modello di successo e sta quindi gradualmente trasformando la società. Nella Frisia, ed oggi anche nei paesi baschi, quando un bilingue entra in un locale pubblico si verifica una sorta di “negoziazione” della lingua: attraverso specifiche strategie rapidamente è possibile fare una sorta di test in merito alla lingua di riferimento del contesto nel quale si tenta un approccio.
In Alto Adige una negoziazione linguistica di questo genere, per la popolazione di madrelingua italiana, è di fatto una pratica d’elite. Infatti è davvero piccola la percentuale di coloro che padroneggiano le due lingue al punto da poterselo permettere. Il grosso problema in Alto Adige per gli italiani è trovare le motivazioni per imparare l’altra lingua in un contesto che mantiene ancora oggi dei pregiudizi di tipo politico. Da noi un tema da anni all’ordine del giorno è quello dell’immersione linguistica, cioè l’insegnamento veicolare di alcune materie “solo” nell’altra lingua, pratica rispetto alla quale, ancora una volta, vi sono pregiudiziali politiche. L’immersione viene pratica nei paesi Baschi?
 «Vi faccio l’esempio della scuola secondaria di primo grado. Nei paesi baschi ci sono scuole con prevalenza della lingua spagnola (A), scuole mistilingui (B) e scuole con prevalenza della lingua basca. La scelta è libera. La particolarità è che la maggior parte delle famiglie di madrelingua spagnola mandano i figli alle scuole con prevalenza della lingua basca. E’ un po’ quello che succede in Alto Adige, per le famiglie italiane che mandano i figli alla scuola tedesca».
Quindi l’immersione è molto praticata, addirittura nella sua forma più “completa”. E per il dialetto cosa succede nei paesi baschi? In Alto Adige è un’ulteriore complicazione soprattutto per la popolazione di madrelingua italiana, che si confronta con un “paesaggio linguistico” dell’”altra” lingua che corrisponde solo in parte a quello oggetto di studio nel contesto scolastico.
 «La lingua basca è “unificata”. Esistono anche dei dialetti, ma sono un fenomeno davvero marginale. A dire la verità la vostra è una situazione davvero particolare: il fatto che la comunità italiana non abbia un dialetto è davvero un’eccezione rispetto a quanto accade nel resto del vostro territorio nazionale, caratterizzato da numerose forme dialetti, anche molto “strette”».
Quanto influisce la politica in merito alla capacità di un territorio di evolvere dal punto di vista plurilinguistico?
 «Le situazioni sono diverse e le soluzioni adottate per un territorio non possono essere prese pari pari in un altro. Senz’altro bisogna avere un buon rapporto con la storia e con l’interpretazione di essa. Un’interpretazione che spesso viene tramandata tra le generazioni. I giovani dei paesi baschi non hanno vissuto l’epoca Franco, ma conoscono molto bene la storia di quel periodo. E certe ferite sono ancora aperte. Un altro elemento fondamentale che può contribuire a camminare più spediti verso il plurilinguismo è l’economia. I genitori tendono a scegliere per i loro figli una formazione che dia maggiori opportunità di lavoro per il futuro, e la conoscenza di più lingue in questo senso è senz’altro fondamentale. Certo la “proporzionale” che avete voi qui riporta senz’altro all’approccio monolingue, e questo non è di certo un vantaggio».
Per l’apprendimento delle lingue occorrono le giuste condizioni e anche delle forti motivazioni. Ma il quadro può essere gravemente pregiudicato quando la politica fa dell’identità etnica (e linguistica) la propria bandiera. Fino ad arrivare a rivendicazioni territoriali contrapposte: “siamo in Italia” oppure “vogliamo l’autodeterminazione”. Anche i paesi Baschi in realtà sono una terra di forti tensioni politiche e di rivendicazioni d’autonomia. Anche da voi la politica ha un approccio così pesante nel determinare lo sviluppo plurilinguistico?
 «Potrebbe sembrare sorprendente, ma devo dire che nei Paesi Baschi la questione linguistica è sempre rimasta ai margini del dibattito politico locale. Il resto della Spagna si disinteressa al problema e non ama di certo la cultura basca, ma questi temi non rientrano nel dibattito sull’autodeterminazione. Naturalmente anche nei paesi Baschi il panorama politico è complesso, ma per darvi un’idea posso dirvi che il partito più conservatore porta avanti la politica della libertà di scelta per la lingua. Esiste senz’altro una gamma più ampia di posizioni politiche, rispetto a quelle presenti qui da voi in provincia di Bolzano».
In Alto Adige la presenza oggi di molti immigrati stranieri sta mettendo in crisi il sistema, da una parte e dall’altra. La conoscenza dell’inglese di una parte di loro, le maggiori motivazioni e il loro preesistente plurilinguismo tendono a dar loro un canale privilegiato rispetto a certe fasce della popolazione autoctona e questi temi rischiano di diventare ulteriori pretesti per politiche di chiusura, fin anche di xenofobia. Anche nei paesi Baschi sono in atto fenomeni di questo tipo?
 «Nei Paesi Baschi l’immigrazione è ancora un fenomeno minoritario. La Spagna di per sé ha una tradizione di apertura nei confronti degli stranieri, riaffermata dal premier Zapatero. D’altronde però questi sono fenomeni in rapida evoluzione e strettamente legati anche all’ordine pubblico e agli equilibri nelle società. In Europa si sono verificate recentemente una serie di situazioni di crisi che portano a soluzioni politiche di chiusura. È successo in Italia ed è successo in Francia, ad esempio, ma non è detto che non succeda anche da altre parti nel prossimo futuro».

Alto Adige 13-09-09
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lunedì, 07 settembre 2009


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venerdì, 04 settembre 2009



Multilinguismo, convegno mondiale



L’Università, in tre giorni di dibattiti, ospiterà 150 relatori provenienti da 30 Paesi. Franceschini: «Occasione unica»

Dal 10 al 12 settembre a Bolzano il gotha internazionale degli specialisti

di Luca Sticcotti
 BOLZANO. Il prefisso «multi» taglia la testa al toro, bandendo di fatto in partenza il dualismo che da decenni infiamma il dibattito locale. Pluralità dunque: nel prossimo futuro tutte le lingue (tante) devono stare sullo stesso piano in una sfida educativa a tutto campo. Questi gli elementi salienti del convegno «3rd Language Acquisition and multilingualism», che dal 10 al 12 settembre riunirà a Bolzano i più grandi studiosi del plurilinguismo a livello mondiale.
Sono previste 90 relazioni, tenute da professori provenienti da 30 nazioni, a dimostrazione del fatto che il plurilinguismo non è un problema specificamente altoatesino ma piuttosto una tematiche che accomuna numerosi territori del mondo.
Dalla conferenza stampa di presentazione dell’iniziativa, svoltasi ieri, sono stati banditi dunque tutti i tabù con i quali siamo abituati a confrontarci, ribadendo una volta per tutte il fatto che il Sudtirolo non è l’ombelico del mondo.
«L’obiettivo del convegno è portare nella discussione sul plurilinguismo, che spesso viene affrontata di pancia, alcuni dati oggettivi» ha detto in particolare Rita Franceschini, direttrice del Centro di Ricerca Lingue. «Il trilinguismo è un fenomeno mondiale, che ultimamente ha acquistato una forza dirompente in seguito alla presenza nelle scuole di bambini con un retroterra di migrazione ed all’introduzione di lezioni di lingua straniera sin dai primi anni di scuola. L’Alto Adige non fa eccezione. Nel corso del convegno si avrà la possibilità di conoscere il modo in cui altri hanno affrontato problemi analoghi». La professoressa Franceschini, ha quindi provocatoriamente ricordato che la provincia di Bolzano è già da tempo terra trilingue, presentando una lingua diffusa (il dialetto tedesco) alla quale si aggiungono le lingue «ufficiali». E a metà discorso è significativamente passata da un perfetto italiano ad un tedesco con evidente accento Schwitzerdütsch, facendo indiretto riferimento alla sua esperienza personale e provocando il sorriso compiaciuto del presidente della Lub Egger, seduto al suo fianco. La Franceschini ha ricordato quindi l’attualissima sfida giocata oggi dalla popolazione locale nei confronti dei nuovi immigrati, quasi tutti bilingui nei paesi di provenienza e quindi mentalmente molto più predisposti all’apprendimento di nuove lingue da aggiungere al proprio bagaglio culturale. Quello di Bolzano è il sesto convegno mondiale sul plurilinguismo. «Il primo è stato nel 1999 e da allora si svolge ogni due anni. È dal 2003 che gli studiosi interessati hano deciso di riuniti nella International Association of Multilingualism (IAM)», ha spiegato Gessica De Angelis, ricercatrice presso il Centro di Competenza Lingue, unico membro italiano del direttivo della IAM e organizzatrice del convegno. Al convegno partecipano oltre 150 relatori provenienti da 30 Paesi dei 5 continenti; i più lontani arrivano da Argentina, Australia, Cina, Malesia, USA, Canada, Marocco, Kuwait, India.
«Con 41 partecipanti, per la maggior parte della Libera Università di Bolzano o del mondo della scuola, è ben rappresentato anche il territorio provinciale», ha assicurato Christoph Nickenig, responsabile del Centro linguistico. «Anche questo è un segno che conferma l’attualità del tema e l’apertura delle intendenze scolastiche che hanno sostenuto attivamente la partecipazione degli insegnanti».
L’iniziativa è stata salutata con toni entusiastici dall’intendente tedesco Höllrigl e dai due responsabili degli istituti pedagogici provinciali Meraner e Portesi. Gli insegnanti altoatesini potranno infatti parteciparvi a titolo gratuito.
Al convegno «3rd Language Acquisition» è ancora possibile iscriversi via web, compilando il modulo scaricabile a questo indirizzo: http://www.unibz.it/en/public/research/language/languagestudies/events/thirdlanguageacquisition.html

Alto Adige 04-09-09
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venerdì, 04 settembre 2009



Aria di rinnovamento con autori giovani e tanto teatro italiano


Il talismano di Carlo Goldoni, 1950-51, regia Fantasio Piccoli.


di Umberto Gandini

«Pecunia non olet», disse l’imperatore romano Vespasiano al figlio Tito che si lamentava col padre che traeva soldi dalla tassa sui cessi pubblici. «I soldi non puzzano» dice - nella commedia «sgradevole» del commediografo George Bernard Shaw - la signora Warren, tenutaria di scuderie di escort per uomini di panza, di finanze e di potere, alla figlia che giudica disonorevole il denaro col quale l’alleva nel lusso.
 Il testo del grande commediografo inglese affronta dunque il tema, attualissimo specialmente in questi nostri tempi di crisi, del rapporto fra morale e finanza, dei modi non sempre commendevoli con i quali i ricchi accumulano e usano la loro fortuna. «La professione della signora Warren» - regia di Marco Bernardi, Patrizia Milani protagonista - aprirà il 22 ottobre la sessantesima stagione del Teatro Stabile di Bolzano, il cui cartellone è stato presentato ieri.
Conforta, nel succoso elenco degli spettacoli che vedremo, la presenza di molte novità italiane, indice d’una vitalità che il nostro teatro di prosa - spesso sospettato di vivere solo di rendita come quello lirico - deve continuamente ridimostrare. Una ventata di novità che bilancia quelle proposte la scorsa settimana dalle VBB e che complessivamente segna una stagione che parte all’insegna del rinnovamento.
Assieme a tre grandi «rivisitazioni» (i «Sei personaggi» di Pirandello con Giulio Borsetti, «L’impresario delle Smirne» di Goldoni con Eros Pagni, «Ditegli sempre di sì» di Eduardo con Geppy Gleijeses), assisteremo a due elaborazioni sceniche di temi classici, come «Le conversazioni di Anna K» di Ugo Chiti con Giuliana Lojodice tratto da «La metamorfosi» di Kafka e «Il paese degli idioti» di e con Tato Russo desunto da Dostoevskij; e infine a ben cinque novità italiane assolute, di cui due messe in scena direttamente dallo Stabile altoatesino: «La malattia della famiglia M» di Fausto Paravidino, ormai star del teatro europeo dopo essere stato lanciato anni fa a Bolzano, e «Precarie età» di Maurizio Donadoni, attore oltre che autore di un dramma che vedrà ancora una volta in scena Patrizia Milani accanto a Maria Paiato, dirette da Cristina Pezzoli, in una storia tutta di e con donne.
Le altre novità italiane saranno «Io e Margaret Thatcher» di e con il «narratore scenico» Marco Paolini, «Il birraio di Preston» di Andrea Camilleri con Pino Micol e Giulio Brogi, «Nel nome di Gesù» di Corrado Augias con Paolo Bonacelli.
A parte Shaw, che Marco Bernardi affronta per la seconda volta (a suo tempo, quasi agli inizi della sua carriera bolzanina, mise in scena «Il maggiore Barbara», anche allora con la Milani), si tratterà dunque di una stagione teatrale tutta «italiana».
Accanto alla «Grande prosa» si potranno vedere, fuori abbonamento, gli «Altri percorsi», cinque allestimenti tutti centrati sulla condizione giovanile e caratterizzati dalla sperimentazione del linguaggio scenico: «Ave Maria per una gattamorta» di Mimmo Sorrentino e del suo milanese Centro di ricerca per il teatro; «X (Ics) - Racconti crudeli della giovinezza» del gruppo multimediale riminese-napoletano Motus; «Only you - La storia di Romeo e Giulietta», elaborazione di un collettivo marchigiano diretto da Antonio Viganò; «Dietro lo specchio - I believe in perfection» di Elena Marino con il gruppo trentino «Teatroincontro - Spazio 14»; e infine una variazione sul tema del cechoviano «Zio Vanja», work in progress del milanese Teatro Litta diretto da Giovanni Scacchetti.
Questi degli «Altri percorsi» sono spesso spettacoli sconcertanti, anche opinabili, però testimonianze di una ricerca senza la quale il teatro non potrebbe progredire e che quindi vanno consigliati agli appassionati (specialmente giovani) non meno delle performances garantite dai grandi nomi e dalle grandi firme.

«Nuove produzioni e attenzione agli adolescenti»

di Daniela Mimmi
Se i giovani non vanno a teatro (o ci vanno poco), è il teatro che va dai giovani. Così Marco Bernardi e il Teatro Stabile di Bolzano hanno pensato bene di cucire, almeno in parte, il programma della prossima stagione sul corpo e sulle menti dei giovani spettatori. La nuova stagione, presentata ieri nello Studio del Teatro Comunale in una come sempre affollatissima conferenza stampa, ritaglia un bel po’ di spazio, tempo, risorse ad hoc per il pubblico under 26. Anche se quel pubblico, come ha detto ieri Marco Bernardi, rappresenta già il 40% degli spettatori. I numeri li ha in mano lui. Noi abbiamo sempre avuto l’impressione che il pubblico under 60 fosse una sparuta minoranza. Ma da oggi, comunque di cambia. Intanto su 17 lavori ben 11 sono opere contemporanee e due terzi del cartellone sono riservati a novità assolute, tra le quali tre nuove produzioni. Quest’anno la stagione parallela si chiama «Altri Percorsi/Giovani» e i 5 spettacoli proposti trattano quasi sempre dei problemi, spesso crudeli, duri, devastanti dell’adolescenza. E inoltre gli attori, e/o l’autore, e/o il regista sono tutti giovani, se non proprio di età, sicuramente nello spirito e nelle idee. Ma i giovani sono presenti per fortuna, accanto agli «attempati» Goldoni e George Bernard Show o Pirandello, anche nella stagione della Grande Prosa. A cominciare da Fausto Paravidino, enfant prodige (e terrible) del nuovo teatro italiano e non solo, sul quale Bernardi vanta un diritto di scoperta. Marco Paolini è giovane se non di età certo di spirito e ha intitolato «Io e Margaret Thatcher» la sua rilettura dei Miserabili. E giovane (abbastanza) è anche Alessandro Baricco che ripropone «Novecento». E poi ci sono le cose intriganti, le riletture curiose, quelle tutte da scoprire. Come quella che Ugo Chiti fa della Metamorfosi di Kakfa. Infine merita molta attenzione «Precarie età» scritto dall’attore Maurizio Donadoni con un tris scoppiettante di donne: Patrizia Milani e Maria Poiato sul palco e Cristina Pezzoli alla regia. E poi ci sono le note dolenti, con le quali Marco Bernardi ha chiuso la conferenza stampa. Nonostante gli attestati di stima venuti ieri da tutti i politici presenti, dal sindaco a Primo Schönsberg a Christian Tommasini, il Teatro Stabile in 5 anni si è visto ridurre il budget del 30%, tenendo conto di un aumento dei costi del 20%. Il prossimo anno il Teatro Stabile di Bolzano spegne le 60 candeline. È il secondo Teatro Stabile più vecchio d’Italia dopo il Piccolo di Milano, che è nato 3 anni prima. Marco Bernardi non lo ha detto chiaramente, ma lo ha fatto chiaramente capire: il prossimo anno ci vuole una bella festa e quindi, che i politici mettano mano al portafoglio.


ABBONAMENTI
 Abbonamenti per la nuova stagione del TSB: dal 15 al 26 settembre gli abbonati alla stagione 2008/2009 potranno riconfermare il loro posto presso le casse del Teatro Comunale (tel. 0471-053800). La vendita dei nuovi abbonamenti per tutti i turni si svolgerà da martedì 29 settembre a domenica 25 ottobre. Prezzi invariati rispetto all’anno scorso.
Alto Adige 04-09-09
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giovedì, 20 agosto 2009



Addio a Fernanda Pivano la musa letteraria della Beat Generation



Fernanda Pivano è morta ieri sera in una clinica privata di Milano, dove era ricoverata da tempo. I funerali si svolgeranno probabilmente venerdì prossimo, a Genova, dove era nata il 18 luglio 1917. La Pivano aveva da poco compiuto 92 anni e oltre un mese fa aveva consegnato a Bompiani la seconda parte della sua autobiografia. Fernanda Pivano è stata giornalista, scrittrice, traduttrice e critica musicale al tempo stesso: un’attività poliedrica che l’ha portata ad essere testimone di avvenimenti e personaggi letterari profondamente radicati nella cultura del secolo passato. È stata una figura di rilievo nella scena culturale italiana, protagonista e testimone dei più interessanti fermenti letterari del secondo novecento, amica, ambasciatrice e complice di autori leggendari, a lei si deve la pubblicazione e la diffusione in Italia degli autori della cosiddetta Beat Generation. Da Genova si trasferì adolescente con la famiglia a Torino. Nel 1941 si laurea in lettere con una tesi in letteratura americana sul capolavoro di Herman Melville, Moby Dick, lavoro che viene premiato dal Centro di Studi Americani di Roma. Nella sua lunga attività la Pivano nel 1943 pubblica per Einaudi la sua prima traduzione, parziale, della Spoon River Anthology di Edgar Lee Masters, lavoro che segna l’inizio della carriera letteraria sotto la guida di Cesare Pavese, già suo professore al liceo. Nello stesso anno si laurea in filosofia con Nicola Abbagnano, di cui sarà assistente per diversi anni. Nel 1948 a Cortina Fernanda Pivano incontra Ernest Hemingway con il quale instaura un intenso rapporto professionale e di amicizia. L’anno successivo la Mondadori pubblica la sua traduzione di «Addio alle armi». Negli anni seguenti curerà la traduzione dell’intera opera di Hemingway, intensificando l’amicizia con lo scrittore americano, del quale sarà più volte ospite in Italia, a Cuba e negli Usa. Dal 1949 al’54 cura per la Mondadori la traduzione dei principali libri di Francis Scott Fitzgerald: «Tenera è la notte» (dapprima pubblicata da Einaudi), «Il grande Gatsby», «Di qua dal paradiso» e «Belli e dannati». Nel 1956 compie il primo viaggio negli Stati Uniti. Nel 1959 appare la sua prefazione a «Sulla strada» di Jack Kerouac, per la Mondadori. Nel 1964 scrive l’introduzione a Poesie degli ultimi americani (Feltrinelli) e nello stesso anno si dedica alla traduzione e cura di Jukebox all’idrogeno di Allen Ginsberg (Mondadori). Nel 1972 cura l’introduzione alla prima raccolta di testi e traduzioni italiane di Bob Dylan «Blues ballate e canzoni» (Newton Compton). Nel 1985 pubblica la biografia di Hemingway, Milano, Rusconi, 1985, che riceve il Premio Comisso nello stesso anno. Nel 1995 pubblica «Amici scrittori» - Mondadori, Raccolta di saggi Nel 2000 pubblica «I miei quadrifogli» - Frassinelli Nel 2002 pubblica uno scritto su Fabrizio De Andrè all’interno del volume «De Andrè il corsaro» assieme a Michele Serra. Nel 2005 è la volta di «I miei amici cantautori» - Mondadori, raccolta di saggi e interviste sui poeti della canzone d’autore e del rock, e «Pagine Americane» (Frassinelli). Nel 2006 pubblica «Spoon River, ciao», mentre l’anno scorso ha pubblicato «Diari (1917-1973)» e «Complice la musica».

Alto Adige 19-08-09
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domenica, 09 agosto 2009



L’Atlante dei dialetti tedeschi «Ma parlate anche Hochdeutsch»



BOLZANO. Dal bavarese al sudtirolese, dal cimbro alle varianti delle vallate svizzere. Un totale di 5.500 fra vocaboli e modi di dire dei dialetti tedeschi parlati, nella variante parlata dagli anziani ed in quella parlata dalle giovani generazioni, sono compresi nel primo atlante sonoro on line predisposto dal germanista di Salisburgo Hannes Scheutz. Il progetto è stato svolto su incarico della Comunità di lavoro delle Regioni dell’arco alpino ArgeAlp che si era posta l’obiettivo di consentire al vasto pubblico di osservare e confrontare direttamente e gratuitamente dal computer la varietà idiomatica dei dialetti di lingua tedesca rappresentati nell’arco alpino a testimonianza delle radici culturali delle sue popolazioni. Fra le varianti linguistiche riportate vi è anche il cimbro parlato nella Valle del Fersina in Trentino. Pur rispettando il fiorire dei dialetti quali espressione di un emergente sentimento di appartenenza e regionalismo, l’assessora alla scuola e alla cultura tedesca Sabine Kasslatter Mur ribadisce come «sia comunque imprescindibile per i sudtirolesi quale minoranza etnica la conoscenza perfetta della lingua tedesca». Per consultare l’atlante sonoro basta visitare il sito Internet http://www.argealp.org/

Alto Adige 08-08-09
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giovedì, 06 agosto 2009



Bellocchio sui luoghi di Ida Dalser: «Che emozione!»

Il regista ha presentato a Pergine il suo film “Vincere”, ospite del festival PSA



Spazio anche al libro di Marco Zeni che ha ispirato il film 


 PERGINE. Ha praticamente trascorso l’intero pomeriggio a Pergine, il regista Marco Bellocchio, salito al “capoluogo” della Valsugana per la proiezione del suo film “Vincere”, preceduta dalla presentazione del libro “La moglie di Mussolini” del giornalista Marco Zeni, che ha ispirato il film. Un’occasione importante per la città e per Pergine Spettacolo Aperto che ha organizzato l’iniziativa in collaborazione con la Provincia di Trento.
 Lo spunto è giunto dalla presenza del film all’interno della rassegna cinematografica “Riccardo Pegoretti”, unitamente all’ormai tradizionale location di una parte della spettacolazione del festival, offerto dagli spazi dell’ex ospedale psichiatrico. Il film racconta le vicende della trentina Ida Dalser e del suo controverso rapporto con il duce Benito Mussolini, da cui ebbe il figlio Benito Albino. La Dalser venne rinchiusa proprio nel manicomio di Pergine. Un’opportunità per mettere sul piatto anche il libro di Marco Zeni, che è stato presentato nel pomeriggio presso le ex cucine in presenza del direttore della Fondazione Museo Storico del Trentino Giuseppe Ferrandi e corredato dall’approfondimento storico di Marta Scalfo ed Elettra Devarda, che qualche lustro fa portarono proprio sul palco del teatro tenda la rappresentazione teatrale della nota vicenda di Ida Dalser. In serata quindi la presentazione del film, in un teatro gremito, prima per ascoltare le parole del regista e poi per godersi la proiezione. Sul palco insieme a lui il presidente di Pergine Spettacolo Aperto Paolo Oss Noser e gli assessori alla cultura Franco Panizza (Provincia) e Marco Morelli.
 Dalle parole del regista è emersa l’emozione di trovarsi proprio ove la Dalser venne rinchiusa e le ragioni per le quali decise a suo tempo di dedicarsi a questo lavoro (distribuito in tutto il mondo), che sono legate al fascino e alla drammaticità della storia. (g.f.)

Alto Adige 06-08-09

Per chi volesse conoscere un pò della storia di Ida Dalser vi suggerisco i file della puntata di Enigma
trasmessi dalla RAI:



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lunedì, 03 agosto 2009



La corrosiva ironia caricaturale di Paul Flora sul suo amato Tirolo








L’ultimo sberleffo non gli è riuscito. Paul Flora, alla soglia degli 87 anni, avrebbe dovuto presenziare alcune settimane fa all’inaugurazione della grande mostra dei suoi disegni nel Palazzo Vescovile di Bressanone ed aveva già compiuto alcuni sopralluoghi negli ambienti espositivi. Il 15 maggio la morte lo ha però colto con la matita in mano (ha lavorato sino all’ultimissimo giorno) e quindi gli intervenuti alla vernice hanno dovuto accontentarsi dell’aleggiare della sua massiccia figura tra autorità impettite, dame in ghingheri e habitués. Ma era un aleggiare importante e poi la sincera commozione di molti ha impedito che il tutto si trasformasse in una di quelle fiere della vanità che Flora sapeva così bene cogliere e volgere in caricatura.
 Nessuno come Flora è stato capace di bacchettare con bonomia (magari corrosiva, ma pur sempre bonomia) certe perdite di misura dei compaesani del suo amato Tirolo. Certe volte sapeva essere anche macabro ma mai cattivo, instancabile porgitore di materia di riflessione. Sapeva essere anche sovversivo soprattutto quando, come negli ultimi tempi, si trattava di contrastare i professionisti della bruttura abusiva e dello scempio programmato.
 Nato nel 1922 a Glorenza si era trasferito già da bambino ad Innsbruck. La fama lo baciò già giovanissimo e da allora il suo linguaggio non è mai mutato, fatto da fini linee parallele intersecate da un tratteggio incrociato più o meno fitto a seconda che debba solo suggerire le ombre o dare massa ai corpi. Così, che si trattasse di personaggi come Napoleone o Wagner, o solo di qualche ignoto protagonista delle medesime meschinerie quotidiane, ha commentato alla sua maniera le vicende di una umanità con la quale in fondo desiderava solo conciliarsi. Come ha ricordato all’inaugurazione il presidente del Südtiroler Kulturinstitut, Marjan Cescutti, Flora era un’«anima naturaliter christiana», un generoso. Lascia un patrimonio di 20 mila fogli e di non meno di 30 libri di disegni in cui ha dispiegato la sua vena di straordinario affabulatore caricaturale. Aveva ben presenti anche i lati tragici della condizione umana, le cui origini amava individuare nel fatto che sempre più spesso nell’alternarsi di stupidità ed intelligenza la seconda salta il proprio turno.
 I suoi temi prediletti sono i tirolesi con i loro costumi, gli eroi del 1809, così come i sovrani e capi politici, ridotti a fantocci o in pose da marionetta, o ancora il ridicolo e meschino mondo della quotidianità. Inoltre Flora si dedicò a Venezia e al motivo del corvo. E sempre, nei suoi disegni, riuscì in modo eccellente a creare atmosfere di forte intensità: la realtà non ordinaria compare nelle vesti di un aneddoto, il drammatico è tutto racchiuso nell’effetto finale, il tragico dell’esistenza umana si addolcisce in caricatura.
 L’ultima opera di Paul Flora è in vendita a Bressanone ed è un’acquaforte colorata a mano eseguita in occasione della mostra a Bressanone; si trova in vendita al Museo Diocesano. La mostra chiude il 31 ottobre.

Alto Adige 02-08-09
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domenica, 26 luglio 2009




«Sezioni bilingui: la scuola deve cambiare»


 BOLZANO. Se ci sono 20 sezioni bilingui nelle elementari altoatesine il merito va prima di tutto ai genitori che hanno chiesto, spinto e insistito, incalzato le scuole. «A Ora per il debutto del prossimo settembre abbiamo avuto 13 adesioni su 13 bambini destinati alla prima elementare», racconta la dirigente scolastica dell’istituto comprensivo della Bassa Atesina Elisabetta Manzio. La richiesta è partita da alcune famiglie e alla fine tutte si sono trovate d’accordo. Ora non è una eccezione. «Nella mia esperienza il consenso dei genitori non va mai sotto il 90 per cento». L’altra mattina l’assessore alla Scuola italiana Christian Tommasini è andato alle elementari «Collodi» di Ora per presentare la nuova sezione bilingue. Un’occasione per presentare gli impegni dell’assessorato sul bilinguismo: una sezione bilingue in ogni Comune della Bassa Atesina entro due anni e in prospettiva una sezione in ogni scuola della provincia.
 Le 20 sezioni bilingui su 40 scuole elementari disponibili da settembre si trovano a Bolzano (Longon e Manzoni), S. Giacomo, Egna, Laghetti, Ora e Brunico.
 Superata la fase delle sperimentazioni grazie alla legge provinciale sulla scuola dell’anno scorso, le famiglie hanno uno strumento in più per farsi avanti e chiedere l’insegnamento veicolare. Il racconto di Elisabetta Manzio.
 Quando ha iniziato a occuparsi di insegnamento veicolare?
 
«Nel 2002 ero dirigente all’istituto comprensivo Europa 2 di Bolzano con le elementari “Martin Luther King” e le medie “Vittorio Alfieri” quando partirono in entrambe le scuole i primi tentativi di scuola trilingue, con lezioni di materie in italiano, tedesco e inglese».
 Dall’anno scorso è dirigente nella Bassa Atesina, uno dei capisaldi di queste esperienze.
 
«Mi sono inserita nel lavoro avviato dal predecessore Ivan Eccli: abbiamo confermato quanto c’era e a settembre faremo partire la prima a Ora. A Laghetti arriveremo ad avere dalla prima alla terza classe, a Egna la prima e la seconda».
 Come mai una presenza così forte di sezioni bilingui nella Bassa Atesina?
 
«Ho trovato genitori attenti, desiderosi di collaborare. In Bassa Atesina c’è una realtà sociale tradizionalmente abituata all’intreccio tra i due gruppi. Ma anche nella prima esperienza di Bolzano i genitori sono stati determinanti».
 E il genitore indifferente o contrario perché “qui siamo in Italia e si parla italiano”?
 
«Non sento quella frase da più di dieci anni».
 La Sovrintendenza vi garantisce la cattedra in più per le sezioni bilingui. Alla scuola quanto costa quesa esperienza?
 
«Tanto lavoro degli insegnanti».
 A settembre partirà solo Ora. Può essere che la novità della legge non sia ancora radicata tra i genitori. Ma può essere anche che qualche scuola opponga resistenza?
 
«Certo. Il nuovo spaventa, ma va affrontato. E’ dovere della scuola capire quando è il momento di cambiare. Adesso ci siamo in mezzo: impari una lingua se studi in lingua. Su questo non sono più possibili discussioni».
 Se dovesse riassumere la validità del metodo?
 
«Quando vedo la naturalezza con cui bambini di prima e seconda elementare si rivolgono in italiano a insegnanti italiani e in tedesco a insegnanti tedeschi. Comunque, il sistema va monitorato e anche quest’anno avremo la supervisione di un docente universitario».
 I punti critici?
 
«Quando emergono problemi di apprendimento, nei genitori può scattare naturalmente la messa in discussione del metodo. Ma centrale è il problema della formazione degli insegnanti. Finora ci si è affidati al valore singolo degli insegnanti coinvolti, ma si deve entrare in una fase più strutturata dell’insegnamento veicolare partendo dalle competenze dei docenti. Qualcosa si sta muovendo, ma ci sono molte attese verso la Lub».
 Altri problemi?
 
«C’è chi teme che si perda la ricchezza della madrelingua: non è vero».
 E i bambini stranieri nelle classi?
 
«Di solito hanno una madrelingua più complessa delle nostre, non mi pare che abbiano grosse difficoltà a muoversi su più livelli».

Alto Adige 26-07-09
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domenica, 26 luglio 2009



San Giacomo, progetto «Halì-Halò» di AlfaBeta presso le scuole materne


L’assessore Di Fede: i bambini sono coinvolti e possono così consolidare anche la convivenza

 LAIVES. Nei metodi di apprendimento della seconda lingua alla scuola italiana, San Giacomo è un passo avanti rispetto a Laives. Durante lo scorso anno scolastico ad esempio c’è stato l’esperimento (che verrà ripetuto) di una prima elementare italiana che ha partecipato con buoni risultati ad un progetto di “immersione linguistica” molto interessante per l’apprendimento della seconda lingua. Adesso invece è la volta dei piccoli che frequentano scuole materne, coinvolti nel progetto «Halì - Halò» di AlfaBeta.
 Ieri l’assessora Liliana Di Fede è andata a trovare bambini e operatori all’asilo insieme ai responsabili di AlfaBeta. «È la prima volta che viene fatta una cosa simile nelle scuole comunali - dice la Di Fede - e abbiamo scelto San Giacomo proprio perché lì è in atto una sperimentazione bilingue all’elementare italiana. Lo abbiamo fatto anche per offrire un’alternativa rispetto ad altre attività estive ed è stato subito un successo, con iscrizioni di bambini non solo residenti a San Giacomo, ma anche nel circondario, ad Egna e a Bolzano, tanto che abbiamo avuto più iscrizioni che posti disponibili». L’attività che si svolge alla materna italiana di San Giacomo, inizia ogni giorno già di mattina con giochi, letture, canzoni e altro, in madrelingua, italiana o tedesca. Poi si passa alla seconda lingua con altre attività che consentono ai bambini di entrambi i gruppi linguistici di conoscersi ed interagire. Il pomeriggio infine è anche prevista un’ora di giochi, canti, filastrocche ed altro in lingua inglese. Questo rafforza efficacemente le competenze linguistiche dei piccoli partecipanti. Ricordo che a San Giacomo abbiamo anche lanciato la “Sprachkoffer”, una bella iniziativa con una valigia piena di libri, audiovisivi e altro materiale in seconda lingua. A turno, ogni famiglia riceve per qualche giorno la valigia a casa e ne utilizza il contenuto. In questo maniera anche i genitori si debbono relazionare in maniera privilegiata con i figli per affrontare la seconda lingua ed è un aspetto educativo anche per loro».
 Liliana Di Fede conferma che in autunno la collaborazione con AlfaBeta continuerà: «Non so chi sarà in giunta comunale il prossimo anno ma spero proprio che “Halì-Halò venga esteso anche alle scuole materne di Laives».

Alto Adige 25-07-09
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domenica, 26 luglio 2009



«Classi bilingui, tocca alle famiglie»


Appello di Tommasini: la legge c’è, i genitori si facciano avanti. Parte Ora

 BOLZANO. I genitori l’hanno voluta all’unanimità: a settembre partirà la sezione bilingue alla scuola elementare «Collodi» di Ora. L’unica prima classe della scuola italiana di Ora sarà dunque organizzata con l’insegnamento veicolare. A Laghetti le sezioni bilingui passeranno da una a due. Ma le novità si fermano qui: 20 sezioni bilingui in 40 scuole in tutto l’Alto Adige. Questo l’elenco: elementari Longon e Manzoni a Bolzano, San Giacomo, Egna, Laghetti, Brunico. Salta agli occhi il vuoto di Merano e Bressanone, mentre la Bassa Atesina si conferma un laboratorio sociale oltre che linguistico. Eppure è arrivata un anno fa la legge provinciale che supera la fase delle sperimentazioni e lascia mano libera alle scuole, che possono accogliere le richieste dei genitori.
 «Speriamo che siano sempre di più le famiglie che spingeranno per avere sezioni bilingui», è l’augurio dell’assessore Christian Tommasini, che ieri è andato alle Collodi di Ora per presentare la nuova classe (13 iscritti) con il sovrintendente sostituto Claudio Vidoni e la dirigente dell’Istituto comprensivo della Bassa Atesina Elisabetta Manzio.
 Tommasini ne approfitta per precisare «questa non è l’immersione, concetto superato» e per riassumere gli impegni dell’assessorato. Più risorse alle materne per il tempo prolungato con insegnanti di tedesco; sostegno ai progetti di sezioni bilingui alle elementari, spinta sull’insegnamento veicolare alle medie e sugli scambi scolastici alle superiori, in attesa della riforma Gelmini che introdurrà l’insegnamento veicolare in due lingue oltre l’italiano. Tornando alle elementari, Tommasini rivendica: «La politica ha fatto: la legge c’è e sosteniamo i progetti. Adesso la spinta deve arrivare dal basso». Perché sono le famiglie che da sempre, ricorda Vidoni, hanno «costretto» la politica a prendere atto della voglia di bilinguismo. Così a Ora, ribadisce Elisabetta Manzio, «questa nuova sezione è nata perché i genitori dei bambini che si sarebbero iscritti in prima elementare hanno chiesto l’insegnamento veicolare. C’è stata l’unanimità». Senza consenso delle famiglie infatti non può nascere nulla e le sezioni bilingui devono essere approvate dal collegio docenti e dal consiglio di istituto. Ci sono state in passato resistenze tra gli insegnanti italiani, che temono la perdita di posti di lavoro. Tommasini tranquillizza: «La scuola italiana è in crescita, i posti di lavoro sono in aumento, non in diminuzione». Dalle materne alle superiori, la scuola italiana nel prossimo anno scolastico conterà su 17.505 iscritti, 387 in più rispetto all’anno appena concluso.
 La Sovrintendenza assicura all’istituto comprensivo della Bassa atesina un insegnante in più per le sezioni bilingui. Ma la Provincia sarebbe disposta a sostenere una scuola bilingue diffusa in tutto l’Alto Adige? Tommasini: «Il mio impegno per i prossimi due anni è una sezione bilingue in ogni Comune della Bassa Atesina. In prospettiva, in ogni scuola deve partire almeno una sezione bilingue». La sfida deve essere andare a verificare. «Non può fare tutto la scuola e nemmeno la politica. Servono la cultura, le associazioni, le famiglie».

Alto Adige 25-07-09
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categoria:cultura, provincia di bolzano
venerdì, 24 luglio 2009



La Biblioteca dell’Università si piazza al secondo posto


La classifica delle biblioteche dell’area germanofona è pronta: per la seconda volta la Biblioteca della Libera Università di Bolzano si è classificata al secondo posto nella categoria «biblioteche scientifiche». Le 260 biblioteche esaminate sono state suddivise in 8 categorie e ne sono state valutate le prestazioni. Per la Biblioteca universitaria di Bolzano si tratta di un risultato eccezionale. Cosa rende una biblioteca una buona biblioteca? Giornali freschi di giornata, orari di apertura prolungati, un’ampia offerta digitale che può essere utilizzata anche dall’esterno e 24 ore al giorno, un’assistenza competente che comprende la consulenza ma anche l’offerta di formazione specifica per gruppi o per obiettivi così come veri e propri corsi per migliorare la propria competenza nella ricerca di informazioni - tutto questo è solo una parte di tutto ciò che - a quanto pare - la Biblioteca universitaria di Bolzano offre agli utenti, sia interni che esterni all’Università, presso le sue tre sedi: Bolzano, Bressanone e Brunico. Altrettanto importante è la voglia di confrontarsi con le biblioteche di altre istituzioni per capire dove ci si trova in quanto a servizi e risorse offerti, ed il desiderio di migliorare la qualità utilizzando sempre nuovi strumenti di management. A questo scopo è nato sei anni fa il BIX, iniziativa del Deutscher Bibliotheksverband che mette a confronto le biblioteche dell’area gemanofona. La Biblioteca universitaria di Bolzano si è classificata quest’anno al secondo posto nella categoria «Biblioteche scientifiche», posizionandosi tra la biblioteca dell’Università di Costanza (primo posto) e quella dell’Università di Düsseldorf (terza in classifica). Ogni biblioteca che rientra nel BIX viene valutata in quattro ambiti: offerta, utilizzo, redditività, orientamento al futuro. Dai 16 indicatori previsti emerge un quadro complesso delle biblioteche partecipanti. La Biblioteca della Libera Università di Bolzano occupa il primo posto per quanto riguarda l’utilizzo, raggiunge il quarto posto negli ambiti «Offerta» e «Orientamento al futuro», registra un aumento del 42% dell’offerta di formazione, registra una crescita del 17% delle visite reali e del 47% di quelle virtuali, aumenta del 22% le giornate di formazione dei propri collaboratori, si piazza, con le sue 88 ore di apertura in settimana, nel primo terzo della classifica, e già pensa ad un possibile ampliamento dell’orario di apertura (guida la classifica la biblioteca universitaria di Costanza con 148 ore settimanali di apertura).
Attraverso il confronto ogni biblioteca può vedere meglio i propri punti di forza e le proprie debolezze e sapere come muoversi per aumentare la propria qualità. Il confronto permette anche di considerare dove le risorse sono troppo poche e dove le condizioni generali sarebbero da migliorare. La classifica mette così in luce che la Biblioteca universitaria di Bolzano è nettamente sotto la media delle biblioteche dell’area germanofona nelle categorie «Spese della biblioteca» e «Mezzi per il mantenimento», nonostante l’aumento costante del numero degli utenti (+41% degli utenti attivi).

Alto Adige 24-07-09
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sabato, 18 luglio 2009



Scuola bilingue, pochi passi avanti



L’amaro bilancio di Enrico Hell, storico paladino del bilinguismo precoce

Anno 1996: scoppia la fobia mucca pazza, l’Italia vota il nuovo governo Prodi alle prese con la spina Bertinotti, Damon Hill è campione del mondo in F.1, ultimo inglese prima di Hamilton. E l’Alto Adige? Discute su quali possano essere le strade migliori per insegnare la seconda lingua nelle scuole provinciali. Sono passati fiumi di inchiostro e vociare sotto i ponti della scuola altoatesina in 13 anni, ma concreti progressi, al tirar delle somme, non se ne registrano. È Enrico Hell, storico e battagliero sostenitore dell’immersione linguistica a Bolzano a ripercorrere questi anni a partire da un servizio della Rai, realizzato nel 1996 per la trasmissione «Passepartù».
 Si parla di bilinguismo «precoce», di immersione, di insegnamento veicolare e si viaggia fino a Barcellona e Vaasa in Finlandia, mentre sullo sfondo si cerca il riflesso di queste esperienze sulla realtà altoatesina. «Accompagnai la troupe in quell’occasione - racconta Hell - e rivedere quelle immagini mi ha fatto pensare di riproporre il tema con qualche iniziativa approfondita, partendo proprio da questo vecchio servizio». In attesa di iniziative mirate, lasciarsi andare a una chiacchierata permette di sondare il problema ben oltre la patina politica, affondando nel concreto dell’insegnamento e nelle eteree basi della filosofia linguistica. Dalle guglie di Gaudì, intanto, sullo schermo compare la figura imponente di Jordi Puyol, governatore di allora della Catalogna. «Ha spiegato che che ”nella realtà catalana si parlano più lingue, ma la lingua propria della Catalogna è solo il catalano”. Frase netta che nel nostro contesto sarebbe impensabile perché a Bolzano si parla di territorio bilingue senza porre in genere la questione di quale sia la lingua propria (o la vera lingua) della provincia. A Barcellona l’immersione viene utilizzata per quella che veramente è: una scuola che fin dalla prima età insegna le materie in modo veicolare nell’altra lingua, per poi inserire la madrelingua laddove il contesto d’uso diventa carente. È il meccanismo del Clil che già qualcuno ha tentato, seppur in abbozzo, di proporre qui».
«Contesto d’uso» è il termine chiave dentro cui snodarsi. «Non è altro che l’opportunità di parlare in cortile, tra la gente. Pensateci: a Bolzano città se due tedeschi e due italiani si trovano si passa alla lingua di Dante. L’italiano è sentito come più accessibile e per questo un tedesco in città lo impara agevolemente attraverso l’uso quotidiano, questione di opportunità se vogliamo. L’inverso, invece, succede spesso nelle valli. Identica situazione si trova nella finnica Vaasa che è praticamente una Bolzano traslata a nord, dove la dicotomia è finlandese-svedese, ma lì l’immersione, quella vera, viene usata fin dall’ 87». Che il termine «immersione» sia spesso usato a sproposito, Hell lo evidenzia chiaramente. «Anche la scuola ladina non è ad immersione in senso stretto.
Come fare a superare l’empasse attuale?
 «Non liquidare commissari europei di spessore come Leonard Orban in due parole può essere un inizio. C’è una resistenza di tipo politico, ma anche filosofica. Da una parte il falso pregiudizio per cui ai bambini la mancanza della lingua madre a scuola ne mette in pericolo la stessa conoscenza, dall’altra l’identificazione tra lingua e identità culturale».
La strada dell’immersione sarebbe anche utile in termini economici.
 «Sicuramente sì sotto l’aspetto tempistico: risparmiando sulle ore di lingua per utilizzarle anche per le altre materie significherebbe, per esempio, sgravare gli studenti di un carico orario spesso eccessivo. Non solo, perché qui ogni tanto nascono delle iniziative che poi però passano in sordina per paure politiche, col risultato di tagliare fuori Bolzano dal sistema internazionale e rimanere privi di qualsiasi analisi di efficacia».
Si riferisce alla scuola bilingue?
 «Anche, ma non solo. Lì, oltretutto, siamo di fronte a una progettazione ben diversa da un’immersione in tedesco di bambini monolingui italiani»..
Si può dire, in conclusione, che molto è dovuto alla rigidità politica?
 «Sì, ma anche ideale. Siamo così sicuri che la nostra identità sia data dalla lingua? Sarebbe una precostruzione che limiterebbe moltissimo la libertà individuale e di rapporti: in realtà è una questione molto più seria e molto più complessa».
Dannatamente seria. Lo è fin dal 1996.

Alto Adige 16-07-09
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categoria:cultura
lunedì, 13 luglio 2009



Neonazismo giovanile un richiamo generale al ruolo della famiglia



Si moltiplicano le prese di posizione sul dossier che denuncia il dilagante fenomeno della “Hitler Jugend

MERANO. Si moltiplicano le prese di posizione sul dilagante fenomeno del neonazismo giovanile denunciato dal dossier del Servizio giovani della Provincia. Si dice preoccupato l’obmann della Volkspartei Richard Theiner che invita le istituzioni a sorvegliare su ogni forma di estremismo, Anpi e Comunità ebraica sottolineano la responsabilità delle famiglie, punta invece sulla prevenzione il vicepresidente della Provincia Christian Tommasini.
 Quello dei rigurgiti neonazisti su tutto il territorio altoatesino, ed in particolare nella zona del Meranese, è un fenomeno costantemente monitorizzato da polizia e carabinieri che da sempre controllano i giovani altoatesini (non solo in Val Venosta) con simpatie per l’estrema destra tedesca. «Conosciamo bene il fenomeno e non lo sottovalutiamo perché interessa alcune centinaia di ragazzi. Si vestono in un certo modo e ascoltano musica d’area, ma nell’ultimo anno non hanno commesso reati. Ciò non vuol dire, peraltro, che abbasseremo la guardia, anzi, facendo rete, se possibile con la Provincia e i servizi sociali, sarà possibile saperne di più ed avvicinare soprattutto i minorenni - spiegano le forze dell’ordine - anche in occasione dell’operazione Odessa dell’aprile 2008 i ragazzi con meno di 18 anni coinvolti a vario titolo nell’organizzazione erano alcune decine. E quella è solo la punta dell’iceberg, come ha ammesso lo stesso assessore Theiner. A quell’età sono più facilmente influenzabili e mescolano non di rado patriottismo e neonazismo con l’alcol, anche in occasione delle feste di paese».
 L’acquisizione di informazioni da parte dei carabinieri, soprattutto nelle stazioni periferiche, è continua, ma anche la Digos conosce bene il fenomeno e lo tiene sotto controllo: «il numero dei giovani e dei giovanissimi con simpatie neonaziste, ma non possiamo parlare di “cellule“ vere e proprie, è nettamente superiore a quello dei ragazzi legati alla destra italiana o al mondo anarchico».
 Il dossier raccolto dal servizio giovani della Provincia ha scatenato una serie di reazioni, sia a livello politico che nella società civile. Si è detto particolarmente preoccupato l’Obmann della Volkspartei Richard Theiner, che però ha anche invitato a non abbassare la guardia nei confronti di qualunque forma di estremismo. Più articolata la posizione del vicepresidente della giunta provinciale Christian Tommasini che punta particolarmente sulla prevenzione ricordando le iniziative avarate in tal senso dalle strutture pubbliche. Richiamano invece le famiglie alle proprie responsabilità educative la Comunità ebraica e l’Anpi. Quest’ultima in particolare, per bocca del suo presidente Lionello Bertoldi, si dichiara «no sorpresa quando in internet è un fiorire di siti neofascisti e neonazisti che ostentano presenza e attività, ma colpita e addolorata dal numero e dall’età degli organizzati».
 «Il sindaco di Naturno Heidegger intende impegnare il Comune per affrontare il problema, assieme ai genitori ed alla scuola - aggiunge l’Anpi - siamo certamente d’accordo e accanto all’assessore ed al sindaco».

Alto Adige 13-07-09
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lunedì, 13 luglio 2009



Film sulle opzioni Le critiche degli storici

BOLZANO. Il film realizzato dal “Rai Sender Bozen” sulle opzioni (“Südtirol - Überlebenskampf zwischen Faschismus und Option”) suscita polemiche tra gli storici. Christoph Hartung von Hartungen è il primo firmatario di una lettera aperta di protesta alla quale hanno aderito anche Leo Hillebrand, Stefan Lechner, Giorgio Mezzalira, Hubert Mock, Gerhard Mumelter, Günther Pallaver, Walter Pichler, Karl Prossliner, Carlo Romeo, Gottfried Solderer, Gerd Staffler, Leopold Steurer, Martha Verdorfer e Joseph Zoderer. «Il film - affermano - contiene troppe inesattezze su quel periodo, non si tratta certo di informazioni obiettive». Tra le altre cose viene criticato il mancato riferimento al ruolo avuto dal nazismo e dalla Chiesa.

Alto Adige 13-07-09
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categoria:cultura
venerdì, 10 luglio 2009



La Provincia sogna la Facoltà di Medicina



Un gruppo di tecnici lavora al progetto che punta a creare una clinica universitaria

BOLZANO. Aprire a Bolzano una Facoltà di Medicina utilizzando come base logistica la struttura della Scuola superiore di sanità “Claudiana” e puntando a creare attorno ai sette ospedali della provincia (bellissimi ma che con il riordino dell’Asl unica rischiano di essere svuotati di significato e soprattutto di pazienti) una clinica universitaria che abbia come unica parola d’ordine l’eccellenza.
 Questo il sogno della Provincia che ha messo al lavoro un gruppo di tecnici per studiare un piano di fattibilità. Un progetto ambizioso, che avrà bisogno di tempo per svilupparsi e crescere e potersi alla fine concretizzare, ma che deve guardarsi da subito dalle pressioni e dalle invidie che potrebbero arrivare dalle cliniche universitarie che ci stanno vicine, sia a Sud che a Nord, che puntano ad accaparrarsi le convenzioni ed i pazienti e non certo a veder aumentare la concorrenza.
 Una scelta importante andata avanti sottotraccia per evitare polemiche.
 Una scelta dettata da vari fattori, in primis il fatto che la creazione di una Facoltà di medicina potrebbe portare la nostra sanità ai massimi livelli.
 Sta crescendo, infatti, la voglia di creare in Alto Adige, già ricco di ospedali faraonici, anche una struttura universitaria importante per una medicina che possa essere punto di riferimento anche per altre realtà. Il maggior beneficio lo avrebbe poi la popolazione: sia i pazienti che i medici.
 Da sempre infatti gli altoatesini che intendono intraprendere la carriera medica, sono costretti a spostarsi a Bologna, Padova, Verona, Pavia ecc. o ad andare Oltrebrennero verso Innsbruck, Vienna, Monaco: cervelli che se ne vanno e che troppo spesso - ultimamente - non tornano più a casa.
 Gli ultimi dati dell’Astat che ha analizzato le iscrizioni presso gli atenei italiani e austriaci parla di 1.172 altoatesini iscritti a tutt’oggi a medicina: di questi 716 studiano in Italia e 456 in Austria. Va detto anche che il mercato chiede sempre più professionisti della sanità e che gli studenti, da quando è stato introdotto il numero chiuso, spesso restano fuori dai vari contingenti. E poi la Provincia sta capendo sempre più che senza specializzazioni e superspecializzazioni non si va più da nessuna parte e che megastrutture e lindore non bastano a decretare l’efficienza di un sistema e che la medicina d’eccellenza oltre ad essere un fiore all’occhiello può essere anche un fantastico business.
 Proprio per questo l’assessorato continua (al di là della Medicina alternativa) a dare degli scossoni in questa direzione. È di poche settimana fa, infatti, la notizia che i vertici dell’assessorato puntano ad aprire in provincia un Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs), specializzato nella riabilitazione neuromotoria. Un piano ambizioso (in tutt’Italia ci sono solo 42 Irccs) che è stato presentato di recente alla Commissione per il riordino clinico da Albert Tschager e Karl Kob per trattare i pazienti affetti da lesioni al sistema nervoso o all’apparato muscolo-scheletrico. Se Neuroriabilitazione si prepara a rilanciare per dare una chance in più a chi ha subito importanti danni cerebrali, sembra che si stia muovendo in questo senso tutta la sanità nostrana.

Alto Adige 10-07-09
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categoria:cultura, provincia di bolzano
giovedì, 09 luglio 2009



La storia locale nelle scuole serve alla convivenza


Dieci anni fa il ministro Berlinguer ha modificato gli esami di maturità, introducendo il sistema delle quattro «tracce» nella prova d’italiano. Da allora la scuola tedesca locale ha introdotto una variante molto apprezzabile sul piano pedagogico: ha inserito fra le tracce un argomento di storia locale. Ha potuto farlo, perché questa storia - all’interno, com’è ovvio, della storia generale - agli studenti tedeschi viene insegnata da sempre.
 E la scuola italiana? Da dieci anni, purtroppo, sta ignorando questa intelligente innovazione. Il problema è che nelle scuole superiori italiane la storia locale si insegna molto meno che in quelle tedesche o ladine. E’ un puro e semplice «optional»: spesso non si insegna per nulla. Ne derivano conseguenze assai negative. Già i nostri studenti, in media, imparano poco la lingua tedesca. Ma a questo pesante handicap si deve aggiungere anche quello di una scarsa (o nulla) conoscenza della storia locale. Anche per questo i nostri giovani faticano a metter radici in una realtà complessa come la nostra.
 Di recente gli assessori Theiner e Tommasini hanno annunciato di voler preparare una serie di interventi per favorire la convivenza. E’ la prima volta che ciò avviene e la cosa fa ben sperare. Suggerirò allora a Tommasini alcune iniziative di cui ho già parlato su queste pagine. In primo luogo, il Consiglio provinciale dovrebbe approvare al più presto dei programmi di storia locale per le scuole superiori italiane. Solo così il suo insegnamento cesserà di essere un «optional» per diventare - finalmente - una normale attività didattica. Poi vanno organizzati corsi di formazione sulla storia locale (in orario di servizio) per gli insegnanti. Infine, come suggello ufficiale, alle quattro tracce nazionali della prova di italiano alla maturità andrebbe aggiunta una quinta traccia sulla storia locale. Per gli studenti sarebbe solo un vantaggio, perché avrebbero un titolo in più fra cui scegliere. Per gli insegnanti sarebbe uno stimolo ulteriore per insegnare la storia locale con l’attenzione che merita.

Alto Adige 09-07-09



Schulgeschichte - Abstract

"SchulSpott - Karikaturen aus 2500 Jahren Pädagogik Gesammelt von Michael Klant"
Per una storia della Scuola in Italia: 1861-1993        von Milena Cossetto
Premessa
Ricostruire la storia delle istituzioni scolastiche nel territorio tra le valli dell'Inn e dell'Adige è un po' come entrare in un labirinto: quella che solitamente sembra una delle istituzioni più lente a metabolizzare le trasformazioni della società, della cultura, del mondo economico e del lavoro, in questa terra tra i monti spesso diventa, invece, la cartina al tornasole della qualità delle relazioni tra i tre gruppi linguistici e quindi, accanto alla storia e al fare storia, uno dei principali terreni di conflitto. [...]
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lunedì, 06 luglio 2009


Il Quotidiano in Classe


Il progetto "Il Quotidiano in Classe" porta nelle scuole superiori italiane alcuni tra i più grandi giornali italiani a confronto, affinchè possano diventare strumenti per una moderna forma di educazione civica day by day.
Lanciato dall'Osservatorio nel Settembre 2000, il progetto, che si svolge con il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha raggiunto una posizione di leadership tra le iniziative che promuovono la lettura del giornale tra i giovani e nel mondo della scuola.  Il progetto "Il Quotidiano in Classe"
Si tratta di un primato sia quantitativo, in virtù dell'oltre 1.500.000 studenti che vi partecipano, un giovane italiano su tre, sia qualitativo, grazie ad un'offerta completa rivolta al mondo scolastico, ed articolata in tre punti:

LEZIONI IN CLASSE: I docenti che hanno aderito all'iniziativa, assumono l'impegno di dedicare un'ora di lezione la settimana alla lettura dei giornali: il primo quotidiano d'opinione italiano, Il Corriere della Sera, un grande quotidiano regionale come Il Giorno, Il Resto del Carlino, La Nazione, l'Adige, L'Unione Sarda, Il Tempo, La Stampa, Gazzetta del Sud, Il Giornale di Vicenza, L'Arena, Brescia Oggi, Gazzetta di Parma, Il Gazzettino, il più autorevole quotidiano sportivo nazionale, La Gazzetta dello Sport e, nelle classi quarte e quinte, il principale giornale economico europeo, Il Sole 24 Ore.

FORMAZIONE: Ai docenti responsabili del progetto classi è rivolta una specifica attività formativa promossa dall'Osservatorio, basata su autorevoli contributi scientifici e pensata per permettere loro di presentare correttamente il giornale ai ragazzi. In particolare ciascun insegnante riceve una pubblicazione edita da " La Nuova Italia Editrice". I quotidiani soci del progetto "Il Quotidiano in Classe"
L'Osservatorio promuove anche Giornate di Formazione per i docenti coinvolti nel progetto, un'occasione nel corso della quale gli insegnanti possono confrontare le loro esperienze didattiche ed incontrare relatori qualificati.

Sempre per venire incontro alle esigenze dei docenti partecipanti e' stato inoltre attivato un nuovo servizio di assistenza didattica on line, a completa disposizione degli insegnanti per tutto il corso dell'anno scolastico.

RICERCA: Per far sì che anche i giornali, tutti i giornali italiani, possano fare i propri passi per andare incontro ai giovani, ad ogni studente l'Osservatorio chiede come valuta i quotidiani di oggi e come vorrebbe trasformare quelli di domani. I risultati di questa indagine, che consente così anche un costante monitoraggio dell'iniziativa, vengono presentati ogni anno al convegno "Crescere tra le righe".


Clicca qui per sfogliare il Quaderno di Lavoro realizzato dall’Osservatorio Permanente


fonte:  http://www.osservatorionline.it/it/il_quotidiano_in_classe/index.php?menu=il_quotidiano_in_classe
 http://www.osservatorionline.it/it/il_quotidiano_in_classe/index.php?menu=il_quotidiano_in_classehttp://www.osservatorionline.it/it/il_quotidiano_in_classe/index.php?menu=il_quotidiano_in_classe file2 file3
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categoria:cultura, giovani
sabato, 04 luglio 2009



Tv, vincono i «ghetti» linguistici


In Alto Adige il piccolo schermo non facilita l’integrazione. «Meglio Youtube»

«XFactor o Starmania? Quando l’integrazione (non) passa per la tv». Il titolo del penultimo appuntamento di Science Cafè, organizzato giovedì sulla terrazza dell’Eurac a Ponte Druso, rimanda inevitabilmente a certi personaggi televisivi attualmente molto in voga, quali Giusi Ferreri o i Bastard. In realtà nel corso della serata si è affrontato il problema dell’apprendimento linguistico visto come uno degli aspetti della questione «integrazione». Quando la separazione interessa un più ampio spettro di riferimenti culturali, dalla televisione allo sport, le cose si complicano notevolmente. Se, da una parte, il processo di globalizzazione tende a uniformare la scelta dei media proponendo programmi con un identico format nei diversi paesi del mondo, dall’altra però non agisce a livello linguistico. In Alto Adige, per esempio, fa ancora grande differenza la lingua in cui si guarda una stessa trasmissione. Come potrebbe una maggiore familiarità con il mondo del vicino «altro» stimolare l’apprendimento della seconda lingua? Come si può trasformare «l’imbastardimento culturale» in un valore positivo? Sulle molteplici sfumature di uno stesso tema sono intervenuti nel corso della serata Chiara Vettori - ricercatrice dell’Istituto di comunicazione specialistica e plurilinguismo dell’Eurac, specializzata in apprendimento linguistico e sociolinguistica - e l’autore e conduttore televisivo Federico Taddia che ha firmato programmi come «Screensaver» su Raitre e «Monolocale» e «L’altro lato» su Radio2, da sempre attento al mondo dei bambini e dei ragazzi. A moderare il dibattito ci ha pensato Paolo Mazzucato, conduttore della sede Rai di Bolzano e autore della striscia settimanale di aggiornamento culturale «Zeppelin». In un clima sereno, rovinato solo in parte dalla pioggia che ha cominciato a cadere a metà dell’incontro costringendo i presenti a trasferirsi in una sala interna dell’Eurac, Vettori e Taddia hanno esposto le loro riflessioni in due discorsi paralleli. «Attraverso la distribuzione di specifici questionari nelle quarte classi delle scuole superiori abbiamo testato le competenze linguistiche dei giovani altoatesini - spiega Chiara Vettori - con l’obiettivo di cogliere interessanti aspetti psico-sociali dell’apprendimento linguistico locale.» Cosa emerge da questa indagine? L’evidente problema linguistico altoatesino sembra avere radici lontane dai banchi di scuola e provenire, invece, dal contesto sociale. «Il tedesco per noi italiani è considerato ”seconda lingua” e non lingua straniera - continua - qual è la differenza? Che la seconda lingua vive attorno a noi, arriva quotidianamente alle nostre orecchie, diversamente da una lingua straniera che si studia solo a scuola». Ma nonostante ciò, in Alto Adige il problema rimane e la presenza del dialetto tedesco non facilita certo le cose. Il dialetto viene vissuto come un handicap da parte della popolazione italiana che il più delle volte non lo comprende anche se ha studiato la lingua tedesca. «Questo è demotivante per chi apprende - sottolinea la Vettori - manca la soddisfazione di mettere in pratica ciò che si impara nelle aule scolastiche». Come giungere dunque ad una maggiore comprensione dell’altro? Spaziando dal microcosmo altoatesino Federico Taddia ha espresso le sue idee riguardo il potenziale dei mass media nell’apprendimento linguistico. «Se la tv tende a creare “ghetti” linguistici in un meccanismo in cui i dati d’ascolto sono il principale obiettivo, lo stesso non vale per la rete - spiega Taddia - su Youtube i giovani accolgono qualsiasi proposta linguistica. Curiosi e attivi, si divertono a guardare film in lingua originale e sono interessati verso ciò che non conoscono». Un dibattito complesso, insomma, introdotto e alleggerito dalle musiche dei «Nachtcafè», gruppo di capaci musicisti composto da Gabriele Muscolino, Francesco Brazzo e Matteo Facchin. Un appuntamento che ha offerto interessanti spunti di riflessione, che avrebbero meritato un approfondimento maggiore con un più vivace coinvolgimento del pubblico presente in sala.

Alto Adige 04-07-09
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categoria:cultura, sociale
martedì, 30 giugno 2009


Convivenza, la ricetta della giunta


Sinergie tra assessori alla cultura dei 3 gruppi

BOLZANO.  La giunta ha incaricato gli assessori provinciali alla cultura di fornire, attraverso l’attività di coordinamento in specifici gruppi di lavoro, proposte e iniziative per il miglioramento della pacifica convivenza in Alto Adige. “L’obiettivo - ha detto Durnwalder - dovrà essere raggiunto con interventi che si sviluppano lungo tre piste di lavoro: l’incentivazione dello studio delle lingue, la reciproca conoscenza da attuarsi attraverso un approfondimento della storia e l’impegno di tutta la popolazione all’esclusione di ogni forma di estremismo.” Le misure riferite alle lingue comprendono tra l’altro attività e scambi scolastici, vacanze comuni, sensiblizzazione dei genitori e valorizzazione degli insegnanti; quelle sulla conoscenza della storia un testo comune, momenti di studio e di incontro; progetti per favorire l’azione concreta dei cittadini contro gli opposti estremismi.
 E venerdì prossimo, sempre per la stessa questione, sarà a Bolzano il ministro degli interni Roberto Maroni, invitato dalla Lega Nord per il cosiddetto tavolo della convivenza che aveva visto l’avvio nelle settimane scorse.
 «Vogliamo mettere in campo un progetto comune - spiegano gli assessori Theiner e Tommasini - una visione politica tesa a valorizzare la nostra autonomia e contrastare le diverse forme di estremismo che stanno minacciando in particolare le giovani generazioni». Secondo i due assessori, «la convivenza è nella quotidianità, nel “fare”. Bisogna comunicare valori ai cittadini, cioè il “valore” dell’intervento pubblico». Il modello elaborato dai due assessori che può essere la base per il lavoro del trio di assessori alla cultura come deciso ieri da Palazzo Widmann. Il progetto è congiunto tra i settori cultura, scuola e sociale di tutti i gruppi linguistici. Il programma ha una durata triennale con un modello che prende ispirazione anche dal lavoro svolto nella ex Ddr «Laut gegen Nazis» ed il primo passo sarà la realizzazione di un’indagine sia con fucus group, sia qualitativa e quantitativa (clima etnico, rapporti tra gruppi), mettendo a punto interventi di breve, medio e lungo termine.
 Per il raggiungimento di un effettivo plurilinguismo c’è la valorizzazione degli scambi tra scuole superiori, il lavoro comune tra le reti dei centri giovanili, le vacanze comuni fra giovani di tutti i gruppi linguistici. Ed inoltre la valorizzazione degli insegnanti di seconda e terza lingua come veicoli di trasmissione dell’amore per l’altra cultura, il potenziamento degli scambi tra famiglie e il servizio «au pair» altoatesino. La migliore conoscenza della storia prevede un libro di storia comune per scuole di diversi gruppi.

Alto Adige 30-06-09
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categoria:cultura
giovedì, 25 giugno 2009



La difficile "scelta" tra fascismo e nazismo

Le ferite della società sudtirolese

Nel 1939 in 185 mila scelsero il Reich, ma a partire davvero furono 75 mila

I «Dableiber» che decisero di restare vennero considerati alla stregua di traditori della Heimat

di Mauro Fattor

In Alto Adige ricorre in questi giorni il settantesino anniversario delle Opzioni, il tragico accordo tra Hitler e Mussolini per il trasferimento in Germania dei sudtirolesi che volevano restare tedeschi e si trovarono quindi costretti a optare tra il Reich e l’Italia. L’accordo - che in nome dell’Asse sanciva il carattere definitivo e intangibile del confine del Brennero - era stato elaborato dal capo delle Ss Heinrich Himmler sin dalla primavera di quell’anno, e giunse al suo assetto definitivo il 23 giugno 1939 a Berlino. L’85% degli altoatesini optarono per la Germania, ma solo 75mila lasciarono effettivamente la provincia di Bolzano. Di questi, un terzo tornò in Alto Adige dopo la guerra. Le Opzioni lacerarono nel profondo la società sudtirolese. Martha Ebner, la matriarca della famiglia Ebner, madre dell’eurodeputato Svp Michl e del direttore del «Dolomiten» Toni, ha raccontato spesso di aver «visto come il fanatismo in pochissimo tempo creò nei paesi profonde divisione e come la sobillazione diventasse odio». I Dableiber, infatti - cioè coloro che scelsero di non partire ma di restare in Alto Adige - vennero trattati come traditori, con conseguenze che si trascinarono per decenni anche nel Sudtirolo pacificato del Dopoguerra. Scriveva Himmler il 30 maggio del 1939: «La decisione del Führer in merito ai confini tra Italia e Germania è legittima. In questo modo si è deciso irrevocabilmente che il Sudtirolo, quale territorio abitato da un popolo tedesco, è abbandonato e non ha più alcun interesse per noi. Non si è con ciò detto che la Germania abbandoni i corca 200 mila sudtirolesi che vogliono essere tedeschi. Ciò ne consegue che per la stretta amicizia fra la Germania e l’Italia, dovrà essere intrapresa una storica e forse unica e grandiosa operazione. [.] La Germania procurerà da qualche parte sul suo territorio, per esempio all’Est, uno spazio per 200 mila persone da collocarsi in città e paesi. Questo territorio dovrà essere scelto possibilmente in una zona originariamente straniera e sarà liberato da tutti i suoi abitanti. In accordo con l’Italia, i 200 mila tedeschi del Sudtirolo venderanno i loro averi e beni e verranno trasferiti in questo nuovo territorio».
La soluzione che Himmler aveva in testa era chiara, e aveva a che fare con i programmi nazisti di invasione della Polonia, per la quale fu messa in piedi la cosiddetta «Operazione Fausthof», che altro non era appunto che la ricolonizzazione dei territori strappati alla Polonia con il rimpatrio entro i confini del Reich delle minoranze tedesche sparse per l’Europa. Nel calderone di questa lucida follia, c’erano anche i sudtirolesi. In buona compagnia. In base agli accordi stabiliti dalla Germania con Estonia e Lettonia vennero infatti trasferiti nel Reich circa 70 mila Volksdeutsche ed altri 17.567 vennero trasferiti dopo l’occupazione delle stesse repubbliche da parte dei sovietici, nel novembre del 1939, in ragione dell’accordo russo tedesco del 10 gennaio 1941. Con lo stesso accordo si decise pure il trasferimento di 49.606 Volksdeutsche dalla Lituania. Ma già nel novembre del 1939 la Germania aveva stipulato un primo accordo con l’Urss per il trasferimento ad ovest dei 108.012 tedeschi della Polonia caduti sotto l’influenza russa; mentre il 5 settembre del 1940 si trovò ancora un accordo con l’Urss per gli 87.144 tedeschi di Bessarabia, i 44.944 del Nord-Bucovina, i 64.868 della Volinia e i 6844 del Narew. Il 22 ottobre 1940 arrivò anche l’accordo con la Romania per i 53 mila tedeschi del Sud-Bucovina, i 10.119 della Moldavia e i 14.102 della Dobrugia. In totale quindi, tra il 1939 e il 1941, vennero trasferiti nel Reich 600 mila Volksdeutsche. Torniamo all’Alto Adige. Furono 185 mila quanti si dichiararono disponibili a prendere la cittadinanza tedesca e a trasferirsi, ma solo 75 mila passarono effettivamente il Brennero. A partire furono soprattutto gli operai, i braccianti e i nullatenenti per rispondere in qualche modo all’estrema necessità di manodopera del Reich. Nessuno dei Volksdeutsche delle Repubbliche Baltiche o dei Paesi dell’Est ebbe la possibilità di optare, decidendo se partire o meno. Vennero tutti trasferiti in modo coatto. Unica eccezione furono proprio i sudtirolesi. In quegli anni di stravolgimenti, poco dopo l’invasione dell’Unione Sovietica da parte di Hitler nel 1941, accadde anche che un milione di tedeschi del Volga fossero trasferiti da Stalin - che ne temeva il tradimento - nelle repubbliche dell’Asia Centrale, in particolare in Kazakistan e Kirghizistan. Un esodo biblico di cui si è parlato pochissimo.

Alto Adige 25-06-09
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categoria:cultura

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